WA intero passo | Opera | Commento | Aland | Aland 2 | Anno | Citazioni di Aristotele | intestazione | Pagina | Parole chiave | Rokita | Testo | Traduzione |
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1,27,18-39 | In Iohannes 1,1 (Sermone aus den Jahren 1514-1517) | In questo passo Lutero sembra reinterpretare la concezione aristotelica del moto in funzione della dottrina trinitaria. Si tratta di un interpretazione spirituale di Aristotele, che però si allontana dal pensiero aristotelico in molti punti essenziali. Lutero ad esempio afferma che secondo Aristotele l essenza di Dio è movimento, ma l atto primo aristotelico dev essere immobile, altrimenti, in quanto mobile, sarebbe passibile di una delle forme del mutamento, peraltro accennate in questo passo anche da Lutero (cfr. il richiamo alle aliae speciae). Faticoso in particolare il tentativo di definire la processio del Figlio dal Padre con una forma di movimento. E così come il mosso e il mobile sono una sola cosa, altrettanto avviene con il Padre e il Figlio. Ma mosso e mobile (o, per riprendere l altro esempio di Lutero, sensazione in atto ed essere senziente) sono la stessa cosa solo analogicamente, mentre Lutero, probabilmente per salvare l unicità di sostanza tra Padre e Figlio, interpreta questa identità in senso ontologico. La soluzione qui prospettata richiama da vicino l analisi di De anima III,5 che Lutero effettua nella terza tesi filosofica della Disputa di Heidelberg. Anche in quel contesto (WA 59,415,1-419,11) egli tende a svalutare l aspetto non ontologico dell identità tra soggetto conoscente e conoscenza in atto. Cfr. anche quanto si afferma in WA 56,374,9-14, in cui Lutero si appella a sant Agostino per definire il vincolo di unità tra colui che spera con l oggetto della sua speranza. Inoltre per descrivere questa processione ineffabilis e superintelligibilis di cui partecipa tutta la realtà Lutero usa un linguaggio dai toni neoplatonici. Interessante inoltre il fatto che Aristotele venga chiamato in causa all interno di una disputa di carattere trinitario per convalidare con la sua dottrina la concezione teologica luterana: soprattutto per il fatto che il pensiero di Lutero in questi anni ha già raggiunto una certa maturità. Inoltre questo potrebbe essere un passo - o comunque uno spunto tematico - del Commentario della Fisica aristotelica che Lutero stesso si riprometteva di scrivere intorno al 1517 (cfr. WABr 1,19-23). | 683 | Pr.6 | 1514 | Phys. III,1,201a,9-16; III,2,202a,7s.; De an. II,5-12; Cat. 14,15a,13-20 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 27 | res, creatura, processio, verbum, Pater, motus, inanimatum, multiplicatio, moveri, essentia, Deus, actus, mobile, nascentia, animatum, vivum, incrementum, nomen, sensus, sensitivum, cogitatio, ratio, intellectus, localis, species, albedo, quantitas, nutritio, augmentatio, generatio, arbor, lignum, herba, identitas, ineffabilis, superintelligibilis | 97 | Videmus itaque quomodo in qualibet re et creatura multipliciter elucet processio verbi ex Patre, licet non aequaliter in omnibus. Nam motus rei inanimatae imperfectissime quidem id ostendit, quia parva est multiplicatio ista, qua idem multiplicatur, quando in multa movetur, non tamen nulla. Sicut autem motus est ipsa essentia Dei secundum Aristotelem, qui dicit, quod sit actus mobilis in quantum huiusmodi, Similiter est dicendum, quod multo magis nascentia animati est ipsum animatum in quantum huiusmodi, quia est actus vivi in quantum huiusmodi. Accipio autem nascentiam vel incrementum propter penuriam nominum hic pro omni actu animati, sicut motus est omnis actus inanimati et sensus sensitivi, cogitatio rationis, verbum intellectus. Igitur sicut motus non tantum localem significat, sed etiam alias species, quibus res ipsa multiplicat in seipsa, ut albedo, quantitas &c., ita nascentia hic sit nutritio, augmentatio, generatio, quae est actus ipsius vivi vel ipsum vivum, non in quantum est arbor, lignum, herba, sed in quantum huiusmodi, i. e. vivum, secundum Philosophiam Aristotelis. Ita sensatio est nonnisi ipsa essentia sensitivae rei, i. e. est actus sensitivi in quantum huiusmodi. Sic verbum est intellectus ipse in quantum huiusmodi. Quae omnia ex identitate motus cum mobili facile intelliguntur, quia omnia illa quidam motus sunt, ut dictum est. Ita ergo et Filius Dei est ipsa essentia Dei, et esse divinum est ipsum verbum, solo scilicet illo ineffabili et superintelligibili motu ab eo descendens. | E così vediamo in che modo la processione del Verbo dal Padre risplenda in qualsiasi cosa e creatura, anche se non allo stesso modo in tutte le cose. Infatti il moto di una cosa inanimata evidenzia questo processo in modo quanto mai imperfetto, dal momento che una tale moltiplicazione attraverso cui una stessa cosa si moltiplica quando si trasforma in molte cose, è limitata, ma non tuttavia nulla. E così allo stesso modo il moto è la stessa essenza di Dio, come testimonia Aristotele, che afferma che il moto è l atto di un mobile in quanto tale. Similmente bisogna dire che in misura molto maggiore la nascita di un essere animato è l essere animato stesso in quanto tale, poiché è l atto di un essere vivo in quanto tale. In questo caso poi, a causa della scarsità di termini, per ogni atto di un essere animato adotto le espressioni nascita o sviluppo così come usiamo moto per l atto di un essere inanimato, senso per l atto di un essere sensitivo, pensiero per la ragione e verbo per l intelletto. Perciò così come moto non significa solo uno spostamento di luogo, ma anche tutte le altre specie, attraverso le quali una cosa si moltiplica in se stessa, come bianchezza, quantità ecc., così in questo caso nascita significa nutrizione, sviluppo, generazione: è l atto proprio di un essere vivo, di un vivente in quanto tale, non in quanto è albero, legno, pianta, ma in quanto tale, cioè vivo, come afferma la filosofia di Aristotele. E così la sensazione non è se non la stessa essenza della cosa sensitiva, cioè è l atto di un essere sensitivo in quanto tale. E così il verbo è lo stesso intelletto in quanto tale. Sono tutte cose che si riconoscono facilmente dall identità del moto con ciò che si muove, come si è detto. Così pertanto anche il Figlio di Dio è la stessa essenza di Dio e l essere divino è il verbo stesso, che proviene da lui solamente con quel moto, ineffabile e incomprensibile per la nostra intelligenza. |
1,28,10-22 | In Iohannes 1,1 (Sermone aus den Jahren 1514-1517) | Continuazione del passo precedente. Valgono tutte le osservazioni fatte sopra, in questo caso però il giudizio positivo sulla filosofia aristotelica e la sua utilità alla teologia è esplicito come in nessun altra parte dell opera di Lutero. D altra parte il giudizio positivo è temperato da un affermazione che tende a privare di ogni merito il filosofo che avrebbe prelevato (in modo fraudolento: furatus sit) dalla religione ebraica i contenuti più genuini del suo proprio pensiero. Questo tipo di critica è usuale, da parte di Lutero, nei confronti di Platone (WA 42,3,30-4,20), meno nei confronti di Aristotele, e riprende una tradizione che fa capo, attraverso Agostino, a Filone d Alessandria. Da notare infine la definizione dello Spirito Santo come termine dell emanazione di Dio con linguaggio più neoplatonico che cristiano. In definitiva, siamo qui in presenza di una interpretazione spirituale-mistica di Aristotele. Di qui a pochi anni in Lutero prevarrà il rifiuto, ma tracce di questo tipo di interpretazione si ritrovano non solo negli anni giovanili (cfr. ad es. WA 25,336,34-38, un passo delle Lezioni su Isaia degli anni 1527-1529). | Pr.6 | 1514 | Phys. III,1-2; VIII,3 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 28 | motus, pars, acquiri, quies, mobilis, terminus, quaerere, moveri, quiescere, incipere, desinere, principium, finis, deus, expressio, spiritus-sanctus, emanatio, Pater, profluere, filius, mobile, aeternus, apte, servire, Philosophia, Theologia, intelligere, applicare, eloqui, furari, pompa, proferre, iactare | 165 | In omni enim motu sic fit, ut pars acquisita cesset acquiri et sit ibi quies mobilis, et ita eadem res respectu termini quem quaerit movetur, sed respectu eius quem acquisivit quiescit. Quare sibi et movetur et quiescit, sibi incipit semper et desinit, sibi est in principio et fine semper. Ita in divinis fit: ubi semper Deus movetur et quiescit (parce, lector, verbis indignis tantae rei expressione), movendo filius, quiescendo Spiritus Sanctus procedit. Quia Spiritus Sanctus finis est emanationis Dei, imo dum semper ex Patre profluit motus, i. e. filius, semper ex utroque provenit quies, in qua et mobile et motus finitur. Sed motus ille aeternus est ibi, ita et quies aeterna. Vide quam apte serviat Aristoteles in Philosophia sua Theologiae, si non ut ipse voluit, sed melius intelligitur et applicatur. Nam res vere est elocutus et credo quod aliunde furatus sit, quae tanta pompa profert et iactat. | In ogni moto infatti accade che la parte che si è raggiunta cessi di essere tale e lì vi sia una quiete mobile, e così la stessa cosa si muove rispetto al termine a cui tende, ma è in quiete rispetto al termine che ha raggiunto. Per cui rispetto a sé è sia in movimento sia in quiete, comincia e finisce sempre, è sempre in principio e alla fine. Così avviene nelle cose divine, nelle quali sempre Dio è in moto e in quiete (perdona, lettore, se si usano termini tanto inadeguati per esmprimere una così grande realtà) e il Figlio procede muovendo, lo Spirito Santo restando in quiete. Lo Spirito Santo infatti è il termine dell emanazione di Dio, anzi, mentre dal Padre fluisce sempre un moto, cioè il Figlio, eternamente da entrambi proviene la quiete, in cui terminano moto e mobile. Ma quel moto è eterno qui, e così anche la quiete è eterna. Vedi quanto Aristotele con la sua filosofia possa essere opportuno e utile alla teologia, se viene compreso e applicato in modo migliore, non come lui stesso intendeva. Infatti espone gli argomenti in modo pertinente, e credo che abbia rubato da qualche altra parte ciò su cui pontifica e che ostenta con tanta pompa. | |
1,29,15-28 | In Iohannes 1,1 (Sermone aus den Jahren 1514-1517) | Sempre nell ambito dello stesso sermone, continua il parallelo istituito tra alcune dottrine della filosofia aristotelica e la teologia trinitaria. In questo passo, in particolare, va osservata la precisione con cui Lutero di mostra di comprendere la dottrina aristotelica dell intenzionalità. L intelletto e l intelligibile sono una stessa cosa solo quodammodo, mentre questa stessa affermazione substantialiter sarebbe -come Lutero stesso afferma - falsissima. Una teoria che sta in netto contrasto con quanto Lutero stesso affermerà nella terza prova filosofica della Disputa di Heidelberg e con quanto ha affermato, poche righe sopra, in WA 1,27,18-39. Infine, un altro apprezzamento per Aristotele: la sua filosofia sarebbe bella ma capita da pochi. Lutero più volte rivendica a sé il ruolo di interprete corretto del genuino pensiero aristotelico, in questo caso però, anche tenendo conto dei passi precedenti, egli pensa evidentemente a una reinterpretazione in chiave mistico-spirituale della filosofia aristotelica. | Pr.6 | 1514 | De an. III,4,429a,22-24 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 29 | Intellectus-possibilis, ratio, fieri, philosophi, intellectus, actualis, sensus, sensibilis, sensatio, spiritus, verbum, actus, potentia, quodammodo, appetitus, appetibile, amor, amatum, substantialiter, obiectum, materia, forma, desiderare, subsistere, nihil, ens, fieri, philosophia, theologia, altissimus, intelligere, utilis | 112, 166, 254 | Nec id mirum, quod nos verbum fieri oportere dixi, cum et Philosophi dicant, quod intellectus sit intelligibile per actualem intellectionem et sensus sensibile per actualem sensationem, quanto magis id in spiritu et verbo verum est! Sic enim Aristoteles ait: Intellectus possibilis est nihil actu eorum, quae intelligit, sed potentia est ipsa omnia, et ipse est quodammodo omnia. Sic etiam appetitus et appetibile sunt unum, et amor et amatum, quae omnia substantialiter intellecta falsissima sunt. Sed sic quia intellectus et affectus dum desiderant sua Obiecta, in quantum sic desiderantes, habent se velut materia appetens formam, et secundum hoc, i. e. in quantum desiderantes, non autem in quantum subsistentes, sunt pura potentia, imo quoddam nihil et fiunt quoddam ens, quando obiecta attingunt, et ita obiecta sunt eorum esse et actus, sine quibus nihil essent, sicut materia sine forma nihil esset. Pulchra haec Philosophia sed a paucis intellecta altissimae Theologiae utilis est. | E nessuna meraviglia a proposito di quanto ho detto prima, e cioè che il verbo divenga, visto che anche i filosofi dicono che l intelletto è intelligibile attraverso l intellezione attuale e il senso è sensibile attraverso la sensazione attuale: quanto tutto questo è più vero nel caso dello spirito e del Verbo! Così Aristotele dice: l intelletto possibile non è nulla in atto di ciò che comprende, ma è tutte quelle stesse cose in potenza, e proprio l intelletto è in qualche modo tutte le cose. Così anche l appetito e l appetibile sono una sola cosa, come l amore e l'amato, mentre se tutte queste cose sono capite in senso sostanziale sono falsissime. E così, poiché l intelletto e l affetto mentre desiderano i loro propri oggetti - e in quanto desideranti in questo modo - si possono considerare come una materia che tende alla forma, sotto questo aspetto, cioè in quanto desideranti, non certo in quanto sussistenti, sono pura potenza, anzi per così dire un nulla. Divengono in un certo senso enti quando arrivano agli oggetti; in questo caso gli oggetti sono il loro essere e il loro atto: senza gli oggetti sarebbero nulla, così come la materia non sarebbe nulla senza la forma. Questa filosofia, buona ma capita da pochi, è utile alla più profonda teologia. | |
1,32,1-4 | In Matthäus 23,24 (Sermone aus den Jahren 1514-1517) | A parte l accenno alla dottrina della sinderesi, emerge qui per la prima volta il passo aristotelico ratio deprecatur ad optima, che rimarrà come un leitmotiv nell opera di Lutero. Ma se altrove Lutero contesta polemicamente questa asserzione (cfr. WA 1,32,1-4 (1514); 1,426,22-29 (1518); 3,94,17-19 (1513-1515); 12,588,18-24 (1523); 31 II,268,37-269,12 (1527-1530); 42,107,27-38 (1535-1545); 43,576,3-7 (1535-1545); 56,355,13-18 (1515-1516)), qui l approva implicitamente, o perlomeno si astiene dal giudizio, e anzi le giustappone un analogo concetto teologico. E probabilmente questo che sta a cuore a Lutero, evidenziare l analogia - che poi non sarà più ripresa da Lutero - tra i due tipi di sinderesi per mettere in luce una possibile interpretazione spirituale del pensiero di Aristotele. | Pr.7 | 1514 | Eth. Nic. I,13,1102b,15s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 32 | synteresis, voluntas, humanus, perpetuum, salvare, bene-vivere, odiare, damnare, ratio, inextinguibiliter, deprecari, optimum, verum, rectum, iustum | no | Nam ista Synteresis in voluntate humana in perpetuum manet, quod velit salvari, bene beateque vivere, nolit et odiat damnari, sicut et rationis Synteresis inextinguibiliter deprecatur ad optima, ad vera, recta, iusta. | Infatti questa sinderesi rimane eternamente nella volontà umana, che desidera la salvezza e una vita buona e felice, mentre non vuole e detesta la dannazione; così come la sinderesi della ragione tende inestinguibilmente alle cose migliori, al vero, a ciò che è retto e giusto. | |
1,84,19s. | In Matthäus 6,24 (Sermone aus den Jahren 1514-1517) | L etica aristotelica qui è percepita da Lutero come in netto contrasto con la teologia. E soprattutto il pelagianesimo di Aristotele a infastidire Lutero: solo per la forza della grazia l uomo può essere reso giusto e non in forza di una ripetizione di atti giusti. Lutero ricorre qui a un argomento che poi userà per tutta la vita (Cfr. WA 1,84,19s.; 1,119,26-33; 1,226,8s.; 1,364,1-5; 2,424,32-37; 4,3,26-35; 4,19,18-30; 5,398,38-399,5; 8,80,9-18; 39 I,282,7-14; 39 I,282,23-27; 40 I,402,23-28; 56,172,5-117) e che costituisce uno dei punti di radicale divergenza tra il suo pensiero e la filosofia aristotelica. | Pr.27 | 1516 | Eth. Nic. II,3,1105b,4s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 84 | iustum, operari, credere, sperare, Deus | 127 | Non enim qui iusta operatur iustus est, ut Aristoteles ait, neque operando iusta et dicimur iusti sed credendo et sperando in Deum. | Giusto, infatti, non è colui il quale compie azioni giuste, come dice Aristotele, e non è neanche vero che compiendo azioni giuste siamo detti giusti, ma solo se crediamo e speriamo in Dio. | |
1,119,26-33 | In Lukas 2,21 (Sermone aus den Jahren 1514-1517) | E la stessa critica che Lutero aveva fatto nel brano precedente, ma con una significativa differenza. Ad Aristotele infatti si riconosce che l affermazione secondo cui chi compie azioni giuste acquista l habitus della giustizia va completata con quella - speculare - secondo cui solo l uomo giusto può compiere azioni veramente giuste. Un affermazione, quest ultima, che in teoria dovrebbe essere conciliabile con facilità molto maggiore della precedente con la dottrina luterana della sola gratia, ma che Lutero non sviluppò mai adeguatamente. | Pr.44 | 1517 | Eth. Nic. II,3,1105b,4s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 119 | sapere, circumcisio, opus, iustificare, iustitia, bonum, causa, effectus, perversitas, actus, frequentare, docere | 128 | Sic sapiunt qui ex circumcisione et operibus iustificari quaerunt, quia sine illis ideo non putant esse iustitiam, quia eis non sit opus si iam iustitia habetur. Quare enim audita iustitia statim dicunt non ergo operemur bonum , nisi quia ea velut causam iustitiae posuerunt tamquam habito effectu, iustitia scilicet, iam non sit necessaria causa. Haec ergo est perversitas tota, cum etiam secundum Aristotelem, licet ipse iustitiam ex operibus fieri dicat, actibus scilicet frequentatis, tamen docetur, quod, cum iusti fuerimus, tum maxime possumus iusta operari. | Questa è la sapienza di coloro che cercano la giustificazione nella circoncisione e nelle opere: essi ritengono che senza le opere la giustizia non può proprio esistere. Perciò dicono che non ne hanno più bisogno, la giustizia è già in loro possesso... Perché infatti, sentita la giustizia, subito dicono infatti noi non facciamo il bene , se non perché hanno considerato circoncisione e opere come causa della giustizia (come se, una volta conseguito il risultato, cioè la giustizia, ormai non fosse più necessaria la causa)? Ma questa è la più grande delle deviazioni, dal momento che anche secondo Aristotele, il quale pure insegna che la giustizia viene dalle opere, cioè con atti ripetuti di frequente, si afferma che qualora siamo già resi giusti, allora soprattutto possiamo compiere azioni giuste. | |
1,128,12-16 | In Lukas 2,21 (Sermone aus den Jahren 1514-1517) | Inedito accostamento di Aristotele a san Paolo. A Lutero questo accostamento è utile per stigmatizzare i docenti delle università del suo tempo, che, a suo giudizio, all apostolo preferivano il filosofo. E importante notare che proprio Aristotele, e non le sue dottrine, venga contrapposto direttamente e personalmente a Paolo, quasi in una sfida a distanza tra due personaggi che sono emblema di mondi diversi e opposti. | Pr.46 | 1517 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 128 | apostolus, iudaeus, convertere, Paulus, gentes, ecclesia, dilectio, honor, doctor, amare | 275 | Omnes enim Apostoli simul paucos Iudaeos converterunt et multo tempore, Sed Paulus plurimas gentes solus et brevi tempore. Igitur hic nisi datus esset Ecclesiae, caeteri non suffecissent. Dignus ita dilectione et honore praesertim Doctorum, licet plus nunc ametur passim Aristoteles. | Tutti quanti gli apostoli insieme, infatti, non convertirono che pochi ebrei e in un lungo lasso di tempo, Paolo invece convertì moltissimi pagani da solo e in poco tempo. Se perciò egli non fosse stato dato alla Chiesa, tutti gli altri non sarebbero stati sufficienti. Così egli è degno della venerazione e dell onore soprattutto dei dottori, anche se dappertutto oggi è più amato Aristotele. | ||
1,226,6s. | Disputatio contra scholasticam theologiam | Iniziano le tesi antiaristoteliche della Disputatio contra scholasticam theologiam, un opera di cui non ci sono rimaste le rispettive probationes (ammesso che siano mai state trascritte e stampate). E la prima opera in cui abbiamo almeno una bozza di critica sistematica ad Aristotele e all uso indiscriminato da parte dei teologi della sua filosofia. Lutero mostra di disapprovare soprattutto le concezioni etiche di Aristotele. Forse nella disputa Lutero fa uso di materiale adoperato nel 1508 a Wittenberg, quando fu chiamato a commentare l Etica Nicomachea nel locale convento degli Eremiti di sant Agostino. In questa tesi la critica ad Aristotele è critica alla dottrina del libero arbitrio. Interessante il fatto che questa critica sia rivolta contro i filosofi , anche se riprende alla lettera un passo dell Etica Nicomachea. Aristotele implicitamente viene visto come il simbolo della filosofia in quanto tale. | 263 | 1517 | Eth. Nic. III,5,1113b,3-6; III,5,1114b,24-27 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 226 | dominus, actus, principium, finis, servus, philosophi | 117 | 39. Non sumus domini actuum nostrorum a principio usque ad finem, sed servi. Contra Philosophos. | Non siamo padroni dei nostri atti dal principio alla fine, ma servi. Contro i filosofi. | |
1,226,8s. | Disputatio contra scholasticam theologiam | La dottrina aristotelica dell habitus in campo morale viene criticata da Lutero senza sfumature, come nociva al cristianesimo in quanto tale. Lutero sembra essersi già dimenticato ciò che diceva nelgli anni immediatamente precedenti (cfr. WA 1,119,26-33) e cioè che per Aristotele stesso l uomo non può compiere azioni buone se non è lui stesso buono in prima persona. L argomentazione viene rovesciata contro Aristotele. Forse si deve proprio a questo motivo se anche in questo caso l argomento è rivolto genericamente contra philosophos: Lutero non può attribuire ad Aristotele una dottrina che non gli appartiene. Ma c è da notare che un anno più tardi, nelle tesi teologiche della Disputa di Heidelberg, Lutero attribuirà ad Aristotele solo la dottrina della virtù morale come habitus E TRALASCERà COMPLETAMENTE di citare l altra dottrina, complementare, secondo cui solo l uomo che ha retta ragione e buona volontà può compiee atti moralmente buoni (cfr. Eth. Nic. III,4,1113a,23s.). | 263 | 1517 | Eth. Nic. II,3,1105b,4s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 226 | efficere, iustus, operari, philosophi | 129 | 40. Non efficimur iusti iusta operando, sed iusti facti operamur iusta. Contra philosophos. | 40. Non siamo resi giusti perché compiamo azioni giuste, anzi: solo una volta divenuti divenuti giusti possiamo compiere azioni giuste. Contro i filosofi. | |
1,226,10s. | Disputatio contra scholasticam theologiam | Esplicazione della tesi precedente. Lutero rifiuta come nemica della grazia un etica che si basa sulla capacità dell uomo di perfezionarsi attraverso il proprio sforzo. Da notare il fere, che attenua in parte il giudizio. A quali parti dell Etica ci si riferisce? Solo la relativa probatio potrebbe offrire elementi utili al riguardo. L unico riconoscimento positivo di questi anni nei confronti dell Etica Nicomachea di Aristotele è quello contenuto in WA 1,119,26-33, secondo cui Aristotele riconosce che è necessaria la bontà dell uomo che opera per poter parlare di bontà dell azione. In ogni caso il fere sembra escludere una condanna totale delle dottrine etiche di Aristotele. Interessante inoltre che in una tesi in cui si critica Aristotele l obiettivo polemico esplicito siano le interpretazioni scolastiche. E chiaro che qui a Lutero - nel contesto della critica alla teologia scolastica a cui è dedicata quest opera - sta sopratutto a cuore stigmatizzare l uso di Aristotele in teologia. | 263 | 1517 | Eth. Nic. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 226 | ethica, gratia, scholasticus, pessimus, inimicus | 100 | 41. Tota fere Aristotelis Ethica pessima est gratiae inimica. Contra Scholast. | 41. Quasi tutta l Etica di Aristotele è pessima e nemica della grazia. Contro gli Scolastici. | |
1,226,12s. | Disputatio contra scholasticam theologiam | Da notare che in questo passo Lutero parla di sententiam de foelicitate, al singolare, cioè di un luogo ben preciso dell opera aristotelica, che probabilmente è stato precisato nella probatio di questa tesi. Il riferimento però è chiaro: Lutero ha presente la prospettiva eudemonistica del primo libro dell Etica Nicomachea. Una prospettiva che egli non può che rifiutare. Per i precedenti storici, cfr. il De trinitate di sant Agostino (XIII,7). | 263 | 1517 | Eth. Nic. I,4-13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 226 | felicitas, doctrina, error, sententia, repugnare, catholica, morales | 171 | 42. Error est, Aristotelis sententiam de foelicitate non repugnare doctrinae catholicae. Contra Morales. | 42. Sostenere che quanto Aristotele ha detto a proposito della felicità non è in contrasto con la dottrina cattolica è un errore. Contro i filosofi morali. | |
1,226,14s. | Disputatio contra scholasticam theologiam | Con questa tesi Lutero esplica definitivamente il suo obiettivo polemico, che in quest'opera, più che la filosofia aristotelica in quanto tale (che pure viene definita pessima) è la contaminazione di filosofia aristotelica e teologia cattolica, giunta a livello di luogo comune, anche se per i più significativi docenti universitari che avevano insegnato la filosofia aristotelica a Lutero, Arnoldi von Usingen e Trutfetter, tale contaminazione non era certo così scontata (cfr. ad es. Karl Heinz ZUR MÜhlen, Luther und Aristoteles, Lutherjahrbuch (Martin Luther 1483-1983. Referate und Berichte des sechsten internationalen Kongresses für Lutherforschung - Erfurt), 52 (1985), pp.263-266). D altra parte però non è escluso che la formula dictum commune abbia anche un riflesso autobiografico per Lutero. Cfr. ad es. quanto egli afferma nei confronti di Johannes Bonemilch von Lasphe, vescovo di Erfurt dal 1498 al 1508, in WA 60,125,38-44. | 263 | 1517 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 226 | theologus, fieri, error, dictum-commune | 171 | 43. Error est dicere: sine Aristotele non fit theologus. Contra dictum commune. | 43. E' un errore affermare che senza Aristotele uno non diventa teologo. Contro un diffuso modo di dire. | ||
1,226,16 | Disputatio contra scholasticam theologiam | Tesi legata alla precedente, di cui costituisce un rafforzamento polemico. | 263 | 1517 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 226 | theologus, fieri | 171 | 44. Immo theologus non fit nisi id fiat sine Aristotele. | 44. Anzi: non si diventa teologi se non senza Aristotele. | ||
1,226,17-27 | Disputatio contra scholasticam theologiam | A rigore, solo la tesi 50. si riferisce ad Aristotele. Lutero però rimprovera agli scolastici di aver insinuato in teologia oltre all'etica aristotelica, anche la logica. Logica che viene usata per definire i termini del mistero trinitario. Per la prima volta anche il cardinale cameracense, cioè Pierre d Ailly, rientra tra gli obiettivi polemici di Lutero, così da sancire il suo progressivo distacco dalle tesi del nominalismo. Il concetto di suppositio in D Ailly verrà criticato da Lutero anche nella disputa Verbum caro factum est del 1539. Al proposito cfr. M. RANCHETTI, L interrogazione esegetica in Lutero, Annali di storia dell esegesi 4 (1987), p.216-220. Il fatto che i termini della sillogistica aristotelica siano inadatti a definire la Trinità porta comunque Lutero ad affermare che Aristotele è inutile. Per i riferimenti in D Ailly, cfr. Sent.I, qu;5, art.3, concl.1Y. Cfr. anche Biel: Sent.I, dist.5, qu.1, art.3, dub.3F. | 263 | 1517 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 226 | trinitas, logica, syllogismus, theologia, suppositio, terminus, numerus, theologus, logicus, monstruosos, haereticus, dictum-commune, logica-fidei, dialecticus, divinus, forma, veritas, articulus, trinitas, Cameracensis, scire, credere, tenebrae, lux | 171 | 45. Theologus non logicus est monstrosus haereticus, Est monstruosa et haeretica oratio. Contra dictum commune. 46. Frustra fingitur logica fidei, Suppositio mediata extra terminum et numerum. Contra recen. Dialect. 47. Nulla forma syllogistica tenet in terminis divinis. Contra Card. 48. Non tamen ideo sequitur, veritatem articuli trinitatis repugnare formis syllogisticis. Contra eosdem, Card. Ca. 49. Si forma syllogistica tenet in divinis, articulus trinitatis erit scitus et non creditus. 50. Breviter, Totus Aristoteles ad theologiam est tenebrae ad lucem. Contra schol. |
45. Che un teologo non logico sia un mostruoso eretico, è affermazione mostruosa ed eretica. Contro un diffuso modo di dire. 46. Inutilmente si costruisce una logica della fede, come supposizione mediata al di fuori del termine e del numero. Contro i recenti Dialettici. 47. Nessuna forma del sillogismo si adatta ai termini divini. Contro il Cardinale. 48. Da questo però non segue che la verità dell'articolo trinitario sia in contraddizione con le forme del sillogismo. Contro gli stessi e il cardinale Cameracense. 49. Se la forma del sillogismo fosse valida per termini divini, l'articolo trinitario sarebbe conosciuto e non creduto. 50. In breve, l'intero Aristotele nei confronti della teologia è come le tenebre in confronto con la luce. Contro gli scolastici. |
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1,226,28-30 | Disputatio contra scholasticam theologiam | Altro leitmotiv della critica luterana agli scolastici; se da una parte hanno contaminato la teologia con Aristotele, dall'altra il loro non è l'Aristotele autentico, ma un filosofo reinterpretato e stravolto nel suo genuino pensiero. Ciò non significa automaticamente una rivalutazione del pensiero aristotelico, come conferma la successiva tesi 53, quanto piuttosto la rivendicazione a sé dell'interpretazione autentica da parte di Lutero. Resta aperta la questione se l'accenno ai latini equivalga a una rivalutazione degli arabi, soprattutto dell'averroismo. |
263 | 1517 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 226 | latini, vehemens, dubium, sententia | 256 | 51. Dubium est vehemens, An sententia Aristotelis sit apud latinos. | 51. Il dubbio sorge con forza: nei latini è rimasto qualcosa del pensiero di Aristotele? | ||
1,226,31 | Disputatio contra scholasticam theologiam | E l accusa più radicale, la stessa che concluderà - in termini ancor più aspri - la Disputa di Heidelberg: la filosofia aristotelica cade in contraddizione con se stessa, dal momento che i suoi concetti fondamentali sono petizioni di principio e quindi fondamentalmente inutili. In questo caso l accusa è rivolta ad Aristotele stesso e non alle fuorvianti interpretazioni della scolastica. | 263 | 1517 | An. pr. II,16,64b,28-65a,37; Top. VIII,13,162b,34-163a,1; Soph. el. 27,181a,15-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 226 | definitio, petitio-principii, usitatus | 61 | 53. Usitatiores definitiones Aristotelis videntur petere principium. | 53. Le più frequentate definizioni di Aristotele sono evidentemente delle petizioni di principio. | |
1,281,28-282,1 | Asterisci Lutheri adversus Obeliscos Eckii | Da una parte Lutero nei suoi Asterisci, contro l'opera polemica Obelisci che Eck gli aveva rivolto, condanna il fatto che il suo avversario si appelli solo ad Aristotele e non alle scritture o ai testi della tradizione cristiana. D'altra parte però rivendica a se stesso un'interpretazione migliore di Aristotele, al punto che non gli sarebbe difficile - spiega - riconoscere le contraddizioni insite negli argomenti di Eck. Da notare il termine somnia, che spesso in Lutero contraddistingue le opere e le dottrine aristoteliche. |
165 | 1518 | An. pr. II,16,64b,28-65a,37; Top. VIII,13,162b,34-163a,1; Soph. el. 27,181a,15-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 281 | somnium, petitio-principii, peripateticus, obeliscus, sacrae-literae, ecclesiasticus, patres, canon, scholasticus, merus, comminiscere, disputare, peripateticari, pappus, magister, disputatio, argumentatio | no | Nam per totum illud obeliscorum cahos nihil sacrarum literarum, nihil ecclesiasticorum Patrum, nihil canonum, sed omnia scholasticissima, opiniosissima meraque somnia comminiscitur et prorsus ea ipsa, contra quae ego disputo, Ita ut, si vellem et ego peripateticari, uno flatu hos omnes eius pappos dispergerem diceremque illud magistri sui decretum: Petitio principii vicium est disputationis seu argumentationis. | Infatti in tutto questo caos degli Obelisci non c'è nulla delle sacre scritture, nulla dei Padri della Chiesa, nulla dei canoni, ma viene escogitato solo ogni genere di scolasticissimi e opinabilissimi puri sogni, insomma proprio quelle cose contro le quali io disputo, al punto che, se volessi mettermi anch'io a fare il peripatetico, disperderei con un soffio tutte queste loro piume e ripeterei loro il principio del loro maestro: la petizione di principio è un vizio del disputare come dell'argomentare. | |
1,285,7-10 | Asterisci Lutheri adversus Obeliscos Eckii | Negli Asterisci Lutero fa spesso uso di formule ironiche anche pesanti contro Eck. Qui lo definisce aristotelicotatos, un termine che rimane un unicum in tutta l'opera di Lutero, usato in senso spregiativo per sottolineare il suo perdersi in sottigliezze scolastiche che non tengono neanche conto di quella che Lutero giudica una genuina dottrina della Chiesa. La dodicesima proposizione a cui si riferisce Lutero è la dodicesima delle celeberrime 95 tesi sulle indulgenze pubblicate da Lutero al termine del 1517. In questa tesi Lutero sostiene che un tempo le pene canoniche venivano imposte prima e non dopo l assoluzione, come testimonianza della vera contrizione. | 165 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 285 | aristotelicotatos, Eckius, mirari, ecclesia, requirere, poena, satisfactorius, sequi | 305 | Imo ut dicam quod Aristotelicotatos Eckius miretur forsan, Nec Ecclesia requirit ullam poenam sequentem et satisfactoriam post absolutionem, ut Propositio xij. nostra dicit. | Anzi, per dire una cosa che probabilmente farà stupire molto il superaristotelico Eck, neanche la Chiesa esige alcuna pena successiva all'assoluzione come soddisfazione, come dice la nostra Proposizione XII. | ||
1,291,17s. | Asterisci Lutheri adversus Obeliscos Eckii | Olet hircum è espressione oraziana. Lutero, che possedeva solidi elementi di cultura classica latina, se ne appropria per volgerla contro Aristotele e la rafforza con il gioco di parole intraducibile hircum/hircocervum. Se il primo dei due termini è un semplice spregiativo tratto dall'originale latino, il secondo vuol dire qualcosa in più ed è ancor più adatto (potius) a definire Aristotele; come infatti l'ircocervo è animale impossibile o mai esistito, così la dottrina di Aristotele è un puro affastellamento di contraddizioni insostenibili. Non a caso Lutero parla di petizioni di principio. Importante l'identificazione operata tra il ragionamento probabile e la petizione di principio: se ne troveranno altri esempi in Lutero. | 165 | 1518 | An. pr. II,16,64b,28-65a,37; Top. VIII,13,162b,34-163a,1; Soph. el. 27,181a,15-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 291 | hircus, hircocervus, petitio-principii, probabile, olere, effutire | 305, 327 | Iterum olet suum hircum Aristotelem vel hircocervum potius, nihilque nisi probabile, id est, petitiones principii, effutit. | E un'altra volta ancora Eck puzza di capra, del suo caprone Aristotele, anzi ancor meglio del suo ircocervo, e dalla sua bocca non esce nulla se non argomenti probabili, cioè petizioni di principio. | |
1,304,10-13 | Asterisci Lutheri adversus Obeliscos Eckii | Una variante della contrapposizione tra Scritture e filosofia aristotelica, con il consueto invito di Lutero agli scolastici (Eck, in questo caso) ad avvalersi in modo più corretto dei principi di Aristotele. Anche in questo caso si può constatare che Lutero ricorre allo stratagemma di rimproverare ai suo avversari aristotelici una scarsa conoscenza del loro maestro. | 165 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 304 | consequentia, auctoritas, scholasticus, doctor, Eckius, consulere, Christus, Iohannes-Baptista, confugere, oggannire, oraculum, negative | 276, 328 | Ego tamen hic scholasticis Doctoribus simul et Eckio consulerim, ut omisso Christo et Johanne Baptista (quia non sunt Scholastici) ad patrem suum Aristotelem confugiant, et eo Doctore freti mihi ogganniunt illud sacerrimum oraculum: Ab auctoritate negative non valet consequentia. | Tuttavia io a questo punto avrei consigliato ai dottori scolastici e con loro ad Eck, che, lasciati da parte Cristo e Giovanni Battista (visto che non sono Scolastici) ricorrano al loro padre Aristotele, e, appoggiandosi a quel dottore, mi rinfacciano quel sacerrimo oracolo: da un autorità non è corretto inferire una conseguenza negativa. | ||
1,307,17-21 | Asterisci Lutheri adversus Obeliscos Eckii | Da notare l'allitterazione insignem... inscitiam e la rima farragine... sartagine che impreziosiscono l'invettiva luterana. Per quanto riguarda il contenuto, Lutero denuncia l'impossibilità di interpretare espressioni delle Scritture come se avessero lo stesso significato che assumono nell'ambito della filosofia aristotelica. Farrago da una parte e nugae, nugari e nugacitas dall'altra sono termini tipicamente associati da Lutero alla filosofia aristotelica. | 165 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 307 | farrago, sartago, nugacitas, peripateticus, intelligentia, insignis, inscitia, infercire, apostolicus, locutio, logomachia, exponere, invidus, calumniator, beneficus | 306 | Si haec ergo est intelligentia Eckii, Quid hinc ostendit nisi insignem suam inscitiam? qui Aristotelica farragine, imo sartagine verborum infartus modum apostolicae locutionis ad peripateticae transfert nugacitatis logomachiam. Exponam tamen meipsum, ut invido calumniatori beneficus sim. | Se dunque questa è l intelligenza di Eck, cosa dimostra da queste premesse se non la sua insigne insipienza? Lui che è pieno fino al collo di questo miscuglio, anzi di questa aristotelica frittata di parole, trasforma il modo di esprimersi tipico degli apostoli in una logomachia di banalità peripatetiche. Esporrò lo stesso il mio proprio pensiero, per fare del bene a questo calunniatore invidioso. | ||
1,308,7-10 | Asterisci Lutheri adversus Obeliscos Eckii | L attacco di Lutero ad Eck si situa su due piani. Da una parte, attraverso il continuo richiamo alla filosofia di Aristotele, di fronte a un avversario che argomenta anche su basi aristoteliche. Dall altra parte introducendo un parallelo diretto tra Aristotele e Cristo, ben sottolineato dalle espressioni usate. Per cui se è impudentia quaedam far dire ad Aristotele ciò che il filosofo non ha mai detto (e si può pensare che Lutero voglia muovere anche questo rimprovero implicito ad Eck), fare la stessa operazione nei riguardi di Gesù Cristo diventa impudentissima omnium temeritas. | 165 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 308 | temeritas, impudentia, auctoritas, apte, philosophia, auctoritas, probare, ecclesia, Christianus, Christus | 307 | Tentabo ego aptius (si possum) dicere. Impudentia quaedam est, si quis in Philosophia Aristotelis doceat, quod illius autoritate non putetur probari. Concedis? Longe ergo impudentissima omnium temeritas est, aliquid in Ecclesia asserere et inter Christianos, quod non docuit Christus. | Tenterò io di dire qualcosa di più adeguato (se sono in grado di farlo). E una bella mancanza di pudore se qualcuno insegna che nella filosofia di Aristotele c'è qualcosa, che poi non si ritiene di poter confermare citando Aristotele stesso. Sei d accordo? A maggior ragione dunque la più impudente di tutte le temerarietà è affermare che c è qualcosa nella Chiesa e tra i cristiani, che non sia stato lo stesso Cristo ad insegnare. | ||
1,309,39-310,3 | Asterisci Lutheri adversus Obeliscos Eckii | Il tesoro a cui ci si riferisce è il vangelo. Lutero sta rispondendo ad Eck che lo incalza sul primato di Pietro, che di questo tesoro, secondo Eck e la dottrina cattolica, custodisce le chiavi. Nella tesi contestata da Lutero Eck gli rinfacciava: Nam qui dicere potest, eandem esse rem Thesaurum et clavem, cum clavis ad aperiendum pro Thesauro sit instrumentum aptum? Lutero risponde appellandosi agli Analitici primi di Aristotele, un riferimento molto generico, con il dichiarato intento di puntare il dito sulle contraddizioni e le manchevolezze degli argomenti messi in campo da Eck. La risposta però è una forzatura in chiave iperbolica e ha più che altro lo scopo di ridicolizzare Eck e preparare argomenti più consistenti. | 165 | 1518 | An. pr. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 309 | Priores, allegoria, metaphora, pugnare, clavis, aperire, thesaurus, cista, persequi, Roma, suppellectilis | 308 | Primum ex libro Priorum Aristotelis pugnat Clavis est instrumentum ad aperiendum thesaurum . Miror, eum non dixisse Ad aperiendam cistam thesauri . Siquidem et cistam esse aliud quam thesaurum necesse est, Deinde et seram. Atque si allegoriam vel Metaphoram totam persequaris, totam suppellectilem urbis Romae forte huc convehi oportet. | In primo luogo dire che "la chiave è lo strumento che serve per aprire un tesoro", è in contraddizione con gli Analitici primi di Aristotele. Mi meraviglio che Eck non abbia detto che "serve per aprire la cassa di un tesoro". Ma se davvero è necessario che la cassa sia qualcosa di diverso dal tesoro, lo stesso vale per la serratura. E se si vuole portare alle estreme conseguenze l'allegoria, o l'intera metafora, forse bisognerà tirare in campo tutte le masserizie della città di Roma. | |
1,310,25-29 | Asterisci Lutheri adversus Obeliscos Eckii | Il riferimento ai Patres nostri e a i Novi prophetae è una ripresa letterale di termini usati da Eck nella tesi che Lutero contesta, che si riferisce sempre al potere della chiavi conferito da Cristo a Pietro. Aristotele in questo caso (associato a Porfirio, visto più come autore dell'Isagoge, e quindi in una continuità aristotelica, che come neoplatonico) viene contrapposto all'Antico e al Nuovo testamento oltre che alle stesse gerarchie celesti. Lo stile è sempre iperbolico, ma la tesi è chiara: denunciare le deviazioni di una filosofia e soprattutto di una teologia che non si fonderebbero che su filosofi pagani. | 165 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 310 | Porphyrius, patres, sequax, propheta, patriarcha, apostolus, angelus, dignus, colere, Eckius, ecclesiasticus, furere | 309 | Patres nostros, credo, Aristotelem, Porphyrium suosque sequaces vocat, qui non sunt novi Prophetae, sed Patriarchis vetustis, Apostolis quoque et (ne nihil omittam honoris) Angelis coelestibus sunt digniores, quos Eckius colat. Nam Ecclesiasticos Patres non ab eo notari hoc loco, etiamsi furat, concedet necessario. | Per nostri padri credo che Eck intenda dire Aristotele, Porfirio e i loro seguaci, i quali non sono nuovi profeti, ma certo degni del culto di Eck più degli antichi patriarchi, degli stessi apostoli e (per non dimenticare alcun grado gerarchico) degli angeli celesti. Infatti Eck, anche se fuori di sé, dovrà necessariamente concedere che in quel passo non c'è traccia di Padri della Chiesa. | ||
1,313,18-20 | Asterisci Lutheri adversus Obeliscos Eckii | Altra forma della contrapposizione polemica Cristo/Aristotele: per Lutero, mentre i padri della Chiesa sono sotto la tutela di Cristo, gli scolastici sono guidati dal solo Aristotele. Più avanti Lutero tratterà i Padri con maggior freddezza, anche se l atteggiamento nei loro confronti non sarà di aperta condanna come nei confronti di quelli che Lutero chiama, senza ulteriori distinzioni, scolastici (cfr. WA 47,793,10-12). | 165 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 313 | scholasticus, ecclesiasticus, defendere, Christus, Scholasticus, periclitare, mirus, dux, tueri | 277 | Ecclesiasticos quidem defendi facillimum est: Christus enim eis praesens est. Scholasticos autem periclitari nihil mirum est, quando solo Aristotele duce tuti sunt. | Che i Padri della Chiesa siano al sicuro, è quanto di più semplice ci sia: Cristo infatti è presente in loro. Nessuna meraviglia invece che gli scolastici siano a rischio, dal momento che sono difesi solo dalla loro guida Aristotele. | ||
1,314,5-10 | Asterisci Lutheri adversus Obeliscos Eckii | Eck aveva affermato che, se da una parte imitare Cristo nelle tribolazioni è proprio della perfezione cristiana, bisogna tuttavia sempre pregare perché Dio mandi pace e tranquillità. Un'affermazione che secondo Eck è basata su mille passi scritturali, secondo Lutero invece è una insulsa et inepta fabula, come dice subito dopo, più aristotelica che cristiana. Nel passo citato Lutero finge ironicamente di immedesimarsi nel pensiero di Eck: è preferibile che sia la parola di Dio a mentire piuttosto che essere costretti ad uscire dai confini dell'etica aristotelica. Lutero qui rinnega l'eudemonismo di Aristotele e qualsiasi concezione eudemonistica. Il patire non è una prova particolare data a un cristiano, ma la sua condizione normale. In questo senso pregare perché Dio mandi la pace e la tranquillità è rinnegare la croce di Cristo. Interessante soprattutto il fatto che non si trovi traccia in Eck di richiami aristotelici, ma solo di passi della scrittura e in particolare dell'Antico testamento. Ma per Lutero il tema della felicità (da notare che Eck parla di pax e tranquillitas, mentre in Lutero la tranquillitas diventa significativamente voluptas) è inequivocabilmente pagano. | 165 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 314 | Eckius, voluptas, clypeus, auctoritas, pendeo, bellum, pax, finis, crux, pati, remissio, peccatum, regnum-caelorum, mentiri, deus, castigare, amare, patres-aristotelici, manere, limes, constituere | 288 | Turris scilicet David est Eckius, ex qua mille clypei autoritatum pendent, non contra bellum, sed pro pace. Sit ergo finis crucis et nemo aliquid patiatur, atque cum pace et voluptate, id est, remissione poenarum, intremus regnum coelorum securi. Melius forte fuerit, ut mentiatur Deus, quando dixit: Ego quos amo castigo, quam ut Patres nostri Aristotelici non maneant in limitibus suis, quod costituerunt nobis. | Ecco: Eck è una torre di Davide da cui pendono mille scudi di citazioni autorevoli, non contro la guerra, ma per la pace. Diciamo dunque basta alla croce, nessuno soffra per nulla ed entriamo sicuri nel regno dei cieli con la pace e il godimento, cioè con la remissione delle pene. Ma forse per loro sarebbe più probabile che Dio abbia mentito quando disse: Io mando tribolazioni a coloro che amo , piuttosto che i nostri padri aristotelici non rimangano in quei confini che hanno stabilito per noi. | ||
1,364,1-5 | Disputatio Heidelbergae habita | In questo passo la contrapposizione alla dottrina aristotelica della virtù come habitus è espressa con chiarezza maggiore che in altri passi. Da notare che qui si parla di iustitia Dei e non di giustizia senz'altri aggettivi. Lutero considera Aristotele il principale ispiratore di quella giustizia delle opere che egli combatte come nemica della fede. Questa tesi stata studiata da K. H. zur Mühlen, Luthers Kritik am scholastischen Aristotelismus in der 25. These der Heidelberger Disputation , Lutherjahrbuch , 48 (1981), pp.54-79. Zur Mühlen annota che, a differenza dei suoi predecessori dell ordine agostiniano che avevano criticato queste tesi di Aristotele, Lutero non contesta solo la possibilità di un opera buona perfetta nell uomo, ma anche della sua meritorietà. | 276 | 1518 | Eth. Nic. II,3,1105b,4s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 364 | iustitia, actus, operari, opus, Christus, credere, acquirere, frequenter, iterare, docere, infundere, fides | 130 | XXV. Non ille iustus est, qui multum operatur, sed qui sine opere multum credit in Christum. Quia iustitia Dei non acquiritur ex actis frequenter iteratis, ut Aristoteles docuit, sed infunditur per fidem. |
XXV. Giusto non è colui che compie molte opere, ma colui che senza operare crede molto in Cristo. Infatti la giustizia di Dio non si acquista attraverso atti ripetuti di frequente, come ha insegnato Aristotele, ma viene infusa attraverso la fede. |
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1,365,1-20 | Disputatio Heidelbergae habita | Tesi e prova sono state dettagliatamente analizzate da Theodor Dieter nel suo articolo Amor hominis - Amor crucis. Zu Luthers Aristoteleskritik in der probatio zur 28. These der Heidelberger Disputation , Neue Zeitschrift für systematische Theologie und Religionsphilosophie , 29 (1987), pp.241-258. E' l'ultima tesi e prova della parte teologica della Disputa di Heidelberg, che introduce alla successiva parte filosofica. E qui si passa dalla critica all'uso scolastico di Aristotele a un attacco diretto alle tesi fondamentali della sua stessa filosofia. Per questo si è tradotto etiam suam philosophiam con "perfino la sua stessa filosofia", perché qui Lutero sposta l'oggetto polemico della trattazione. Dieter stesso comunque accenna alla difficoltà di interpretazione che la tesi presenta. Lutero infatti attacca la passività delle potenze dell anima, ma egli stesso altrove paragona l atteggiamento dell uomo di fronte a Dio alla passività della facoltà sensitiva (WA 9,97,12-14; 59,415,5-10). La distinzione tra potenza e atto nelle facoltà sensitiva e intellettiva rimane sempre implicita in queste righe di Lutero, mentre emerge una considerazione di carattere teologico: una simile passività implica che l uomo cerchi sempre di ricevere, più che di dare, mentre l amore di Dio nell uomo è creativo, attivo. Questa diversità di atteggiamenti si esplica nel parallelo tra quaerere quae sua sunt, tipico dell uomo naturale, e quaerere quae Dei oppure alterius sunt, proprio del cristiano. In realtà l applicazione di questo schema teologico alla concezione aristotelica delle potenze dell anima è del tutto artificiosa e porta Lutero, come si è detto, a contraddire se stesso. |
276 | 1518 | De an. II,5,416b,33-35; III,4; Eth. Nic. X,7,1177a,19-21 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 365 | amor-dei, invenire, creare, diligibile, amor-hominis, philosophi, theologus, obiectum, causa, amor, potentia-animae, passivus, materia, recipere, agere, suum, tribuere, peccator, malus, stultus, infirmus, iustus, bonus, sapiens, robustus, pulcher, fugere, Christus, crux, frui, apostolus, egenus, pauper, intellectus, naturaliter, nihil, ens, verum, bonum, iudicare, persona, patere | 110, 173 | XXVIII. Amor Dei non invenit sed creat suum diligibile, Amor hominis fit a suo diligibili. Secunda pars patet et est omnium Philosophorum et Theologorum. Quia obiectum est causa amoris ponendo iuxta Aristotelem, omnem potentiam animae esse passivam et materiam et recipiendo agere, ut sic etiam suam philosophiam testetur contrariam esse Theologiae, dum in omnibus querit quae sua sunt et accipit potius bonum quam tribuit. Prima pars patet, quia amor Dei in homine vivens diligit peccatores, malos, stultos, infirmos, ut faciat iustos, bonos, sapientes, robustos et sic effluit potius et bonum tribuit. Ideo enim peccatores sunt pulchri, quia diliguntur, non ideo diliguntur, quia sunt pulchri. Ideo amor hominis fugit peccatores, malos. Sic Christus: Non veni vocare iustos, sed peccatores. Et iste est amor crucis ex cruce natus, qui illuc sese transfert, non ubi invenit bonum quo fruatur, sed ubi bonum conferat malo et egeno. Beatius est enim dare quam accipere, ait Apostolus. Unde Psal. 41. Beatus qui intelligit super egenum et pauperem, Cum tamen obiectum intellectus naturaliter esse non possit, id quod nihil est, id est, pauper vel egenum, sed entis, veri, boni. Ideo iudicat secundum faciem et accipit personam hominum et iudicat secundum ea quae patent &c |
XXVIII. L'amore di Dio non trova ma crea l'oggetto del suo amore, l'amore dell'uomo è costituito dal suo oggetto. La seconda parte è evidente e si trova in tutti i filosofi e i teologi. Infatti l'oggetto è causa dell'amore se si accetta, come dice Aristotele, che ogni potenza dell'anima è passività e materia e agisce solo ricevendo; e così testimonia che perfino la sua stessa filosofia è contraria alla teologia, dal momento che cerca in tutte le cose ciò che è il suo e riceve il bene piuttosto che diffonderlo. La prima parte è invece evidente perché l'amore di Dio che vive nell'uomo ama i peccatori, i cattivi, gli stolti, i deboli, per farli diventare giusti, buoni, sapienti, forti e in questo modo si propaga e diffonde il bene. Infatti per questo i peccatori sono buoni: perché amati; non vengono amati perché buoni. Per questo l'amore dell'uomo fugge dai peccatori e dai malvagi. Così dice Cristo: "Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori". E questo è l'amore della croce che nasce dalla croce, perché si effonde non là dove trova il bene di cui godere, ma dove possa rendere buono il malvagio e il misero. Infatti c'è più gioia nel dare che nel ricevere, dice l'Apostolo. Di qui il salmo 41: "Beato chi si dà pensiero del misero e del povero"; e tuttavia l' oggetto dell'intelletto per natura non può essere ciò che è nulla, vale a dire il misero e il povero, ma l'ente, il vero, il bene. Perciò l'intelletto giudica secondo l'apparenza e si ferma all'esteriorità degli uomini e giudica secondo ciò che appare eccetera. |
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1,388,14-16 | Eine Freiheit des Sermons päpstlichen Ablaß und Gnade belangend | In questo passo è in discussione il valore del termine nodt, che Lutero ritrova in alcuni passi del Nuovo testamento (ad esempio Mt 21,3; Lc 6,34) e che corrisponde al tedesco odierno Not, necessità. Lutero intende nodt nel senso di condizione sfavorevole, stato di bisogno , sia materiale sia spirituale, e contesta ai suoi avversari di intendere lo stesso termine in senso aristotelico, come necessità logica. Un interpretazione che, secondo Lutero, è finalizzata solamente a stravolgere il senso del testo sacro. | 6 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 388 | kocher, gloß, necessitas, vorderben, heylige-schrifft, nodt, lernen | no | Auß Aristotelis kocher ist die gloß geflogen, bei wilchem sie lernen necessitatem und andere worter nur zu vorderben die heyligen schrifft. | L'interpretazione è stata scoccata come una freccia dalla faretra di Aristotele, dal quale essi imparano il concetto di necessità ed altri termini solo per corrompere il testo sacro. | ||
1,388,26-30 | Eine Freiheit des Sermons päpstlichen Ablaß und Gnade belangend | L accusa è la stessa che si ritrova in WA 1,388,14-16: Aristotele viene usato per corrompere i testi sacri in senso pelagiano , nel senso del quaerere quae sua sunt in tutte le cose. (Cfr. al proposito quanto afferma Theodor dieter a proposito delle tesi teologiche discusse da Lutero ad Heidelberg nel 1518, in Amor hominis - Amor crucis..., cit., pp.241-258). C è anche un altra sfumatura in questo passo, ed è la caratterizzazione di Aristotele come filosofo intellettualistico, sempre alla ricerca di inutili complicazioni e di distinzioni che servono solo a mascherare il reale intento dell autore. | 6 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 388 | subtilis, vorleger, distinction, almoßen, gut-wergk, selickeyt, ablaß, erbarmen, erlernen | no | Diße subtile vorlegere haben auß Aristotelis distinction dennocht alßo vill erlernet, das sie es davor halten, das eyn almoßen oder gut wergk, gethan dem nehsten, sey nit ordenlich sichselbs geliebt und nit seynselbs selickeyt zum ersten gesucht, sundernn sol vorhyn ablaß loßen und alßo sich seynselbs am ersten erbarmen. | Questi sottili interpreti tuttavia hanno imparato così tanto dalle distinzioni di Aristotele, che essi ritengono a questo proposito che un elemosina o un opera buona fatta al prossimo normalmente non sia desiderata per se stessi e non venga ricercata in primo luogo per la propria personale santità, ma deve in primo luogo assolvere all indulgenza ed essere anzitutto una richiesta di perdono per se stessi. | ||
1,420,36-421,2 | Decem praecepta Wittenbergensi praedicata populo | Ironia di Lutero sul culto dei santi e su Aristotele, vero santo protettore della facoltà delle arti, anche a spese di santa Caterina d Alessandria. Il riferimento dunque è all influsso di Aristotele sull università e non, come suppone Rokita (Aristoteles, Aristotelicus, Aristotelicotatos, Aristotelskunst (zum Sachenregister der Weimarer Ausgabe), Archiv für Begriffsgeschichte , 15 (1971), pp.80), sui cristiani in generale. | 573 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 420 | aurarius-faber, sanctus, Eligius, sutor, Crispus, Crispinianus, fullo, Severus, pictor, Luca, medicus, Cosma-et-Damianus, iuriste, Ivo, artista, Catharina, patronus, francus, Kilianus, natio | 228 | Aurarii fabri sanctum Eligium, Sutores Crispum et Crispinianum, Fullones s. Severum, Pictores s. Lucam, Medici Cosmam et Damianum, Iuriste S. Ivonem, Artiste S. Catharinam aliquando et Aristotelem habent patronos, Alii alios, et Franci suum Kilianum, quaelibet natio suum. | Gli orefici hanno come patrono sant Eligio, i calzolai hanno i santi Crispo e Crispiniano, i lavandai san Severo, i pittori san Luca, i medici hanno i santi Cosma e Damiano, la facoltà dei giuristi ha sant Ivo, la facoltà degli artisti santa Caterina e qualche volta anche Aristotele, altri ne hanno altri patroni ancora, i franconi hanno san Ciliano, ogni nazione ha il suo patrono. | ||
1,426,22-29 | Decem praecepta Wittenbergensi praedicata populo | Si parla degli scolastici presi senza ulteriori determinazioni. In confronto con i pelagiani, gli scolastici sono più pericolosi, perché se i pelagiani, portati a Dio dal libero arbitrio attraverso la legge, gli scolastici invece sono rinchiusi nei confini della retta ragione, che, secondo l Etica Nicomachea, tende alle cose migliori . Inoltre negli scolastici c è più ambiguità, perché riconoscono Cristo come fonte di una vita meritoria. Ratio deprecatur ad optima è una citazione aristotelica che Lutero riprende quasi ossessivamente. Non a caso. E' uno dei punti di maggior contrasto tra la teologia luterana e la filosofia aristotelica, per il ruolo esclusivamente intramondano che la ragione può rivestire secondo Lutero. LA PRIMA PARTE DEL PASSO CITATO, INOLTRe, pur non chiamando in causa Aristotele, ha la stessa struttura e usa termini molto simili ad altri passi di Lutero (WA 8,93,25-31: Lovanienses insipientes quidem non sunt, faciunt tamen ea, quae faciunt insipientes ; 8,464,37-465,3; 8,547,35-548,2; 56,189,15-21) in cui si richiama Eth. Nic. VII,9,1151a,9s., l episodio di Demodoco che critica i Milesi perché pur non essendo stupidi, si comportano come gli stupidi. | 573 | 1518 | Eth. Nic. I,13,1102b,15s.; VI,13,1144b,26-1145a,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 426 | recta-ratio, optimum, pelagianus, sapere, tribuere, doctrina, lex, erudire, liberum-arbitrium, dictamen, deprecari, necessitas, commoditas, uti, dissentire, Christus, meritorie, concedere, peccatum, meritum | no | Porro hodie quoque sunt, qui Pelagiani quidem non sunt, sapiunt tamen idem vel peius quam Pelagiani. Nam Pelagiani deo saltem id tribuerunt, quod per doctrinam legis erudiret liberum arbitrium: Hii verum habent dictamen recte rationis quae deprecatur ad optima, ut legis eruditione non pro necessitate, sed pro commoditate tantum utantur, dissentiunt tamen Pelagianis, quod sine Christo non posse bene vivi meritorie concedunt, et ita Christus non est mortuus propter peccatum, sed propter non meritum. | E d altra parte anche oggi ci sono alcuni, che pur non essendo pelagiani, sono della stessa pasta, se non peggio, dei pelagiani. Infatti può capitare che i pelagiani attribuiscano a Dio ciò che attraverso la dottrina della legge il libero arbitrio ha insegnato loro. Questi invece hanno come regola la retta ragione che tende alle cose migliori , così che usano l erudizione della legge non per necessità ma solo per il proprio comodo. E sono anche in disaccordo con i pelagiani, perché riconoscono che senza Cristo non si possa condurre una vita buona e meritoria. E così Cristo non sarebbe morto a causa del peccato, ma a causa del non-merito. | |
1,463,15-20 | Decem praecepta Wittenbergensi praedicata populo | Aristotele viene contrapposto a Cristo per aver reso lo sdegno una virtù. Qui, come nel passo analogo WA 5,434,21-32, entrano in conflitto un passo dell Etica Nicomachea (Eth. Nic. II,7,1108b,1-6.) e un versetto biblico; nel caso di WA 5,434,21-32 è il salmo 14,3, qui invece Mt 5,22. Lutero ha così buon gioco a mostrare l opposizione che sussiste tra Aristotele e Cristo: quella che dal Aristotele è considerata virtù, per Cristo è ira che provoca la morte dell anima. | 573 | 1518 | Eth. Nic. II,7,1108b,1-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 463 | nemesis, signum, racha, frater, intelligere, ira, mortalis, avertere, facies, tacere, salutatio, responsio, gratulatorius, verbum, malum, protestare, philosophus, virtus | 143 | Tercii sunt, qui irascuntur in signo, de quibus dicit: Omnis qui dicit fratri suo Racha , reus erit concilio, in quo intelliguntur omnia signa alia, quae ex eadem ira mortali procedunt, Ut sunt averti facie, tacere salutationem aut responsionem, gratulatoriis verbis malum eius protestari et indignabundis prospera eius prosequi, de quo philosophus ii aethicorum foecit virtutem Nemesim. | Per terzi, gli iracondi nell atteggiamento, dei quali Cristo dice: Chi dice stupido al suo fratello sia sottoposto al sinedrio . E qui si comprendono tutti gli altri atteggiamenti che derivano dalla stessa ira mortale, come ad esempio il voltare la faccia dall altra parte, l astenersi dal salutare o dal rispondere, il commentare il male altrui con parole di rallegramento e le fortune degli altri con espressioni di irritazione; e a proposito di ciò, Aristotele nel secondo libro dell Etica ha stabilito che lo sdegno è una virtù. | |
1,494,15-21 | Decem praecepta Wittenbergensi praedicata populo | Il riferimento è ad Ef 5,4; Lutero lo coglie al volo per iscrivere alla categoria dello stultiloquium anche le glosse di Aristotele e i vani discorsi dei filosofi. A parte il ricorrere di termini quale somnium e garrulitas, che connotano spesso l aristotelismo e i suoi interpreti, degno di nota è l accenno alle disputationes de rebus longinquis et extra nos positis. Aristotele qui viene perfino accostato al repertorio favolistico e alle storie riguardanti l epica popolare (cfr. il riferimento a Dietrich da Berna, cioè al re ostrogoto Teodorico, PRESENTE ANCHE IN WA 7,810,23-811,7). La critica rivolta alla filosofia di essere lontana dal senso comune è sempre presente in Lutero. E un elemento che va tenuto presente nella delineazione della ragion pratica in cui si identifica la filosofia soprattutto negli ultimi anni di Lutero, il quale rifugge sempre dalle cose lontane dall esperienza sensibile. Di non univoca interpretazione ma ricchissimo di suggestioni questo rebus extra nos positis (non nel senso mistico di cui parla Karl Heinz ZUR MÜHLEN, Nos extra nos - Luthers Theologie zwischen Mystik und Scholastik, Tübingen 1972, pp.IX-298). Occorre rifuggire dalle cose che stanno fuori di noi, lontane da noi, nel senso detto sopra: lontane dal senso comune. | 573 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 494 | fabula, hystoria, extra-nos, opinio, garrulitas, dialectica, somnium, stultiloquium, ociosus, fabula, eruditio, scientia, exponere, utilis, necessarius, fabula, anilis, puellaris, Calenberg, Ditterich-von-Bern, disputatio, longiquus, philosophi, glossa, astrologus | 289 | Stultiloquim autem est universae ociose fabulae, in quibus nihil eruditionis et scientiae, ut ipsemet exponit, quae ad rem, inquit, non pertinent, idem vocat Christus verbum ociosum, ideo non nisi utilia aut necessaria sunt dicenda. Tales sunt fabulae aniles et neniae puellares, hystoriae plebani de Calenberg, Ditterich von Bern et disputationes de rebus longinquis et extra nos positis. Quod genus sunt etiam opiniones philosophorum et glosae super Aristotelem, garrulitates dialecticae, somnia astrologorum. | Discorso vano dunque sono tutte le storie futili, nelle quali non c è nulla di erudizione e di sapere, come Paolo stesso dice, e che non hanno a che fare, dice, con i fatti; lo stesso concetto è definito da Cristo parola inutile e perciò non si devono dire se non parole utili o necessarie. Discorsi vani sono anche le favole da vecchie e i ritornelli da bimbe contenuti nelle storie del parroco di Calenberg, Dietrich da Berna, così come le dispute su argomenti lontani da noi e fuori dal nostro mondo. Di questo genere sono anche le opinioni dei filosofi e le interpretazioni dei testi di Aristotele: cicalii dialettici, sogni da astrologi. | ||
1,494,23-30 | Decem praecepta Wittenbergensi praedicata populo | La frase è la diretta continuazione della precedente e rappresenta una pausa nel discorso luterano. Come prima Lutero si era soffermato sullo stultiloquium, qui parla dell eutrapelia. Accettabile, quando serve a sollevare i tentati dalla tristezza, da condannare quando sia un piacere fine a se stesso. Aristotele, nota Lutero, la considera una virtù (cfr. WA 1,463,19, in cui si fa la stessa osservazione per la Nemesi) e pare che in questo contesto Lutero non sia in disaccordo con Aristotele. Il modo con cui Lutero descrive questa virtù riecheggia in molti passi Eth. Nic. IV,8,1127b,32-1128b,9: un testo aristotelico di cui Lutero dimostra piena padronanza. | 573 | 1518 | Eth. Nic. IV,8,1127b,32-1128b,9 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 494 | eutrapelia, scurrilitas, facetia, urbanitas, virtus, turpe, stultum, iucundum, eruditum, utilitas, dulcedo, comitas, affabilitas, tristis, tentare, recreare, laudabilis, consolatiuncula, vanitas, caro, levitas, libido, fabulare, ridere, convenire | no | Eutrapelia seu scurrilitas, quae est facetia seu urbanitas, quam Aristoteles virtutem esse putat, quando scilicet non turpia neque stulta, sed iucunda et erudita simul dicuntur, ut utilitas intret sub dulcedine comitatis. Itaque comitas seu affabilitas seu urbanitas seu facetia talis, quae fit, ut tristes atque tentati in spiritu recreentur, laudabilis est, verum quae fit sine causa tantum ad consolatiunculam vanitatis et carnis praesertim cum huius semper non sit nisi levitas causa et sola libido fabulandi atque ridendi moveat ad illam, non convenit Christianis. | Eutrapelia significa scurrilità, è altrimenti detta umorismo o arguzia, e Aristotele la considera una virtù, quando beninteso non si dicono cose sconvenienti o stupide, ma insieme spiritose ed erudite, per far penetrare l utilità attraverso il piacere dell'amabilità. E perciò l amabilità, o affabilità o arguzia o umorismo che dà sollievo a chi è triste e a chi è tentato nello spirito va lodata, quella invece che nasce senza motivo, solo per una soddisfazione da quattro soldi della vanità e della carne, soprattutto quando la causa sia solo la superficialità, insomma: la spiritosaggine provocata solo dalla voglia di cianciare e di prendere in giro non è degna dei cristiani. | |
1,508,37-509,17 | Decem praecepta Wittenbergensi praedicata populo | In questo passo sono compresi molti motivi tipici della critica luterana di Aristotele. La critica fondamentale, rivolta agli scolastici citati come categoria indistinta, è quella di non comprendere Aristotele, di non aver mai letto l'Aristotele autentico e di introdurre a forza contenuti pseudofilosofici dove andrebbe predicata solo la teologia. Da notare il paragone con i poeti, che almeno non credono alle favole che raccontano, oltre che l'uso di termini tipici come nugae, fabulae, seducere, riferiti ad Aristotele e ai suoi commentatori. Ma l'osservazione forse più interessante è quella relativa al corretto uso di Aristotele per i cristiani, un tema che ritornerà nelle prime due tesi filosofiche della Disputa di Heidelberg. Sei mesi sono più che sufficienti per comprendere Aristotele (l'insegnamento universitario prevedeva un minimo di tre anni) e non occorre essere dei geni per comprenderne gli insegnamenti. Importante è soprattutto lo stato d'animo con cui accostarsi ad Aristotele, considerato levis et extranea materia, da accostarsi tantum ut sciretur, quasi per cultura generale o per curiosità intellettuale. L'importante è evitare la devozione che si deve alle autorità (significativo l'uso di termini quali fides e religio). Sono osservazioni molto importanti per comprendere l'atteggiamento di Lutero nei confronti della filosofia in quanto tale, che non va assimilata come un insegnamento utile alla vita, ma soprattutto per erudizione o, come si noterà negli ultimi anni, per un insegnamento morale. Il riferimento finale alle "sette" aristoteliche è un altro tema tipico. L'esposizione però farebbe pensare che la proliferazione delle correnti più disparate sia scritta nel codice genetico stesso della filosofia aristotelica e che quindi vada imputata anche ad Aristotele, come l'esempio dell'idra, il mostro a nove teste ucciso da Ercole nella palude di Lerna, città dell'Argolide, sta a dimostrare. Alla citazione del mito greco ne segue una evangelica: il riferimento al regno in sé diviso, che secondo la parola di Cristo è condannato a perire. Dire nel 1518 che questo regno in sé diviso è prossimo alla distruzione (prope ut desoletur) è fare una profezia che ha già in parte i caratteri della constatazione storica. Ma l'aristotelismo rientrerà in scena nel giro di pochi anni con la riforma universitaria melantoniana. | 573 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 508 | nuga, hydra, genus, falsissimus, decipere, fatigare, nomen, intelligere, docere, commentarius, anima, Christus, illudere, credere, philosophia, merus, poeta, fabulator, Augustinus, recitare, voluptas, annus, discere, ingenium, fides, religio, levis, extraneus, materia, defendere, seducere, secta, caput, bestia-gentilis, lerna, Thomista, Scotista, Albertista, Moderni, quadriceps, regnum, dividere, desolare, opinio, confusio, contrarius, falsus | 229, 257, 250, 230, 19, 238, 290 | Huc forte pertinere potest et illud miserum genus hominum, quod sese per philosophiae Aristotelis falsissimum nomen decipit et fatigat, cum Aristotelem neque intelligant ipsi neque doceantur, falsis interim et fictis commentariis pias in Christo animas occupant et onerant, immo illudunt potius, dum credunt, hoc esse philosophiam quod non est, merasque sectantur nugas. Et multo sunt ipsis poetae ac quicunque fabulatores fortunatiores, propterea quod poetae, ut B. Augustinus dicit, et si recitent fabulas, non tamen credunt eas esse veras, sola voluptate vanitatis delectati, illi autem credunt veras esse suas fabulas. Nam si meo consilio Aristoteles legeretur, certe vel in medio anno disci posset ab ingenio mediocri, Legeretur autem non sicut hucusque lectus est ea fide et religione, qua sacrae litterae, immo amplius, sed sicut alia quaecunque levis et extranea materia, tantum ut sciretur, non ut defenderetur. Vere enim sumus seducti per Aristotelem et commenta eius, atque si aliud non esset, hoc unum satis erat argumentum, quod tot sectae et capita sint in ista bestia gentili, simili Hydrae in Lerna: nam ibi sunt Thomistae, Scotistae, Albertistae, Moderni, et factus est quadriceps Aristoteles et regnum in se ipsum divisum, et mirum quod non desoletur, sed prope est ut desoletur. Quomodo ergo potest fieri, ut veritas sit in tanta opinionum confusione? cum enim sint contrariae, necessae est et falsae. | A questo gruppo forse può appartenere anche quel miserevole genere di individui che spreca fatica per ingannarsi con il più menzognero dei nomi: filosofia aristotelica . Infatti, né essi comprendono Aristotele, né Aristotele è mai stato loro insegnato; intanto però con commenti menzogneri e cervellotici fanno perdere tempo e riempiono di pesi le anime pie in Cristo; anzi, per meglio dire, le prendono in giro, credono che questa sia filosofia e invece non lo è, così seguono solo delle emerite idiozie. Rispetto a loro i poeti e tutti i generi di creatori di favole sono più fortunati, visto che i poeti, come dice sant'Agostino, anche se raccontano storie inventate tuttavia non credono alla verità di ciò che raccontano, mentre loro, eccitati solo dal gusto della futilità, credono che le storie che raccontano siano vere. Infatti se Aristotele venisse letto come dico io, a una persona di media intelligenza sei mesi sarebbero sufficienti per assimilarlo. Ma non lo si leggerebbe con una riverenza e devozione pari (anzi, ancora maggiore) a quella che si riserva alle sacre scritture, ma come una qualsiasi altra materia di poco conto e di scarso interesse, così per sapere, non per farne l'apologia. Siamo veramente irretiti da Aristotele e dai suoi commentatori, al punto che, anche se non ce ne fossero altri, basterebbe questo solo argomento: che ci sono molte fazioni e molte teste in questo mostro pagano, simile all'idra di Lerna. Infatti ci sono i tomisti, i seguaci di Duns Scoto, di Alberto Magno, i moderni... ad Aristotele sono cresciute quattro teste, è diventato come un regno diviso in se stesso. E c'è da meravigliarsi che non venga devastato, ma alla devastazione ormai manca poco. Infatti, come può essere che ci sia del vero in tanta confusione di opinioni? Dicono l'una il contrario dell'altra: non possono che essere tutte false. | ||
1,528,27-35 | Resolutiones disputationum de indulgentiarum virtute | L'interlocutore delle Resolutiones è Leone X, il papa che con la bolla Exsurge Domine condannerà gli scritti di Lutero e che con la Decet gli comminerà la scomunica. In quest'opera, accompagnata da una lettera dedicatoria al papa, Lutero difende i contenuti delle sue 95 tesi sulle indulgenze dell anno precedente. Il verbo attorno a cui ruotano queste frasi è disputare. Lutero, in qualità di vicario generale del suo ordine e di professore universitario di teologia, rivendica la facoltà (concessa indirettamente dal papa stesso) di tenere lezioni in pubblico non solo sulle indulgenze, ma anche sulla potestà papale, la remissione dei peccati e l'indulgenza divina, tutti temi che il monaco agostiniano reputa senza paragone superiori a quello delle indulgenze. Non dovrebbero essere dunque le sue tesi a fare scandalo, ma quelle di chi ha fatto un tutt'uno di Aristotele e della teologia, e disputat (usato in senso transitivo) meras nugas. | 638 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 528 | disputare, nuga, universitas, somnium, incendium, conflagrari, indignari, auctoritas, magister, theologia, ius, ecclesia, indulgentia, potestas, remissio, facultas, invidere, favere, miscere, maiestas | 214 | Ecce hoc est incendium, quo totum mundum queruntur conflagrari, forte quod indignantur me unum, auctoritate tua Apostolica magistrum Theologiae, ius habere in publica schola disputandi pro more omnium Universitatum et totius Ecclesiae non modo de indulgentiis, verum etiam de potestate, remissione, indulgentiis diviniis, incomparabiliter maioribus rebus. Nec tamen multum moveor, quod hanc mihi facultatem invideant a tuae beatitudinis potestate concessam, qui eis favere cogor invitus multo maiora, scilicet quod Aristotelis somnia in medias res theologicae miscent atque de divina Maiestate meras nugas disputant contra et citra facultatem eis datam. | Ecco, è questo l incendio che, se si ascolta il loro lamento, sta bruciando il mondo intero; forse perché vedono di malocchio il fatto che io solo, maestro di teologia in forza della tua autorità apostolica, abbia il diritto di tenere dispute pubbliche nelle scuole, secondo il costume di tutte le università e della Chiesa intera, e non solo in tema di indulgenze, ma anche di potestà, di remissione, di indulgenze divine, argomenti incomparabilmente più importanti. E tuttavia non mi turba più di tanto il fatto che siano invidiosi nei miei confronti per questa facoltà concessa dalla potestà della tua beatitudine. Anzi, sono costretto controvoglia a tacere cose ben più gravi che li riguardano; come ad esempio il fatto di introdurre le farneticazioni di Aristotele nel bel mezzo delle argomentazioni teologiche e di proclamare in pubblico, mentre si parla della maestà divina, delle futilità belle e buone. E questo è qualcosa di ben diverso e che va ben oltre la facoltà che è stata loro conferita. | ||
1,609,21-28 | Resolutiones disputationum de indulgentiarum virtute | Nonostante Aristotele sia chiamato in campo solo incidentalmente per le sue distinctiones, mentre Lutero tratta di tutt'altra materia - le indulgenze - la citazione non è banale ed è un'accusa molto grave ai seguaci di Aristotele. Infatti Lutero ipotizza una contraddizione in termini nelle dottrine della indulgenze di Tommaso e Bonaventura. Tali dottrine, se incalzate nelle loro premesse, porterebbero di necessità alla conclusione che le indulgenze sono e non sono opere di Cristo, simul et semel. Per Lutero si tratta di una contraddizione evidente, e il fatto che i due filosofi, se potessero essere interpellati, risponderebbero per aristotelicas distinctiones, non è ritenuto probante. Lutero quindi ritorce contro i suoi avversari le loro stesse armi aristoteliche. | 638 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 609 | distinctio, Thomas, Bonaventura, praecipere, indulgentia, vilis, opus-bonum, Christus, arguere, respondere, meritum, simpliciter, sumere, applicare, accipere, satisfactorius, poena, probare | 329 | At contra S. Thomas et Bonaventura dicunt, quod non sunt praeceptae indulgentiae et sunt viliores bonis operibus: ergo non sunt opera Christi, et tamen sunt opera Christi simul et semel. At forte, ut sunt arguti, respondebunt per Aristotelicas distinctiones Verum est, merita Christi ut simpliciter sumpta sunt meliora nostris operibus, Sed sic non sunt indulgentiae vel per indulgentias non applicantur, Accipiuntur autem, prout solum sunt, satisfactoriae pro poenis et isto modo applicantur . Respondeo: proba, quod dicis. | Per contro san Tommaso e san Bonaventura dicono che le indulgenze non sono comandate per precetto e che valgono meno delle opere buone: perciò non sono opere di Cristo, e tuttavia sono opere di Cristo nello stesso momento e sotto lo stesso rispetto. Ma forse, visto che sono perspicaci, risponderanno con delle distinzioni aristoteliche: E vero, i meriti di Cristo presi semplicemente in quanto tali sono migliori delle nostre opere, ma in questo senso non sono indulgenze o non sono applicati attraverso le indulgenze. Tuttavia esse vengono ricevute, solamente in quanto sono soddisfazioni in luogo della pena e in questo modo vengono applicate . Ti rispondo: prova ciò che dici. | ||
1,611,25-612,4 | Resolutiones disputationum de indulgentiarum virtute | Un piccolo compendio della critica luterana ad Aristotele, in cui sono presenti quasi tutti i motivi fondamentali. Nell ordine: 1. la degradazione dell insegnamento universitario medievale a causa di Aristotele; 2. l incomprensione scolastica del filosofo; 3. la distinzione, all interno dell opera aristotelica, tra opere più o meno pericolose ; 4. la caratterizzazione dello stesso Aristotele come non-filosofo, vuoto sofista (in queste righe si torna due volte sul concetto); 5. il proposito di fornire una migliore interpretazione di Aristotele e di dedicare ad essa parte della propria attività; 6. il rifiuto di interpretazioni concilianti, con esplicito riferimento al tentativo appena iniziato (cepit) di Pico della Mirandola; 7. l invito ad abbandonare Aristotele per abbracciare Cristo. Da sottolineare soprattutto il terzo e il quarto punto. Per quanto riguarda il terzo, si può pensare che le opere di cui Lutero parla siano quelle di cui parlerà nel 1520: la Metafisica, l Etica Nicomachea, la Fisica, il De anima, cioè le più metafisiche . La caratterizzazione negativa di Aristotele (5. punto), inoltre, qui è inequivocabile, e non valgono le interpretazioni di chi, come Ebeling (Luther. Einführung in sein Denken, Tübingen 19814 (1a ed. 1964), p.95), afferma che la critica luterana ad Aristotele è in realtà critica all Aristotele interpretato in senso teologizzante dagli scolastici, proprio per il fatto che qui è Lutero stesso a parlare di un Aristotele dipinto con i suoi stessi colori e quindi purgato dalle fuorvianti interpretazioni medievali. Da notare infine il ricorso a due autori platonizzanti, sia pur in modo diverso l'uno dall altro: Aulo Gellio e Gregorio Nazianzeno. Proprio attingendo a questi autori Lutero può definire Aristotele logodedalus, logomachus, artifex verborum. Non sono (solo) insulti, ma precisi rilievi. Aristotele viene visto come un manipolatore di concetti (logos, verbum) ai quali non si riconosce alcun fondamento. Negli anni successivi Lutero riprenderà le stesse accuse in modo ancor più circostanziato. | 638 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 611 | universitas, logomachus, logodedalus, concordare, Christus, Thomas, scholasticus, errare, ingenium, acutus, studium, laborare, intelligere, error, fictus, intelligentia, ecclesia, spargere, sapientia, adipisci, liber, usitatus, testimonium, Aulus-Gellius, Gregorius-Nazanzenus, arrianus, deprehendere, audax, impudens, temerarius, aetas, ocium, rationem-reddere, frustra, Plato, Ioannes-Picus-Mirandolanus, color, pingere, artifex-verborum, illusor-ingeniorum, nubes, tenebrae, placere | 258, 237, 3, 20, 21, 258, 278 | Nam in quantis, quaeso, B. Thomam etiam Scholastici errasse arguunt! Immo quod maius est, iam plus trecentis annis tot universitates, tot in illis acutissima ingenia, tot ingeniorum pertinacissima studia in uno Aristotele laborant, et tamen adhuc non solum Aristotelem non intelligunt, verum etiam errorem et fictam intelligentiam per universam pene ecclesiam spargunt, quanquam si etiam intelligerent eum nihil egregiae sapientiae adepti essent, praesertim in eis libris Aristotelis, quos usitatiores habent, in quibus vel ipsiusmet testimonio apud Aulum Gellium li: xx. c. iiij. et Gregorium Nazanzenum in ser: adversus Arrianos non nisi merus logodedalus et logomachus deprehenditur. Audax, impudens, temerarius forte hic videor, atque utinam mihi tantum superesset aetatis et ocii, ut huius temeritatis meae rationem reddere et verbis meis fidem facere possem, forte efficerem, ut non frustra sic sapere viderer. Non Aristotelem cum Platone et aliis concordarem, quod Ioannes Picus Mirandolanus cepit, sed Aristotelem suis coloribus pingerem, sicut dignum est pingi eum, qui ex professo est artifex verborum (ut Gregorius Nazanzenus ait) et illusor ingeniorum. Si itaque per tantum tempus in tantis ingeniis permisit deus tantum nubis et tenebrarum dominari, quid adhuc nobis ita securi placemus et non potius (sicut Christianos decet) omnia nostra suspecta habemus, ut solus Christus sit lux, iusticia, veritas, sapientia, omne bonum nostrum? | Infatti, di grazia, quanto numerosi sono gli argomenti in cui, a giudizio degli stessi scolastici, san Tommaso ha sbagliato! Ma ciò che è ancor più grave è che, ormai da più di trecento anni, tante università e in seno a queste tanti luminari di primo piano e tanti assidui studi di questi luminari si concentrano solo su Aristotele, e nonostante ciò fino ad ora non solo non comprendono Aristotele, ma anche diffondono errori e interpretazioni scorrette quasi in tutta la chiesa. E comunque anche se comprendessero ciò che egli afferma, soprattutto in quei libri di Aristotele di cui fanno maggior uso, non avrebbero guadagnato nulla dell eletta saggezza, visto che proprio sulla base di precise citazioni di questi suoi libri Aristotele viene smascherato da Aulo Gellio (nel quarto capitolo del ventesimo libro) e dal Sermone contro gli Ariani di Gregorio Nazianzeno come null altro che un inventore di labirinti verbali e un parolaio attaccabrighe. In questo forse sembrerò spavaldo, impudente, temerario, ma magari avessi ancora vita e tempo libero sufficienti per render conto di questa mia temerarietà e per poter far fede alle mie parole; ché forse allora riuscirei a far intuire che le mie opinioni non sono state espresse a caso. Certo che non tenterei di mettere d accordo Aristotele con Platone ed altri ancora, come aveva iniziato a fare Giovanni Pico della Mirandola, ma dipingerei Aristotele con i suoi colori, così come merita di essere dipinto, lui che è dichiaratamente un puro inventore di parole (come dice Gregorio Nazianzeno), uno che si fa gioco dell'intelligenza altrui. Ma allora, se Dio ha permesso che per un così lungo tempo e in così tante menti abbia potuto dominare una coltre così spessa di nebbia e tenebre, perché ci compiacciamo ancora tranquillamente di noi stessi e piuttosto non abbiamo in sospetto (come è giusto che facciano i cristiani) ciò che è nostro, così che solo Cristo sia luce, giustizia, verità, sapienza e ogni nostro bene? | ||
1,612,5-9 | Resolutiones disputationum de indulgentiarum virtute | E la diretta continuazione del brano precedente. Non va dimenticato che qui, come in precedenza, Lutero tenta di prevenire la possibile obiezione secondo cui non è possibile che Lutero stesso sia il primo a sostenere la giusta dottrina in fatto di indulgenze, mentre tutto il resto della Chiesa sarebbe in errore. Il fatto è, spiega in risposta Lutero, che a tradire gli scolastici e san Tommaso in testa, fu la grande devozione per Aristotele che avevano in precedenza manifestato i pagani. Gli scolastici sono così caduti in errore perché humiles sensu e traditi dalla loro pia simplicitas (due espressioni volutamente moderate, visto che l'interlocutore della lettera è Leone X, ma dietro alle quali non è impossibile scorgere un intento ironico). I sancti viri di cui si parla dunque sono san Tommaso, san Bonaventura e Alessandro di Ales, cui si è fatto esplicito riferimento in precedenza (in WA 1,611,21). | 638 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 612 | turbo, opinio, error, quaestio, auctoritas, veneratio, sanctus, vir, indoctus, Christus, ignorare, humilis, sensus, pius, simplicitas, scholasticus, doctor | 231 | Igitur sancti illi viri cum viderent, Aristotelem ab indoctis et Christum ignorantibus in tanta authoritatis veneratione haberi, ipsi, ut erant humiles sensu, pia semplicitate sunt secuti et in errorem lapsi caeteris occasio fuerunt tot turbinum, opinionum, quaestionum, errorum, sicut in Scholasticis doctoribus videmus. | Pertanto quando quei santi uomini si accorsero che Aristotele era ascoltato dagli incolti e da coloro che non conoscevano Cristo con la venerazione che si deve a un autorità, essi, poiché erano di bassa levatura intellettuale, li seguirono con pia semplicità. Così caddero in errore e furono occasione per tutti gli altri di tanti disordini, opinioni, problemi, errori, così come vediamo nei dottori scolastici. | ||
1,614,17-22 | Resolutiones disputationum de indulgentiarum virtute | Un tipico esempio della theologia crucis luterana. L'assoluta potenza di Dio si può conoscere solo sub contraria specie e quindi nel nascondimento e nella crocifissione. Nessuna filosofia o analogia entis può avvicinare l'uomo a Dio, ma solo una teologia che non si può configurare se non dialetticamente. Lutero però non contesta tanto il fatto che la volontà per sua natura sia rivolta al bene e che il bene inteso come fine sia ciò a cui l'uomo tende. Semplicemente, tutto ciò è inutile ai fini di una maggior conoscenza di Dio e della giustificazione. Raramente come in questo contesto si percepisce con chiarezza che è la stessa forma mentis aristotelica ad essere inaccettabile per Lutero. Se per san Tommaso la teoria aristotelica della volontà e del bene come fine, incalzata nelle sue premesse, porta al bene sommo che è Dio, per Lutero questa stessa teoria, se si vuole giungere a Dio, va rovesciata. Si vedrà in seguito che il rovesciamento è d'altra parte anche conservazione, quando si resti su un piano puramente intramondano. Siamo molto vicini, per tematiche, lessico e cronologia alla 28. tesi teologica della disputa di Heidelberg. (WA 1,365,5). | 638 | 1518 | Eth. Nic. I,1,1094a,2s.; III,5,1113b,3-20; IX,3,1165b,14s.; M. Mor. II,11,1208b,36s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 614 | theologus, gloria, apostolus, crucifigere, absconditus, gloriosus, visibile, invisibile, praesens, potens, obiectum, voluntas, bonum, amabile, malum, odibile, deus, summus | 111, 279 | Theologus vero gloriae (id est qui non cum Apostolo solum crucifixum et absconditum deum novit, sed gloriosum cum gentibus, ex visibilis invisibilia eius, ubique presentem, omnia potentem videt et loquitur) discit ex Aristotele, quod obiectum voluntatis sit bonum et bonum amabile, malum vero odibile, ideo deum esse summum bonum et summe amabile. | Il teologo della gloria (cioè colui che non conosce come l'apostolo Paolo solo il Dio crocifisso e nascosto, ma il Dio glorioso con i gentili e a partire dalle cose visibili vede e parla della sua realtà invisibile come onnipotente e onnipresente) impara da Aristotele che l'oggetto della volontà è il bene e che il bene e amabile, e che invece si deve odiare il male, e perciò Dio è il sommo bene e colui che è sommamente amabile. | |
1,648,18-21 | Ad dialogum Silvestri Prieratis de potestate papae responsio | Nel processo iniziato a Roma contro Lutero in seguito alla pubblicazione delle 95 tesi sulle indulgenze, della parte teologica era stato investito il teologo Silvestro Mazzolini, detto Prierio, che scrisse contro Lutero un Dialogo contro le presuntuose conclusioni di Lutero intorno al potere papale, nel quale le 95 tesi vengono analizzate una per una per evidenziarne i contenuti non cattolici. Lutero rispose con quest'opera. Nel passo in esame si parla del verbo agere all'interno dell'espressione agere poenitentiam. Due le osservazioni di Lutero in queste righe. La prima si riferisce al fatto che Prierio farebbe uso di argomenti puramente aristotelici, disinteressandosi del tutto delle Scritture, dei padri della chiesa e dei canoni, al punto che la sua può essere definita peripatetica theologia. Più interessante la seconda osservazione. Lutero - il cui scopo consiste nell'evitare che la penitenza di cui si parla sia un gesto anche esteriore, come avviene nell'omonimo sacramento - rinfaccia a Prierio che anche in senso aristotelico il verbo agere ha il significato di azione perfetta, conclusa in se stessa. E' più adeguato dunque alla penitenza interiore che a un "fare penitenza" nel senso del POIEIN, quasi di una produzione con tangibili effetti esterni. | 582 | 1518 | Metaph. VI,1 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 648 | agere, peripateticus, scholasticus, thomisticus, confutare, scriptura, patres, canon, theologia, actio-interna | 146, 322 | Haec tua. Vere tua sunt, id est adeo Scholastica et Thomistica, immo Aristotelica, ut me pigeat et taedeat ea confutare. Rogo, ubi hic Scriptura, patres aut Canones sonant? Deinde miror, quod iuxta Peripateticam istam Theologiam verbum illum agite non ad solam internam actionem retulisti. | Questi i tuoi argomenti. E sono veramente tuoi, cioè a tal punto scolastici e tomistici, anzi aristotelici, che mi passa anche la voglia di confutarli. Ti chiedo: dove risuona qui la Scrittura, dove i padri della chiesa o i canoni? E poi mi meraviglio che, seguendo questa teologia peripatetica, tu non abbia riferito il verbo agite alla sola azione interiore. | |
1,648,32-38 | Ad dialogum Silvestri Prieratis de potestate papae responsio | Prierio aveva definito la penitenza di cui Lutero parla come poenitentia habitualis, intendendo con questa espressione che, secondo la dottrina luterana, tutta la vita del cristiano è penitenza. Ma come nel brano precedente Lutero rifiuta una penitenza-atto, qui non accetta una penitenza-habitus, soprattutto perché non ritiene che i concetti aristotelici siano adeguati ad esprimere la sua teologia. Interessante l affermazione secondo cui parlando dell anima l unico maestro dev essere Cristo e non i filosofi o san Tommaso: un affermazione che taglia di netto ogni prospettiva di psicologia razionale in senso aristotelico. Più consuete invece le accuse al suo interlocutore di contaminare un idea cristiana (nella fattispecie, la poenitentia) con contenuti aristotelici, così come usuale è la contrapposizione Aristotele-Cristo. |
582 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 648 | habitus, poenitentia, qualitas, anima, Christus, intelligere, vulgus, confingere, perpetuus, ociosus, scriptura, patres, canon, ratio, Thomas, magister, vivere, loqui, homo | 337, 202 | Secundum, habitualis illa poenitentia, nec a vobis intelligibilis nec vulgo tradibilis, nulla est apud me, sed a vobis conficta ex Aristotele, praesertim si qualitatem quandam in anima perpetuam et ociosam intelligitis: aut doce eam ex Scriptura, Patribus, Canonibus, rationibus. Nolo (ut scias) te aut S. Thomam nudos habere magistros in his rebus, quae ad animam pertinent, quae solo verbo dei vivit et pascitur, ideoque unus est eius magister Christus. Hunc autem in te loquentem non audio, sed Aristotelem et hominem. | In secondo luogo, di quella penitenza abituale, che né potete capire voi né è spiegabile al popolo, non c è traccia in quanto ho scritto, ma l avete escogitata voi attingendo da Aristotele, soprattutto se la intendete come una specie di qualità nell anima, costante e inerte: ma prova a giustificarla con la Scrittura, i padri o i canoni... Non voglio (tanto perché tu lo sappia) avere te o San Tommaso come miseri maestri in questi argomenti che riguardano l anima. L anima vive e si pasce solo del verbo di Dio e perciò l unico suo maestro è Cristo. Ma in te io non sento parlare lui, ma Aristotele e l uomo. | ||
1,649,28-33 | Ad dialogum Silvestri Prieratis de potestate papae responsio | L'uomo di fronte alla grazia deve rimanere del tutto passivo, nel senso che la sua opera non rappresenta una cooperazione all'azione della grazia stessa. Perciò la dottrina (genuinamente!) aristotelica della genesi dell'atto morale è da rifiutare. Da notare che nel 1518 Lutero accetta che l'uomo abbia il libero arbitrio anche se da questo passo si deduce che l'azione della grazia sia totalmente estranea al libero arbitrio, al punto che le opere che Cristo compie in noi non lo implicano affatto, neppure come consenso. | 582 | 1518 | Eth. Nic. III,5,1113b,3-6; III,5,1114b,24-27 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 649 | liberum-arbitrium, agere, electio, opus-bonum, spiritus, deus, remotus, theologia, Christus, pessimus, eligere | 118, 184 | Quintum. In omni bono opere potius aguntur quam agunt filii dei, sicut Ro. VIII. dicit: Qui spiritu dei aguntur, hii filii dei sunt. Et ea opera (omnium, qui remotiorem Theologiam gustaverunt, iudicio) sunt optima, quae sine nobis operatur Christus, et ea fere pessima, quae iuxta Aristotelis pessimam doctrinam nobis eligentibus et, ut vocant, libero arbitrio mediante operamur. | Quinto punto. I figli di Dio in ogni opera buona più che fare si lasciano fare, come dice san Paolo nell ottavo capitolo della Lettera ai Romani: Chi si lascia condurre dallo spirito di Dio, è figlio di Dio . E le opere migliori sono (a giudizio di tutti coloro che hanno gustato una teologia più esclusiva) quelle che Cristo compie senza di noi, mentre le peggiori di tutte sono quelle che, secondo il pessimo insegnamento di Aristotele, compiamo di nostra scelta e - così essi dicono - mediante il libero arbitrio. | |
1,650,23-27 | Ad dialogum Silvestri Prieratis de potestate papae responsio | Prierio aveva parlato dei tre modi con cui si può intendere la penitenza: 1. virtus quaedam, cuius obiectum est peccatum sub ratione emendabilis, actus vero eius est dolor volontatis de peccato, ipsa vero est habitus moralis eliciens dictum actum respectu praedicti obiecti; 2. sacramentum, cuius partes sunt contritio, confessio, satisfactio; 3. accipitur vulgariter pro satisfactione iniuncta a sacerdote et omnis carnis mortificatione. Penitenza cioè come virtù, come sacramento e come atto di soddisfazione per i peccati commessi. Lutero riprende alla lettera i termini usati da Prierio e li palesa nella loro radice aristotelica. Dichiara di essere pienamente padrone della teoria morale di Aristotele (l'Etica Nicomachea è il testo aristotelico che conosce più a fondo), ma ritiene che si tratti di concetti troppo difficili per il popolo, inutili alla comprensione delle Scritture, pure creazioni verbali atte solo ad alimentare le liti filosofiche. Tutti temi tipici della critica di Lutero ad Aristotele. | 582 | 1518 | Eth. Nic. I-III | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 650 | virtus-moralis, obiectum, actus-elicitus, Scriptura, contentio, ructuare, philosophia, audire, portentum, utilis, verbum, fovere, confingere | 1 | Secundo: iterum ructuas Aristotelicam philosophiam de virtute morali, de obiecto, de actu elicito, quasi ego talia nunquam audierim, deinde quae talia sunt, ut in populo doceri non possint, nec ad Scripturae intelligentiam utilia, portenta dumtaxat verborum, non nisi ad contentiones fovendas conficta. | In secondo luogo: ancora erutti la filosofia aristotelica sulla virtù morale, l oggetto, l atto elicito, come se io non avessi mai sentito parlare di cose del genere. Questo poi è un tipo di argomenti che non si può insegnare in mezzo al popolo e neppure è utile alla comprensione delle Scritture, sono pure e semplici chimere verbali, escogitate per null altro che per aizzare le dispute. | |
1,652,18-36 | Ad dialogum Silvestri Prieratis de potestate papae responsio | Prierio aveva obiettato a Lutero che la penitenza "integrale" predicata da Lutero era fittizia. Nel sonno, infatti, l'uomo non può fare penitenza. Lutero intravede in questa argomentazione una certa matrice aristotelica, in riferimento a Eth. Nic. I,13,1102b,2-11, passo in cui Aristotele annota che nel sonno è la parte vegetativa dell anima a prendere il sopravvento sulle altre, e che pertanto le persone infelici per metà della vita - cioè quando dormono - non differiscono per nulla dalle persone felici. Il piano dell'accusa così si sdoppia. A una filosofia tomistica accusata di sbandierare Aristotele e di dimenticare san Paolo, corrisponde una filosofia aristotelica che si rivela come una pura accozzaglia di nozioni ovvie o generiche. Per questo Aristotele viene definito insipiens, sia nel senso di "colui che non sa, che non offre contenuti validi di sapere", sia nel senso di insipido, scialbo, vuoto, ovvio. Va notato infine l appiattimento operato da Lutero del concetto aristotelico di virtù sulle sole virtù etiche, quelle appunto che si acquisiscono mediante l azione, dimenticando del tutto le virtù dianoetiche, che per Aristotele occupano un posto superiore nella gerarchia delle virtù. | 582 | 1518 | Eth. Nic. I,13,1102b,2-11 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 652 | poenitentia, fabulari, insipiens, peripateticus, dormire, somnus, intercidere, actus, egregius, miser, felix, vita, dormire, nox, agere, felicitas, infelicitas, manducare, vivere, comedere, bibere, Ihesus, voluntas, deus, purgatio, pati, thomisticus, theologia, paulinus | 22, 147 | Quod vero dicis, vel in somno intercidere necessario actus poenitentiae, agnosco egregium Aristotelem in te ex Ethicis suis fabulantem, ubi dicit, quod miser et felix dimidio vitae nihil differunt: uterque enim dormiunt nocte, id est nihil agunt vel foelicitatis vel infoelicitatis. Quomodo potest tibi vera Theologia placere, cui placet tam insipiens philosophus? Audi Apostolum Paulum ad Ro. Qui manducat, domino manducat: qui non manducat, domino non manducat. Et iterum: Qui vivit, domino vivit: qui moritur, domino moritur. Sic et ad Corinthios: Non estis vestri: empti enim estis precio magno. Hunc, rogo, liceat imitari et dicere: Qui dormit, domino dormit: qui vigilat, domino vigilat. Et alibi: Sive comeditis sive bibitis, omnia in nomine domini nostri Ihesu Christi facite. Domino autem dormire, credo, non negabis esse dei voluntatem parere: voluntati autem dei parere, optima certe poenitentia et a vitiis purgatio est. Puto etiam, quod dormiens vivat: si vivit, certe Domino vivit, ut hic dicit Apostolus. Item quomodo audes dicere, dormientem fidelem esse vacuum actibus bonis, qui tum maxime bonis actibus plenus est, quando deum in se quieto agere patitur et sabbatum domini celebrat? Sed sisto: nescio enim, an Thomistica Theologia hanc Theologiam unquam senserit: Paulina est enim, non Peripatetica. | E quanto a ciò che poi affermi, cioè che nel sonno l atto della penitenza non può che interrompersi, riconosco in te l egregio Aristotele che ciancia sulla base della sua Etica, in cui dice che l uomo infelice e l uomo felice per metà della loro vita non differiscono in nulla: entrambi infatti dormono di notte e quindi non fanno nulla né di felice né di infelice. Come ti può piacere la vera teologia se ti piace un filosofo tanto insulso? Senti cosa dice l'apostolo Paolo ai Romani: Chi mangia, mangia per il Signore: chi non mangia, non mangia per il Signore . E ancora: Chi vive, vive per il Signore, chi muore, muore per il Signore . Lo stesso ai Corinzi: Non appartenete a voi stessi: infatti siete stati comprati a caro prezzo . Ecco uno che vale la pena di prendere a modello, e dire: Chi dorme, dorma nel Signore, chi veglia, vegli nel Signore . E altrove: Sia che mangiate, sia che beviate, fate tutto in nome del Signore nostro Gesù Cristo . Non vorrai negare, credo, che dormire nel Signore sia fare la volontà di Dio: e fare la volontà di Dio è sicuramente un ottima penitenza e una purificazione dai vizi. Ritengo infatti che chi dorme sia vivo: ma se vive, vive certamente per il Signore, come dice qui l'Apostolo. E allo stesso modo, dove trovi il coraggio per dire che il fedele che dorme sia vuoto di atti buoni, proprio nel momento in cui in massimo grado ne è ripieno, quando lascia che Dio agisca in lui che riposa e così celebra il Sabato del Signore? Ma non vado oltre: non so, infatti, se la teologia tomistica abbia mai avuto sentore di questa teologia, visto che è paolina e non peripatetica. | |
1,664,16-29 | Ad dialogum Silvestri Prieratis de potestate papae responsio | La citazione aristotelica (un passo della Fisica in cui Aristotele critica Melisso e Parmenide) è in realtà messa in campo da Prierio e citata da Lutero per esporre la tesi avversaria prima di criticarla. Anche la seconda volta invece Aristotele è chiamato in causa indirettamente, come autore delle Confutazioni sofistiche e possibile ispiratore della distinzione tra secundum quid e simpliciter. Si tratta di un tipo di distinzioni logiche verso le quali Lutero non nutre la minima simpatia, ma sarebbe superficiale pensare che tale avversione dipende da un fatto puramente linguistico (Lutero avversario del linguaggio vuoto e formalistico della scolastica). E' la forma mentis aristotelica, le sue distinzioni concettuali fondate sulla concezione analogica dell'essere ad essere rifiutate da Lutero in favore di una forma mentis dialettica che proprio nelle 95 tesi sulle indulgenze (l'argomento della polemica tra Lutero e Prierio) trova una delle sue prime espressioni. Nella contemporanea Disputa di Heidelberg questi temi emergono con maggior chiarezza, qui sono appena accennati. | 582 | 1518 | Phys. I,2,185a,11s.; Top. II,11,115b,11-35; Soph. el. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 664 | secundum-quid, simpliciter, conveniens, anima, augere, charitas, pulcherrimus-Aristoteles, occurrere, inconveniens, contingere, absurdus, timor, servilis, Thomas, allegare, vocabulum, viator, temeritas, permittere, scrutare, disputare, definire, purgatorius, perfectus, consummatus, argumentum, acumen | 316, 330, 336 | Ad decimam septimam, ubi ex consequenti animabus augeri necessario charitatem dixi, tu pulcherrimo Aristotele mihi occurris, quod uno inconvenienti dato plura mihi contingerent, scilicet non minus absurdum esse, quod timorem servilem in animabus posui quam charitatis augmentum. Deinde tu quam optimas tuas convenientias prosecutus cum b. Thoma contrarium asseris, nihil allegans aliud (pro more tuo) nisi nova vocabula, scilicet quod animae secundum Thomam sunt viatores secundum quid, non simpliciter. Quis dixit tibi et Thomae, esse viatores secundum quid, non simpliciter? An Aristoteles in Elenchis suis? Quis temeritatem (ut tu vocas) tibi permisit scrutandi eius, ad quod nulla suppetit nobis ratio, naturalis praesertim, cum non disputes sed definias? An illa tua fortissima ratio, qua dicis Alioquin bonum esset eis diu esse in purgatorio, ut perfectiores et consummatiores evaderent ? Hoc argumentum credo non posse fieri nisi a Thomista: tantum habet acuminis. | Per quanto riguarda la diciassettesima tesi, a partire dalla conclusione accennata ho detto che la carità delle anime purganti aumenta necessariamente, tu mi hai obiettato con il glorioso Aristotele osservando che da una premessa sbagliata non possono che derivarmi conseguenze sbagliate in numero ancora maggiore, e quindi che l'aver supposto da parte mia il timore servile nelle anime non è meno assurdo dell'aver affermato che in esse la carità aumenta. In seguito, proseguendo con le tue argomentazioni corrette - senza paragoni le migliori di tutte - tu sostieni con san Tommaso l'ipotesi contraria alla mia, portando come prova (com'è tua abitudine) nient'altro che nuovi vocaboli, e cioè che le anime secondo san Tommaso sono sì nella condizione di chi è in cammino ma solamente sotto un certo rispetto e non in senso assoluto. Ma chi l'ha detto, a te e a Tommaso, che le anime sono pellegrine solo in un certo senso e non in quanto tali? Forse Aristotele nelle sue Confutazioni? Chi ti ha permesso di essere temerario (uso le tue parole) al punto tale da voler scrutare nelle anime, cosa in cui la ragione non ci è di nessun aiuto, e tanto più la ragione naturale, visto che non apri una discussione ma procedi per definizioni? Forse la tua saldissima ragione, in forza di cui dici che "altrimenti sarebbe un bene per le anime restare a lungo in purgatorio, per diventare più perfette e purificate"? Un argomento del genere, credo, non può venire che da un tomista, tanto è geniale. | |
2,160,36-161,2 | Disputatio et excusatio F. Martini Luther adversus criminationes D. Johannis Eccii | E la terza delle tesi sostenute da Lutero nella disputa di Lipsia contro il teologo Johannes Eck (27 giugno-2 luglio 1519). Il tono ironico ( sacrum suum Aristotelem ) è una costante in Lutero, quando si tratta di parlare del ruolo di Aristotele nella teologia e nelle università del suo tempo. Anche l abbinata Aristotele-Pelagio non è infrequente. Inoltre Lutero accusa Eck (autore di molti commenti aristotelici, tra cui uno al De anima) di non capire nulla dello stesso Aristotele. Inoltre il confronto con WA 2,422,31-35 chiarisce che Lutero si riferisce alla genesi dell atto morale da retta ragione e da buona volontà, teorizzata da Aristotele nel terzo libro dell Etica Nicomachea. | 167 | 1519 | Eth. Nic. III,5,1113b,3-20; III,5,1114b,19-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 161 | Pelagianus, desipere, opus-bonum, poenitentia, detestatio, dilectio, peccare, numerare, haereticus, sacer-Aristoteles, probare | 260, 341 | III Qui opus bonum aut poenitentiam a peccatorum detestatione ante dilectionem iustitiae incipi nec in eo peccari asserit, hunc inter Pelagianos haereticos numeramus, Sed et contra sacrum suum Aristotelem desipere probamus. | III Coloro i quali affermano che un'opera buona o la penitenza inizia dalla detestazione dei peccati prima ancora che dall'amore per la giustizia e che in questa detestazione non c'è peccato, li consideriamo del numero degli eretici pelagiani. Ma proviamo anche che in questo modo essi si dimostrano insensati e contraddicono il loro sacro Aristotele. | |
2,277,18-23 | Disputatio I. Eccii et M. Lutheri Lipsiae habita | In questo passo troviamo ancora l uso ironico della distinzione tra essere per se ed essere per accidens, che per Lutero rappresentano solo inutili cavilli. Si sta parlando del mandato, dato da Cristo a Pietro, di confermare i fratelli. Un mandato che, secondo Lutero, non implica il primato di Pietro sugli altri apostoli, visto che a suo avviso un superiore può essere confermato anche da un inferiore. Più interessante, ai fini della comprensione della critica luterana di Aristotele, l'esplicito richiamo a una riga di De anima III,5, in cui ciò che agisce viene definito praestantius rispetto a ciò che subisce. Un anno prima, nella Disputa di Heidelberg, Lutero aveva analizzato lo stesso passo, che però era esposto in una traduzione latina (a cura di Giovanni Argiropolo) molto diversa: "Semper enim id, quod efficit atque agit, praestabilius est eo, quod patitur" (WA 59,417,5-7). Qui invece l'impressione è che Lutero riporti un'espressione formulare di scuola. | 168 | 1519 | De an. III,5,430a,19s.; Metaph. V,18; V,30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 277 | per-se, per-accidens, agens, passus, argutari, raciocinari, confirmare, confirmatio, Petrus, praestans, sacramentum, adhortare, consolare | 5, 90, 333 | Ad ultimum, ubi sic raciocinatur confirmans est maior confirmato, Ergo Petrus maior apostolus , forte quod ex Aristotele putet agens suo passo esse prestantius. Sed argutabor et ego plane Aristotelice Confirmans est bene maior per se, sed per accidens bene minor , nisi fortassis confirmationem hic intelligat sacramentum confirmationis, quod non credo. Alioquin non rarum est superiorem per inferiorem adhortari, consolari, confirmari. | Infine l'ultima obiezione, in cui Eck fa questo ragionamento: "Colui che conferma è maggiore di colui che viene confermato, perciò Pietro è il più grande tra gli apostoli", forse per il fatto che, come insegna Aristotele, ritiene che ciò che agisce sia più importante di ciò che subisce. Ma anch'io cavillerò in puro stile aristotelico: "Colui che conferma è certo maggiore in senso assoluto, ma nel caso particolare è sicuramente minore", a meno che qui Eck per "confermazione" intenda il sacramento della Confermazione, ma non credo che le cose stiano così. Del resto non è raro che un superiore sia incoraggiato, consolato, confermato da un inferiore. | |
2,370,7-11 | Disputatio I. Eccii et M. Lutheri Lipsiae habita | Il rilievo di Eck non era senza ragioni: spesso Lutero fa un uso strumentale o polemico di argomentazioni aristoteliche che egli in prima persona non condivide. L'occasione viene presa comunque al volo da Lutero per ribadire che la diffusione del pensiero di Aristotele è stato un motivo di rovina per la teologia e che il suo pensiero è stato sopravvalutato. Il paragone con WA 2,422,31-35 chiarisce che la dottrina aristotelica violata da Eck è quella che riguarda l origine dell atto morale da retta ragione e buona volontà, e quindi da due atti positivi, non dalla detestazione dei propri mali. Un analoga argomentazione anche in WA 2,160,36-161,2. | 168 | 1519 | Eth. Nic. III,5,1113b,3-20; III,5,1114b,19-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 370 | seductor, desipere, schola-theologica, obicere, acceptare, fateri, scholasticus, doctor, satisfacere, conclusio, sacer-Aristoteles, poenitentia, timor, libera-voluntas | 4, 23, 121, 238 | Indignatur, quod Aristotelem ei obiecerim in scholis theologicis, quem tamen non acceptarim. Fateor, minor est quam ut valeat in theologica schola, cum seductor fuerit scholasticorum doctorum: sed satisfacere volui conclusioni mee, quod contra sacrum suum Aristotelem desipiunt, qui penitentiam a timore et non libera voluntate incipiunt. | Eck si indigna perché io mi sarei appoggiato su Aristotele per argomentare contro di lui nelle scuole teologiche, io che non accetterei il pensiero di Aristotele. Confesso, vale meno di quanto sia apprezzato nella scuola teologica, visto che è stato il seduttore dei dottori scolastici: ma ho voluto dimostrare fino in fondo la mia tesi, secondo cui si allontanano dal pensiero del loro sacro Aristotele coloro che affermano che la penitenza comincia dal timore e non dalla libera volontà. | |
2,395,18-20 | Resolutiones Lutherianae super praepositionibus suis Lipsiae disputatis | Lutero sta obiettando ad Eck di voler confutare gli autori scolastici sui quali si era in precedenza appoggiato. E un interessante tentativo di rivoltare l'obiezione che Eck stesso gli aveva rivolto poco prima, secondo la quale Lutero faceva un uso disinvolto di argomentazioni aristoteliche, mentre a parole si era dichiarato nemico di Aristotele. Da notare la contrapposizione tra l usuale denominazione di lumen naturae e tenebris. Cambia la valutazione, ma non il concetto di fondo: per Lutero Aristotele rimane l emblema della ragione umana, di una ragione che rimane su un piano di pura naturalità. | 418 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 395 | Scholasticus, Ecclesiasticus, tenebrae, lumen-naturae, Vuittenberga, scire, Eccius, negare, convenire | 24, 292 | Sed et nos Vuittenbergae sciebamus, scholasticos doctores, si cum tenebris suis (id est lumine naturae secundum Eccium) Aristotele negentur, posse convenire cum Ecclesiasticis. | Ma anche noi di Wittenberg sapevamo che i dottori scolastici, se vengono confutati assieme ad Aristotele, la loro tenebra (quello che per Eck è il lume della ragione), possono andare d'accordo con gli scrittori ecclesiastici. | ||
2,396,26-29 | Resolutiones Lutherianae super praepositionibus suis Lipsiae disputatis | Nel corso di una polemica con Eck scesa ormai sul piano dell'attacco personale, ritorna ancora il paragone tra Aristotele e la luce della natura, un'equivalenza che per Lutero è indiscussa, salvo poi contestare che questa luce illumini veramente l'uomo. | 418 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 396 | lumen-naturae, illuminare, doctor, scriptura, tropus, Moab, arrogans, praesumere, calumniari, traducere | 310 | Nec mirum, quia non Scripturas nec tropos eius, sed lumen naturae Aristotelem et illuminatos eodem lumine doctores dumtaxat legit, Et tamen, velut Moab arrogantissimus plus praesumens quam posset, omnia quae unquam dixissem calumniari et traducere conabatur. | E non c'è da meravigliarsi, dal momento che Eck non legge né le Scritture né le loro interpretazioni, ma solo ed esclusivamente la luce della natura, Aristotele, e tutti i dottori che si lasciano illuminare da questa stessa luce e tuttavia, arrogantissimo come Moab, convinto di potere ben di più di quanto in effetti gli sia possibile, tentava di calunniare e di svergognare tutto ciò che io abbia mai detto. | ||
2,421,17-20 | Resolutiones Lutherianae super praepositionibus suis Lipsiae disputatis | Vedi il commento a WA 2,161,1. | 418 | 1519 | Eth. Nic. III,5,1113b,3-20; III,5,1114b,19-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 421 | Pelagianus, desipere, poenitentia, detestatio, dilectio, iustitia, peccare, haereticus, sacer-Aristoteles, probare | 260, 341 | III Qui opus bonum aut poenitentiam a peccatorum detestatione ante dilectionem iustitiae incipi nec in eo peccari asserit, hunc inter Pelagianos haereticos numeramus, Sed et contra sacrum suum Aristotelem desipere probamus. | III Coloro i quali affermano che un'opera buona o la penitenza inizia dalla detestazione dei peccati prima ancora che dall'amore per la giustizia e che in questa detestazione non c'è peccato, li consideriamo del numero degli eretici pelagiani. Ma proviamo anche che in questo modo essi si dimostrano insensati e contraddicono il loro sacro Aristotele. | |
2,422,31-35 | Resolutiones Lutherianae super praepositionibus suis Lipsiae disputatis | In quest opera Lutero espone con sistematicità e difende con abbondanza di argomenti e tesi sostenute nel corso della disputa di Lipsia, tenuta il 27 giugno dello stesso anno con Johannes Eck. La progressione degli argomenti con cui Lutero tenta di dimostrare che la contrizione nasce dall'amore della giustizia e non dalla detestazione dei propri peccati segue una logica precisa. Lutero inizia con gli argomenti scritturali, poi cita San Paolo, poi gli Scolastici, infine Aristotele. Si va cioè dal cuore della rivelazione fino a un filosofo pagano, definito "cieco" (in precedenza con una metafora simile lo aveva chiamato "tenebra", in opposizione alla consueta definizione di lumen naturae). E' interessante notare che Lutero qui fa leva su una dottrina di Aristotele - quella relativa alla genesi dell'atto morale - che in seguito rifiuterà decisamente. | 418 | 1519 | Eth. Nic. III,5,1113b,3-20; III,5,1114b,19-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 422 | caecus, gentilis, actus, privatio, electio, virtus, amor, Eccius, liber-agg., proficisci, privatio, noscere, odisse, cognoscere, amare, positivus, iustitia | 25, 122, 261 | Deinde nec Aristotelem suum intelligit, qui et ipse, licet caecus gentilis, acutius tamen Eccio meo vidit, omnem actum virtutis ab electione libera et voluntate ac amore proficisci, atque privationem nec nosci nec odiri posse nisi cognita et amata re positiva. Peccatum autem privationem esse omnes dicunt, Iustitiam autem rem positivam. | E infine Eck non comprende neppure il suo Aristotele. Perfino Aristotele infatti, che pure è un cieco pagano, vede un po' più in là del mio Eck quando afferma che ogni atto virtuoso deriva da una libera scelta della volontà e dall'amore e che la privazione non si può conoscere né odiare se prima non si è conosciuta e amata una realtà positiva. E il peccato è indicato da tutti come una privazione, così come la giustizia è indicata da tutti come una realtà positiva. | |
2,424,32-37 | Resolutiones Lutherianae super praepositionibus suis Lipsiae disputatis | Se sulla genesi dell'atto morale Lutero può essere d'accordo con Aristotele, non altrettanto avviene con la dottrina aristotelica delle virtù come habitus. Inaccettabile per Lutero l'idea che si possa acquistare la giustizia progressivamente, per gradi, attraverso un lungo esercizio. Solo la grazia di Dio rende l'uomo giusto e quindi lo mette in grado di compiere azioni che non potranno essere che giuste. Non però giuste, come potrebbe sembrare dall esempio del vescovo, nel senso che esse costituiscano una nuova natura dell uomo, perché questi rimane sempre peccatore e incapace di operare la giustizia. Le opere divengono giuste per l imputazione, per la considerazione divina, anche se in sé continuano a rimanere peccaminose e indegne (cfr. ad es. WA 2,493,3-14) | 418 | 1519 | Eth. Nic. II,1,1103b,1s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 424 | iustus, operari, nuga, insulsus, sophista, praeterire, opus, fides, sensus-scripturae, iustificatio, errare, facere, operari, episcopus | 131 | Dicam ergo, ut nugas istas insulsas sophistarum praeteream: Nulla opera iustificant seu iustum faciunt sed sola fides, iustificatus autem facit opera; sic enim habet sensus scripturae, ut iustificatio sit prior operibus et opera fiant a iustificatis. Non enim, ut errat Aristoteles, iusta faciendo iusti efficimur, sed iusti facti operamur iusta, sicut non fit Episcopus opera Episcopi faciendo, sed Episcopus facit opera Episcopi. | Dirò dunque, per soprassedere su queste insignificanti banalità da sofisti, che nessuna opera può giustificare (cioè rendere giusti) ma solo la fede, mentre solo chi viene giustificato compie opere buone. Questa infatti è la corretta interpretazione delle scritture: la giustificazione viene prima delle opere e le opere buone vengono compiute da chi è stato giustificato. Sbaglia Aristotele a dire che compiendo azioni giuste siamo resi giusti, al contrario: una volta resi giusti compiamo azioni giuste, così come non si diventa vescovi comportandosi come un vescovo, ma solo un vero vescovo può compiere le azioni che sono prerogativa di un vescovo. | |
2,464,24-28 | In epistolam Pauli ad Galatas commentarius | Lutero sta interpretando Gal 1,10: Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo! . In particolare qui ci si sofferma sul verbo placere, compiacersi. Aristotele per Lutero è il filosofo che si compiace della natura umana, che esalta l uomo puramente razionale, perciò è nemico della grazia. Anche l'arbor porphyriana è vista da Lutero come un esemplificazione palpabile di un mondo ordinato e schematizzato a prescindere dalla grazia in modo puramente razionale. Da notare infine anche il riferimento agli altri filosofi, tutti potenzialmente esposti alle critiche che qui vengono rivolte al solo Aristotele. | 228 | 1519 | Eth. Nic. VI,13,1144b,26-1145a,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 464 | arbor-porphyriana, philosophi, ratio, doctrina, homo-rationalis, laudare, iactare, amare, dictamen, confidere, consilium, iustificare, sapere, scriptura, mendacium, vanitas, perditio, deputare | 335 | Videant ergo illi, qui ex arbore Porphyriana et Aristotelis aliorumque philosophorum doctrinis didicerunt hominem rationalem laudare, iactare ac amare, deinde in sua dictamina confidere, sua consilia iustificare, quam recte ad scripturae veritatem sapiant. Quae omnia humana mendacio, vanitati et perditioni deputat. | E perciò considerino bene, coloro che dall arbor porphyriana e dalle dottrine di Aristotele e degli altri filosofi hanno imparato a lodare, esaltare e amare l uomo razionale, e poi a fidarsi delle sue indicazioni e a giustificare le sue inclinazioni, quanto retto è il loro intendimento nei confronti della Scrittura, che imputa tutte le cose umane a menzogna, vanità e perdizione. | |
2,489,21-35 | In epistolam Pauli ad Galatas commentarius | Il lungo brano, in cui Aristotele è nominato due volte e una volta sola esplicitamente, è molto istruttivo. Come pochi altri infatti permette di comprendere il contesto entro il quale la ragione aristotelica si situa per Lutero. Le tre parole chiave sono pronunciate da Lutero quasi di sfuggita: in hac vita. Nel contesto della saggezza e della giustificazione intramondane si trovano, l una accanto all altra, la giurisprudenza, basata sugli usi e sulle consuetudini e quindi su un presupposto naturale , la virtù (filosofica) della giustizia intesa in senso aristotelico, le leggi ecclesiastiche, la saggezza (in senso di phronesis?), ma anche l Antico testamento con il Decalogo. Tutte istituzioni che portano l uomo ad essere nemico della Grazia. In Lutero non c è alcun presupposto naturale alla fede, tanto meno la filosofia. Aristotele (di cui qui viene citato un passo dell Etica Nicomachea) è il filosofo dell aldiquà. E come della giustizia umana si deve disperare se si vuole approdare alla grazia (concetto che Lutero esprime poche righe più avanti, vedi anche WA 2,493,6s.), così questa filosofia va rigettata se si vuole giungere alla vera sapienza, anche se in seguito sarà proprio l aspetto intramondano ad essere recuperato da Lutero. | 228 | 1519 | Eth. Nic. II,1,1103b,1s.; VI,13,1144b,26-1145a,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 489 | iustus, operari, lex, dictamen-rationis, temperantia, iustificare, opus, vis, usus, iustitia-humana, consuetudo, describere, civilis, ecclesiasticus, ceremonia, prudentia, parere, iustum, fieri, Moses, decalogus, timor, pena, promissio, mercedes, iurare, honorare, deus, parens, occidere, rapere, adulterari, externus, temporalis, mundanus, pax, tranquillitas, Augustinus, phariseus | 138 | In primis itaque sciendum, quod homo dupliciter iustificatur et omnino contrariis modis. Primo ad extra, ab operibus, ex propriis viribus. Quales sunt humanae iusticiae, usu (ut dicitur) et consuetudine comparatae. Qualem describit Aristoteles aliique philosophi. Qualem leges civiles et ecclesiasticae in ceremoniis, qualem dictamen rationis et prudentia parit. Sic enim putant, operando iusta iustum fieri, temperando temperatum, et similia. Hanc facit et lex Mosi, ipse quoque decalogus, scilicet ubi timore penae aut promissione mercedis servitur deo, non iuratur per nomen dei, honoratur parentes, non occiditur, non rapitur, non adulteratur &c. Haec est iusticia servilis, mercenaria, ficta, speciosa, externa, temporalis, mundana, humana, quae ad futuram gloriam nihil prodest, sed in hac vita recipit mercedem, gloriam, divitias, honorem, potentiam, amicitiam, sanitatem aut certe pacem ac tranquillitatem minusque malorum quam ii, qui secus agunt, sicut Christus Pharisaeos describit et beatus Augustinus Rhomanos lib. i. civit. viij. |
Anzitutto bisogna aver chiaro che in due sensi l'uomo si dice giustificato e in due modi del tutto contrari. Nel primo modo è giustificato esteriormente, dalle opere, con le proprie forze. Questa è la giustizia delle norme umane, comparate con l'uso (come si suol dire) e con la consuetudine, la giustizia descritta da Aristotele e dagli altri filosofi, partorita dalle leggi civili ed ecclesiastiche nelle usanze, dai dettami della ragione e dalla saggezza. In questo modo si pensa di diventare giusti facendo azioni giuste, temperanti praticando la temperanza e cose del genere. Questa è anche la giustizia che può venire dalla legge di Mosè e dallo stesso decalogo, quando cioè si serve Dio, non si giura sul nome di Dio, si onorano i genitori, non si uccide, non si ruba, non si commette adulterio e via dicendo solo per timore di una punizione o per la promessa di una ricompensa. Questa è una giustizia da servi o da mercenari, una giustizia falsa, apparente, esteriore, effimera, mondana, umana, che non giova in nulla alla gloria futura, ma che in questa vita riceve ricompensa, gloria, ricchezza, onore, potenza, amicizia, salute o certamente pace e tranquillità, oltre che avversità in misura minore di coloro che si comportano diversamente; e in questo modo Cristo descrive i Farisei e sant'Agostino i Romani nell'ottavo paragrafo del primo libro della Città di Dio. |
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2,493,3-14 | In epistolam Pauli ad Galatas commentarius | E' un passo che si può considerare la conclusione delle premesse esposte nel precedente WA 2,489,24 a proposito di giustizia umana. Lutero sta commentando Gal 2,16, che a sua volta è una ripresa del salmo 112 ( Nessun vivente innanzi a te è giusto ), chiamando in causa la lettera ai Romani e il salmo 13. Aristotele viene nominato come esponente di una filosofia che è opus legis, e che quindi implica un'idea di giustizia non solo molto diversa, come puntigliosamente nota Lutero, ma diametralmente opposta a quella di Cristo. Se i richiami all'inconciliabilità tra Aristotele e Cristo, all'incomprensione scolastica nei confronti del filosofo greco e alla fortuna di Aristotele nelle scuole in parallelo con l'abbandono di San Paolo sono abbastanza comuni in Lutero (anche se non comunque giustificati storicamente), non deve sfuggire la frase con cui si chiude il commento a questo versetto paolino. E' una ripresa della contrapposizione tra la giustizia di Cristo e la giustizia umana, tra il cielo e la terra: ma soprattutto tra Dio che va verso l'uomo e l'uomo che cerca di attingere alle verità celesti. Un'operazione quest'ultima che Lutero non esita a definire sacrilega (impii). Esistono due verità, una celeste e l'altra de terra orta . Il tentativo - tipico della filosofia aristotelica - di giungere al cielo del non contingente, del non temporale, del non effimero a partire da una verità terrestre è da censurare come contrario alla religione; su questo punto Lutero non transigerà mai, neppure quando Aristotele verrà riabilitato nelle università protestanti. | 228 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 493 | opus, lex, iustitia, impietas, moralia, iustificare, sententia, probare, peccatum, iustitia-christiana, iustitia-humana, diversus, contrarius, paulinus, theologia, convenire, mentiri, Christus, Paulus, intelligere, caelum, ascendere, descendere, adducere, oriri | 175, 262 | Propter quod ex operibus legis non iustificabitur omnis caro. Eandem Rhoma. iij. sententiam concludit. Et ibidem late probat ex psal. xiij. Non est iustus, qui faciat bonum &c. Ideo necesse est, opera legis esse peccata: alioquin iustificarent certe. Atque ita clarum est, iusticiam Christianam et humanam esse prorsus non modo diversa, sed contrarias quoque, quia haec ex operibus fit, ex illa fiunt opera. Inde nihil mirum, quod theologia Paulina penitus ceciderit nec intelligi potuerit, postquam ii coeperunt Christianos docere, qui Aristotelis moralia prorsus convenire mentiti sunt cum Christi Paulique doctrina, prorsus nec Aristotelem nec Christum intelligentes. Nostra enim iustitia de coelo prospicit et ad nos descendit. At impii illi sua iusticia in coelum ascendere praesumpserunt et veritatem illinc adducere, quae apud nos de terra orta est. |
Poiché dalle opere della legge non verrà giustificata nessuna carne. Alla stessa conclusione giunge nel terzo capitolo della Lettera ai Romani, dandone un'esauriente spiegazione sulla base del salmo 13: "Non c'è alcun uomo giusto, che faccia il bene" e via dicendo. Perciò le opere della legge non possono essere che peccati: altrimenti renderebbero giusto l'uomo. Così diventa chiaro che la giustizia cristiana e la giustizia umana non sono solo del tutto diverse, ma anche contrarie, perché questa proviene dalle opere, mentre da quella provengono le opere. Niente di strano perciò che la teologia paolina sia caduta in disgrazia e che non si sia riusciti a interpretarla bene da quando i cristiani hanno iniziato ad essere istruiti da coloro che, sapendo di dire il falso, hanno affermato che gli insegnamenti morali di Aristotele sono del tutto consoni con la dottrina di Cristo e di Paolo: ma costoro non hanno capito un bel niente, né di Aristotele né di Cristo. La nostra giustizia infatti provvede dal cielo e discende fino a noi uomini. Quei sacrileghi invece hanno avuto la presunzione di salire al cielo con la loro giustizia e di lì attingere una verità che è nata dalla terra, in mezzo a noi uomini. |
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2,562,1s. | In epistolam Pauli ad Galatas commentarius | Il versetto della Lettera ai Galati preso in considerazione da Lutero è 5,2: Ecco io, Paolo, vi dico che se vi farete circoncidere Cristo non vi sarà di nessun aiuto . Il commento di Lutero estende il significato della circoncisione a tutte le opere umane, nel caso specifico alle indulgenze, che derivano da decreti puramente umani e da una teologia mostruosa, metà Cristo e metà Aristotele. L'epiteto di bestia, mostro e ircocervo rivolto ad Aristotele e ai filosofi e teologi medievali che ne interpretavano le opere è ricorrente in Lutero (cfr. il paragrafo Epiteti nella prima parte della presente dissertazione); spesso, com'è in questo caso, per denunciare le "contaminazioni" della rivelazione con la filosofia. | 228 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 562 | iustitia, monstruosus, theologia, decretum, impius, caput, pes, Christus, regnare, discere | 176 | Has impias iusticias ex decretis hominum et monstruosa Theologia, cuius caput est Aristoteles et pedes Christus, cum sola regnent, discimus. | Questi empi concetti di giustizia noi li impariamo (dal momento che entrambi regnano incontrastati) dai decreti umani e da una teologia-mostro, il cui capo è Aristotele e i cui piedi sono Cristo. | ||
2,586,24-31 | In epistolam Pauli ad Galatas commentarius | San Paolo eretico? Il versetto che qui Lutero sta commentando (Gal 5,17) viene interpretato da Lutero come una negazione consapevole del libero arbitrio. Di qui l ironia di Lutero: il vero fomentatore di eresie non è san Paolo, ma Aristotele, che costituisce la volontà come signora e padrona di tutte le forze umane. E una delle prime dichiarazioni di Lutero in favore della servitù dell arbitrio in materia religiosa, che sfoceranno nel De servo arbitrio del 1525 contro Erasmo. | 228 | 1519 | Eth. Nic. III,5,1113b,3-6; III,5,1114b,24-27 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 586 | voluntas, vis, actus, haeresis, audax, apostolus, ignis, liberum-arbitrium, mirabilis, fieri, auctor, regina, domina, error, gratia, excusatio | 115 | Haec autem sibi invicem adversantur, ut non quaecunque vultis ita faciatis. Vide audacem Apostolum: nihil timet ignem, negat liberum arbitrium quod est mirabile in auribus nostris: dicit, non posse fieri quae volumus cum nos voluntatem constituerimus (autore vel Aristotele) reginam et dominam omnium virium et actuum. Atque hic error et haeresis maxima erat tolerabilis, si hoc dixisset de iis, qui sunt extra gratiam. Nunc, ut nulla sit ei excusatio, quin comburatur, affirmat id de iis, qui spiritu gratiae vivunt. |
Queste cose infatti si oppongono a vicenda, sicché voi non fate tutto ciò che vorreste. Vedi com'è coraggioso l'Apostolo: non ha per nulla paura del rogo degli eretici, nega il libero arbitrio - cosa mirabile per i nostri orecchi: dice che non può realizzarsi tutto ciò che vogliamo, quand'anche avessimo costituito la volontà (su ispirazione di Aristotele) come regina e signora di tutte le nostre forze e di tutte le nostre azioni. Ma questo errore e questa eresia gravissimi erano tollerabili solo se qui san Paolo avesse parlato di coloro che sono fuori dalla grazia divina. Ora (perché san Paolo non abbia alcuna scusa per sottrarsi alle fiamme del rogo) qui dice queste cose per coloro che vivono dello spirito della grazia. |
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2,589,4-13 | In epistolam Pauli ad Galatas commentarius | Il commento di Lutero verte su Gal 5,19-21, in cui san Paolo invita i Galati a deporre le opere della carne, tra cui fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere . Tutte opere, annota Lutero, e non disposizioni costanti dell animo, come Aristotele definiva le virtù e i vizi. La dottrina peripatetica dell habitus morale è dunque da censurare, così come le infinite discordie interpretative riguardanti la sede delle virtù. La filosofia morale viene definita delirio , una pura congerie di pensate vuote e sterili. E l idea stessa di filosofia morale che va rigettata, perché non è in grado di comprendere l'alternativa di carne e di spirito a cui l'uomo è soggetto. | 228 | 1519 | Eth. Nic. II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 589 | vitium, virtus, habitus, anima-rationalis, caro, spiritus, philosophia, apostolus, anima, opus, tribuere, Adam, homo, subiectum, invenire, rationalis, irrationalis, locare, erudire, cogitatio, stultus, vanus, mitigare, peccator, fovea, moralis, delirium, fructus, cognoscere, enumerare | 107 | Apostolus, ignarus Aristotelicae philosophiae, non appellat haec vitia habitus in anima, sed opera ipsa, quibus omnibus unum habitum tribuit, carnem, hoc est totum hominem ex Adam natum. Nam illi adhuc hodie quaerunt subiectum vitiorum et virtutum, necdum invenerunt, an in rationali, an irrationali parte locanda sint. Beatus, quem tu erudieris, domine, et de lege tua docueris, ut liberetur a stultis illis et vanis cogitationibus et mitiges ei a diebus istis pessimis, donec fodiatur peccatori fovea. Igitur cum Apostulo contemptis habitibus aliisque deliriis moralis philosophiae, scito aut carnem aut spiritum te esse et utrunque ex fructibus suis cognosci, quos hic Apostolus aperte enumerat. | L'apostolo, all'oscuro della filosofia aristotelica, non definisce abiti nell anima questi vizi, ma opere e basta; e a tutti questi vizi attribuisce un solo habitus: la carne, cioè tutto l'uomo che nasce da Adamo. Essi infatti sono ancora alla ricerca di un soggetto dei vizi e delle virtù e non hanno ancora scoperto se vanno collocate nella parte razionale o irrazionale dell anima. Beato l'uomo che tu hai istruito, Signore, e al quale hai insegnato la tua legge perché sia liberato da queste costruzioni mentali insensate e vuote; preservalo da questi tempi terribili, finché non sia scavata la fossa ai peccatori. Per questo, una volta disprezzati assieme all apostolo gli habitus con gli altri deliri della filosofia morale, sappi che tu sei o carne o spirito e che ciascuno dei due si riconosce dai suoi frutti, che l'Apostolo elenca esplicitamente. | |
2,590,29-31 | In epistolam Pauli ad Galatas commentarius | Il versetto in questione è Gal 5,20, in cui san Paolo parla delle sectae all'interno della comunità. Tra queste Lutero si sente in dovere di annoverare i teologi che usano di materiale concettuale aristotelico. L'accusa rivolta ad Aristotele di essere, sia pur indirettamente, causa della litigiosità tra le varie interpretazioni è costante in Lutero. | 228 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 590 | sensus-scripturae, Hieronymus, haereticus, intelligere, spiritus-sanctus, theologus-aristotelicus, ecclesia, sententia | 293 | Addit d. Hieronymus, haereticum dici omnem, qui scripturam aliter intelligit quam sensus spiritussancti flagitat, etiam si de ecclesia non recesserit: dura sententia super Aristotelicos theologos. | E san Girolamo aggiunge che va considerato eretico chi, anche se non si sia allontanato dalla Chiesa, interpreti la scrittura in modo diverso da quello che il senso spirituale esige: un giudizio duro per i teologi aristotelici. | ||
2,662,33-36 | Ad aegocerotem Emserianum M. Lutheri additio | Aristotele è chiamato in causa assieme a Cicerone solo per ridicolizzare Emser, che aveva giudicato eretiche alcune tesi di Lutero in quanto sarebbero piaciute agli eretici boemi Wyclif e Hus. Lutero ribatte che "ciò che piace agli eretici" e "ciò che dispiace agli eretici" diventano due nuovi loci di una Topica onnicomprensiva, a cui si possono ridurre quelli già elaborati da Aristotele e Cicerone. Sullo sfondo, resta il motivo della conoscenza di Aristotele da parte di Lutero, che non perde occasione per mostrare la scarsa aderenza dei suoi interlocutori polemici al dettato aristotelico. Da notare infine il riferimento a Cicerone. Lutero elogia l oratore romano in un anno, il 1519, in cui l influsso di Melantone non si era ancora fatto sentire. | 187 | 1519 | Top. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 662 | locus, Cicero, theologus, invenire, auctor, genus, dicere, placitum, displicitum, haereticus | 294 | Igitur duos novos locos tu et theologi tui invenerunt, quos nec Aristoteles nec Cicero, Topicorum insignes auctores, invenire potuerunt, qui tales sunt ac tanti, ut vice omnium aliorum sint in quovis dicendi genere: hii sunt placitum et displicitum haereticorum. | E così tu e i tuoi teologi avete rintracciato due nuovi loci che né Aristotele né Cicerone, eminenti autori di Topici, hanno potuto inventare e i vostri loci sono di tal fatta e tanto importanti che possono sostituire tutti gli altri in qualsiasi genere di proposizione. Essi sono ciò che incontra il consenso degli eretici e ciò che non incontra il consenso degli eretici . | |
2,674,37-39 | Ad aegocerotem Emserianum M. Lutheri additio | Emser, come Prierio ed Eck, è uno degli interlocutori polemici di Lutero, che insiste di più nel contestare le sue posizioni in merito al primato di Pietro. La risposta di Lutero tende a mettere in ridicolo le argomentazioni di Emser, che facevano leva in larga parte su argomenti di natura aristotelica. In particolare Lutero afferma che, se fossero adeguati i procedimenti seguiti da Emser, il principe degli apostoli non sarebbe stato Pietro ma Mattia, l'apostolo che subentrò dopo il suicidio di Giuda (At 1,15-25). Infatti, spiega Lutero, i primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi: per cui è giusto che l'ultimo arrivato sia anche il primo tra gli apostoli. Non meno forzata ma più interessante la successiva argomentazione, in cui Lutero afferma che Giuda, che teneva i cordoni della borsa (e quindi anche il suo successore Mattia che ricopriva la stessa funzione) e non Pietro fu il predecessore del Pontefice, vista la sete di denaro dei Papi. Argomento che viene giustificato con due principi della Fisica aristotelica: le cose sono conformate come viene disposto dalla loro natura e gli effetti si riconoscono dalle cause. Le due argomentazioni sono usate con intento ironico se non satirico, ma testimoniano il buon grado di conoscenza di due principi aristotelici. | 187 | 1519 | Phys. II,8,199a,9s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 674 | nasci, causa, effectus, Matthias, papa, vicarius, cognoscere | 99 | Ergo Matthias est vere Papa et vicarius Christi, cum iuxta Aristotelem idem natum facere sit idem et ex effectu causa cognoscatur. | E perciò Mattia è veramente Papa e vicario di Cristo, dal momento che per Aristotele una cosa è siffatta, così come è disposta per natura e dall'effetto si riconosce la causa. | |
2,704,8-14 | Ad I. Eccium M. Lutheri epistola super expurgatione Ecciana | Lutero respinge le obiezioni di Eck in tema di purgatorio e Trinità: due dogmi cristiani che egli dichiara di accettare in pieno. L'accusa perciò si ritorce contro Eck, che combatterebbe contro i fantasmi e si vanterebbe di vittorie conseguite contro nemici creati dalla sua stessa fantasia. Il passo citato inizia ironicamente con una lode ad Eck. Di sottofondo c'è il tema, usuale in Lutero, della contaminazione tra Cristo e Aristotele. Un secondo tema, meno frequente ma non meno tipico, è l'accusa di ambiguità rivolta ad Aristotele, ironicamente definito syncerus e apertus, mentre la sua specialità consiste nello stravolgere il significato delle parole. Un'accusa quanto mai radicale, che abbassa Aristotele al rango di un sofista e che mira a delegittimare la validità dell'intero apparato concettuale del filosofo. Da notare il ricorrere dei termini larva e Chymera, frequente in Lutero in riferimento ad Aristotele o alla sua filosofia. Anche in questo caso la critica è appena accennata ma radicale: la filosofia aristotelica non è uno strumento valido per "aggredire" la realtà in quanto tale, risolvendosi in un puro affastellamento di invenzioni. | 170 | 1519 | Soph. el. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 704 | Elenchista, syncerus, apertus, alienare, larva, disputator, prudens, tutus, ratio, disputare, Christus, imitari, significatio, verbum, virtus, summus, chymera, consentire, referre, fingere, vincere | 52 | Ego vero te laudo prudentissimum disputatorem, qui tutissimam tibi disputandi rationem inveneris et in Christo quaerendo Elenchistam Aristotelem syncerus syncerum imitaris apertusque apertum, ut alienatis a propria significatione verbis (quae est summa illius et una virtus) contra Chymeras pugnes, quae referire nequeant, interim aperte consentiens illorum verbis, cum quibus disputas. Quid refert, domi sedeas, triumphis et coronis te obruas de larvis a te fictis et victis? | Io perciò ti lodo come disputatore quanto mai saggio, tu che ti sei inventato un affidabilissimo metodo argomentativo e ricercando Cristo imiti Aristotele, l'autore degli Elenchi: sincero tu, sincero lui, senza segreti tu e senza segreti lui, così che, spogliate le parole del loro proprio significato (il che è la sua più raffinata e singolare specialità) tu combatti contro le Chimere, che non possono restituirti i colpi, e nel frattempo ti dichiari del tutto d'accordo con le parole di coloro con i quali ti trovi a disputare. Ma a cosa ti serve startene a casa tua e coprirti dei trionfi e delle corone d'alloro delle ombre partorite e sbaragliate dalla tua fantasia? | |
2,704,23-27 | Ad I. Eccium M. Lutheri epistola super expurgatione Ecciana | Le risposte di Lutero ad Eck hanno sempre il sapore di un regolamento di conti personale; Lutero ne aveva ben donde, Eck era stato l'unico a fargli ammettere, nella disputa di Lipsia, che le sue dottrine deviavano da quelle cattoliche. Anche in questo caso il tono è quello dell'attacco personale. Eck è accusato soprattutto di essere ipocrita, mentitore (simulator), così come il suo maestro Aristotele. Due cose meritano di essere messe in rilievo al proposito. La prima è l'accusa di impiissimus inter philosophos: Il termine impius è un improperio, ma non usato a caso; bensì nell'accezione tecnica di nemico della religione . E' precisamente nel campo della filosofia (inter philosophos) che l'irreligiosità di Aristotele si manifesta, prima ancora che in campo teologico, quando le sue dottrine vengono interpretate nel contesto della Rivelazione. In secondo luogo il tema dell'ambiguità di Aristotele trova qui una sua nuova specificazione. Aristotele è un filosofo che di proposito non volle mai affermare qualcosa apertamente, ma si trincerò sempre dietro formulazioni ambigue, che lasciavano campo aperto alle più disparate interpretazioni. | 170 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 704 | simulator, sycophanta, impius, uri, veritas, theologia, aboleri, impiissimus, videri, dicere, magister, dignus | 26 | Uror ego utrinque nimis et miserens tui et indignans tuae maledictae simulationi. Desine tu veritatem Theologiae quaerere. Abolita est fides tui: ad sycophantam tuum Aristotelem, impiissimum inter philosophos simulatorem, redi, qui nunquam id voluit dicere videri quae dixisset: Magister hic tuus est dignissimus. | Io brucio per due ragioni: sia per la compassione che provo per te, sia per l'indignazione di fronte alla tua maledetta ipocrisia. E tu smettila di cercare la verità teologica. Di aver fiducia in te non se ne parla più: tornatene dal tuo impostore Aristotele, il più sacrilego ipocrita tra tutti i filosofi, che non volle mai far sembrare di aver detto ciò che aveva effettivamente detto: è proprio il tuo maestro, ne è più che degno. | ||
2,708,2-7 | Ad I. Eccium M. Lutheri epistola super expurgatione Ecciana | Si tratta del brano che conclude l opera. Nella requisitoria finale contro Eck (in cui Lutero invita il suo avversario a leggere quanto lo riguarda nello scritto per Emser Ad aegocerotem Emserianum M. Lutheri additio) c è spazio anche per Aristotele, definito principe delle tenebre, e per l accusa, rivolta agli scolastici, di non riuscire neppure a capire Aristotele. Il sillogismo a cui Lutero fa riferimento è quello con cui Eck, analizzando le tesi luterane sulle indulgenze, conclude che le posizioni di Lutero sono eretiche. A questo sillogismo Lutero aveva in precedenza risposto dicendo che o Eck accetta le sue tesi o non può che essere definito pelagiano. | 170 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 708 | princeps-tenebrarum, intelligere, syllogismus, ecclesia, Christus, nocere, morio, boemus, orare, aegoceros, emserianus | 27, 263, 311 | Erit autem prope diem, ut appareat, An tu cum tuis per principem tenebrarum Aristotelem, quem nec ipsum intelligitis, vel ego Ecclesiae Christi plus nocuerim. Et ad syllogismum tuum quovis morione dignum, quod Boemi me laudent, pro me orent, responsum tibi quoque est in Aegocerote Emseriano. Vale et dominus Ihesus sanet animam tuam inaeternum. Amen. |
Ma verrà presto il giorno in cui sarà chiaro se avrai recato maggior danno alla chiesa di Cristo tu con i tuoi attraverso il principe delle tenebre Aristotele (che voi non arrivate neanche a capire), oppure io. E per quanto riguarda il tuo sillogismo degno di un buffone qualsiasi, che i Boemi mi lodino, che preghino per me: mentre per te la risposta è nello scritto per il capricorno emseriano . Addio: e il Signore Gesù guarisca la tua anima in eterno. Amen. |
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3,94,17-19 | Dictata super Psalterium | Nominato solo da pochi mesi dottore in teologia, Lutero venne incaricato di tenere a Wittenberg lezioni sui Salmi, che durarono dal 1513 al 1515. In questi testi non è infrequente imbattersi in valutazioni positive di Aristotele. Il salmo qui analizzato è il decimo, e Lutero sta interpretando le parole Oculi et palpebrae che vengono intesi con gli occhi aperti del giusto e quelli chiusi al bene del malvagio, anche se una totale chiusura al bene non è possibile nell'uomo. Si tratta di una concezione teologica ancora agostiniana che negli anni successivi Lutero abbandonerà. Ratio deprecatur ad optima, un'affermazione aristotelica che negli anni successivi farà scandalizzare Lutero, qui invece viene giudicata pulchra expositio, perché esprime una tendenza al bene che è insopprimibile in ogni uomo. Da notare anche l'uso, in correlazione con questa espressione, col termine scolastico syntheresis. | 593 | 1513-1515 | Eth. Nic. I,13,1102b,15s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 94 | ratio, deprecari, optimum, syntheresis, malus, murmur, expositio, pulcher | no | Quia nullus est tam malus, quin sentiat rationem murmurum et syntheresium, iuxta illud: Ratio semper deprecatur ad optima. Et ista expositio est pulchra valde. | Poiché nessuno è tanto malvagio da non percepire la ragione dei rimproveri della coscienza e delle sinderesi, secondo il famoso detto: la ragione incita sempre alle cose migliori. Un simile modo di esprimersi è molto bello. | |
3,100,29-30 | Dictata super Psalterium | Questo passo dell'Historia animalium doveva aver impressionato grandemente Lutero, che lo cita in più di un'occasione, soprattutto però (cfr. WA 5,416,6) per commentare i salmi (in questo caso Sal 139,4, citato anche da san Paolo in Rom 3,13). In questo caso Aristotele è citato esplicitamente: segno che per il Lutero di quegli anni è un autore ancora presentabile , almeno come fonte di informazioni di carattere scientifico. | 593 | 1513-1515 | Hist. anim. VIII,29,607a,22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 100 | aspis, ictus, Affrica, remedium, gignere | no | Ps. 9. Aspis in Affrica gignitur, cuius ictui nullum est remedium. Aristoteles. | L'aspide proviene dall Africa e al suo morso non c è alcun antidoto. Aristotele. | |
3,223,22-26 | Dictata super Psalterium | In questo passo (Lutero sta analizzando il salmo 38) la coppia potenza/atto viene letta da Lutero quasi in senso morale, identificando l'atto col bene e la potenza col male, con un'esplicita citazione del primo libro della Fisica. Ma Aristotele non riteneva che la potenza fosse male o non-essere semplicemente, ma per accidente. Che poi la forma desideri il suo contrario, cioè la materia, e che quindi in qualche modo sia protesa alla propria distruzione, è affermazione che viene delineata in Fisica I,9 solo come un'ipotesi che in seguito viene smentita. Infatti la forma non ha bisogno di tendere alla materia, ma viceversa. Significativo comunque il fatto che Lutero in questi anni accetti senza molte discussioni l'apparato concettuale aristotelico, e anche le distinzioni tra potenza e atto, materia e forma, che in seguito contesterà. Così come abbandonerà del tutto l'idea di un'interpretazione morale o spirituale di Aristotele, operazione che invece tenterà di realizzare con Platone (cfr. WA 59,424,4-426,10). | 593 | 1513-1515 | Phys. I,9,192a,13-24 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 223 | potentia, actus, bonum, malum, materia, res, constare, firmitas, infirmitas, bonitas, malitia, machinari, maleficium | no | Et in omni re actus est mysterium boni, potentia autem mali. Quia omnis res constat ex infirmitate et firmitate, ex bonitate et malitia, ex potentia et actu. Et in qualibet est reperibile quid de potentia et infirmitate, qua machinatur ad maleficium, sicut de materia dicit philosophus 1. physicorum. | E in ogni cosa il mistero del bene è l'atto e il mistero del male la potenza. Ogni cosa infatti è costituita di debolezza e di forza, di bontà e di malvagità, di potenza e atto. E in ogni cosa si può trovare un che di potenzialità e di debolezza, che cospira alla corruzione del tutto, così come a proposito di materia dice il Filosofo nel primo libro della Fisica. | |
3,382,19-25 | Dictata super Psalterium | Lutero sta commentando il salmo 65 e dal versetto 17 ( Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio, e narrerò quanto per me ha fatto ) trae lo spunto per criticare chi affronta i misteri cristiani, soprattutto la Trinità, con leggerezza e con spreco di parole. Un atteggiamento inevitabile, osserva Lutero, dal momento che i teologi di ogni scuola hanno Aristotele per maestro. Emerge qui un tema costante della critica luterana verso Aristotele. Il filosofo è accusato di essere un chiacchierone, che fa spreco di parole per argomenti che meriterebbero trattazioni più concise, ma anche che tratta con leggerezza argomenti più grandi di lui. In secondo luogo viene criticata l audacia del filosofo; un termine che va inteso nel significato di temerarietà o impudenza, e che prelude già all accusa di impietas, altrove formulata da Lutero. L audacia consiste nell applicare il metodo razionale a realtà che la ragione non può (o non deve) indagare. | 593 | 1513-1515 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 382 | loquaciter, audacter, disputare, opinio, discere, divinum, odium, thomista, scotista, sacer, nomen, caelum, terra, infernus, tremere, timor, lingua | 17 | Sed quia ex Aristotele didicimus loquaciter et audacter de rebus disputare, putamus eandem loquacitatem et audaciam etiam ad divina transferendas. Hinc est, quod ego odio habeo opiniones istas tam audaces Thomistarum, Scotistarum et aliorum, quia sacrum dei nomen, in quo signati sumus, quod celum, terra et infernus tremit, adeo sine timore tractant et exaltant super linguam, deprimunt autem sub lingua. | Ma poiché da Aristotele abbiamo imparato a disputare su qualsiasi cosa senza risparmio di parole e in modo sconsiderato, siamo convinti che la stessa logorrea e la stessa impudenza possano essere applicate allo stesso modo alle realtà divine. Di qui viene la mia avversione per questa congerie di opinioni così impudenti come quelle dei tomisti, degli scotisti e di altri, perché il sacro nome di Dio, nel quale siamo segnati, per il quale cielo, terra e inferno tremano, viene trattato ed esaltato da loro senza alcun timore, almeno esteriormente, perché in realtà lo disprezzano. | ||
3,422,35-423,4 | Dictata super Psalterium | Al centro del commento di Lutero è Sal 68,4 ( Sono sfinito dal gridare, riarse sono le mie fauci; i miei occhi si consumano nell'attesa del mio Dio ). Occhi di Cristo in senso allegorico sono i contemplativi nella Chiesa, che negli ultimi tempi, denuncia Lutero, sono venuti meno in gran numero, attratti dalle lusinghe del mondo. Tra le cause di abbandono della veste talare o del saio c'è anche lo studio di Aristotele. Lo studio di Aristotele per Lutero dunque non si addice ai religiosi. Anzi, come il filosofo è la rovina dell'università, così è anche il tarlo degli ordini religiosi, che secondo Lutero trascurano i loro obblighi per dedicarsi a uno studio vano, non meno pericoloso per il cristianesimo che i piaceri, il denaro e il potere. | 593 | 1513-1515 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 423 | contemplativus, studiosus, Christus, oculus, meditare, lex, director, prelatus, avarus, luxuriosus, superbus, defecere, lucrum, voluptas, ambitio, ius, traditio, philosophia, lectio-divina | 273 | Allegoriter oculi Christi sunt studiosi et contemplativi in Ecclesia, meditantes die ac nocte in lege Domini, aliorum directores, maxime enim prelati, qui utramque vitam ducere debent. Sed per multitudinem avarorum, luxuriosorum, superborum vehementer minoratus est numerus talium et defecerunt valde: alii in lucra, alii in voluptates, alii in ambitiones, multi etiam in iura et traditiones hominum, et non pauci ad philosophiam Aristotelis. Hi omnes, quia deserunt divine lectionis studium, ideo deficiunt oculi Christi in Ecclesia. | In senso allegorico gli occhi di Cristo sono coloro che nella Chiesa si dedicano allo studio e alla contemplazione, meditano giorno e notte sulla legge del Signore e sono direttori spirituali di altri, soprattutto prelati, che devono condurre entrambi i tipi di vita. Ma a causa del gran numero di uomini avidi, lussuriosi, superbi, il numero dei contemplativi è diminuito drasticamente e molti se ne sono andati del tutto: alcuni per i soldi, altri per i piaceri, altri per la carriera, molti perché attratti dalle leggi e dalle tradizioni umane e non pochi dalla filosofia di Aristotele. Tutti costoro hanno abbandonato lo studio della parola di Dio: ecco perché si consumano gli occhi di Cristo nella Chiesa. | ||
3,517,33-35 | Dictata super Psalterium | Per Lutero i metodi interpretativi che si usano con i testi profani non sono adeguati alle Scritture. Nessuna libera discussione di esperti, dunque, che contraddistingue il sapere mondano, è valida per la Bibbia: l unico metodo valido è quello di chi si attiene alla lettera. Aristotele, invece, è emblema di un sapere laico e profano i cui contenuti non solo possono essere legittimamente messi in discussione, ma anzi sembrano istituiti apposta per scatenare le dispute e le interpretazioni più contrastanti, come il verbo contradicere indica. | 593 | 1513-1515 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 517 | scriptura, doctrina, contradicere, prophanus, sapiens, magister, sanctus | no | Igitur in Scripturis sanctis non sicut in Aristotele faciendum est: Ubi sapienti licet contradicere sapienti. Quia ibi qualis Magister, talis est eius et doctrina, prophanus et prophana; hic autem sanctus et sancta. | Perciò in tema di sacre Scritture non si deve fare come quando si legge Aristotele: attività nella quale all'esperto è lecito contraddire l'esperto. Poiché la natura del maestro è la stessa della dottrina da lui insegnata: profano e profana nel caso di Aristotele, santo e santa per le Scritture. | ||
3,560,33-561,2 | Dictata super Psalterium | Aristotele è chiamato in causa solo indirettamente, come autore della Metafisica, un testo che Lutero evidentemente riteneva fosse il più concettualmente denso tra quelli scritti dal filosofo greco. In questo passo Lutero commenta Sal 77,2 (riportato anche da Mt 13,35 in riferimento a Cristo). Evidente l'influsso su Lutero della mistica tedesca e di Taulero. L idea di una intelligenza diretta del divino superiore ad ogni filosofia, idea di chiare origini mistiche, non sarà mai del tutto abbandonato da Lutero e troverà una figura-simbolo in Platone. | 593 | 1513-1515 | Metaph. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 560 | parabola, mystica, verbum, locutio, philosophia, sapientia, discere, creatura, eruditio, sapientia-dei, verbum-dei | 192 | Plus philosophie et sapientie est in isto versu: Aperiam in parabolis os meum quam si mille metaphysicas scripsisset Aristoteles. Quia hinc discitur, quod omnis creatura visibilis est parabola et plena mystica eruditione, secundum quod sapientia dei disponit omnia suaviter et omnia in sapientia facta sunt. Omnisque creatura dei verbum dei est: Quia ipse dixit et facta sunt . Ergo creaturas inspicere oportet tanquam locutiones dei. | C'è più filosofia e sapienza in questo versetto: "Aprirò la mia bocca in parabole" che se Aristotele avesse scritto mille Metafisiche. Di qui infatti si comprende che ogni creatura visibile è una parabola ed è ripiena di sapienza mistica; e in questo senso la sapienza di Dio dispone ogni cosa in modo armonico e tutte le cose sono state fatte nella sapienza. Perciò ogni creature di Dio è una parola di Dio: "Poiché Egli parlò ed esse furono create". Per questo bisogna guardare alle creature come "locuzioni di Dio". | |
3,587,9-18 | Dictata super Psalterium | Nel commento di Lutero a questo versetto (Sal 77,45 "Mandò mosche a divorarli e rane a molestarli") Aristotele viene indirettamente paragonato alla rana, simbolo della verbosità e della superficialità di chi parla solo per parlare. E' una variazione sul tema (medievale) della prolissità di Aristotele, tema che Lutero sfrutta ampiamente. | 593 | 1513-1515 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 587 | rana, loquacitas, garrulitas, loquela, lacus, musca, ordo, zelus, contentio, intelligere, vitium, iudaeus, loquela, spiritualis, vox, auditus, palus, scriptura, morari, thalmudicus, haereticus | 274 | 3. Sane in Exodo Rana ponitur secundo loco et Musca pro tercia plaga, hic autem per oppositum. Sed ordo parum refert. Nisi forte quia ex zelo et contentione quandoque oritur loquacitas, quandoque econtra. Est igitur Rana loquacitas et garrulitas rerum, quas non intelligunt. Quod vitium est Iudeorum et omnium, qui suas loquelas tantum audiri volunt: qui nihil spirituale loquuntur, quod deus agnoscat, sicut Rana non loquitur aliquid intelligibile, sed tantum voce sua auditui molesta est. Et sicut Rana in paludibus: ita illi in scripturis lacuosis et non vivis morantur, hoc est in suis Thalmudicis, et nostri in Aristotelis lacubus, Heretici in suis authoribus. | 3. Effettivamente nell'Esodo le rane sono al secondo posto, mentre le mosche sono il terzo flagello, mentre qui è il contrario. Ma l'ordine ha poca importanza, se non forse perché alcune volte dalla gelosia e dalla rivalità nasce la verbosità, altre volte invece avviene il contrario. La rana pertanto simboleggia la verbosità e la superficialità in argomenti che neppure si conoscono. E' un vizio tipico dei Giudei e di tutti che amano solo che la loro logorrea venga ascoltata: ma non dicono nulla di spirituale, che Dio riconosca, così come la rana non dice nulla di comprensibile, ma il suo verso è solamente molesto all'udito. E come la rana nelle paludi, così essi si soffermano su scritti stagnanti e non vivi, cioè sul loro Talmud, mentre i nostri sono impelagati nelle paludi di Aristotele e gli eretici nei loro autori. | ||
4,3,26-35 | Dictata super Psalterium | In questa analisi di Sal 84,14 ("davanti a lui camminerà la giustizia e guiderà sulla strada i suoi passi") ritorna la citazione del passo dell'Etica Nicomachea più noto a Lutero, quello in cui Aristotele espone un passaggio fondamentale della sua dottrina morale: il concetto di habitus come disposizione costante nel tempo, capace di rendere moralmente buono l'atto dell uomo. Da notare il fatto che, in anni in cui il giudizio di Lutero su Aristotele non è ancora del tutto formato, l'opposizione a questo principio dell'Etica è già ben definita. Lutero si appoggia anche su un principio fisico: solo un corpo già caldo può trasmettere il calore; allo stesso modo solo un uomo reso già giusto può compiere azioni giuste. Singolare, infine, l'accostamento tra Aristotele e gli ebrei, accomunati da una "religione delle opere". | 593 | 1513-1515 | Eth. Nic. II,1,1103b,1s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 3 | iustus, operari, opus, Iudaeus, natura, ambulare, iustum, iustitia, agere, apprehendere, gressus, perverse, existere, natura, calefacere, calefieri | 123 | Iustitia ante eum ambulabit . Melius sic: id est operabitur iusta, quia iustus primum. Et non erit iustus, quia operetur primum. Hoc est: Non ex operibus erit eius iustitia, sed opera eius erunt ex iustitia: quod est contra Iudeos et superbos, qui ante iustitiam ambulant. Quia prius operari et agere et sic iustitiam apprehendere se putant. Et ideo non ponunt in via gressus suos, sed potius viam in gressus suos perverse, volentes hanc esse iustitiam, quod operantur. Et hoc etiam contra Aristotelem est dicentem Operando iusta iusti efficiuntur : sed sic: Existendo iusti iusta operantur . Et hoc omnis natura docet: quia non calefaciendo aliquid calefit, sed calefactum calefacit. | La giustizia camminerà davanti a lui . Meglio ancora così: egli compirà azioni giuste, perché prima ancora di compierle sarà giusto. E non invece: sarà giusto, perché in primo luogo si darà da fare. La giustizia cioè non gli verrà dalle sue opere, ma saranno le sue opere a venire dalla giustizia. Tutto ciò va contro i Giudei e i superbi, che camminano davanti alla giustizia, perché prima di tutto si preoccupano di darsi da fare e di agire e, così facendo, credono di imparare la giustizia. E perciò non mettono i loro passi sulla strada, quanto piuttosto, stravolgendo tutto, identificano la via con i loro passi, pensando che quella sia giustizia, dal momento che essi sono impegnati nelle opere. Tutto ciò vale anche nei confronti di Aristotele che afferma: Compiendo azioni giuste essi diventano giusti , mentre in realtà è così: Essendo giusti si compiono azioni giuste . Qualsiasi realtà naturale insegna questo principio, perché un corpo non diventa caldo riscaldandone altri, ma li può riscaldare solo in quanto è già caldo. | |
4,19,18-30 | Dictata super Psalterium | Il versetto commentato è lo stesso di WA 4,3,22 ("davanti a lui camminerà la giustizia e guiderà sulla strada i suoi passi"). E anche il contenuto del commento di Lutero è analogo, salvo una minore concisione nelle argomentazioni. All'inizio Lutero tenta di conciliare, in modo peraltro piuttosto faticoso, il versetto biblico con l'esempio già citato del calore e del corpo caldo. Segue poi la glossa di Etica Nicomachea II,1,1103b,1s., che però presenta una significativa divergenza rispetto alle altre citazioni luterane. Qui infatti Lutero in qualche modo "salva" Aristotele dicendo che "operando iusta iusti efficiuntur" è un'affermazione che va intesa nel senso di una disposizione (habitus) non perfetto. Solo quando la volontà dell'uomo sia resa giusta (è implicito: dalla grazia) la frase di Aristotele è corretta. In sostanza però Lutero non cambia le sue posizioni, cambia solo il giudizio, che è più mite del solito, verso Aristotele. Anche il contesto teologico della critica luterana ad Aristotele, infine, è presentato più ampiamente, con riferimento al peccato originale e alla giustizia originale, quella che caratterizzava la condizione umana prima del peccato di Adamo. | 593 | 1513-1515 | Eth. Nic. II,1,1103b,1s.; |
Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 19 | iustus, operari, opus, habitus-perfectus, imputare, calescere, calefacere, calidus, calor, ignis, operatio, gressus, visus, videre, voluntas, procedere, superbus, imputare, iustitia-humana, iustitia-dei, peccatum-originale, meritorius | 124 | Sicut ergo non valet dicere: Ignis calescit, quia calefacit, sed quia calescit seu calidus est, ideo calefacit, et ita calor ante ignem ambulat et ponit in via, id est operatione gressus: sic iustitia ante ambulat (id est operatur prius quam ipse) et ponit in via gressus suos. Non enim habeo visum, quod video, sed quia habeo visum, ideo video. Unde nec Aristoteles sic intelligendus est, quod quis iusta operari possit nondum iustus. Sed non potest perfecto habitu. Oportet enim esse iustum in voluntate et sic in opus procedere. Contra autem superbi, qui ex eo quod operantur, volunt sibi imputari iustitiam, et non prius imputari sibi iustitiam, ut operentur. Et hec est iustitia humana, que ex operibus fit et imputatur, sed illa est iustitia Dei, que est ante omne opus. Sicut peccatum originale est ante omne opus nostrum malum: sic fuisset iustitia originalis ante omne opus nostrum bonum. Cuius loco nobis nunc iustitia Christi datur ante omne opus meritorium. | Perciò è sbagliato dire che il fuoco è ardente perché riscalda, al contrario: è ardente (o è caldo, che è la stessa cosa) e perciò riscalda. In questo modo il calore cammina davanti al fuoco e guida sulla strada, cioè mette all'opera, i suoi passi; e così come il fuoco è anche la giustizia che cammina davanti a lui (cioè è all'opera prima ancora di lui) e guida sulla strada i suoi passi . Infatti io non ho la vista perché vedo, ma vedo in quanto ho la vista. Allo stesso modo non si deve pensare che Aristotele abbia affermato che si possano compiere azioni giuste senza essere giusti: si possono compiere sì, ma solo con una disposizione non perfetta. E necessario essere giusti nella volontà, solo poi si può passare all'azione. Questo è il contrario di ciò che fanno i superbi, che pensano di guadagnarsi la giustizia per il semplice fatto di compiere le opere, e non di attribuirsi la giustizia per compiere poi le opere buone. Questa è giustizia umana, che proviene ed è attribuita dalle opere, mentre quella è giustizia di Dio, che viene prima di ogni opera. Allo stesso modo anche il peccato originale viene prima di ogni nostra opera malvagia, così come sarebbe stato per la giustizia originale, che avrebbe preceduto ogni nostra opera buona. Ma al posto di questa giustizia ora ci è data la giustizia di Cristo, che precede ogni opera meritoria. | |
4,29,1-5 | Dictata super Psalterium | Nel corso della spiegazione di Sal 86,5 ("Non si dirà forse di Sion: - Ogni uomo è nato in essa - ? Ed egli stesso l'ha stabilita, l'Altissimo!") Lutero sta esaminando una possibile interpretazione diversa da quella proposta in precedenza. Il richiamo ad Aristotele è del tutto esteriore, se non fosse per il fatto che proprio una citazione così casuale e marginale conferma l'ipotesi secondo cui per Lutero Aristotele è "il" filosofo per definizione, l'emblema stesso della filosofia. | 593 | 1513-1515 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 29 | philosophus, homo, Christus, nasci, praedicare, fundare, Achilles | no | Possit autem et sic intelligi: Ad Zion dicetur Homo (id est narrabitur ei Christus homo). Et (supple narrabitur ei) homo (supple idem) natus est in ea et ipse &c. Q. d. Sion audiet hominem sibi predicari. Et ille homo est natus in ea et ipse fundavit. sicut si diceres: Narrabitur tibi philosophus Aristoteles vel Achilles &c. | Si può anche intendere in questo modo: Un uomo sarà detto a Sion (nel senso che a Sion verrà raccontato dell uomo Cristo). E (integra: le verrà narrato) un uomo (integra come sopra) che è nato tra le sue mura ed egli eccetera. Come dire: Sion ascolterà un uomo che predicherà per lei. E quest uomo è nato in questa città, egli stesso l ha fondata. E come se si dicesse: ti sarà narrato del filosofo Aristotele, o di Achille, ecc. | ||
4,186,31-33 | Dictata super Psalterium | Lutero ha a che fare con una particolarità interpretativa di Sal 103,17 ("Là gli uccelli fanno il nido, la cicogna sui cipressi ha la sua casa"). La sua fonte in questo caso è Faber Stapulensis, Quinc. Psalm. f.151 ("ejrwdio;n Aristoteles eam vocat, quam nostri ardeam, quam et verum est in altissimis nidos struere arboribus"), il riferimento ad Aristotele dunque è solo indiretto. | 593 | 1513-1515 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 186 | erodium, ardea, domus, exponere, intelligere, falco, gryphs | 157 | Erodii domus dux est eorum &c. Erodium varie exponunt. Aristoteles ardeam intelligit, alii falconem, alii gryphem. |
Il nido della cicogna è la loro guida ecc. Erodium è interpretato in varie maniere. Aristotele intende airone, altri falcone, altri ancora grifone. |
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4,356,30-38 | Dictata super Psalterium | Il commento a Sal 118,105 ("una lucerna per i miei piedi è la tua parola, una luce sui miei sentieri") offre il destro a Lutero per una esaltazione dell'attitudine pratica a sfavore di quella speculativa. Nella fede la vita pratica è come una luce viva, mentre la speculazione è una lucerna che racchiude una candela. Significativo il fatto che a testimonianza di queste affermazioni sia chiamato proprio Aristotele, il filosofo che proprio nella Metafisica (qui citata) ha teorizzato la superiorità della vita speculativa sulla vita pratica: una contraddizione di cui Lutero sembra non avvedersi. Non è questo l unico passo infatti in cui Lutero trascura l aspetto contemplativo della filosofia aristotelica. | 593 | 1513-1515 | Metaph. I,1,981a,12s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 356 | practicus, speculativus, expertus, fides, experientia, lumen, semita, incipere, via, cognoscere, pes, operari, credere, affectus, illuminatus, philosophus | 72 | Quia verbum includit lumen sicut lucerna candelam, et hoc pedibus. Sed semitis est lumen non ita clausum. Cur hoc? Nisi quod primo fides incipientis est minus clara et magis clausa menti ac velut lucerna. Sed ubi ire ceperis et facere quod credis, iam via clarius cognoscitur quam pedes tui, ita ut clarius lumen habeas ex operando, quam solo affectu credendo. Quia dum credis, clausum habes lumen in affectu, sed dum operaris, iam velut educto lumine per experientiam duceris in via recte. Multo enim illuminatiores sunt in fide practici quam speculativi, ut etiam philosophus dicit in metaphisicis, quod expertus certius operatur. | E la parola ha in sé una luce, così come dentro la lucerna c è la candela, e questo vale per i piedi. Ma la luce adatta per i sentieri non se ne sta così chiusa. Perché allora il salmo fa questa distinzione? Se non in primo luogo perché per chi muove i primi passi la fede è meno evidente e più nascosta all'intelligenza, quasi come in una lucerna? Ma quando si comincia a camminare e ad agire secondo ciò che si crede, la via diventa ormai più famigliare dei propri piedi, così che si trae una luce più vivace dall'agire che dal puro credere con il cuore. Perché finché ti limiti a credere hai una luce chiusa nel tuo cuore, ma quando agisci è come se avessi tirato fuori la luce: sei condotto sulla retta via dall'esperienza. Nella fede infatti i pratici sono molto più illuminati degli speculativi, come anche il Filosofo dice nella Metafisica: chi è pratico agisce con maggior sicurezza. | |
4,459,23-29 | Dictata super Psalterium | Il versetto in questione è Sal 148,8 ("fuoco e grandine, neve e nebbia, vento di bufera che obbedisce alla sua parola"). Lutero ne trae motivo di condanna per la Meteorologia di Aristotele (da lui studiata ad Erfurt tra il 1503 e il 1505), che spiega i fenomeni atmosferici in chiave puramente naturalistica, senza interpretarli come causati dalla parola di Dio. Anche in questo caso il rimprovero è mosso direttamente ad Aristotele e solo di conseguenza ai suoi interpreti medievali che lo seguono pertinacius. | 593 | 1513-1515 | Meteor. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 459 | naturaliter, malum, oculus, stultus, casus, fieri, agere, impaciens, maledicus, blasphemus, malum, deus, laudare, verbum-dei, pertinaciter, sequi | 153 | Hec dicit verbum Dei facere... Hoc ideo secundum b. Augustinum, quia ista in oculis stultorum precipue videntur temere et inutiliter atque casu fieri et agere: inde fiunt impacientes, maledici et blasphemi. Ideo ad creaturas nobis nocentes maxime addidit hoc, ut discamus et in malis Deum laudare, quia mala fiunt verbo eius. Et ubi est Aristoteles cum suis metheoriis, qui hec non verbum Dei facere, sed naturaliter fieri dicit, et pertinacius multi eum sequuntur! | Il salmo dice che queste cose avvengono per opera del verbo di Dio... Questa conclusione perciò è valida anche secondo sant'Agostino, poiché agli occhi degli stolti un tal genere di fenomeni è soprattutto temuto e sembra avvenire per essuna ragione, a caso: di conseguenza essi diventano insofferenti, imprecano e bestemmiano. Perciò proprio nel caso delle creature che ci sono nocive si addice che impariamo a lodare Dio anche nei mali, perché i mali avvengono secondo la sua parola. E dov'è Aristotele, con la sua Meteorologia, che afferma che questi fenomeni non sono opera del verbo di Dio, ma avvengono naturalmente? E molti, con una notevole ostinazione, lo seguono! | |
4,514,26s. | Adnotationes Quincuplici Psalterio adscriptae | In una delle note che Lutero ha scritto a margine del commento ai Salmi dello Stapulensis, riprende un'osservazione già fatta in precedenza riguardante il Salmo 103 in cui si parla di un uccello che nidifica nel punto più alto di tutti (v. WA 4,186,32). | 627 | 1516 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 514 | erodion, graece, transferre, ardea | 158 | Quia erodion grece transtulerunt, quod Aristoteles ardeam dicit. | Poiché i Settanta hanno tradotto alla greca, "erodion": e Aristotele spiega che questa parola significa airone. | ||
4,536,33-537,5 | Praelectio in librum Iudicum | Il commento di Lutero si riferisce a Gdc. 1,6-7 ("Adonibezec fuggì, ma essi, inseguitolo, lo presero e gli tagliarono le estremità delle mani e dei piedi. Allora Adonibezec esclamò: 'Settanta re, che avevano la estremità delle mani e dei piedi tagliate, mangiavano gli avanzi sotto la mia tavola: Dio m'ha reso quel che ho fatto!' Fu condotto a Gerusalemme, ove morì"). L'interpretazione delle sacre scritture che faccia leva su una base concettuale aristotelica e tomistica è, per Lutero, un'interpretazione monca. Già nel 1516, dunque, il giudizio di Lutero su Aristotele e sul suo influsso sul cristianesimo è di segno nettamente negativo. | 353 | 1516 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 537 | scriptura, fantasma, aedificatio, intelligentia, manus, rex, prelatus, rector, amputare, ingenium, opinio, thomisticus, humanus, decretum, aedificatio | 212 | Nota, quod etiam potest intelligi, quod reges isti, quibus manuum summitates abscise sunt, significant nobis tam regentes reges, quam prelatos in ecclesia. Quia sicut isti reges nihil cum manibus abscisis possunt portare aut potuerunt, sic et hic prelati et rectores, quibus amputatae sunt summitates manuum, i.e. boni affectus sacrae scripturae, i.e. summitates ingenii per fantasmata Aristotelica et opiniones Thomisticas et huiusmodi per humana decreta. Ergo non possunt bene tractare scripturam suam, neque ad edificationem neque ad intelligentiam, ut heu! iam in toto potest videri mundo. | Nota bene che questo versetto può essere anche interpretato nel senso che questi re, a cui sono state tagliate le estremità delle mani, significano per noi tanto i re attualmente sul trono, quanto i prelati nella chiesa. Come questi re dalle mani tagliate non possono né hanno mai potuto afferrare nulla, così è anche per i prelati e i rettori, a cui sono state tagliate le estremità degli arti, cioè le buone ispirazioni delle sacre scritture (che sono il punto estremo a cui può giungere l ingegno) a causa dei fantasmi aristotelici, delle opinioni tomistiche e delle consuetudini umane di questo genere. Perciò è impossibile che interpretino bene la sacra scrittura, né al fine di edificare gli altri né di comprenderne i testi, e un fatto del genere - ahimè - ormai lo si può constatare in tutto il mondo. | ||
4,537,36-538,6 | Praelectio in librum Iudicum | Lutero sta commentando Gdc. 1,8 ( I figli di Giuda, avendo attaccata Gerusalemme, la presero, la misero a fil di spada e la dettero alle fiamme ). La spada del Libro dei Giudici è, nell interpretazione di Lutero, la parola di Dio, che però viene travisata da molti. Tra questi, coloro che la risolvono in una pura serie di controversie accademiche, soprattutto sulla scorta della filosofia aristotelica. Il tema è comune in Lutero. Interessante qui è soprattutto la terminologia che contraddistingue il riferimento alla filosofia di Aristotele: sophistica, nugae fictae, dimicationes, sententiae, disceptatio. Tutti termini ironici o implicanti un giudizio negativo. | 353 | 1516 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 538 | sophisticus, nugae-fictae, dimicatio, disceptatio, Christus, tectum, os, apertus, timor, formido, Evangelium, decretum, scholasticus, doctrina, theologicus, sententia | 213 | Cum tamen Christus ecclesie conditor apostolis inculcavit, ut ea que accepissent in tenebris, supra tecta predicarent, i.e. aperto ore et fronte sine aliquo timore et formidine. Doctrinam suam nulli invidens popularem esse voluit et omnibus communem et hinc abiturus Evangelium omni creaturae ipse praedicandum praecepit, non Aristotelica decreta, non sophisticam aut scholasticam doctrinam, non nugas fictas, dimicationes theologicas, pares sententias, que doctrinam Christi et euangelium in disceptationem constituunt. | Cristo, fondatore della Chiesa, ordinò agli apostoli di predicare sopra i tetti ciò che avevano appreso nella penombra, cioè di parlare a voce e a testa alta, senza timori o paure di sorta. Non volle precludere il suo insegnamento ad alcuno, anzi, volle che fosse diffuso tra il popolo e comune a tutti e, in procinto di andarsene da questa terra, comandò loro di predicare il vangelo a tutte le creature; il vangelo però, non i decreti di Aristotele, non la dottrina sofistica o scolastica, non futilità senza fondamento, scaramucce teologiche o questioncine di livello altrettanto marginale che risolvono in una serie di distinguo l'insegnamento di Cristo e il vangelo. | ||
4,552,12-31 | Praelectio in librum Iudicum | Il lungo brano riportato fa parte di un commento a due passi della Bibbia, uno dell Antico e uno del Nuovo Testamento. Il primo è Gdc. 4,17-24: l episodio in cui Giaele, moglie di Eber, uccide il capo dell esercito cananeo Sisara mentre dorme conficcandogli un chiodo nella tempia, dopo che Giaele stessa l aveva ospitato nella sua tenda. Il secondo è Ap 9,7-10, in cui san Giovanni parla del primo dei tre flagelli mandati al mondo: le cavallette. Aristotele è citato solo a proposito delle superfluitates aristotelicae, ma tutto il brano si riferisce a chi, nell università e nella Chiesa, fa uso della dottrina aristotelica nella predicazione e nello studio delle Scritture. Se la caratterizzazione degli scolastici è quella tipica di Lutero (con le note quasi caricaturali dell aggressività, della superficialità, della doppiezza, della brama di denaro e di onori, addirittura dell eresia), molto importante è invece la conclusione, in cui, rifacendosi alla lettera paolina ai Corinzi, Lutero invita a cambiare la presunta sapienza del mondo con la stoltezza della croce. E un programma non solo religioso, che con la Disputa di Heidelberg, posteriore di due anni, sarà alla base di un tentativo di interpretare in modo nuovo l intera filosofia. | 353 | 1516 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 552 | superfluitas, sophisma, disputatio, litigare, stultitia, haereticus, simulare, mordax, sanctus, pius, lorica, munimen, scriptura, vanus, pugna, lex, desyderium, veritas, iactantia, gloria, aestimare, doctus, lucrum, cauda, infidelitas, Sisara, mulier, malleus, clavus, crux, Apostolus | 170 | Nam heretici honoris cupidi, et tamen eorum facies tanquam facies hominum , in quo notatur simulata sanctitas, et habebant capillos mulierum , i.e. superfluitates Aristotelicas. Unde omnibus sophismata legentibus Dentes eorum sicut dentes leonum . In quo notatur, quod semper sunt mordaces et sanctos ac pios mordere non desinunt. Et habebant loricas tanquam loricas ferreas. In quo notatur munimen scripture, quod per loricam designatur et dicitur tanquam ferreum, quia licet videatur munimen eorum in scripturis fortissimum, tamen verum non est, quia veritatem euangelii non sonat. Et vox earum alarum sicut vox currum equorum multorum. In quo notatur eorum vana disputatio: frequenter enim accidit, ut habeant pugnas legis ac sacre scripture non ad desyderium veritatis, sed ad iactantiam gloriae, dum apud eos qui audiunt, docti volunt estimari aut ex hoc rumuscolo turpia sectantur lucra. Ideo dicitur, quod habebant caudas etc. In quo significatur, quod licet simplicibus bona praedicare aut dicere videantur, tamen cauda, i.e. finis doctrine est aculeus heretice infidelitatis. Sed quid? Ille Sisara, i.e. affectus litigandi, sophismatibus attentandi non vincitur nisi per Iahel feminam, i.e. per stultam ac debilem mulierem et malleo grosso et clavo duro, i.e. per stultitia crucis, ut ait Apostolus: Deus elegit stulta mundi etc. Et si quis inter vos videtur sapiens esse, fiat stultus . | Gli eretici infatti sono bramosi della gloria, e tuttavia il loro aspetto è simile a quello degli uomini , in cui cioè si può notare la simulazione della santità, e avevano capelli, come capelli di donne , cioè le inutili chiacchere aristoteliche. Di conseguenza, per tutti coloro che studiano i sofismi vale che i loro denti erano come quelli dei leoni . Questo significa che sono sempre aggressivi e non cessano di attaccare i buoni e i pii. Ed avevano corazze simili a corazze di ferro . E questa è la protezione delle Scritture, che vengono indicate con la metafora della corazza ma sono anche definite come simili al ferro , perché nonostante sembri che costoro, protetti sotto le Scritture siano inattaccabili, tuttavia ciò non risponde al vero: infatti la verità del Vangelo non vi risuona. E il rombo delle loro ali era come il rumore di molti carri trascinati da cavalli . Questa è la loro futile eloquenza: capita spesso infatti che diano battaglia in materia di legge o di sacre scritture non per desiderio di verità, ma per ostentazione di bravura, al fine di essere considerati dotti da coloro che li stanno ad ascoltare o puntando, per questo chiacchiericcio, a loschi guadagni. Perciò si dice che avevano code come gli scorpioni e aculei . Questo significa che in apparenza predicano e insegnano il bene ai semplici, ma in realtà la coda, cioè la conclusione dei loro ragionamenti, è l'aculeo dell infedeltà eretica. E dunque? Quel Sisara, cioè la smania delle dispute, o di chi va all attacco con i sofismi, non è vinto se non dalla donna Giaele, cioè da una donna debole e ignorante e da un grosso martello e da un chiodo, cioè dalla stoltezza della croce, come dice l'apostolo Paolo: Dio ha scelto ciò che è stolto per il mondo... E ancora: Se qualcuno di voi crede di essere sapiente, divenga stolto . | ||
4,554,31-38 | Praelectio in librum Iudicum | Si sta parlando di Gdc. 5,8 ("Il Signore ha scelto nuove guerre, egli ha rovesciate le porte dei nemici; e non si è visto uno scudo o una lancia fra i quarantamila d'Israele"). Iabin è il re di Azor, nemico del popolo ebreo, immagine del diavolo, nemico della chiesa. Al diavolo appartengono le opinioni e i precetti della retta ragione, così come le invenzioni di Aristotele, coerentemente definite "maledette". Nel 1516 il giudizio di Lutero su Aristotele è già nettamente negativo. | 353 | 1516 | Eth. Nic. VI,13,1144b,26-1145a,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 554 | opinio, dictamen, maledictus, figmentum, arma, faber, imperium, diabolus, sacra-scriptura, doctor, stramineus, opinio, rectus | 18 | Sicut ergo rex Iabin omnia abstulerat arma, imo et fabros, qui arma cudere possunt, ne haberent filii Israel rebellare et collum suum ab imperio excutere, sic adversarius ille Diabolus victis et in potestatem suam nobis redactis, quod aliquando tolerabile foret, aufert a nobis etiam, quod est intolerabilissimum, arma, scilicet sacre scripture, bibliam scilicet, et fabros, i.e. doctores, qui arma nostra sunt, datque nobis arma straminea, scilicet opiniones, recta dictamina rationis et dat nobis maledicta figmenta Aristotelica. | E così come il re Iabin aveva fatto portare via ogni arma e perfino i fabbri che avrebbero potuto forgiarne di nuove, perché i figli di Israele non avessero la possibilità di ribellarsi e di sottrarre il collo alle catene, così l avversario, il diavolo, una volta avuta la meglio su di noi e dopo averci ridotti in sua potestà, cosa che a volte sarebbe anche tollerabile, ci sottrae pure (è questa invece è la cosa più intollerabile) le armi, cioè le sacre scritture, la Bibbia, e i fabbri, cioè i dottori che sono le nostre armi, e ci dà armi di paglia, cioè opinioni e precetti della retta ragione; e infine ci dà le maledette finzioni aristoteliche. | |
4,666,23-667,5 | Sermone aus den Jahren 1514-1520 | In perfetto accordo con la sua concezione del peccato originale, Lutero non può accettare che nell'uomo rimangano dei sentimenti non completamente corrotti dalla caduta di Adamo. Così è per l'amore, che è tale solo apparentemente, ma in realtà si rivela concupiscenza. La concezione etica di Aristotele e dei pagani, di conseguenza, si dimostra applicabile a una "natura pura" che esiste solo nella favole dei poeti (fabulantur). | Pr.12 | 1516 | Eth. Nic. VIII,5,1157b, 31s.; VIII,7,1159a,9s.; Rhet. II,4,1380b,35-1381a,1 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 667 | amor, bonum, concupiscentia, oculus, amor-dei, amor-carnis, prodesse, proximus, bonum, intueri, Pilades, Orestes, Nisus, Euryalus, Achilles, Patroclus | 108 | Alius est ergo amor Dei et alium habet oculum quam amor carnis, quia verus amor non nisi quod proximo prosit, videt. Hinc omnes dixerunt amorem esse velle alteri bonum. Unde in homine nullum esse amorem perspicimus, si rectius intueamur, ut Aristotelis sunt doctrinae, quarum non sunt exempla: fabulantur tamen poetae de Pilade et Oreste, Niso et Euryalo, Achille et Patroclo atque aliis multis. Qui non fuit amor, sed concupiscentia, siquidem seipsos amarunt. | L'amore di Dio è qualcosa di diverso, ha uno sguardo diverso dall'amore che viene dalla carne, perché l'amore vero non vede se non ciò che può giovare al prossimo. Ecco perché tutti hanno definito l'amore come volere il bene dell'altro . Ma proprio per questo ci appare evidente che nell'uomo non c'è alcun amore, se esaminiamo con un po' di obiettività gli insegnamenti di Aristotele, che non trovano alcun riscontro nella realtà. Certo, i poeti raccontano di Pilade e Oreste, Niso ed Eurialo, Achille e Patroclo e di molti altri. Ma questo non fu amore, ma concupiscenza, dal momento che amarono se stessi. | |
4,667,16-25 | Sermone aus den Jahren 1514-1520 | Una parziale rivalutazione di una frase aristotelica riguardante l'amore segue di poche righe la condanna del concetto aristotelico di amicizia (WA 4,667,2). Una contraddizione? Non è un caso che qui Aristotele venga chiamato in causa non per nome ma come ethnicus quidem, uno tra i tanti autori pagani, come se Lutero non volesse attribuire la citazione al filosofo greco (operazione tanto più comprensibile per il tipo particolare di opera in cui si situa: un sermone, non una trattazione dotta, indirizzato quindi al popolo e non alla comunità accademica o a un interlocutore in grado di percepire la fonte della citazione). La frase valorizzata da Lutero, inoltre, ha un vago sapore scettico, tendendo a gettare un'ombra sulla saldezza di tutti i rapporti umani. L'amicizia infatti è un valore, ma va anche considerata col distacco necessario, perché l'amico di oggi potrebbe essere nemico domani e viceversa. Questo tipo di atteggiamento scettico sulla natura umana è più consono alla teologia luterana di quello, indicato poche righe sopra, che individuava nella natura umana una capacità di costruire rapporti duraturi e di "volere il bene dell'altro": impossibile, per l'idea di natura integralmente corrotta propria di Lutero. | Pr.12 | 1516 | Rhet. II,13,1389b,22-24; II,21,1395a,28-33 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 667 | fides, amicitia, amare, odisse, ethnicus, gentilis, Christus, stultus, confidere, homo, detrahere, dolere, doctrina, agere, fidem-praestare, amor, vinculum | 162 | Christus unus est, non habens secundum, qui facit, ut fides servetur. Stultiores sunt igitur, qui confiduunt in homine. Quidam ethnicus sic docuit unumquemquem sic amare, ut et odisse, siquando opus sit, possimus. Nemo ergo detrahet inimico, ut, posteaquam amicus factus sit, doleat et contra. Diceres: Gentilis est doctrina. Verum quidem, sed eciam Christiano homine digna. Duo ergo cum simul vivere instituunt, sic quisque cogitet secum: Ego nunc cum isto homine ago: nisi Christus intercesserit, fidem ei praestare haud quaquam valeo, nec iste mihi quidem . Proinde non alii nec sibi homo confidat. Sin autem Christus affuerit, tum quidem firmum amoris erit vinculum. | Cristo è l'unico (non ce n è un altro!) che può far sì che la fiducia venga rispettata; perciò sono proprio stupidi coloro che ripongono la loro fiducia nell'uomo. Un autore pagano ha insegnato che possiamo amare ogni uomo come se lo dovessimo odiare, se solo un giorno se ne presenti la necessità. In questo modo infatti nessuno farà del male a un suo nemico, così che, una volta che sia diventato amico, se ne abbia a dolere e viceversa. Si obietterà: questa è saggezza pagana. Certo, ma degna anche di un uomo cristiano. Quando infatti due persone stabiliscono di vivere assieme, ognuno dei due dovrebbe dire tra sé e sé così: Ora io ho a che fare con quest'uomo: ma se Cristo non intercedesse, non sarei in grado in alcun modo di avere fiducia in lui, né lui lo sarebbe nei miei confronti . E perciò l'uomo non confidi né negli altri né in se stesso: ma se Cristo sarà presente, allora il legame d'amore sarà saldo. | |
4,687,29-34 | Sermone aus den Jahren 1514-1520 | Neppure come storiografo della filosofia Aristotele riesce ad incontrare la comprensione di Lutero. In questo brano, in cui si riprende un celebre passo della Metafisica, Lutero afferma che la testimonianza del filosofo sui sacerdoti egizi è inattendibile. Non è dato sapere però su quale fondamento Lutero ritiene inattendibile il racconto di Aristotele; probabilmente (ma si tratta solo di un'ipotesi) perché la Bibbia, raccontando delle disavventure del popolo ebraico in Egitto, non fa menzione di questa usanza. E' però paradossale il fatto che Lutero chiami a sostegno delle sue affermazioni una testimonianza che egli stesso si preoccupa di stabilire come non attendibile. Forse la preoccupazione che lo muove è quella di non lasciare l'impressione agli ascoltatori che Aristotele talvolta possa essere veritiero? | Pr.14 | 1516 | Metaph. I,1,981b 23-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 687 | Egyptus, sacerdos, philosophari, monasterium, sacerdotium, victus, amictus, provvisio, servitus, deus, manere, incipere, necessarium, mendaciter | 73 | Igitur rarissimi sunt, qui ingrediantur monasteria vel ascendunt sacerdotia nisi propter victum et amictum. Omnes enim prius quaerunt vitae sufficientem provvisionem, quam servitutem Dei. Ac sic perpetuo manent sicut incoeperunt, semper contenti provisione quam quesierunt. Hi fatiunt ut sacerdotes Egyptii, qui prius acquisitis vitae necessariis incoeperunt philosophari, ut mendaciter dicit Aristoteles. | E infatti sono rarissimi coloro che entrano in monastero o salgono i gradi del sacerdozio per qualcos'altro che il vitto e la tonaca. Tutti sono preoccupati, più che di servire Dio, di procurarsi un gruzzolo sufficiente per vivere. E così rimangono in perpetuo nella stessa condizione in cui hanno iniziato, sempre contenti della ricompensa che hanno cercato. Costoro fanno come i sacerdoti d'Egitto, che prima si procacciarono ciò che era necessario per vivere e poi cominciarono a darsi alla filosofia, come afferma (dicendo però il falso) Aristotele. | |
5,33,7-17 | Operationes in Psalmos | Lutero si pronuncia contro il concetto aristotelico di volontà, teso soprattutto a negare che la volontà dell'uomo possa condurre a un'azione buona che si basi sulle sole forze umane. Una tale volontà viene solo dalla grazia, perché la natura corrotta dal peccato non può che volere il male. | 594 | 1519 | Metaph. V,20,1022b,4-14 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 33 | voluntas, potentia, actus-elicitus, habitus-stertens, theologus, subvertere, scriptura, natura, humanus, voluntas, coelum, intentus, pronus, adversarius, lex, odisse, fugere, concupiscentia, timor, poena, diligere | 338 | Voluntatem primum hic neque pro potentia neque pro stertente illo habitu, quem recentiores Theologi ex Aristotele invexerut ad subvertendam intelligentiam scripturae. Item neque pro actu, quem ex ea potentia et habitu elici dicunt. Non habet universa natura humana hanc voluntatem, sed de coelo veniat necesse est. Cum enim humana natura sit intenta et prona ad malum, ut divina dicit autoritas Gene. viij., Lex vero Domini sit bona, sancta, iusta, Sequitur, quod voluntas hominum sit adversaria legi, odiat legem, fugiat legem. Quodsi quandoque timore poenae aut concupiscentia promissi simulet se diligere legem, manet tamen intus semper odium legis, non potest eam gratuito diligere, non enim diligit, quia bona est lex, sed quia sibi comoda. | Volontà qui non va intesa come potenza né come quell'habitus stertens che i teologi più recenti sono andati a scovare in Aristotele per mandare all'aria la comprensione della Scrittura. E non va intesa neppure come quell'atto che, come affermano, deriva dalla potenza e dall'habitus di cui sopra. La natura umana nella sua interezza non possiede una volontà siffatta: occorre che venga dal cielo. Se dunque la natura umana tende ed è prona al male, come l'autorità divina dice nell'ottavo capitolo del libro della Genesi, e se d altra parte la legge del Signore è buona, santa, giusta, ne consegue che la volontà dell'uomo è nemica della legge, odia la legge, rifugge dalla legge. E se alcune, rare volte per timore di una punizione o per il desiderio smodato di qualcosa che è stato promesso la volontà finge di amare la legge, l'odio della legge rimane sempre al suo interno. La volontà non può amare la legge in modo disinteressato: e infatti non l ama perché questa è buona in sé, ma perché torna a suo interesse. | |
5,270,34-271,2 | Operationes in Psalmos | Il dibattito sugli universali e la determinazione del concetto di forma vanno spostati, secondo Lutero, da un piano filosofico a uno teologico (che ovviamente presupponga la Rivelazione). La carne dell'uomo, la sua forma, ciò che lo contraddistingue in quanto tale è il suo essere nulla agli occhi di Dio, come dice il salmo che Lutero sta commentando. (Sal 8,5 "Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, il figlio dell'uomo perché te ne curi?"). E' un'impostazione, quella di Lutero, che porta di necessità a svalutare i concetti stessi di forma e di universale nel loro senso filosofico, privandoli del loro significato originale e immettendoli in un contesto del tutto nuovo. Questo passo dunque si può accostare a WA 39 I,96,18-19, in cui Lutero afferma che se Aristotele avesse conosciuto il peccato originale, l avrebbe definito habitus. Va infine rilevato l'aspetto esistenziale che la ricerca dei "veri" universali comporta attraverso il guardare in se stessi. | 594 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 270 | forma, universale, Purphyrius, natura-communis, caro, oculus, opus, forma, communis, perpendere, sapiens, vanissimus, studium, negligere | 84, 332 | Unde in propheta Isa. lviij. Sublimes hominum oculos in personarum respectu occupatos arguens dicit Si videris nudum, operi eum et carnem tuam ne despexeris Ecce tuam carnem appellat nudum, famelicum, sitientem, egenum et quo quisque est novissimus. Sic scilicet formam, quae in omnibus comunissima est, nemo nostrum perpendit, pro qua culpa digni sunt sapientes illi, ut universalia vel Purphyrii vel Aristotelis somnient et naturas communes vanissimo studio perditoque labore quaerant, qui universalia ista creatoris in se ipsis negligunt. | Perciò il profeta Isaia nel capitolo 58, biasimando che i sublimi occhi degli uomini siano tutti presi dal rispetto umano, dice: Se vedi un uomo nudo, coprilo e non disprezzare la tua carne . Ecco: chiama tua carne l'uomo nudo, affamato, assetato, povero e ogni condizione in cui ciascuno sia il più derelitto. Ma nessuno tra di noi interpreta in questo modo la forma, che è ciò che di più comune c'è in ciascuno. Colpevoli di ciò sono certi sapienti che meritano proprio di vaneggiare sugli universali sia di Aristotele sia di Porfirio e di andare in cerca, con sforzi inutilissimi e sprecando fatica, delle nature comuni : proprio loro che hanno trascurato gli universali posti dal Creatore in loro stessi. | ||
5,300,11-19 | Operationes in Psalmos | Da notare la metafora del moto dall'alto in basso che contraddistingue la teologia speculativa. Si tratta di un modo di esprimersi immaginifico, ma molto eloquente. Per Lutero la speculazione è limitata all'ambito terreno e non dev'essere innalzata alle realtà celesti (in divina sursum ferre), dimenticando la sua vera natura (oblita sui). Le realtà divine non possono essere comprese da una teologia futile, che è tale proprio perché fa uso della ragione umana, impersonata dal suo più alto rappresentante: Aristotele. Da notare inoltre la presenza ricorrente di Porfirio, visto come sistematizzatore della filosofia aristotelica e pertanto condannato da Lutero. | 594 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 300 | theologia-speculativa, sursum, inanis, frivolus, Satana, praecipitium, patres, Melchisedech, frater, peccator, quaestio, erubescere, Porphyrius, tempus-perdere, Christus | 203, 280 | Proinde speculativa illa Theologia, quae sui oblita in divina sursum fertur, Satanae praecipitium quaerit et invenit. Legimus in vitis patrum, quomodo duo fratres iuniores de Melchisedech quaestionem agitantes ad seniorem retulerunt, qui tunso pectore suo: ve mihi (inquit) peccatori, qui neglectis peccatis meis has inanes quaestiones sector. Tum illi erubescentes cum silentio in suam sese quisque cellam proripuit. Et ubi nostri parebunt, qui non de Melchisedech, sed de Aristotele et Porphyrio tam frivola versant preciosissimo tempore tam infoeliciter perdito et iudicio Christi posthabito? | E perciò questa teologia speculativa, che, dimentica della sua natura, viene innalzata fino alle realtà divine, in realtà cerca e trova l'abisso di Satana. Leggiamo nelle vite dei Padri che due giovani monaci, dovendo risolvere una questione a proposito di Melchisedek, si rivolsero ad un confratello più anziano, il quale percuotendosi il petto rispose: Guai a me peccatore che mi dimentico dei miei peccati per andar dietro a questioni così insignificanti . Allora quelli, rossi in volto, tornarono rapidamente e in silenzio ciascuno nella sua cella. E quando gli obbediranno anche i nostri monaci, loro che trattano argomenti tanto frivoli, non a proposito di Melchisedek, ma di Porfirio e di Aristotele, e sprecano tantissimo tempo in modo così indecoroso, lasciata da parte la dottrina di Cristo? | ||
5,371,31-372,1 | Operationes in Psalmos | Si tratta di un passo che ha un valore quasi profetico. Ancora un paio di anni e Lutero saprà per esperienza personale cosa significhi avere a che fare con i nemici "interni". Per ora il fautore di divisioni è Aristotele, paragonato ai fondatori delle grandi eresie, e le sette che ne derivano sono scotisti, tomisti e occamisti. Va sottolineato il fatto che Lutero citi proprio queste tre scuole di pensiero, probabilmente le tre da lui conosciute più da vicino, quelle che hanno fatto sentire il loro peso nella sua formazione universitaria. Lutero non si sente legato a nessuna di queste, neppure all'occamismo per il quale aveva simpatizzato anni prima. Ad Aristotele è implicitamente dedicata anche l'ultima frase del brano riportato, là dove si dice che gli eretici cercano di corroborare le loro opinioni. E' quanto tentano di fare scotisti, tomisti e occamisti con la dottrina di Aristotele, un deus ex machina che dia un aspetto di credibilità e di "scientificità" a dogmata che in realtà sono pure opiniones. | 594 | 1520 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 371 | pars, factio, secta, opinio, Thomistae, Scotistae, Occamistae, impius, fides, cor, studium, Phariseus, Zaduceus, Essaeus, Arianus, Ennomianus, Macedonius, Donatista, Maximiniasta, ventus, discere, veritas, scribere, convenire, blandiri, dogma | 295 | Ita econtra apud impios, quia vera et unica fides deest, impossibile est, ut uno corde sint, sed necesse est, partium studia factionesque inter eos abundare. Nunquam enim orta est secta, ex qua non mox aliae sint natae. Sic synagoga tempore Christi habuit Phariseos, Zaducaeos, Essaeos. Ariani pepererunt Ennomianos et Macedonios, Donatistae Maximiniastas, Et hodie Aristoteles Scotistas, Thomistas, Occamistas. Sic Apostolus heb. xij. Variis et peregrinis doctrinis nolite abduci , Qui alibi eos omni vento doctrinae circumferri et semper discentes, nunquam ad veritatem pervenientes scribit. In his omnibus nunquam est unum cor, etsi in hoc conveniant, ut omnes vana loquantur, et quisque suae factioni blandiatur, suas opiniones dogmataque corroboret. | E così d'altra parte per quanto riguarda gli infedeli; poiché manca l'unica vera fede, è impossibile che siano un cuore solo, ma tra di loro non possono che proliferare interessi di parte e divisioni. Infatti non è mai sorta una setta dalla quale non ne siano nate subito altre. Così la sinagoga ai tempi di Cristo ebbe i farisei, i sadducei e gli esseni. Gli ariani generarono gli ennomiani e i macedoni, i donatisti generarono i massiminiani, e Aristotele oggi ha generato gli scotisti, i tomisti, gli occamisti. Come dice l'Apostolo nel dodicesimo capitolo della lettera agli Ebrei: Non lasciatevi attrarre da insegnamenti strani che portano fuori strada . E in un altra parte scrive che essi si lasciano portare qua e là da ogni vento di dottrina e che sono sempre pronti a imparare tutto, ma non arrivano mai alla verità. In tutti costoro non c'è mai un cuore solo, anche si assomigliano tutti per il fatto di parlare a vanvera e perché ognuno si coccola il suo gruppetto e cerca di dare un fondamento alle sue opinioni e ai suoi dogmi. | ||
5,398,38-399,5 | Operationes in Psalmos | Lutero rimane fedele alla sua linea critica nei confronti della dottrina aristotelica della virtù etica intesa come habitus. Non è l'esercizio continuo a rendere giusto l'uomo, ma la grazia; pienamente giuste vanno considerate solo le opere che derivano dalla fede. | 594 | 1520 | Eth. Nic. II,1,1103b,1s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 398 | opus, philosophia-moralis, peripateticus, praeceptum, errare, iustum, temperatum, impius | 132 | Quare nos fortiter teneamus, primum praeceptum esse caput et initium omnium praeceptorum, et opus eius esse caput et initium omnium operum, totaque via errare philosophiam moralem peripateticorum, quae dicit: faciendo iusta, temperata, efficimur iusti, temperati &c. Non sic impii, non sic, sed iusti temperatique facti facimus iusta et temperata. Iusti autem efficimur per fidem, quae credit, deum esse nobis propitium, quod ut crederemus, praecepit dicens Ego dominus deus tuus, Non habebis alium deum coram me . | Per questo motivo noi consideriamo definitivamente appurato che il primo tra i comandamenti è il capo e l'inizio di tutti i comandamenti, e l'opera che da esso deriva è capo e inizio di tutte le opere, e quindi che la filosofia morale peripatetica va del tutto fuori strada quando afferma che compiendo azioni giuste o moderate noi diventiamo giusti e moderati e via dicendo. E non quando siamo così atei, non così, ma quando siamo resi giusti e temperati: allora solo compiamo azioni giuste e temperate. Giusti , infatti, siamo resi dalla fede, che crede che Dio ci è propizio. Egli infatti, perché credessimo in questo, ci diede il comandamento: Io sono il Signore Dio tuo, non avrai nessun altro Dio all'infuori di me . | |
5,414,15-30 | Operationes in Psalmos | Il versetto citato all'inizio da Lutero è Sal 13,3. Nel commento a questo passo biblico Lutero ha accennato a due tipi di peccatori: quelli che commettono azioni moralmente cattive e quelli che ritengono di poter compiere opere buone anche senza la grazia. Entrambe le categorie non possono che fare il male e, come Lutero nota, prendendo lo spunto dal fatto che nel testo biblico si succedono proposizioni negative a proposizioni affermative, sono anche incapaci strutturalmente di operare il bene. Se la classificazione delle proposizioni in universali e singolari e negative e affermative è di Aristotele, non ci si deve però aspettare una rivalutazione del filosofo. La cosiddetta "neutrale" teologia aristotelica in realtà sfugge i problemi e proprio in forza delle sue sottigliezze cerca di avvalorare la possibilità che l'uomo compia opere buone senza l'ausilio della grazia. In realtà per teologia aristotelica qui Lutero intende alcune correnti teologiche a lui contemporanee che facevano uso di un armamentario concettuale aristotelico. La critica però può riguardare Aristotele se si considera l'etica aristotelica e non la teologia (così come è esposta nella Metafisica): un'etica secondo la quale un uomo può compiere, in base ai suoi soli sforzi, opere moralmente buone. Da notare infine la caratterizzazione negativa di Aristotele attraverso verbi come repere che suggeriscono l'accostamento del filosofo, sottile e ambiguo, al serpente. | 594 | 1520 | De interpr. 5-7 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 414 | affirmatio, negatio, universale, repere, neutralis, subtilitas, omissio, malum, bonum, facere, pius, absolute, universalis-negativa, universalis-affirmativa, hypocrita, opus, fides, species, elabi, spiritus, pugnare, meritorius, demeritorius | 296 | Non est qui faciat bonum, non est usque ad unum . Quo arguit eorum omissionem, ut qui non tantum mala faciant et increduli sint, sed etiam nunquam bona faciant et nunquam pii sint, ut sic per affirmationem malorum et negationem bonorum absolute et penitus comprehendat, omnes esse peccatores filios hominum. Nam quod et hic addit non est usque ad unum , universalem negativam facit sicut in prioribus duobus universalem affirmativam. Iterum propter hypocritas, ne putent, sese bona facere prae ceteris manifeste malis: nullus (inquit) eorum facit bonum, idest nullus eorum habet fidem et bona opera, sed aut mala manifeste aut tantum specie. Proinde quando spiritus tanta verborum vi affirmationes et negationes componat, et universaliter omnes pronunciet esse malos et non bonos. Mirum est, qua subtilitate Neutralis illa Aristotelis Theologia per medium affirmationis et negationis universalium repere queat et sic elabi, ut libere audeat spiritui contra pugnare et dicere: non omnia sunt mala hominum opera, sed quaedam sunt bona, licet haec omnia sint non meritoria seu nec meritoria nec demeritoria. | Non c'è chi faccia il bene, non ce n è neppure uno . Con ciò il salmista descrive la loro omissione: non solo fanno il male e sono increduli, ma non fanno mai il bene e non sono mai credenti. Cosi il salmista, attraverso l'affermazione dei mali e la negazione dei beni, vuole affermare in modo assoluto e totale che tutti i figli degli uomini sono peccatori. Infatti anche l espressione che è aggiunta qui non ce n è neppure uno , è una proposizione universale negativa, come le due precedenti erano universali affermative. Egli si esprime così, ancora una volta, nei confronti degli ipocriti, perché non pensino, facendo il bene, di essere migliori di tutti gli altri, che sono apertamente cattivi. Nessuno di loro (dice il salmista) fa il bene, cioè nessuno di loro ha la fede e compie opere buone, ma o compie opere palesemente cattive o opere che sono buone solo esteriormente. Pertanto se lo spirito mette insieme con una tale efficacia espressiva affermazioni e negazioni e dichiara in senso universale che tutti sono cattivi e non buoni, fa meraviglia la cavillosità con la quale quella cosiddetta neutrale teologia di Aristotele cerca di cavarsela in modo strisciante per mezzo dell affermazione e della negazione degli universali, al punto da osare consapevolmente di combattere lo Spirito e dire: non tutte le opere umane sono cattive, ma alcune sono buone, anche se tutte queste sono non meritorie oppure né meritorie né non meritorie. | |
5,416,3-9 | Operationes in Psalmos | Lutero sta commentando Sal 139,4, citato anche da san Paolo in Rom 3,13. Aristotele non è citato, ma è chiamata in causa la definizione di aspide che egli dà nelle Ricerche sugli animali. In questo 1520 che si può considerare l'anno in cui il suo atteggiamento antiaristotelico raggiunge il culmine, Lutero non nomina Aristotele sia pur in un campo così poco attinente alla teologia qual è la scienza naturale. Ma questa omissione potrebbe essere anche una testimonianza del fatto che Lutero da una parte rifiuta Aristotele come filosofo, dall altro continua a servirsene come fonte scientifica. | 594 | 1520 | Hist. anim. VIII,29,607a,22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 416 | venenum, aspis, dogma, doctrina, fides, epitasis, serpens, Affrica, ictus, remedium, haereticus, impius, tradere, accipere, significare, insanabilis, impietas, haereticus, impius, pertinacia | no | Venenum aspidum sub labiis eorum . Hoc propriissime ad dogmata pertinet, sive de tradentibus sive accipientibus dixeris. Omnes enim venenata doctrina infecti sunt, qui fide imbuti non sunt. Verum Epitasis est in hoc versiculo. Aspis enim serpentis genus esse in Affrica dicitur, cuius ictui nullum sit remedium, quo significatur, quam insanabilis sit impietatis doctrina, bona specie commendata, quod et ipsa haereticorum et impiorum pertinacia satis probat. | Veleno di aspidi sotto le loro labbra . Questo versetto è quanto mai pertinente ai dogmi, sia per coloro che li insegnano sia per coloro che li imparano. Tutti costoro infatti sono stati contaminati da una dottrina avvelenata, perché non si sono abbeverati alla fede. Ma in questo versetto c'è un culmine. L'aspide infatti è definito come un tipo di serpenti che vive in Africa e al cui morso non c'è rimedio. Ciò sta a significare quanto inguaribile sia l'empietà della dottrina, fatta valere attraverso un aspetto invitante. Proprio l ostinazione degli eretici e dei senza dio lo prova più che a sufficienza. | |
5,434,21-32 | Operationes in Psalmos | C è un probabile richiamo autobiografico in questo passo (commento a Sal 14,3) di Lutero, soprattutto nell ultima parte, là dove si accenna alle condanne della Chiesa nei suoi confronti (la bolla papale Exsurge Domine con cui si condannavano le dottrine luterane è del 1520). La bolla papale è un frutto di quella Nemesi (lo sdegno) che Aristotele classifica tra le virtù, non accorgendosi della legge di natura per cui nessuno si augura di ricevere il male. La pretesa luce della natura , Aristotele, non si accorge quindi di un elementare precetto naturale: il filosofo è sconfessato da Lutero anche come esponente della ragione naturale. Inoltre va messa in risalto la doppiezza di Aristotele, mostro che si riveste da angelo luminoso che gabella per virtù quelli che in realtà sono vizi. La traduzione qui proposta presuppone che ethica sua del testo di WA sia in realtà ethicam suam , perché il verbo foedavit non può essere usato in senso assoluto, a meno che il complemento oggetto sottinteso (ma non richiamato da nessun pronome) sia ancora hanc legem . Ma pare inverosimile che Lutero intendesse dire che l etica di Aristotele contamina una legge di natura ponendo vizi al posto delle virtù. | 594 | 1520 | Eth. Nic. II,7,1108b,1-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 434 | ethica, nemesis, vitium, monstrum, lumen-naturae, damnum, nocumentum, virtus, peripateticus, gaudere, prohibere, iustitia-dei, laudare, dignus, inferre, optare, adversarius, lex-naturae, foedare, angelus-lucis, incognoscibilis, exurire, occidere, sanctus, persequi, veritas, iustitia, obsequium, zelus, sophista, pontifex, idolum | 144 | Nec fecit proximo suo malum , idest damnum vel nocumentum. Quod vitium si in latitudinem suam extendas, nec ipso carebit penitus ullus hominum sicut nec praecedente. Nam etsi sunt qui in manum non extendunt, tamen Nemesi, peripatetica virtute, malis mala fieri gaudent nec prohibent, quin iustitiam dei laudant, quod dignis digna intulerit, interim non videntes, quam nollent sibi talia optari a quoquam adversario. Et hanc legem naturae, lumen illud naturae Aristoteles non vidit, quando ethica sua Nemesi ista et multis aliis vitiis pro virtutibus positis foedavit. Sed et hoc monstrum non rarum induit angelum lucis, ut sit incognoscibile, dum exurit et occidit sanctos dei et persequitur veritatem et iustitiam in obsequium dei et zelo veritatis, sicut hodie furiunt sophistae et pontifices, Idola, nihil curantes, quod sibi talia fieri nollent. | E non ha fatto del male al suo prossimo , cioè non ha fatto danno, non gli ha nuociuto. Se si considera questo vizio in tutta la sua estensione, non si troverà quasi nessun uomo immune da esso: è ancor più comune della calunnia di cui abbiamo appena parlato. Infatti anche se ci sono coloro che non arrivano a menar le mani, tuttavia in forza della Nemesi, virtù peripatetica, godono che ai malvagi tocchino dei mali e non si trattengono dal lodare la giustizia di Dio perché questa ha dato il suo a chi se lo meritava, ma non si accorgono che non vorrebbero mai che simili sciagure fossero loro augurate da un qualche nemico. La cosiddetta luce della natura , Aristotele, non si accorse di una simile legge della natura, quando contaminò la sua Etica con questa Nemesi e con molti altri vizi proposti come virtù. Ma questo mostro non raramente si presentò vestito da angelo di luce, per rendersi irriconoscibile, mentre tormenta e uccide i santi di Dio e perseguita la verità e la giustizia in ossequio a Dio e per amor di verità . Allo stesso modo oggi sofisti e pontefici si sono scatenati: sono idoli, e non li sfiora neanche l idea che non augurerebbero mai disgrazie del genere a se stessi. | |
5,641,15-20 | Operationes in Psalmos | Le frasi esaminate fanno parte del commento a Sal 21,13-14 ("Mi circondano tori numerosi, mi assediano tori di Basan. Spalancano contro di me la loro bocca come leone che sbrana e ruggisce"). Gli strali di Lutero si dirigono contro gli ecclesiastici e i vescovi (nominati poche righe più sopra) e contro la decadenza degli studi. L'insegnamento di Aristotele naturalmente è da annoverare tra le cause principali del declino delle università. Da notare l'insistenza con la quale Lutero associa il nome di Aristotele alla ragione naturale. | 594 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 641 | ratio-naturalis, studium, Papa, docere, ius, documentum, vastatio, prosperitas, reperire, universalis, conductus, dignitas, praebenda, gradus, titulus, baptisma, praestans, ingenium, indoles | 218 | Hi ore late aperto aliud non docent quam Iura sanctissima Papae et Aristotelis rationisque naturalis documenta, adeo ut in huius vastationis prosperitatem repererint universalia studia, in quibus per conductos dignitatum et praebendarum et graduum titulis operarios strenue devoraretur, quicquid e baptismate Christo nasceretur, praesertim praestantioris ingenii et indolis. | Costoro, con le fauci ben spalancate, non insegnano altro che le santissime leggi del Papa e gli insegnamenti della ragione naturale di Aristotele, al punto che hanno portato al punto massimo di questa distruzione gli studi di ogni ordine e grado, nei quali qualsiasi cosa sia nata dal battesimo cristiano, soprattutto se si tratta di persone di indole o di intelligenza superiore alla media, viene divorata dai mercenari delle cariche e delle prebende e dai mestieranti dei gradi accademici. | ||
5,645,10-13 | Operationes in Psalmos | Lutero sta commentando Sal 21,19 ("si dividono le mie vesti, sul mio vestito gettano la sorte"), con un'esplicita citazione di Is.59,5 ("tessono tele di ragno"). Da notare che in questo caso la condanna cade più su Aristotele che su coloro che introducono i suoi insegnamenti nella Chiesa. Da notare inoltre che l'avversione di Lutero si rivolge sopratutto all'Etica Nicomachea. | 594 | 1521 | Eth. Nic. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 645 | sceleratus, nebulo, Ethica, impietas, vestis, afferre, lacerare, tela, araneus, decretum, statutum, abominatio, Christus, aptare | 33, 102, 204 | Qua impietate nobis vestem hanc abstulerunt et laceraverunt et loco eius telas araneorum (ut Isaias 59. vocat), idest decreta, statuta, et quod omnem superat abominationem, scelerati nebulonis Aristotelis Ethica, nobis pro Christi vestimentis aptaverunt. | Con quanta empietà ci hanno strappato di dosso e fatto a pezzi questa veste! Al suo posto - al posto della tunica di Cristo - ci hanno confezionato tele di ragno (come le chiama Isaia nel capitolo 59), cioè decreti, prescrizioni e, cosa che nessuna parola vale a condannare, l'Etica di quel maledetto buono a nulla di Aristotele. | |
5,650,19-21 | Operationes in Psalmos | Ancora una volta il binomio Aristotele-Papa, in contrapposizione agli insegnamenti di Cristo. Il breve passo riportato mette anche in rilievo l'avversione di Lutero per i giuristi (soprattutto per quelli che si occupano di diritto canonico), pari a quella per gli ecclesiastici e i filosofi-teologi della scolastica. | 594 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 650 | Iuristae, theologi, papa, consistorium, cathedra, templum, Christus, papa, docere, inculcare | 205, 219 | Iuristae enim consistoria, Theologi cathedras templorum occupant, utrique nihil Christi, sed omnia Papae et Aristotelis docent et misero populo inculcant. | I giuristi infatti occupano i concistori, i teologi le cattedre dei templi ed entrambe le categorie non insegnano nulla di Cristo, ma inculcano al popolo sventurato tutte le dottrine del Papa e di Aristotele. | ||
6,29,5-10 | Conclusiones quindecim tractantes, An libri philosophorum sint utiles aut inutiles ad theologiam | In queste quindici tesi, di cui purtroppo non ci sono rimaste le probationes, Lutero riafferma la svalutazione della filosofia. L'atteggiamento da tenere di fronte ad Aristotele è di tipo selettivo: solo per alcuni aspetti marginali e puramente sussidiari può essere utile alla teologia. Non vale comunque la pena di soffermarsi sulle terminologie da lui usate, anche se viene affermata l'utilità della grammatica nei confronti della teologia. Le conoscenze grammaticali di Lutero, relative sempre alla lingua latina, risalgono agli anni della sua formazione, perlomeno al 1498, quando frequentava la Lateinschule di Eisenach. Inoltre dal 1501 al 1503 ebbe occasione di studiare, in preparazione al baccellierato, la grammatica di Prisciano e prese alcune lezioni sui commentari di Alessandro d'Afrodisia al De interpretatione di Aristotele, com'era prassi per tutti gli studenti di Erfurt. Nel brano qui riportato Lutero tende a svalutare Aristotele anche come autore a cui fare riferimento per gli studi di grammatica. Ma la condanna di Aristotele è da intendersi in senso ancor più ampio: è condanna di un intero lessico filosofico e del mondo concettuale di cui questo lessico è espressione. | 138 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 29 | grammatica, litera, vox, terminus, theologia, inspiratus, abhorrere, tradere, scientia, invenire, propagare, studere, philosophia, doctor, sanctus, uti | 174 | 1. Sacra theologia, etsi est doctrina divinitus inspirata, non tamen abhorret literis et vocibus tradi. 2. Inter omnes scientias humanitus inventas precipue est ad propagandam theologiam utilis grammatica. 3. Non ideo in Aristotele et eius philosophia studendum est, quia terminis eisdem quandoque sancti doctores utuntur. |
1. Sebbene la sacra teologia sia una dottrina ispirata da Dio, tuttavia non disdegna di essere espressa in lettere e in termini umani. 2. Tra tutte le scienze inventate dall'uomo la più utile per la diffusione della teologia è la grammatica. 3. Non per questo ci si deve applicare allo studio di Aristotele e della sua filosofia, solo perché di quando in quando i santi dottori fanno uso degli stessi suoi termini. |
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6,29,17s. | Conclusiones quindecim tractantes, An libri philosophorum sint utiles aut inutiles ad theologiam | Chi sono i sofisti di cui Lutero sta parlando? La tesi va letta in diretto riferimento alle precedenti, in particolare a WA 6,29,1-10, passo in precedenza analizzato, in cui Lutero afferma che non è proprio il caso di studiare Aristotele solo perché alcuni santi dottori hanno usato alcune terminologie aristoteliche. Il ragionamento di Lutero continua con un'iperbole sviluppata nelle tesi 4-6: stando alle premesse accennate, afferma, lo stesso dovrebbe valere in qualsiasi genere di discorsi nei quali l'autore cita qualche fonte. Perciò non può che essere un sofista chi ha dedicato tanto tempo e tanta fatica ad analizzare la filosofia aristotelica. In questo caso dunque nell'obiettivo di Lutero c'è soprattutto la filosofia e la teologia scolastica. | 138 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 29 | sophista, inscitia, tempus, perdere, frustra | 239 | 7. Et omnem eiusmodi sophistam patet frustra tempus in Arist. perdidisse et tanto tantam inscitiam emisse. | 7. E' quindi evidente che ogni sofista di tal fatta ha sprecato inutilmente il suo tempo su Aristotele e per un tanto grande sforzo ha acquistato solo un'ignoranza altrettanto grande. | ||
6,29,19s. | Conclusiones quindecim tractantes, An libri philosophorum sint utiles aut inutiles ad theologiam | Non c'è nessun riferimento esplicito ad Aristotele in questa frase, anche se la somiglianza con altre espressioni di Lutero indurrebbe a pensare che l'obiettivo della polemica sia proprio Aristotele, oltre agli scolastici che hanno introdotto le sue dottrine nella teologia. E' forse per questo motivo che ROKITA, Aristoteles, Aristotelicus,..., cit., p.75 dopo philosophie introduce tra parentesi (Aristotelis). Ma l'aggiunta non è necessaria, anche se poche righe più sotto Lutero parla di una particolare filosofia come "utile alla teologia": Aristotele è solo il simbolo - sia pure il più autorevole e prestigioso - della ragione, della filosofia e della logica umana. | 138 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 29 | logica, philosophia, cahos, error, terminus, theologia, horrendus, condere | 177 | 8. Si quis terminos logice et philosophie in theologiam ducat, necesse est, ut horrendum cahos errorum condat. |
8. Se qualcuno introduce termini della logica e della filosofia nella teologia, non può che far nascere uno spaventoso caos di errori. | ||
6,29,21-26 | Conclusiones quindecim tractantes, An libri philosophorum sint utiles aut inutiles ad theologiam | In analogia con altri simili passi di Lutero (WA 59,426,19-20 e soprattutto 6,188,20 e 9,170), si è scelto di separare motu da infinito, non considerando infinito come aggettivo ma come sostantivo. La tesi 9 però, comunque la si traduca, non aggiunge elementi di particolare novità ai temi della critica luterana ad Aristotele. Diverso è il discorso per le due tesi successive. Nella decima (non presa in considerazione da Rokita) sono poste le premesse per una parziale rivalutazione di Aristotele. E si tratta di una rivalutazione che resta nella sfera mondana, dell'humana conversatio, nel senso più ampio del termine, con una funzione pedagogica che non le è riconosciuta nel campo della teologia. Il campo delle cose puramente umane è dunque una zona franca per la filosofia, che però si deve spogliare dei suoi connotati metafisici per diventare una ragion pratica, una guida all'azione. Molto rilevante è anche la tesi 11, costruita in analogia ma anche in opposizione alla tesi 9. Pare che Lutero si contraddica: c'è una filosofia (quella che studia le nature e le proprietà delle cose) che è utile alla sacra teologia. Un'affermazione sorprendente, soprattutto se si pensa che Lutero scrive queste cose in un momento in cui la sua avversione alla commistione di filosofia e teologia è strenua. Rokita dopo rerum aggiunge (Aristotelis). Ma è della filosofia aristotelica che si sta parlando? Pare altamente improbabile, anzitutto perché poche righe più sopra Lutero condanna la filosofia aristotelica dei principia rerum, poi perché questa filosofia utile" è connotata come sophistis ignotissima, cioè sconosciuta agli scolastici, il che non può essere certamente detto della filosofia aristotelica: semmai Lutero accenna a una reinterpretazione dell aristotelismo in chiave spirituale. L'assenza della probatio relativa alla tesi non permette che illazioni sulla natura di una tale filosofia: forse Lutero qui si riferisce a dottrine di carattere neoplatonico. | 138 | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 29 | motus, infinitum, principium, humanus, conversatio, natura, proprietas, utilis, res, theologia, exercere, aptare, ingenium, sacer, sophista, ignotissimus | 167, 178, 251 | 9. Philosophia de motu infinito, principiis rerum iuxta Aristotelem, nihil prodest ad theologiam. 10. Permittitur potius pro exercendis et aptandis ingeniis ad humanam conversationem. 11. Philosophia de naturis et proprietatibus rerum (sophistis ignotissima) utilis est ad sacram theologiam. |
9. La filosofia di Aristotele sul moto, l'infinito, i principi delle cose non è di nessun aiuto alla teologia. 10. Viene permessa, piuttosto, per esercitare e abituare gli ingegni a trattare le arti umane. 11. La filosofia delle nature e delle proprietà delle cose (del tutto ignota ai sofisti) è utile alla sacra teologia. |
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6,186,12-18 | Condemnatio doctrinalis librorum Martini Lutheri per quosdam Magistros Nostros Lovanienses et Colonienses facta. Responsio Lutheriana ad eandem damnationem. | Le parole di Lutero sono rivolte ai professori universitari di Lovanio e di Colonia che avevano condannato la sua teologia. Lutero risponde rinfacciando la loro devozione ad Aristotele, molto più significativa della venerazione che hanno per Cristo. Il tono usato nei confronti di Aristotele è durissimo, come la scelta dei termini indica. Da notare il riferimento mitologico alla palude di Lerna, presso l'omonima città dell'Argolide, in cui stava l'idra dalle nove teste. | 140 | 1520 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 186 | Lerna, impiissimus, turpitudo, dialectica, philosophia, theologia, scatere, error, interpres, publicus, veritas, hostis, sententia, Christus, officiosus, interpretamentum, honestare, ignominia, altare, carnifex-animarum, impurpurare, inaurare | 28, 185, 297 | Vide ergo, cum eorum dialectica, philosophia et Theologia scateant erroribus, immo quaedam errorum lernae sint, quam aequi, quam amantes sunt invicem interpretes, adeo ut impiissimi Aristotelis, publici veritatis vel ex professo hostis, sententias quantumlibet Christo adversarias nunquam non officiosissimo interpretamento honestent, etiam Christum ante nudaturi ad ignominiam et omnia eius altaria quam hunc gentilem animarum carnificem turpitudinemque eius non penitus impurpurent et inaurent. | Considera dunque la loro dialettica, la loro filosofia e la loro teologia: sono pullulanti di errori, anzi per così dire sono delle Lerne di errori. In compenso, quanto invece equilibrati, quali appassionati commentatori sono, al punto che onorano (e mai senza offrire un'interpretazione compiacente in massimo grado) le affermazioni - per quanto contrarie a Cristo - del filosofo più lontano dalla religione, Aristotele, nemico pubblico e dichiarato della verità. Essi inoltre sono disposti a spogliare fino alla vergogna Cristo e tutti i suoi altari se prima non hanno coperto d'oro e di porpora fino ai capelli questo carnefice d'anime pagano e la sua infamia. | ||
6,187,37-188,9 | Condemnatio doctrinalis librorum Martini Lutheri per quosdam Magistros Nostros Lovanienses et Colonienses facta. Responsio Lutheriana ad eandem damnationem. | Assieme ai due che seguono, questo brano rappresenta una delle più organiche prese di posizione di Lutero nei confronti della filosofia aristotelica. Il tema di questa prima parte è l'accusa ai professori di Lovanio e Colonia di non capire nulla di Aristotele, unita alla proposta di una nuova e corretta interpretazione. Lutero qui risponde all'accusa lanciata in precedenza dagli stessi professori che lo reputavano un detrattore della filosofia. Interessante soprattutto il richiamo al primo libro della Fisica, uno dei testi aristotelici più conosciuti da Lutero. A che tipo di interpretazione Lutero si riferisca possiamo purtroppo solo dedurlo dalle frammentarie citazioni di questo libro disseminate nella sua opera, perché non si ha traccia del commentario alla Fisica che Lutero aveva annunciato come imminente nel 1517, ma non è escluso che molte delle tematiche trattate siano poi rifluite nella parte filosofica della Disputa di Heidelberg. | 140 | 1520 | Phys. I; Metaph. I; An. post. I | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 188 | somnium, error, divinatio, adolescens, proemium, philosophia, arbitrari, detractor, puer, senex, nomen, anima, intelligere, iactare, atrox, obiicere, germanus, interpretare, sensus | 29, 265, 216, 235, 264 | Eos ego arbitror philosophiae detractores esse, nocentes tum pueris tum senibus et universae ecclesiae, qui hoc philosophiam appellant, quod philosophia non est, et sub nomine philosophiae optimas adolescentium animas suis somniis et erroribus occupant et perdunt: cum autem praeter Aristotelem nihil tradant (in quo fere nihil est philosophiae), tum ipsum nunquam intelligant, assutis ei suis divinationibus pro veris interpretationibus, et tamen philosophos sese iactent, quid possunt in philosophiam atrocius committere? Quod si negent, obiicerem eis, ut in testimonium suae philosophiae prooemium physicorum (quod adhuc nullus eorum intellexit) aut posteriorum aut metaphysicae nobis interpretarentur ad germanum Aristotelis sensum. | Credo che costoro siano detrattori della filosofia, pericolosi sia per i giovani sia per gli anziani e la chiesa intera. Chiamano filosofia ciò che filosofia non è, e con i loro sogni e i loro errori (spacciati come filosofia) indottrinano i più intelligenti tra i giovani e li mandano alla perdizione: e se da una parte non trasmettono null altro che Aristotele (nel quale non c è quasi niente di filosofia), dall altra non lo capiscono in nessun punto, gli cuciono addosso i loro oracoli come se fossero vere interpretazioni e tuttavia si vantano di essere filosofi. Cosa possono commettere di più efferato nei confronti della filosofia? E se tentano di smentirmi, obietterei loro che, per dar loro un saggio della loro filosofia, potrei interpretare il proemio della Fisica (che finora nessuno di loro ha capito) o degli Analitici posteriori o della Metafisica secondo il genuino pensiero di Aristotele. | |
6,188,10-15 | Condemnatio doctrinalis librorum Martini Lutheri per quosdam Magistros Nostros Lovanienses et Colonienses facta. Responsio Lutheriana ad eandem damnationem. | L'atto di accusa di Lutero prosegue con l'arma dell'ironia: i maestri di Lovanio e di Colonia non sanno che esprimere condanne senza motivare nulla, per cui anche la proposta di una nuova interpretazione di Aristotele e delle ragioni che la sostengono verrebbe capita come un'accusa immotivata a cui contrapporre non le armi del dialogo ma una mera condanna. | 140 | 1520 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 188 | proemium, damnare, doctrinalis, magister, detrahere, philosophi, proemium, ars, apprehendere, rationem-reddere, probare | 266 | Sed metuo, ne denuo coacta facultate damnent Lutherum, iterum nudis doctrinalibus, autenticis verbis, dicentes Lutherus detraxit Magistris nostris, negans eos esse philosophos et prooemia librorum Aristotelis scire . Nam postquam hanc artem apprehenderunt, ut non nisi Damnamus dicant nec sint obstricti ad reddendam rationem, quo pluribus ego probavero, eo plura illis damnanda obtulero. | Ma temo che per la seconda volta costringano la facoltà a condannare Lutero, e ancora una volta con parole schiettamente e autenticamente dottrinali, dicendo: Lutero ha vilipeso i nostri maestri, dicendo che non sono filosofi e che non conoscono i proemi dei libri di Aristotele . Ma da quando hanno imparato quest'arte che consiste nel dire solo: Condanniamo , senza essere obbligati a rendere ragione, posso esporre a mia difesa tutti gli argomenti che voglio: non farò altro che offrire loro nuovi motivi di condanna. | ||
6,188,16-25 | Condemnatio doctrinalis librorum Martini Lutheri per quosdam Magistros Nostros Lovanienses et Colonienses facta. Responsio Lutheriana ad eandem damnationem. | Quali sono i dodici anni in cui Lutero si occupò di Aristotele? Probabilmente quelli che vanno dal 1501 al 1512, cioè tra l'iscrizione alla facoltà delle arti ad Erfurt e la licenza in teologia ottenuta a Wittenberg. Un'affermazione molto utile, soprattutto perché permetterebbe di concludere che negli anni successivi all'entrata in convento (cioè dopo il 1505) Lutero oltre ad approfondire gli studi teologici si sarebbe dedicato con continuità alla filosofia. Il lungo elenco di concetti che è al centro del brano richiama da vicino la dodicesima tesi filosofica della Disputa di Heidelberg. Non è un elenco casuale, e va letto soprattutto in riferimento al proposito, enunciato poche righe più sopra, di esporre il "vero" Aristotele a partire dal proemio della Fisica. Importante anche la dichiarazione secondo cui Aristotele non solo è inutile alla teologia, ma anche ai communes hominum mores. Dopo qualche anno Lutero cambierà in parte idea, se non sulla teologia, almeno sulla vita pratica. L'ultima parte della frase, infine, è un bell'esempio della ricca cultura mitologica di Lutero, con il richiamo a Proteo, spesso da lui accostato ad Aristotele, mentre il tema (la condanna per la proliferazione di correnti filosofiche che si ispirano ad Aristotele) è un leit-motiv di Lutero. | 140 | 1520 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 188 | garrulitas, materia, motus, infinitum, locus, vacuus, tempus, contentio, Protheus, notus, philosophia, theologia, ingenium, socordia, synpalestrita, persuadere, discere, intellectus, affectus, mos, communis, serere, servare, opinio, certus, fax-Euboica, sectare | 10 | Credatis autem fortiter, Magistri nostri eximii, Luthero esse notam philosophiam et Theologiam vestram, in qua non pessimo ingenio nec ultima socordia versatus sit plus duodecim annis interque synpalestritas vestros detritus: non mihi persuadebitis, philosophiam esse garrulitatem illam de materia, motu, infinito, loco, vacuo, tempore, quae fere in Aristotele sola discimus, talia, quae nec intellectum nec affectum nec communes hominum mores quicquam iuvent, tantum contentionibus serendis servandisque idonea. quod si maxime quid valerent, tot tamen opinionibus confusa sunt, ut, quo quis certius aliquod sequi proposuerit, hoc incertior feratur et faces Euboicas sectetur et sero tandem cum Protheo sibi fuisse negotium poeniteat. | Vogliate credermi di tutto cuore, esimi maestri nostri. Lutero conosce la vostra filosofia e la vostra teologia, della quale si è occupato per più di dodici anni con un intelligenza non pessima e neanche con estrema indolenza e si è consumato tra i maestri di ginnastica mentale, vostri pari. Non mi convincerete che la filosofia è questo vano chiacchierare di materia, moto, infinito, luogo, vuoto, tempo, quasi le uniche cose che impariamo in Aristotele. Queste cose poi non sono di nessun aiuto né all'intelletto, né alla volontà, né alla vita della gente normale, servono solo a far nascere (e far durare a lungo) le liti. Dirò di più: se avessero un qualche valore, sarebbero tuttavia confuse in una tale selva di opinioni che, quanto più uno si fosse proposto di seguire qualcosa con certezza, tanto più si troverà incerto, come se seguisse le luci dell Eubea e si pentisse troppo tardi di trovarsi alla fine a che fare con Proteo. | ||
6,191,38-192,10 | Condemnatio doctrinalis librorum Martini Lutheri per quosdam Magistros Nostros Lovanienses et Colonienses facta. Responsio Lutheriana ad eandem damnationem. | Rinfacciare agli interlocutori aristotelici la loro scarsa competenza proprio in tema di Aristotele è l artificio preferito dal Lutero polemista. In questo caso Lutero si rifà, per il vero piuttosto capziosamente, al primo libro degli Analitici posteriori. E se l argomentazione non pare tale da cogliere nel segno, la citazione qui è una prova di quanto affermato da Lutero stesso poche pagine più sopra (WA 6,188,7-9), e cioè di essere disposto a provare le proprie tesi interpretando i proemi della Fisica, della Metafisica e, appunto, degli Analitici posteriori. Da notare le formule poco ortodosse usate da Lutero: si est e quid est al posto delle canoniche an sit e quid sit . | 140 | 1520 | An. post. I,13,78a,22s.; Rhet. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 191 | concilium, dialectica, indulgentia, si-est, quid-est, coloniensis, haereticus, quaestio, dubitare, negare, valere, magister-noster, eximius, philosophia, ridicule, pueriliter | no | Aiunt autem, Conciliis indulgentias esse firmatas, egregii domini Colonienses, ideo me contra concilia locutum haereticum esse, scilicet ex i. posteriorum sic loquuntur, ubi, ut pro Rhetoricis discunt sua dialectica, ita quaestionem si est et quaestionem quid est pro eadem habent. Ego enim, an indulgentiae essent, quomodo potui dubitare aut negare, ut in hoc contra concilia saperem, qui tot scripsi de indulgentiis? Aut quis est orbis angulus, qui non queratur se deceptum indulgentiis? tantum abest, ut esse indulgentias ullus hominum aut nesciat aut neget, multo minus, ut hinc haereticus fieri possit. Hoc autem quaesitum est, necdum inventum, quid essent aut valeant indulgentiae. Hic debebant Magistri nostri eximii philosophiae oculos aperire et non tam ridicule et pueriliter ineptire in quaestione Si est pro quaestione quid est . | E dicono, gli egregi maestri di Colonia, che le indulgenze sono state approvate dai concili e che perciò io, che ho parlato contro i concili, sono un eretico. Parlano cioè come il primo libro degli Analitici posteriori, a proposito del quale (come accade loro quando, anziché cercare nella Retorica, ne desumono le loro argomentazioni dialettiche), ritengono che la domanda se c è e la domanda cos è siano la stessa domanda. E infatti, come potrei dubitare o negare che le indulgenze esistano - al punto da essere su questo di diverso avviso rispetto ai concili - proprio io che tanto ho scritto sulle indulgenze? O qual è l angolo di mondo che non si lamenti di essere stato ingannato dalle indulgenze? E praticamente impossibile che qualcuno ignori o neghi che le indulgenze esistano; e comunque da questo non consegue che uno possa diventare eretico. Ecco infatti ciò che era stato chiesto e a cui non era stata ancora data risposta: cosa fossero e a cosa servissero le indulgenze. Qui i nostri esimi maestri di filosofia dovevano aprire gli occhi e non delirare con una domanda del tipo se c è anziché porre una domanda del tipo cos è . | |
6,192,27-33 | Condemnatio doctrinalis librorum Martini Lutheri per quosdam Magistros Nostros Lovanienses et Colonienses facta. Responsio Lutheriana ad eandem damnationem. | Il contenuto dei puntini di sospensione inclusi nella parentesi (... pene effluxisset) non è precisato da alcuna edizione. Probabilmente, vista la presenza dell'aggettivo crassos e il contesto della frase, si deve completare con ignorantes o un termine analogo. Per il resto, Lutero riformula in due tornate la consueta accusa di ignoranza rivolta agli Scolastici. Una doppia ignoranza, di Cristo e di Aristotele; anzi tripla, perché i dottori di Lovanio e Colonia vengono messi in difficoltà dalle loro stesse opinioni. | 140 | 1520 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 192 | magister, crassus, caecitas, copulatum, faex, peccatum, magister, peccatum, Christus, opinio, intelligere, captio, laqueus, confusio, crassus, impar, sacrae-literae, vis, materia, aequus | 267 | Quid ego fex peccati faciam, videns in Magistris populorum Christi tam crassam caecitatem, ut nec Christum nec Aristotelem nec suas saltem opiniones intelligant et tractare possint nisi in captionem et laqueum et confusionem sui ipsorum. Rogo vos crassos (... pene effluxisset), desistite Lutheriana aut iudicare aut tractare: impares estis huic rei tam in Aristotele tam sacris literis: sumite copulata vestra et vestris viribus materiam aequam. |
E cosa potrei fare io, feccia di peccato, vedendo nei maestri dei popoli di Cristo una cecità così grossolana, che non comprendono né Cristo né Aristotele e neppure le loro stesse opinioni e non ne possono trattare se non in modo tale da ingannare, mettere in trappola e confondere se stessi. Ve lo chiedo, razza di ottusi... (mi sarebbe quasi sfuggito), smettetela di dar giudizi e di occuparvi delle cose di Lutero: non siete all altezza né per quanto riguarda Aristotele, né nelle sacre scritture: tenetevi le vostre proposizioni e scegliete una materia adeguata alle vostre capacità. | ||
6,194,36-195,3 | Condemnatio doctrinalis librorum Martini Lutheri per quosdam Magistros Nostros Lovanienses et Colonienses facta. Responsio Lutheriana ad eandem damnationem. | Sono le ultime righe della Responsio luterana, e anche quelle che chiariscono la linea difensiva di Lutero nei confronti dei maestri di Lovanio e Colonia. Lutero rimanda al mittente tutte le critiche, affermando che sono contraddittorie e infondate, soprattutto perché incorrono in una petizione di principio: voler provare quanto si dice facendo uso nella prova di ciò che dev'essere provato. Un'operazione scorretta anche - afferma polemicamente Lutero - secondo il "loro" Aristotele. Va notato infine il diverso grado di fondazione che possono assicurare la Scrittura e la ragione filosofica: la prima è un'auctoritas, la seconda, per quanto Lutero richiami la petizione di principio aristotelica, è solo probabilis. | 140 | 1520 | An. pr. II,16,64b,28-65a,37; Top. VIII,13,162b,34-163a,1; Soph. el. 27,181a,15-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 195 | auctor, petitio-principii, firmamentum, verbum, displicere, erroneus, quaerere, incognitus, auctoritas, ratio, probabilis, verus, falsus, prohibere, impugnare, quaestio, discere, audire, legere, sentire, munire | 67 | Non erat necesse ut dicerent nudis verbis, mea sibi displicere et erronea videri: sciebam id fore et in hoc ipsum passus sum edi. Nec hoc quaesivi, ut me ad suos autores remitterent quasi mihi incognitos, sed ut scripturae autoritate aut ratione probabili sua vera et mea falsa esse convincerent. Quae est enim ista (etiam suo Aristotele prohibita) petitio principii, mihi responderi per haec ipsa, quae impugno? Non est quaestio, quid didicerint, audierint, legerint, senserint unquam, Sed quibus firmamentis ea muniant. | Non era necessario che dicessero con vuote parole che le mie affermazioni non erano di loro gradimento e che sembravano loro erronee. Sapevo che ciò sarebbe successo e ho sopportato di essere attaccato su questo punto. E non avevo neppure chiesto che mi rimandassero ai loro autori - quasi mi fossero sconosciuti -, ma che in forza dell'autorità della scrittura o con prove di ragione mi convincessero che le loro affermazioni erano vere e che le mie erano false. Ma che mi sia risposto con le stesse frasi che contesto: che razza di petizione di principio (proibita anche dal loro Aristotele) è questa? Non si tratta qui di mettere in questione ciò che essi hanno imparato, ascoltato, letto, sentito, ma i punti fermi su cui basano le loro affermazioni. | |
6,339,12-14; 31s. | Epitoma responsionis ad Martinum Luther (per Fratem Silvestrum de Prierio) | Ironia luterana. La prima parte del passo riportato è un riassunto ad opera di Lutero della Responsio che Prierio gli aveva indirizzato, sempre riguardante il tema delle indulgenze. Questo riassunto è chiosato da Lutero con note spesso ironiche. E' ciò che avviene in questo caso, in cui l'intercessione dei santi viene provata da Prierio con argomenti da lui stesso definiti necessari. Lutero rincara la dose: e magari anche con i primi principi per se noti di cui Aristotele parla nelle Confutazioni sofistiche. | 583 | 1520 | Soph. el. 2,165b,1-8?; An. post. I,2 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 339 | prima-principia-per-se-nota, sanctus, probabile, necessarium, venia, elargire, voluntas, ratio, procedere | 66 | Et v. quod sancti, qui ad eiusmodi venias elargiendas moti sunt, non ex voluntate sed ex ratione processerunt: quod probatur ibi ex probabilibus et pene statim ex necessariis.d d Et per se notis ac primis principiis libri Elenchorum. |
E nel quinto capitolo Prierio afferma che i santi, che sono spinti ad elargire remissioni di questo tipo, non procedettero sulla base della volontà ma della ragione: il che nella Responsio viene provato con argomenti probabili e subito dopo con argomenti necessari.d d E con i principi primi e per se noti del libro delle Confutazioni sofistiche. |
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6,457,28-35 | An den christlichen Adel deutscher Nation von der christlichen Standes Besserung | Il venticinquesimo punto dell'opera indirizzata alla nobiltà cristiana della nazione tedesca rappresenta forse il più noto oltre che uno dei più estesi passi della critica luterana ad Aristotele. Il tema, mai così esplicitamente tematizzato da Lutero, è la riforma delle università. Il quadro dipinto da Lutero, soprattutto se riferito alle università tedesche, è realistico: la stessa Erfurt, che aveva raggiunto il massimo splendore a metà del XV secolo, era poi decaduta, e gli anni 1501-1505 in cui Lutero era stato iscritto alla facoltà delle arti avevano rappresentato l'ultima fiammata di una grande tradizione, grazie anche alla presenza di maestri come Trutvetter e Arnoldi von Usingen. Meno giustificata forse l allusione alla vita dissoluta degli studenti, che rappresenta una costante dell'università medievale, indipendente dal minore o maggiore grado di decadenza degli atenei. In questo contesto la citazione al quarto capitolo del secondo libro dei Maccabei è tutt'altro che causale: vi si racconta del sacerdote corrotto e corruttore Giasone, che voleva ellenizzare i costumi del popolo ebraico (introducendo tra l'altro le palestre a cui Lutero fa riferimento). Allo stesso modo si comporta per Lutero chi ha introdotto Aristotele in università per snaturare il popolo cristiano. E anche qui la scelta degli aggettivi è consapevole. Aristotele è un maestro cieco, a dispetto di chi lo interpreta come la luce della ragione, e pagano, tutt'altro dunque dal filosofo naturaliter christianus, com'era stato presentato da larga parte della filosofia e della teologia medievale. | 7 | 1520 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 457 | universitet, reformation, bapstum, sund, yrthum, Machabei, gymnasium, Ephebi, Grecus, frey-leben, heylige-schrifft, glaub, blind, heydnisch, meyster, Christus, einsetzen, ordiniren, gloria | 29, 240 | Zum xxv. Die universiteten dorfften auch wol eyner gutten starken reformation. Ich muß es sagenn, es vordrieß wen es wil. Ist doch allis, was das bapstum hat eingesetzt und ordiniert, nur gericht auff sund und yrthum zumehrenn. Was sein die Universiteten, wo sie nit anders, dan bißher, vorordnet, den, wie das buch Machabeorum sagt, Gymnasia Epheborum et Grece glorie, darynnen ein frey leben gefuret, wenig der heyligen schrifft und Christlicher glaub geleret wirt, und allein der blind heydnischer meyster Aristoteles regiert, auch weytter den Christus? | XXV. Anche le università hanno bisogno di una sana ed energica riforma. Lo devo dire, e se qualcuno se ne vuole lamentare lo faccia pure, perché tutto ciò che il papato ha fondato e costituito serve solo ad esaltare il peccato e l'errore. E che razza di università sono queste, che finora sono state organizzate per essere null'altro che, come dice il libro dei Maccabei, "palestre di efebi per la gloria greca", dove si conduce una vita libertina, dove si impara ben poco della sacra scrittura e della fede cristiana mentre regna incontrastato - ben più di Cristo - il cieco maestro pagano Aristotele. | ||
6,457,35-458,6 | An den christlichen Adel deutscher Nation von der christlichen Standes Besserung | La censura da operare nei confronti dei testi aristotelici è selettiva. Due sono le categorie di opere da abolire (subito dopo se ne aggiungerà una terza che riguarda le opere da tollerare sub condicione). Iniziando da quella citata per seconda da Lutero, ci sono le opere che trattano di argomenti naturali. Da notare che tra queste non è compresa la Fisica, e non a caso: la Fisica infatti non è vista da Lutero come un testo scientifico . I testi naturali altrove più citati da Lutero sono Sui colori, Riproduzione degli animali, Della generazione e corruzione, Meteorologica e soprattutto le Ricerche sugli animali: l'esempio del vasaio spiega il valore attribuito da Lutero a questi libri, che non sono in grado di aumentare in niente la conoscenza della natura che proviene dalla normale esperienza quotidiana. La prima categoria di opere aristoteliche citata da Lutero riguarda invece quelle wilchs bißher die besten gehalten , e cioè, secondo quando si può dedurre dal contesto, i testi che costituivano l'ossatura della formazione universitaria di quel tempo. Ma le quattro opere citate, la Fisica, la Metafisica, il De anima, l'Etica Nicomachea, sono anche le opere dell'Aristotele metafisico, del filosofo che a partire dalla realtà concreta e contingente arriva a dedurre realtà necessarie, che oltrepassano l'ambito dell'esperienza sensibile. Sono queste le prime da eliminare nell'università ideale di Lutero. L'evoluzione degli anni successivi però vedrà uno sviluppo delle università protestanti in termini molto diversi da quelli qui accennati. Nel brano riportato, infine, compaiono altre tematiche, tra le quali cenni all'oscurità di Aristotele, alla sua arroganza e alla sua disonestà intellettuale, che paiono prese di peso da analoghi rilievi della Disputa di Heidelberg e che d'altra parte sono tipici di Lutero. | 7 | 1520 | Phys.; Metaph.; De an.; Eth. Nic. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 457 | rad, buch, abthun, naturlich-ding, leren, geistich, meynung, vorstehen, unnutz, erbeit, studieren, kost, zeyt, seele, umb-sonst, topffer, kunst, schreiben, vordampt, hochmutig, schalckhafftig, heide, falsch, Christe, vorfuren, narren-v., plagen, sund | 11, 232 | Hie were nu mein rad, das die bucher Aristoteles, Phisicorum, Metaphysice, de Anima, Ethicorum, wilchs bißher die besten gehalten, ganz wurden abthan mit allen andern, die von naturlichen dingen sich ruhmen, so doch nichts drynnen mag geleret werden, widder von naturlichen noch geistlichen dingen, dazu seine meynung niemant bißher vorstanden, und mit unnutzer erbeit, studiern und kost ßofiel edler zeyt und seelen umb sonst beladen geweßen sein. Ich darffs sagen, das ein topffer mehr kunst hat von naturlichen dingen, den in denen bucher geschrieben stet. Es thut mir wehe in meinem hertzen, das der vordampter, hochmutiger, schalckhafftiger heide mit seinen falschen worten soviel der besten Christen vorfuret und narret hat: got hat uns also mit yhm plagt umb unser sund willen. | A questo punto il mio consiglio sarebbe che i libri di Aristotele che finora sono stati ritenuti i più validi - la Fisica, la Metafisica, il De anima, l'Etica - fossero eliminati assieme a tutti gli altri che trattano di scienze naturali, perché non c'è niente da imparare in questi libri, né sulle realtà spirituali né sulle naturali, e per di più nessuno finora è riuscito a capire quale sia il pensiero di Aristotele, e così con fatica, studio e soldi buttati via, tante nobili epoche ed anime sono state inutilmente oppresse da questo peso. Dirò francamente che un vasaio ha più scienza di cose naturali di quanta se ne trovi scritta in questo genere di libri. E mi fa proprio male al cuore vedere che il dannato, arrogante, scaltro idolatra con le sue parole ingannatrici abbia sedotto e preso in giro tanti tra i migliori cristiani: Dio ci ha punito per i nostri peccati mandandoci questa tribolazione. | |
6,458,7-14 | An den christlichen Adel deutscher Nation von der christlichen Standes Besserung | Stupisce il fatto che Lutero dica che il De anima è l opera migliore di Aristotele, viste le feroci critiche che riserva qui e altrove allo stesso testo. O si tratta di espressione ironica, o Lutero intende dire che il testo comunemente ritenuto migliore è in realtà pessimo e denso di errori. Questa seconda interpretazione pare preferibile, visto che nel prosieguo di questo passo Lutero dice che anche l Etica Nicomachea è un libro tenuto a torto in grande onore. Anche in questo caso Lutero probabilmente ha in mente le tesi filosofiche sostenute due anni prima ad Heidelberg e soprattutto la terza tesi, in cui passa al vaglio il testo aristotelico per dimostrare che non era intenzione del filosofo affermare l immortalità dell anima. | 7 | 1520 | De an. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 458 | elend, bestes-buch, seel, sterblich, corper, heylig-schrifft, todt, heyde, vorhyndern, untertrucken, jamer, boßer-geist, studieren, leren, geruch, empfinden, ubirwinden | 30, 195, 104 | Leret doch der elend mensch in seinem besten buch, de Anima, das die seel sterblich sey mit den Corper, wie wol viel mit vorgebenen wortten yhn haben wolt erredten, als hetten wir nit die heyligen schrifft, darinnen wir ubirreichlich von allen dingen geleret werden, der Aristoteles nit ein kleinsten geruch yhe empfunden hat, dennoch hat der todte heyde ubirwunden, und des lebendigen gottis bucher vorhyndert unnd fast untertruckt, das, wen ich solchen jamer bedenck, nit anders achtenn mag, der boße geist hab das studiern hereyn bracht. | Infatti nella sua opera migliore, il De anima, quel miserabile insegna che l'anima muore con la morte del corpo, sebbene molti, con parole ingannatorie, abbiano voluto salvarlo: come se non avessimo a disposizione le sacre scritture, nelle quali ci viene dato un insegnamento sovrabbondante su tutti gli argomenti, dei quali Aristotele non ha sentito neppure l'odore. E tuttavia quel morto pagano ha avuto la meglio e ha sbarrato la strada ai libri del Dio vivente togliendoli quasi di mezzo; al punto che, quando rifletto su una simile desolazione, non posso che ipotizzare che lo spirito del male si sia impossessato degli studi. | |
6,458,14-25 | An den christlichen Adel deutscher Nation von der christlichen Standes Besserung | Dopo il De anima è la volta dell'Etica Nicomachea, definito un libro in diretto contrasto con la grazia e le virtù cristiane. E' soprattutto a proposito dell'Etica che Lutero può affermare di conoscere a fondo Aristotele, di aver tenuto lezioni (geleßen, il riferimento probabilmente è alle lezioni di Wittenberg del 1512) e di aver preso lezioni (gehoret, si riferisce alle lezioni universitarie del periodo 1503-1505). L'avversione per l'Etica comunque non si manifesta certo qui per la prima volta e Lutero non entra neppure nel dettaglio, rinunciando a spiegare i motivi della sua avversione. Si cura piuttosto di assicurare che la sua interpretazione dell'etica aristotelica è migliore di quella di san Tommaso e di Duns Scoto: purtroppo però non ci è rimasto niente di organico al riguardo, soprattutto i testi delle lezioni del 1508, che sarebbero fondamentali per interpretare l'atteggiamento del giovane Lutero nei confronti di Aristotele. Scontata infine la condanna dell'aristotelismo medievale con cui si conclude il brano. | 7 | 1520 | Eth. Nic. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 458 | buch, arg, gnade, gott, tugend, bestes-buch, bekant, leßen, hören, vorstand, Thomas, Scotus, beweyszen, yrtumb, welt, universitet, aufflegen, vorwerffen, einreden | 101, 1 | Desselben gleichen, das buch Ethicorum, erger den kein buch, stracks der gnaden gottis und Christlichen tugenden entgegen ist, das doch auch der bestenn einis wirt gerechnet. O nur weyt mit solchen buchern von allen Christen! Darff mir niemant aufflegen, ich rede zuviel, odder vorwirff das ich nit wisse. Lieber freund, ich weyß wol was ich rede. Aristoteles ist mir so wol bekant, als dir und deynis gleychen, ich hab yhn auch geleßen unnd gehoret mit mehrem vorstand, dan sanct Thomas odder Scotus, des ich mich on hoffart rumen, und wo es nodt ist, wol beweyszen kan. Ich acht nit, das ßoviel hundert jar lang ßoviel hoher vorstand drynnen sich erbeyttet haben. Solch einreden fechtenn mich nymmer an, wie sie wol etwan than haben, feintemal es am tag ist, das wol mehr yrtumb mehr hundert jar in der welt und universiteten blieben sein. | Lo stesso vale per l'Etica Nicomachea, peggiore di ogni altro libro, direttamente contrario alla grazia di Dio e alle virtù cristiane e che pure viene reputato uno dei migliori. Tutti i cristiani si tengano bene alla larga da libri di questo genere! Nessuno mi può rinfacciare che parlo troppo o biasimarmi perché parlo senza sapere. Caro amico, so bene di cosa sto parlando. Conosco Aristotele almeno quanto te e i tuoi simili, ho tenuto lezioni su di lui e ne ho anche ricevute e l ho interpretato meglio di san Tommaso e di Scoto: me ne vanto senza alcuna presunzione e se fosse necessario lo potrei anche provare. Non mi interessa che per tanti secoli tante menti eccelse si siano consumate per studiarlo. Simili obiezioni non mi toccano nemmeno, perché è sotto gli occhi di tutti che, se da una parte essi hanno fatto qualcosa, dall altra parte molti di più sono gli errori che sono rimasti per ben più di un secolo nel mondo e nelle università. | |
6,458,26-40 | An den christlichen Adel deutscher Nation von der christlichen Standes Besserung | Dopo le due categorie di opere aristoteliche da censurare, si passa ad una terza di opere da ammettere. Ma significativamente Lutero usa il verbo leyden (sopportare, tollerare) e anche in questo caso ai libri di Aristotele viene riservato un trattamento drastico: riassunti in forma breve o al massimo esposti senza commento. Nella traduzione italiana proposta a lato si è ritenuto anche in questo caso che il verbo leßen, in un contesto riferito alle università, significasse "leggere pubblicamente, tenere lezioni", visto anche che gli studenti dell'epoca normalmente non disponevano di libri o manoscritti da leggere di persona. Non sfugga il riferimento ai junge leut (i più giovani): trattandosi di insegnamento universitario, si può ritenere che questa espressione vada riferita alle matricole, o comunque agli studenti che si preparavano al baccellierato. Aristotele, dunque, viene ammesso dunque solo con funzione propedeutica, nel contesto di insegnamenti sussidiari (all'eloquenza, alla predicazione) e ovviamente depurato dai commenti, come uno degli autori della manualistica. L'università ideale del Lutero del 1520 prevede inoltre, come si specifica nel prosieguo del brano, insegnamenti di lingua latina, greca ed ebraica, discipline matematiche e soprattutto la storia, che Lutero consiglia caldamente ai più dotati. Non è da escludere che ci siano influssi umanistici (del giovane Melantone?) su questi criteri di scelta; anche la decisione di conservare come testi la Retorica e alla Poetica potrebbe essere letta in questo senso. Attenzione particolare merita l aggettivo einformig: così come la logica di Cicerone, anche quella Aristotelica dev essere esposta in forma semplificata e non in forma critica. La pluralità delle opinioni, che era uno dei capisaldi su cui si reggeva la scuola (e che pure spesso era degenerata, come Lutero denuncia, in confusione) male si adatta all università ideale di Lutero. | 7 | 1520 | Rhet.; Poet. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 458 | leyden, buch, logica, kurz-form, nutzlich, leßen, iunge-leut, uben, wol-reden, predigen, Comment, secte, Cicero, einformig, disputation, muderey, behalten, reden, predigen | 252, 253 | Das mocht ich gerne leyden, das Aristoteles bucher von der Logica, Rhetorica, Poetica behalten, odder sie in ein andere kurz form bracht nutzlich geleßen wurden, iunge leut zuuben, wol reden und predigen, aber die Comment und secten musten abethan, unnd gleich wie Ciceronis Rhetorica on comment und secten, ßo auch Aristoteles logica einformig, on solch groß comment geleßen werden. Aber itzt leret man widder reden noch predigen drauß, und ist ganz ei disputation und muderey drauß worden. | A questo sì potrei acconsentire: che i libri di Aristotele sulla logica, più la Retorica e la Poetica fossero mantenuti, o che potessero essere insegnati con giovamento una volta riportati in un'altra forma più breve, per esercitare i più giovani all'eloquenza e alla predicazione. I commenti e le interpretazioni di scuola, però, andrebbero eliminati, e come si fa con la Retorica di Cicerone, esposta senza commenti o interpretazioni, così anche la logica di Aristotele andrebbe insegnata in modo uniforme, senza tanti grossi commenti. Oggi invece questi testi non si usano né per imparare ad esprimersi, né a predicare, ma esclusivamente per farne occasione di dispute e di disordini. | |
6,500,11-14 | De captivitate Babylonica ecclesiae praeludium | Lutero qui si riferisce ad Agostino Alveld, francescano, autore del Tractatus de communione sub utraque specie, a cui Lutero risponde con la parte della Cattività babilonese dedicata all'eucarestia. Il riferimento fugace ad Aristotele torna su un tema tipico della critica luterana al filosofo: l accusa di essere un mero prestigiatore di concetti che possono significare cose molto diverse se inseriti in contesti diversi. Più oscuro il riferimento ad Anassagora, un filosofo che Lutero loda in più di un occasione, anche in contrapposizione - come avviene nella Disputa di Heidelberg (WA 59,426,14-16) ad Aristotele. Ma è interessante il confronto con un testo di Gabriel Biel: Una (opinio) fuit Anaxagorae ponentis quodlibet esse in quolibet, hoc est de qualibet specie formam esse in quolibet composito, et ita tot formas in quolibet composito quot sunt species (Gabrielis Biel Collectorium circa quattuor libros Sententiarum, 5 voll., a cura di W. Werbeck e U. Hofmann, Tübingen; Liber secundus, 1984, dist.16, quaest. unica, p.357): le assonanze terminologiche sono più di una. | 120 | 1520 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 500 | significare, nomen, verbum, transponere, professor, lipsiensis, biblia, scriptura, anaxagoricus | 298 | Verum huic Lipsensi Bibliorum professori hoc donandum est, ut e quolibet scripturae loco probet quodlibet. Est enim Theologus Anaxagoricus, immo Aristotelicus, cui nomina et verba transposita eadem et omnia significant. | Ma a questo professore lipsiense di sacre scritture dobbiamo concedere che dimostri qualsiasi cosa con un passo qualsiasi della Bibbia. Infatti è un teologo seguace di Anassagora, anzi di Aristotele, per il quale i nomi e i verbi trasportati in un altro contesto significano tutto e il contrario di tutto. | ||
6,508,7-26 | De captivitate Babylonica ecclesiae praeludium | Senza avvedersene, Lutero nel corso del brano si contraddice. Prima afferma che la chiesa che sancisce il dogma della transustanziazione è Thomistica, hoc est Aristotelica , poi invece spiega che san Tommaso si esprime in modo molto diverso da Aristotele in tema di attributi e sostrato. Purtroppo Lutero non approfondisce questa interessante affermazione, che però conferma ancora una volta che Lutero si sente pienamente padrone di un interpretazione aristotelica del tutto indipendente da quelle della Scolastica, e che quindi le sue critiche ad Aristotele sono concepite per arrivare diritte a bersaglio, senza la mediazione della filosofia medievale. L espressione inter saxum et sacrum è un modo di dire che indica uno stato di esitazione. Le citazioni di Pierre d Ailly, infine, ricorrono numerose nell opera luterana. Si tratta di uno degli autori medievali più conosciuti e più citati (e spesso, come in questo caso, lodati) da Lutero, che in questo caso si rifà alle Quaestiones super libros Sententiarum, IV q.6 art.2, riferendo abbastanza fedelmente le parole del filosofo. A questo passo Leif Grane ha dedicato il suo Luthers Kritik an Thomas von Aquin in De captivitate Babylonica, Zeitschrift für Kirchengeschichte , 80 (1969), pp.1-13, concludendo che l interpretazione che Lutero dà Tommaso si muove sui binari dell interpretazione nominalistica nel senso di una accentuata fedeltà alle argomentazioni di Pierre d Ailly. La differenza sta nel fatto che il filosofo francese presenta le proprie asserzioni come pure ipotesi che devono lasciare il passo alla dottrina della chiesa, mentre per Lutero è la chiesa cattolica (tomistica-aristotelica) ad essere dalla parte del torto. Secondo Grane Lutero ha ragione di affermare che la concezione degli accidenti propria di Tommaso è molto diversa rispetto a quella di Aristotele. Lutero si riferirebbe qui al permanere sull altare degli accidenti privi di un soggetto di riferimento, mentre per Aristotele l inesse a un soggetto rientra nella stessa definizione di accidente. | 120 | 1520 | Top. I,5,102b,3-10; Metaph. V,30,1025a,14-34 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 508 | caro, sanguis, accidens, conscientia, opinio, dialectica, subiectum, theologia, scholasticus, cardinalis, Cameracensis, sententia, acutissime, probabilis, superfluus, miraculum, panis, vinus, astruere, ecclesia, determinare, thomisticus, aristotelicus, audax, papa, concilium, angelus, revelatio, scriptura, ratio, philosophia, dolere, tradere, intelligere, stabilire, fundamentum, structura | 299, 91, 268, 317 | Dedit mihi quondam, cum Theologiam scolasticam haurirem, occasionem cogitandi D. Cardinalis Cameracensis libro sententiarum quarto, acutissime disputans, multo probabilius esse et minus superfluorum miraculorum poni, si in altaris verus panis verumque vinum, non autem sola accidentia esse astruerentur, nisi Ecclesia determinasset contrarium. Postea videns, quae esset Ecclesia, quae hoc determinasset, nempe Thomistica, hoc est Aristotelica, audacior factus sum, et qui inter saxum et sacrum haerebam, tandem stabilivi conscientiam meam sententia priore, Esse videlicet verum panem verumque vinum, in quibus Christi vera caro verusque sanguis non aliter nec minus sit quam illi sub accidentibus suis ponunt. quod feci, quia vidi Thomistarum opiniones, sive probentur a Papa sive a Concilio, manere opiniones nec fieri articulos fidei, etiam si angelus de coelo aliud statueret. Nam quod sine scripturis asseritur aut revelatione probata, opinari licet, credi non est necesse. Haec autem opinio Thomae adeo sine scripturis et ratione fluctuat, ut nec philosophiam nec dialecticam suam novisse mihi videatur. Longe enim aliter Aristoteles de accidentibus et subiecto quam sanctus Thomas loquitur, ut mihi dolendum videatur pro tanto viro, qui opiniones in rebus fidei non modo ex Aristotele tradere, sed et super eum, quem non intellexit, conatus est stabilire. Infoelicissimi fundamenti infoelicissima structura. | Tempo fa, quando dovevo ingoiare la teologia scolastica, mi diede occasione di riflettere il quarto libro delle Sentenze del Cardinale Cameracense, in cui egli argomenta con grandissimo acume che, se la Chiesa non stabilisse il contrario, sarebbe cosa molto più ragionevole e tale da richiedere un minor numero di miracoli superflui, se sull altare ci fossero anche il vero pane e il vero vino e non solo i loro accidenti. Ma quando poi ho capito che razza di Chiesa era quella che aveva stabilito queste cose, una Chiesa tomistica, anzi aristotelica, sono diventato più ardito; io che ero sempre tra Scilla e Cariddi, ho finito per propendere per la prima delle due ipotesi, e cioè che c'è vero pane e vero vino, e proprio in questi si trovano la vera carne e il vero sangue di Cristo, in senso non diverso né meno pregnante da quello usato da loro, per i quali corpo e sangue si trovano sotto gli accidenti di pane e vino. L'ho fatto perché mi sono accorto che le opinioni dei tomisti, per quanto approvate dal Papa o dal Concilio, rimangono opinioni e non possono diventare articoli di fede quand'anche scendesse dal cielo un angelo a stabilire il contrario. Ciò che infatti si afferma appoggiandosi su un fondamento diverso dalle scritture o dalla rivelazione autentica, appartiene al novero dell'opinabile, non delle cose da credere per fede. E questa opinione di Tommaso è così traballante, senza alcun fondamento biblico o razionale! Mi dà l'impressione che Tommaso non capisca neppure più la sua stessa filosofia e la sua dialettica. Aristotele infatti tratta degli accidenti e del sostrato in modo ben diverso da san Tommaso; fa proprio dispiacere che un così grande uomo non solo abbia introdotto le opinioni aristoteliche nelle cose di fede, ma abbia tentato di fondarle appoggiandosi su un Aristotele male interpretato. Una struttura quanto mai precaria sulla base del più precario dei fondamenti! | |
6,509,27-34 | De captivitate Babylonica ecclesiae praeludium | La transustanziazione viene ritenuta da Lutero un tipico esempio di concetto-mostro nato dall indebita fusione di una dottrina aristotelica (peraltro male interpretata) e la teologia cristiana. Della stessa natura sono ritenute anche affermazioni come quelle riportate: Essentiam divinam nec generari nec generare e Animam esse formam substantialem corporis humani. In questo caso però Lutero non coglie nel vero, trattandosi in entrambi i casi di affermazioni che rispecchiano il pensiero, se non proprio la lettera, di Aristotele, e che quindi non derivano da una supposta contaminazione della sua filosofia. Non si può supporre infatti in Aristotele un ente che sia causa del motore primo, perché esso sarebbe a sua volta primo; né d altra parte è pensabile che lo stesso motore generi qualche ente diverso da sé. La formula usata da Lutero deriva però da d Ailly (Sent.1, qu.5E, f.Bi 4va). | 120 | 1520 | De an. II,1,412a,19-21; 27s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 509 | transsubstantiatio, essentia, divinus, generare, anima, forma-substantialis, ecclesia, credere, portentosus, vocabulum, somnium, patres, simulatus, asserere, ratio, causa, Cameracensis, cardinalis | 217 | Sed et Ecclesia ultra mille ducentos annos recte credidit nec usquam nec unquam de ista transsubstantiatione (portentoso scilicet vocabulo et somnio) meminerunt sancti patres, donec cepit Aristotelis simulata philosophia in Ecclesia grassari in istis trecentis novissimis annis, in quibus et alia multa perperam sunt determinata, quae est, Essentiam divinam nec generari nec generare, Animam esse formam substantialem corporis humani, et iis similia, quae nullis prorsus asserunt rationibus aut causis, ut ipsemet confitetur Cardinalis Cameracensis. | La Chiesa si è mantenuta nella retta fede per più di mille e duecento anni senza che i santi padri facessero mai e in alcun luogo menzione di questa transustanziazione (un vocabolo, anzi un delirio veramente stupefacente), finché negli ultimi trecento anni l ingannevole filosofia di Aristotele cominciò a dilagare nella chiesa. In quest ultimo periodo anche molti altri errori sono stati proposti come verità, ad esempio l affermazione che l'essenza divina non è generata e non genera, che l anima è la forma sostanziale del corpo umano e altre affermazioni del genere, che essi si limitano a proclamare senza tante ragioni o tanti perché, come ammette anche il Cardinale Cameracense. | |
6,510,9-24 | De captivitate Babylonica ecclesiae praeludium | La discussione sul dogma della transustanziazione chiama in causa inevitabilmente concetti di natura aristotelica. Lutero accetta nei fatti la discussione filosofica e dimostra di sapersi destreggiare bene nelle distinzioni concettuali della teologia eucaristica. Distinzioni che, a suo modo di vedere, hanno prodotto una tale confusione di nozioni da rendere impossibile capire cosa sia sostanza e cosa accidente. Interessante anche la seconda parte del brano, in cui Lutero, applicando il principio aristotelico per il quale l essere dell accidente è essere in altro ( accidentis esse est inesse : citazione letterale di Pierre d Ailly, In Sent. IV q.6, art.3 K), porterebbe a creare nuove sostanze: presumibilmente sostanze a cui possano inerire gli accidenti del pane e del vino presenti sull'altare. Questa però, come indica Grane (Luthers Kritik an Thomas von Aquin in De captivitate Babylonica, Zeitschrift für Kirchengeschichte , 80 (1969), pp.11) è interpretazione tutte di Lutero, che non ha fondamento in Pierre d Ailly. E probabile che qui Lutero si riferisca a quella quantitas continua distincta a substantia a cui, secondo san Tommaso (S. Th. III q.77 art.2) ineriscono gli accidenti. Ma questa quantitas non è interpretabile, come fa Lutero, nei termini di un novum esse (cfr. GRANE, Luthers Kritik...., cit., p.11). Anche gli esempi della verginità di Maria, della porta chiusa e della porta del sepolcro sono tratti da Pierre d Ailly (In Sent. IV q.5 art.2 R). | 120 | 1520 | Metaph. V,30,1025a,14 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 510 | transsubstantiatio, quantitas-continua, substantia, accidens, uterum, mater, nasci, caro, virgo, annihilare, involvere, ianua, ostium, monumentum, babylonia, distinguere, ignorare, calor, color, frigus, lux, pundus, figura, altare, inesse, monstrum, sinere, gaudere, sacramentum, capere, disputare, ociosus | 92 | Quid facient? Christus ex utero matris natus creditur illeso. Dicant et hic, carnem illam virginis interim fuisse annihilatam seu, ut aptius dici volunt, transsubstantiatam, ut Christus, in accidentibus eius involutus, tandem per accidentia prodiret. Idem dicendum erit de ianua clausa et ostio monumenti clauso, per quae illesa intravit et exivit. Sed hinc nata est Babylonia illa philosophiae istius de quantitate continua distincta a substantia, donec eo ventum sit, ut ignorent et ipsi, quae sint accidentia, et quae substantia. Nam quis certo monstravit unquam, calorem, colorem, frigus, lucem, pondus, figuras esse accidentia? Denique, accidentibus illis in altari coacti sunt fingere novum esse ac creari a deo, propter Aristotelem, qui dicit Accidentis esse est inesse , et infinita monstra, quibus omnibus essent liberi, si simpliciter panem ibi esse verum sinerent. Et plane gaudeo, saltem apud vulgum relictam esse simplicem fidem sacramenti huius. nam ut non capiunt ita nec disputant, an accidentia ibi sint sine substantia, sed simplici fide Christi corpus et sanguinem veraciter ibi contineri credunt, dato ociosis illis negotio de eo quod continet disputandi. | E come reagiranno i nostri interlocutori? Per fede si crede che Cristo sia nato dall intatto utero della madre. Dicano pure, anche in questo caso, che quel lembo di carne della vergine per qualche momento sia stato annientato, o, usando quella che essi reputano un espressione più esatta, transustanziato, così che Cristo, avvolto dagli accidenti di quella carne, alla fine sia venuto alla luce passando attraverso gli stessi accidenti. Ma allora bisognerà dire le stesse cose della porta chiusa e dell entrata del sepolcro chiuso, che Cristo entrando e uscendo attraversò senza toccare. Di qui è nata la Babilonia di questa filosofia che parla di quantità continua distinta dalla sostanza; e ormai si è arrivati a un punto tale che anch essi non sanno più cosa siano gli accidenti e cosa la sostanza. Infatti, chi mai è riuscito a dimostrare con certezza che calore, colore, freddo, luce, peso, figure, sono accidenti? Alla fine sono obbligati ad inventare una nuova sostanza per quegli accidenti che si trovano sull altare, perché Aristotele dice che il modo di essere proprio degli accidenti è l'inerire ad altro , e di qui nasce un numero infinito di mostruosità: ma da tutte queste sarebbero liberi se ammettessero semplicemente che sull altare ci sono pane e vino. Comunque mi rallegro di cuore che perlomeno tra il popolo si sia conservata una fede semplice in questo sacramento. Infatti la gente non capisce e non si mette a discutere se sull altare vi siano accidenti senza sostanza, ma crede con fede semplice che lì è veramente contenuto il corpo e il sangue di Cristo, lasciando a quei perdigiorno il compito di litigare sul mezzo che contiene il corpo di Cristo. | |
6,510,25-35 | De captivitate Babylonica ecclesiae praeludium | In gioco in questo passo è il significato di suppositio: che per Lutero non significa il riferimento a una stessa realtà significata, comune a soggetto e predicato di una proposizione affermativa. Lutero però, diversamente dalle righe che precedono e seguono, non propone una sua interpretazione di questo concetto, che sarà configurata più sotto, ma preferisce passare al lamento per l eccessivo uso dei concetti aristotelici nelle questioni riguardanti la fede cristiana. Un osservazione che, a ben vedere, gli si ritorce contro: nelle righe precedenti e nelle successive, infatti, Lutero argomenta in modo filosofico usando gli stessi concetti aristotelici. Molto citata è la Metafisica, sia esplicitamente sia implicitamente, come dimostra anche una lettera del 1541 (WABr 9,444,33-50) in cui Lutero cita esplicitamente, sempre a proposito della transustanziazione, il sesto libro della Metafisica, anche se in questo caso la citazione letterale di Lutero sembra adattarsi più a De interpr. 3,16b,23-25. Un ultima nota riguarda il sostantivo bestia, che dalla traduzione di Giuseppina Panzieri Saja (Scritti politici, Torino 1949, p.249) è attribuito al francescano Alveld e non ad Aristotele. Lutero però aveva già definito Aristotele bestia in WA 1,509,13; inoltre sarebbe strana una costruzione di ponere col dativo, nel senso di metter dinanzi , per tacere del fatto che Alveld in queste pagine non è mai citato; l interlocutore di Lutero è un generico plurale (dicent), mentre Aristotele è chiamato direttamente in causa una riga più sopra. | 120 | 1520 | De interpr. 3,16b,23-25; Metaph. VI,4,1027b,19 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 510 | subiectum, praedicatum, propositio-adfirmativa, suppositio, bestia, compositio, exponere, humanae-doctrinae, sublimis, censor, divinus, explodere, curiositas, verbum, haerere, contentus, corpus, modus, operatio, comprehendere | 31,179, 331 | At dicent forte, Ex Aristotele doceri subiectum et praedicatum propositionis affermativae debere pro eodem supponere, seu (ut bestiae ipsius verba ponam ex vi. metaphysicorum) Ad affermativam requiritur extremorum compositio , quam illi exponunt pro eodem suppositionem: quare, dum dico hoc est corpus meum , subiectum non posse pro pane supponere sed pro corpore Christi. Quid hic dicemus, quando Aristotelem et humanas doctrinas facimus tam sublimium et divinarum rerum censores? Cur non explosa ista curiositate in verbis Christi simpliciter haeremus parati ignorare, quicquid ibi fiat, contentique, verum corpus Christi virtute verborum illic adesse? An est necesse, modos operationis divinae omnino comprehendere? |
Ma forse risponderanno che Aristotele insegna che il soggetto e il predicato di una proposizione affermativa devono avere uno stesso referente nella realtà, o che (per usare le parole di questa bestia, tratte dal sesto libro della Metafisica) perché vi sia una proposizione affermativa si richiede la composizione degli estremi , che essi identificano con la referenza a una stessa cosa, per cui quando io dico questo è il mio corpo , il soggetto va riferito non al pane ma al corpo di Cristo. Ma cosa potrò mai dire di fronte al fatto che Aristotele e le dottrine umane vengono usati per passare al vaglio delle realtà così sublimi e divine? Perché, lasciata da parte questa vana curiosità, non ci atteniamo con semplicità alle parole di Cristo, disposti a ignorare qualsiasi cosa avvenga in quel luogo, appagati dal fatto che il vero corpo di Cristo si renda presente lì per la potenza delle sue parole? Ma è proprio necessario voler capire fino in fondo il modo con cui Dio opera? |
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6,510,36-511,12 | De captivitate Babylonica ecclesiae praeludium | Lutero continua a impugnare l'arma filosofica per attaccare il concetto di transustanziazione. Lo fa proprio in nome di Aristotele, richiamando passi degli Analitici posteriori e della Metafisica. E, forzando i suoi avversari nella stessa loro logica, chiede sia introdotto il concetto di transaccidentazione, proprio per sfuggire a un rischio analogo da quello prefigurato dai suoi avversari cattolici: se è un pericolo che l affermazione questo è il mio corpo si riferisca a un pezzo di pane e a un calice di vino, lo è altrettanto riferita a puri accidenti quali sono le specie del pane e del vino. Anche il concetto di transaccidentazione è comunque tratto da Pierre d Ailly (In Sent. IV q.6 art.1 C). L ultima parte dell argomentazione, invece, in cui si invita a fare astrazione, oltre che degli accidenti, anche della sostanza, allude al tema tipicamente nominalista della potentia Dei absoluta in cui, per trattare un tema così arduo per la ragione, è necessario intellectu excedere. La stessa tematica della suppositio che sta alla base di questa lunga discussione è d'altra parte un cavallo di battaglia degli occamisti. Va rilevato ancora una volta infine che in tutta questa trattazione Lutero ha usato concetti di matrice aristotelica e non certo in chiave ironica, ma per confutare le tesi avversarie. Non a caso la riga successiva comincia con la frase Sed ne nimium philosophemur,... e prosegue con l'invito a trattare di questi argomenti basandosi sulle parole di Cristo. Quasi un'autocensura per avere dato troppo spazio alla filosofia. | 120 | 1520 | An. post. I,22,82b,37-83a,35 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 510 | praedicamentum, accidens, substantia, subiectum, transaccidentatio, suppositio, album, magnum, aliquid, praedicare, verificare, affirmare, periculum, corpus, ratio, extremum, intellectus, excedere, eximere, supponere, virtus, omnipotens | 93 | Verum quid ad Aristotelem dicunt, qui subiectum omnibus praedicamentis accidentium tribuit, licet substantiam velit esse primum subiectum? Unde apud eum hoc album , hoc magnum , hoc aliquid sunt subiecta, de quibus aliquid praedicatur. Quae si vera sunt, Quaero: si ideo est transsubstantiatio ponenda, ne corpus Christi de pane verificetur, cur non etiam ponitur transaccidentatio, ne corpus Christi de accidente affirmetur? Nam idem periculum manet, si per subiectum intelligat quis hoc album vel hoc rotundum est corpus meum , et qua ratione transsubstantiatio ponitur, ponenda est et transaccidentatio propter suppositionem istam extremorum pro eodem. Si autem, intellectu excedens, eximis accidens, ut non velis subiectum pro eo supponere, cum dicis Hoc est corpus meum , cur non eadem facilitate transcendis substantiam panis, ut et illam velis non accipi per subiectum, ut non minus in substantia quam accidente sit hoc corpus meum ? praesertim cum divinum illud sit opus virtutis omnipotentis, quae tantum et taliter in substantia, quantum et qualiter in accidente potest operari. |
Ma allora cosa possono contrapporre costoro ad Aristotele, che attribuisce un soggetto a tutti i predicamenti che si riferiscono agli attributi, anche se d'altra parte afferma che è la sostanza il primo soggetto? Secondo il suo pensiero questo bianco , questa cosa grande , questo qualcosa sono soggetti dei quali si può predicare qualcosa. Ma se è vero ciò che afferma Aristotele, mi sorge una domanda: se è così urgente parlare di transustanziazione - perché non si pensi che il corpo di Cristo è fatto di pane - per quale ragione allora non si parla anche di transaccidentazione, così da non dire che un accidente è il corpo di Cristo? Se qualcuno pensa che il soggetto di il mio corpo sia questa cosa bianca e rotonda , il pericolo rimane sempre lo stesso; perciò per la medesima ragione per cui si parla di transustanziazione si deve parlare anche di transaccidentazione, proprio perché si ritiene che i termini estremi si riferiscano alla stessa cosa. E se poi, oltrepassando le possibilità dell'intelletto, si fa astrazione dell'accidente, così che quando si dice questo è il mio corpo si esclude che ci possa essere un soggetto a cui questa proposizione si riferisce, perché non si può con la stessa facilità soprassedere sulla sostanza del pane, al punto da non assumere neppure questa come soggetto, così che questo mio corpo sia presente non meno nella sostanza che negli accidenti? Il che vale specialmente quando quella realtà divina sia frutto di un energia onnipotente, che può essere efficace nella stessa misura e con la stessa modalità sia nella sostanza sia nell'accidente. |
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6,511,23-28 | De captivitate Babylonica ecclesiae praeludium | Ulteriore precisazione di Lutero sul fatto che la filosofia non serve a nulla, quando si discute di argomenti fondati sulla Rivelazione. Eppure poco più sopra era stato Lutero stesso a scendere sul campo filosofico per argomentare contro i sostenitori della transustanziazione, i quali, nota con una punta di ironia Lutero, nonostante il dispiego di argomentazioni aristoteliche, sono i primi ad affermare che la filosofia non può nulla in questo campo. | 120 | 1520 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 511 | spiritus-sanctus, transubstantiatio, Paulus, frangere, participatio, corpus, Christus, panis, philosophia, fateri, ruere | 190 | Et Paulus: Nonne panis quem frangimus participatio corporis Christi est? Non dicit in pane est , sed ipse panis est participatio corporis Christi . Quid, si Philosophia haec non capit? Maior est spiritussanctus quam Aristoteles. Nunquid capit transsubstantiationem illorum, cum et ipsi fateantur, hic universam philosophiam ruere? | E san Paolo dice: Forse che il pane che spezziamo non è la partecipazione al corpo di Cristo? Non dice che nel pane c'è ma che proprio il pane è la partecipazione al corpo di Cristo . Che dire, se la filosofia non comprende queste cose? Lo Spirito Santo conta più di Aristotele. Forse che la filosofia capisce la loro transustanziazione, quando sono essi stessi a dire che su questo punto l'intera filosofia crolla? | ||
6,604,11-13 | Adversus execrabilem Antichristi bullam | Lutero si rivolge ai "dannati Papisti" per mettere in evidenza la loro malafede nel condannare libelli quali quelli che avevano provocato la condanna delle sue opere, per opera della bolla Exsurge Domine, promulgata all'inizio del 1520. I papisti secondo Lutero hanno due pesi e due misure e la comparazione di Origene e Aristotele lo dimostra. Ritorna così in forma estremamente dura il giudizio su Aristotele come nemico della religione e fonte di errori. | 112 | 1520 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 604 | impiissimus, error, Origenes, libellus, catholicus, abolere, docere, damnare | 32, 233 | Cur Origenem suscipitis in libellis catholicis, et non in totum aboletis? immo cur impiissimum Aristotelem, in quo non nisi errores docentur, non saltem in parte damnatis? | Perché accogliete un autore come Origene nei libelli cattolici e non lo eliminate del tutto? E perché invece Aristotele, il più lontano dalla religione, che non insegna altro che errori, non lo condannate nemmeno in parte? | ||
7,98,7-16 | Assertio omnium articulorum M. Lutheri per bullam Leonis X. novissimam damnatorum | Ecco un esempio pratico di quanto affermato dal Lutero nello scritto Alla nobiltà cristiana di origine tedesca (WA 6,457,35-450,30): che di Aristotele andrebbe salvata solo la logica e poco altro. Qui è un principio della dialettica aristotelica ad essere chiamato in causa da Lutero: quello secondo cui l'ignoto va spiegato a partire da ciò che è noto. Una citazione che, una volta tanto, vede Aristotele nel ruolo di auctoritas degna di essere seguita e citata ed addirittura applicata ad un contesto teologico. | 41 | 1520 | An. pr. II,16,64b,28-65a,37; Top. VIII,13,162b,34-163a,1; Soph. el. 27,181a,15-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 98 | notum, ignotum, obscurum, manifestum, demonstrari, Augustinus, patres, pugnare, docere, sacrae-literae, primum-principium, infirmus, apertus, certus, verbum, homo, probare, ridicule, aperire, firmare, praesumere, sensus, natura | 64 | Quod si non ita est, cur Augustinus et sancti patres, quoties vel pugnant vel docent, ad sacras literas ceu prima principia veritatis recurrunt et sua vel obscura vel infirma illarum luce et firmitate illustrant et confirmant? quo exemplo utique docent, verba divina esse apertiora et certiora omnium hominum, etiam suis propriis verbis, ut quae non per hominum verba, sed hominum verba per ipsa doceantur, probentur, aperiantur et firmentur. Nisi enim ea apertiora et certiora ducerent, ridicule sua obscura per obscuriora dei probare praesumerent, cum et Aristoteles istorum universusque naturae sensus id monstrent, quod ignota per notiora et obscura per manifesta demonstrari oporteat. | Ma se le cose non stanno così, come mai Agostino e i santi padri, tutte le volte che polemizzano o insegnano, ricorrono alle sacre lettere, primi principi della verità, e illuminano e rafforzano i loro principi, non chiari o poco fondati, alla luce e con la stabilità di quelle? Con questo esempio essi ci insegnano soprattutto che le parole divine sono più comprensibili e più certe delle parole di ogni uomo, anche delle loro stesse parole, così che non sono le scritture a venir insegnate, dimostrate, spiegate e fondate attraverso le parole degli uomini ma viceversa. Se infatti essi non le credessero più comprensibili e più certe, avrebbero una presunzione ben ridicola: di spiegare le loro proposizioni confuse con quelle di Dio, ancora più confuse; mentre poi il loro Aristotele e ogni naturale buon senso mostrano che è necessario dimostrare ciò che è ignoto con ciò che è noto e ciò che è oscuro con ciò che è manifesto. | |
7,100,27-33 | Assertio omnium articulorum M. Lutheri per bullam Leonis X. novissimam damnatorum | Cosa ha a che fare con la Sacra scrittura la Chiesa degli inizi del Cinquecento? Secondo Lutero, ben poco. E' interessante notare il climax del passo riportato a fianco: si parte con le sacre scritture, seguono i Padri della Chiesa, poi, in ordine di crescente lontananza dal messaggio biblico, seguono i teologi scolastici e Aristotele. Peggiore di Aristotele non c'è nessuno: Lutero può accennare solo un vago "quo quisque remotior a sacris literis et sanctis patribus fuerit". La sequenza è interessante proprio perché mette gli scolastici e Aristotele su due piani diversi. Se la teologia cattolica medievale è nefasta per Lutero, la ragione metafisica, di cui Aristotele è simbolo e massimo esponente, è ancor più lontana dalla verità rivelata. | 41 | 1520 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 100 | sacra-scriptura, patres, theologi, pontifex, doctor, tribunal, vocare, repellere, apertus, scholasticus, iactare, remotus, dux | 196 | Alioqui, si pontificibus aut doctoribus solis fidendum est, nec ad scripturae tribunal vocandi sunt, cur non scripturas sanctas explodimus tanquam superfluas et obscuriores, quam ut eas possimus consequi? eodem exemplo tamen et patres sanctos repellamus, receptis in locum eorum apertioribus (ut iactant) Theologis scholasticis, donec et his abiectis Aristotelem et quo quisque remotior a sacris literis et sanctis patribus fuerit duces habeamus, sicut revera habuimus et habemus. | Altrimenti, se si deve fare affidamento solo sui pontefici e sui dottori e non si può nemmeno citarli davanti al tribunale della scrittura, perché non ci sbarazziamo delle sacre scritture, superflue e troppo impenetrabili per cavarne fuori qualcosa? Sulla stessa scia si potrebbero anche togliere di mezzo i santi padri e cooptare al loro posto i più comprensibili (come si vantano di essere) teologi scolastici, finché, messi da parte anche questi, abbiamo come guide Aristotele o chiunque si dimostri ancor più lontano dalle sacre lettere e dai santi padri. E in realtà tutto questo è già avvenuto e continua ad avvenire. | ||
7,282,10-15 | Auf des Bock zu Leipzig Antwort | Lutero contesta ad Emser di volersi accontentare di sottigliezze concettuali, come fece il cardinal Gaetano, che nel colloquio di Augusta tenuto nell ottobre 1518 esigeva da Lutero almeno una generica ritrattazione in tema di indulgenze, per potere poi accettare il resto delle sue dottrine modificato con l aggiunta di qualche distinzione concettuale. Così l accusa di aderire alle dottrine boeme, che era stato il punto forte di vari avversari di Lutero tra cui Eck nella disputa di Lipsia del 1519, viene ribaltata da Lutero: meglio la vergogna di Hus che la gloria di Aristotele. Lutero cita direttamente il filosofo greco e non qualche suo interprete medievale. In Aristotele Lutero infatti vede proprio la causa di questa ambiguità dei suoi avversari; la dottrina aristotelica dà loro i mezzi concettuali per cambiare le carte in tavola a colpi di distinzioni e di sottigliezze dialettiche. Per questo Aristotele e ritenuto da Lutero ancora più pericoloso per la fede di Hus, l eretico per definizione. | 188 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 282 | lugener, buben, distinctio, auszflucht, Huss, Cajetan, Hieronymus, ablaß, widerrufen, warheit, schand, ehre, nott, erfurtzeugen, | 312, 34, 35 | Gleych wie meyn Cardinal Sancti Sixti zu Augspurgk auch thet und furgab, wenn ich nur das Ablas widderrief, szo hett das ander kein nott, wolten wol ein distinction und auszflucht finden. So suchen sie gottis ehre und die warheit: darumb ob wol Emser Aristotel erfurtzeugt und auff mich dringt mit Huss und Hieronymus namen, solt mir lieber Husses schand seyn denn Aristotels ehre, wil yhm gern den lugener und buben Aristoteles lassenn. | E proprio così il mio cardinale di san Sisto ad Augusta tentò e pretese di fare: se io avessi ritrattato almeno in tema di indulgenze, per tutto il resto delle mie dottrine essi non ne non avrebbero avuto alcun bisogno. Avrebbero trovato loro una distinzione o una qualche scappatoia. Questo è il modo con cui cercano la gloria di Dio e la verità: per cui sebbene Emser ricorra al suo Aristotele e cerchi di incalzarmi con i nomi di Gerolamo e di Hus, dovrebbe essermi più cara la vergogna di Hus che la gloria di Aristotele, e lascio ben volentieri a lui il menzognero e malvagio Aristotele. | ||
7,425,20-29 | Grund und Ursach aller Artikel D. Martin Luthers, so durch römische Bulle unrechtlich verdammt sind | Lutero contesta che la definizione aristotelica di anima come prima entelechia di un corpo avente la vita in potenza possa essere fatta propria dalla Chiesa. Le decisioni a cui ci si riferisce sono quelle del Concilio Lateranense V, svoltosi a Roma dal 1512 al 1517 e in cui si condannarono le tesi averroistiche sull unicità dell intelletto agente e possibile. Questo concilio appare a Lutero come una lampante dimostrazione che la chiesa di Roma è diventata aristotelica, identificandosi in tutto e per tutto con le dottrine del Filosofo. In questo passo Lutero dimostra di conoscere bene la definizione aristotelica dell anima; altri passi analoghi in WA 59,411,15-412,9 (1518); 7,425,20-29 (1521); 39 I,175,32-37 (1536); 42,63,10-64,3 (1535-1545); 44,590,4-10 (1535-1545); 60,144,18-22 (ca. 1540). | 114 | 1521 | De an. II,1,412a,19-21; 27s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 425 | liecht-der-natur, trewm, Rom, meisterlich, heylig-artickel, seele, mensch, unsterblich, gemein-glawbe, ewigs-leben, weszentlich, form, leybes, Bepstlich, kirche, teuffel, lere, beschließen, anstehen | no | Da her ists kummen, das newlich zu Rom furwar meisterlich beschlossen ist der heylig Artickel, das die seele des menschen sey unsterblich, denn es war vorgessen ynn dem gemeinen glawben, da wyr alle sagen: ich glewb eyn ewigs leben . Item, es ist auch beschlossen durch hilff Aristoteles, des grossen liechts der natur, das die seele sey ein weszenlich form des leybes, und der selben feiner artickel viel mehr, dye auffs aller zumlichst wol anstehen der Bepstlichen kirchen, auff das sie menschen trewm unnd teuffels lere behalte, die weil sie Christus lere und den glawben mit fussen tritt und vortilget. | E perciò si è giunti a questo: che di recente a Roma è stato sancito, e d ora in poi con autorità di magistero, il sacro articolo secondo il quale l anima dell'uomo è immortale, poiché la fede comune aveva dimenticato questa verità, visto che noi tutti diciamo: Io credo nella vita eterna . Inoltre si è anche deciso, con l aiuto di Aristotele, la grande luce della natura, che l anima è forma sostanziale del corpo, e molti altri articoli siffatti, che si adattano nel modo più congeniale alla chiesa papista, al punto tale che essa contiene solo sogni umani e insegnamenti del diavolo, mentre calpesta e cancella l insegnamento di Cristo e la fede. | |
7,533,13-18 | Enarrationes epistolarum et evangeliorum, quas postillas vocant | Il soggetto di questo brano è ii, qui in populo sunt sapientiores, sanctiores et potentiores . Lutero lamenta ancora una volta che Aristotele abbia sostituito Cristo nella Chiesa per opera di una classe intellettuale che a suo giudizio ha tradito la vera fede. | 9 | Po. 8 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 533 | tyrannis, ecclesia, Iohannes, Euangelium, traditio, extinguere, decretum, homo, Herodes, obtruncare | 206 | Nam nihil esset tyrannidis Ecclesiasticae in Ecclesia, si Iohannis vox, idest, Euangelium, praevaleret et hominum traditiones non essent. At postquam Iohannem non permovent nec Euangelium pro se habent, quid faciunt? Nempe Euangelio extincto Aristotelem et decreta hominum loco eius erigunt, ac sic cum Herode Iohannem captum obtruncant, sicut est dies haec. | Infatti nella Chiesa non ci sarebbe alcuna tirannide ecclesiastica se prevalesse la voce di Giovanni, cioè il vangelo, e non le tradizioni degli uomini. Ma dal momento che non pongono più mano a Giovanni e non hanno più il Vangelo davanti a sé, cosa possono fare? Evidentemente, messo da parte il vangelo, erigono al suo posto Aristotele e i decreti umani, e, fatto prigioniero Giovanni, lo decapitano con Erode come avviene in questo giorno. | |
7,621,18-22 | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | Ironia di Lutero nei confronti di Emser, che gli aveva rivolto un libro dal titolo An der Stier zu Wittenberg. Lutero ricambia con gli interessi, affibbiando a Emser l appellativo di becco e dando dell asino ad Aristotele e a tutte le auctoritates citate da Emser: filosofi, teologi e papi. Del giuramento di Socrate sul suo cane si parla in Apologia di Socrate, 21 C, e anche questa citazione - uno dei non frequenti richiami all opera di Platone da parte di Lutero - si adatta perfettamente all intento ironico del brano. Un vero giuramento filosofico infatti è quello di Emser, che, essendo un caprone, potrebbe giurare sulla barba e sulle corna, così come Socrate giurò sul suo cane. | 190 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 621 | bock, Emszer, eyd, harnisch, horn, bard, Socrates, hund, schweren, philosophisch, erschrecklich, esellsstall, Christus | 313 | Bocks Emszer, das du auch den eyd, wie den harnisch gepessert, bey deinen hornernn und bard, wie Socrates bey seynem hund, geschworen hettist, das were eyn recht philosophisch eyd geweszen, myr fast erschrecklich, die weyl du newlich Aristotelem ym Esellsstall bey Christo funden hast, wie du rumest. | O becco Emser, se tu, come hai indossato la corazza, avessi anche fatto giuramento sulle tue corna e sulla barba, come Socrate sul suo cane, questo sarebbe stato proprio un bel giuramento filosofico, che quasi mi spaventa, poiché tu di recente hai trovato Aristotele in una stalla di asini vicino a Cristo, come tu stesso ti vanti di aver fatto. | ||
7,623,30-33 | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | Lutero rimprovera ad Emser di voler combattere contro di lui non in base alla pura lettera della Scrittura, ma in base alle molte letture (soprattutto all interpretazione spirituale della bibbia) che si sono stratificate nel corso della storia della chiesa. Così si spiega il gioco di parole tra scheyden e schneyden, fodero e lama della spada, che percorre tutta l opera. Il riferimento ad Aristotele, oltre a costituire un leitmotiv dell opera, qui è probabilmente dettato dalla necessità di dipingere Emser come un teologo artificioso, che si fonda su argomentazioni cavillose e pretestuose. In questo senso l interpretazione spirituale - che a Lutero sembra solo un coacervo di riflessioni superflue aggiunte alla parola di Dio - è paragonabile alla filosofia di Aristotele, che sovrappone interpretazioni intellettualistiche alla nuda realtà dei fatti. | 190 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 623 | schwerd, wort-gottis, scheyden, buchstabe, schneyden, geystlicher-vorstandt, hawen, geystlich, deutsch, latinisch, junger | 300 | Das schwerd aber, das wort gottis, mympt er und gibt fur nit mit der scheyden, das ist mit dem buchstabe, sondernn mit der schneyden, das ist mit dem geystlichen vorstandt, zu hawen, wie er denn ausz den bunden wol geystlich kan, besser dan deutsch und latinisch, als eyn rechter junger Aristotelis. | Egli prende e sventola la spada, la parola di Dio, non con il fodero, cioè con l interpretazione letterale, ma con la lama, cioè con l interpretazione spirituale per menar colpi, come egli esemplarmente può fare in modo molto spirituale, meglio che in tedesco o in latino; e in questo è un autentico discepolo di Aristotele. | ||
7,624,2-4 | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | L accenno alla priesterschafft di Emser, sempre in chiave ironica, torna spesso nell opera, così come - lo si è visto in precedenza in WA 7,621,18-22 - il titolo di asino conferito ad Aristotele. | 190 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 624 | heylig, priesterschafft, esels-stall, finden | 314 | Doch ich meyn, es hab seyn heylige priesterschafft solchs unnd alls ander, ym esels stall bey dem Aristotel fundenn. | Ma penso proprio che la sua santa condizione sacerdotale abbia trovato simili cose e ben altro dentro la stalla d asino presso Aristotele. | ||
7,632,15-17 | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | Il motivo dell'Emsers langer spiesz und kurzer degen è un fil rouge di quest'opera, tutta giocata sulla metafora delle armi da guerra, che rappresentano le armi dell'argomentazione o i fondamenti (scrittura, ragione,...) su cui il dialogo si fonda. Per il resto, la polemica riprende il tema della contrapposizione tra Cristo e Aristotele, citato ancora una volta come esempio della saggezza mondana. | 190 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 632 | Christus, Emser, spiesz, degen, gewonheyt, brauch, Ambrosius, lerer, warheit | no | Christus hat nit gesagt Ich byn Emsers langer spiesz und kurzer degen . Auch nit ich byn gewonheyt und brauch . Auch nit ich byn Ambrosius, Aristotiles, der und der lerer , sondern also hat er gsagt Ich Byn Die Warheit . | Cristo non ha detto io sono la lunga picca e il corto pugnale di Emser . Neppure io sono la consuetudine e l uso . E neanche io sono Ambrogio, Aristotele, questo o quel maestro . Egli, invece, ha detto: Io Sono La Verità . | ||
7,636,32-35 | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | L ironica definizione di Aristotele come heylig fa il paio con le usuali definizioni di Lutero: pagano, idolatra, tenebre, ecc;: sia l una che le altre si riferiscono al rapporto di Aristotele con il cristianesimo. Rapporto impossibile, secondo Lutero, per il quale Emser santifica un pagano nemico di Cristo. | 190 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 636 | heylig-Aristoteles, vorprants-recht, helffen, schwerd, ketzer, schneyde | no | Lieber keret vleysz an und suchet, der heylig Aristoteles und das heylige vorprante recht helff euch, das yhr das schwerd ja findet, darnach auffhebet und frisch zu dem ketzer Luther einhawett, und yhe mit der schneyden treffet. | Voi piuttosto preoccupatevi e cercate con zelo che il santo Aristotele e il santo diritto canonico vi aiutino, poiché voi avete preso in mano la spada, poi l avete levata in alto e scaraventata di botto sull eretico Lutero e l avete trafitto perfino con la lama. | ||
7,637,18-20 | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | Lutero, dopo aver affermato che solo nella Scrittura si trovano affermazioni e fondamenti certi, sconfessa gli avversari anche sul piano filosofico, affermando che, con il loro riproporre le stesse tesi che devono essere provate, non fanno altro che incorrere in petizioni di principio. Thomas Radinus, identificato da Lutero con Emser, in realtà, come si deduce dallo stesso scritto di Emser An der Stier zu Wittenberg, è un altro avversario di Lutero (cfr. v. WA 7,259). Per quanto riguarda l'accenno alla stalla degli asini, v. WA 7,621,21. | 190 | 1521 | An. pr. II,16,64b,28-65a,37; Top. VIII,13,162b,34-163a,1; Soph. el. 27,181a,15-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 637 | probandum, probare, petere-principium, Thomas-Rhadinus, eselstall, philosophus, finden | no | Wo ist hie der hohe grosse philosophus Er Thomas Radinus, der Aristotilem ym esel stall fand? Hatt nit Aristotiles geleret, das nit recht sey, probanda per probanda probare unnd petere principia? | Ma dov'è il grande e importante filosofo, Tommaso Radino, che trovò Aristotele in una stalla di asini? Non ha per caso insegnato Aristotele, che non è concesso provare ciò che dev'essere provato proprio con ciò che non è ancora provato, e che non si possono fare petizioni di principio? | |
7,640,22-27 | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | Si torna a quanto Lutero aveva affermato poche righe più sopra, (WA 7,637,19) rinfacciando ai suoi avversari di voler usare nella dimostrazione ciò che si vuol dimostrare. Nelle righe successive Lutero spiega in che senso ritiene vero questo principio aristotelico: la luce è la Bibbia, la tenebra la ragione umana. Da notare poi la precisazione relativa ai contadini, per evitare di citare Aristotele in positivo: se qualcosa di buono il filosofo ha detto, si tratta comunque di principi evidenti anche alle persone più ignoranti. Per quanto riguarda Radino, infine, cfr. sopra il commmento a WA 7,637,18-20. | 190 | 1521 | An. pr. II,16,64b,28-65a,37; Top. VIII,13,162b,34-163a,1; Soph. el. 27,181a,15-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 640 | Bock, philosophus, darbringen, Rhadinus, natur, leren, pawr, finster, ungewisz, beweysen, licht, gewiss, erleuchten | no | Und die weyl der Bock ein newer philosophus worden ist, musz ich hym auch seynen Aristotilem darbringen, und beweysen, wie geleret seyn Rhadinus drynnen sey. Aristotiles hatt geschrieben, und die natur leret es auch die pawrn on Aristotilem, man muge nit finster und ungewisz dinck mit finster und ungewisz beweyssenn, viel weniger das licht mit der finsternisz, szondernn was finster und ungewisz ist, musz mit liecht und gewissem erleuchtet werden. | E poiché il Becco si è tramutato in un filosofo nuovo di zecca, sono costretto a spiegargli anche il suo Aristotele, per dimostrare quanto ne sappia il suo Radino. Aristotele ha scritto (ma la natura lo insegna anche ai contadini senza bisogno di Aristotele), che non si può dimostrare ciò che è oscuro e incerto con l'oscurità e l'incertezza, e tanto meno si può dimostrare ciò che è luce con ciò che è tenebra. Al contrario: ciò che sta nelle tenebre e nell'incertezza, dev'essere illuminato con la luce e la certezza. | |
7,642,18-20 | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | Anche un passo così conciso mostra chiaramente l'importanza che Aristotele riveste nell'universo luterano. E rarissimo che il filosofo greco sia nominato come uno tra i tanti filosofi: più spesso Lutero si premura, come avviene in questo caso, di attribuirgli una collocazione del tutto speciale. | 190 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 642 | Gerson, Scotus, lerer, furen | no | Und alszo ist dyr geanttworttet auf alle lerer, die du magst furen: Es sey gleych dein aller erst genentter Aristotiles, datzu Gerson und Scotus. | E così ti è stata data risposta a proposito di tutti i maestri che tu vuoi mettere in campo: e cioè in primo luogo il tuo Aristotele - visto che l hai nominato per primo tra tutti - e poi Gerson e Scoto. | ||
7,666,10-12 | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | Lutero torna ad accusare Emser di contraddirsi, ma in questo caso in un contesto ancor più satirico. Aristotele così viene definito Ertzstultus, con un neologismo costruito con un prefisso tedesco indicante un'alta carica più un aggettivo sostantivato latino. Lo stesso appellativo usato per definire Aristotele si ritrova nella stessa opera, cfr. WA 7,675,27-35 e anche WA 7,667,25s. (Aristultus). | 190 | 1521 | An. pr. II,16,64b,28-65a,37; Top. VIII,13,162b,34-163a,1; Soph. el. 27,181a,15-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 666 | petitio-principii, viltzerey, ertzstultus, vilosoffia | no | Wo ist nu deyne vilosoffia, die da leret nit petere principium? Ich meyn, es sey ein viltzerey und dein Aristotell ein Ertzstultus. | E ora, dov è la tua filosofia, che insegna a non fare petizioni di principio? Mi pare che questa filosofia sia proprio un insulsaggine e il tuo Aristotele un Arcistupido. | |
7,667,25s. | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | Ironia pesante di Lutero. Dopo aver messo alla berlina le argomentazioni del suo rivale, giunge alla conclusione che questi presunti maestri dei quali Emser è degno rappresentante sono il risultato della filosofia e di Aristotele interpretato dai sofisti scolastici. Da notare che il nome di Aristotele è storpiato con un gioco di parole in Aristultus. In quest opera comunque l ironia e la polemica prendono nettamente il sopravvento sull argomentazione; vale però comunque la pena di sottolineare l accanimento con cui Lutero identifica nel ricorso ad Aristotele la radice degli errori dei suoi avversari. | 190 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 667 | vornunfftig, Aristultus, weysz, meyster, vilosoffia, Sophist | no | Solch weysze, vornunfftig meyster macht die vilosoffia und Aristultus durch die Sophisten. | Maestri così saggi e geniali sono il prodotto della filosofia e di Aristupido interpretato dai Sofisti. | ||
7,675,27-35 | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | Pare quasi una formulazione ante litteram della cosiddetta legge di Hume elaborata dalla filosofia analitica, quella che si presenta in questo brano di Lutero. L'invito rivolto ad Emser è di non voler inferire un dover essere da un essere , una prescrizione da una semplice descrizione. In ogni caso si dimostra la buona preparazione di Lutero anche in campo logico e la sua padronanza delle formule di scuola. Ricorre infine la qualifica di Aristotele come Ertzstultus, uno degli appellativi più duri rivolti da Lutero al filosofo: siamo negli anni del rigetto quasi incondizionato di Aristotele. | 190 | 1521 | De interpr. 12-13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 675 | grammatica, logica, philosophia, recht, proposition, inesse, modale-de-necesse, ius, factum, facere, debere, ertzstultus, secundum-quid, simpliciter, sacerdotium, scharf, licentiat, vorprent-recht, poet, grammaticus, geystlich, warhafftig, lebendig | no | Und das ich dyr hoch vorstendigen ynn der grammatica, logica, philosophia und rechten gemesz rede, mach mir nit ausz eyner proposition de inesse modalem de necesse, du scharffer logicus, nit ius ex facto, du hoch gelerter Licentiat des heyligen vorprentenn rechts, und nit ausz deynem eygen facere eyn gemeyn debere, du grunenden Poet und grammaticus, du woltist denn lauffen hie aber zu dem Ertzstulto und suchen secundum quid simpliciter, wie du ym priesterthum thuest, da du sacerdotium simpliciter nennest das schrifftlich, buchstabisch, todlich, ja das nichtige priesterthum, und secundum quid das eynige, geystliche, warhafftige, lebendige priesterthum. | E per parlare alla tua maniera, visto che sei intelligentissimo in grammatica, logica, filosofia e diritto, ti dirò: non voler ricavare da una proposizione di semplice inerenza una proposizione modale necessaria, tu che sei un sottilissimo logico, oppure una legge da un fatto, tu che sei dottissimo e dotato di Licenza nel santo diritto canonico comune, o ancora di ricavare un comune dovere da un tuo personale agire, o fecondo poeta e grammatico; tu invece in questo caso vorresti ricorrere all'Arcistupido e cercare ciò che è accessorio e ciò che è essenziale, come tu fai con la condizione sacerdotale, visto che consideri sacerdozio vero e proprio quello fatto di carta, che viene dalla lettera, morto, in una parola il sacerdozio nullo, mentre l'unico, spirituale, vero e vivo sacerdozio per te lo è solo in senso lato. | |
7,676,15-18 | Auf das überchristlich, übergeistlich und überkünstlich Buch Bock Emsers zu Leipzig Antwort. D. M. Luther. Darin auch Murners, seines Gesellen, gedacht wird | Uno degli artifici retorici a cui Lutero ricorre per criticare Aristotele è il paragone con altri filosofi o saggi, per far risaltare la grandezza di questi ultimi a scapito di Aristotele. In questo caso Lutero afferma che la filosofia di Aristotele dice cose che nessun altro filosofo condivide, ma senza precisare ulteriormente il proprio pensiero. Dagli scarni riferimenti offerti, sembrerebbe che la polemica di Lutero si riferisca in generale alla critica che Aristotele fa nel primo libro della Fisica nei confronti della concezioni dell essere proprie dei filosofi a lui precedenti. In questo senso dunque egli chiamerebbe ente ciò che per gli altri è non ente : per la novità introdotta dalla sua concezione della potenza e dell atto, a cui Lutero fa esplicito riferimento. L insofferenza di Lutero di fronte alle coppie atto/potenza, per se/per accidens, forma/materia emerge più volte in questi anni. Nel 1518 ad esempio egli afferma Primo, quia (sc. Aristoteles) non potest negare illa individua esse fluxa, finxit aliud formam, aliud materiam, et ita res ut materia non est scibilis, set ut forma. Ideo dicit formam esse causam sciendi, et hanc vocat divinum, bonum, appetibile et huic intellectum tribuit. Et sic eludit omnium mentes, dum eandem rem dupliciter considerat . (WA 59,424,14-19; sul parallelismo tra atto, forma, essere e per se e dei loro relativi, cfr. anche WATr 1,58,5-8). Il senso generale del passo, comunque, è chiaro: Aristotele è il filosofo che capovolge ciò che tutti gli altri saggi dell antichità hanno affermato ed anche Emser, che in questo senso è degno discepolo di Aristotele, usa i suoi concetti per dire il contrario di ciò che essi significano (cfr. WA 7,676,7-15). Per quanto riguarda le righe conclusive, cfr. sopra il commento a WA 7,623,30-33 e a WA 7,632,15-17. | 190 | 1521 | Phys. I; Metaph. V,18; V,30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 676 | heylig, ens, non-ens, actus, potentia, per-se, per-accidens, exempell, lere, spiesz, degen, scheyde, schneyde | no | Des allis hastu ein gutt exempell und lere ausz dem heyligen Aristotele, der auch heysset Non ens , was die andern ens , widderumb Ens , was sie non Ens heyssen, Und hatt datzu eben erfunden actum et potentiam, per se und per accidens, wie du den spiesz und degen, scheyde und schneyde. | E di tutto ciò tu hai un buon esempio e un insegnamento in sant Aristotele, che chiama non ente ciò che gli altri chiamano ente e viceversa chiama ente ciò che per tutti gli altri è non ente . E non basta: ha anche inventato l atto e la potenza, la sostanza e l accidente, proprio come te con lancia e pugnale, guaina e coltello. | |
7,707,17-25 | Ad librum eximii Magistri Nostri Ambrosii Catharini, defensoris Silvestri Prieratis acerrimi, responsio | La bestia a cui si fa riferimento è Lutero stesso, che così era stato definito da Ambrogio Caterino, difensore del già citato Prierio. E il termine bestia ritorna ossessivamente nell'opera, contrapposto all homo Caterino, come Germanicus nel senso di barbaro viene opposto all talus Caterino. In questo passo Lutero recupera una serie di concetti aristotelici e scolastici riguardanti gli animali e li applica, sempre in senso ironico, a se stesso per giustificare la sua scelta espositiva di partire direttamente dal tema del papato. L ironia però non impedisce a Lutero di mettere in mostra la sua buona conoscenza di concetti aristotelici, riguardanti sia gli animali sia la fortuna e il caso. In questo caso gli stessi concetti sono tratti dalla Fisica, come l accoppiata di termini fortuna e casus, ricorrente nei capitoli 4-6 del secondo libro, sta a dimostrare. | 122 | 1521 | Phys. II,4-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 707 | bestia, liberum-arbitrium, potentia-electiva, prudentia, virtus, subiective, formaliter, natura, appetitus-naturalis, appetitus-cognoscitivus, necessitas, voluntas, Thomista, Scotista, Moderni, Albertista, vulpis, cauda, carere, ratio, ductus, posse, ordo, certare, papatus, temeritas, eventus, fortuna, casus, comoditas | 151 | Iam ubi constat unanimi Thomistarum, Scotistarum, Modernorum, Albertistarum sententia (Est enim aliqua cauda, in qua vulpes istae conveniant), Bestias carere libero arbitrio et potentia electiva, in qua prudentiae et universae virtutis ratio subiective et formaliter consistit, feranturque solo naturae ductu et appetitu naturali et cognoscitivo. Natura autem, quia necessitate, non voluntate agit, secundum totum suum posse agit, dabit et hoc bestiae praecipiti Catharinus, ut nullo ordine feratur, et primo omnium de summa rei certet, hoc est de Papatu, In quo tamen naturae temeritatem compensabit eventus, seu ut Aristotele dicit, fortunae et casus comoditas. | E d altra parte sulla base del consenso unanime di tomisti, scotisti, moderni e albertisti (queste volpi infatti hanno tutte una stessa coda) è chiaro che le bestie sono prive di libero arbitrio e di capacità di scelta, nella quale consiste - da un punto di vista sia soggettivo sia formale - la ragione d essere della saggezza e di ogni virtù. Ma allora esse dovrebbero farsi guidare solo dall istinto di natura e dall appetito naturale e conoscitivo. Ma poiché la natura agisce per necessità, non per libera volontà, il suo modo di agire dipende totalmente da questa sua conformazione; Caterino dunque vorrà concedere anche questo alla bestia nefasta, e cioè che si proceda senza seguire alcun ordine particolare e che la bestia voglia dibattere per primo in assoluto l argomento più importante, cioè il papato, nel quale tuttavia il caso, o come dice Aristotele, l opportunità della fortuna e della sorte, supererà largamente il capriccio della natura. | |
7,707,30-34 | Ad librum eximii Magistri Nostri Ambrosii Catharini, defensoris Silvestri Prieratis acerrimi, responsio | Continua l'autoidentificazione di Lutero con la bestia, contrapposta all'homo Caterino. E, come prima Lutero si era appellato alla sua condizione animale per giustificare la scarsa razionalità (o quella che al suo interlocutore sembra tale) delle proprie posizioni, così dipinge il suo avversario umano con la qualifica di razionale, attinta ovviamente dalla filosofia aristotelica. Lutero dunque tiene a sottolineare che è proprio la ragione aristotelica ad essergli antitetica e a condannarlo. | 122 | 1521 | Pol. I,2,1253a,9s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 707 | causa, homo, animal-rationale, bestia, Catharinus, doctrina, impugnare, papyrus, tempus, convicium, maledictum, Thomas, Purphyrius, procedere | 304 | Et diceret mihi Catharinus: Tu Bestia doctrinam impugnare voluisti et perdis papyrum cum tempore conviciis et maledictis. Nam quod ego Catharinus, homo, id feci, causa fuit, quia homo est animal rationale secundum sanctum Thomam et Aristotelem et Purphyrium, qui debet rationali via procedere . | E allora Caterino mi direbbe: Tu, o bestia, hai voluto contestare l insegnamento della Chiesa e sprechi carta e tempo con schiamazzi e insulti. La causa per cui io, Caterino, uomo, ho fatto ciò (sc. ho contestato le tue tesi) è che l uomo è un animale razionale che deve procedere sulla via della ragione, come dicono san Tommaso, Aristotele e Porfirio . | |
7,736,16-23 | Ad librum eximii Magistri Nostri Ambrosii Catharini, defensoris Silvestri Prieratis acerrimi, responsio | Si parla delle università. Dopo aver condannato lo stato di degrado morale in cui versano, Lutero passa a descrivere la tirannide di Aristotele sull insegnamento universitario, non senza soffermarsi sull'errata interpretazione di Aristotele che regna nell'ambiente accademico. Va sottolineata l affermazione secondo cui Lutero avrebbe avuto intenzione di dedicare più tempo a questi temi. Oltre anche all'analisi della condizione di degrado dell università, forse qui Lutero si riferisce anche alla nuova interpretazione di Aristotele di cui più volte si dichiara portatore. | 122 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 736 | universitas, gentilis, recte, intelligere, humanae-literae, ingenium, christianus, occupare, excaecare, opprimere, verbum-dei, papa, dogma, tractare, astute, efficax, Satan, commentum, erigere, pugnantissimum, docere, disputatio, ocium, tempus | 236, 269 | Deinde proposito Aristotele, nec ipso recte intellecto, cum gentilibus et humanis literis ingenia Christiana occupantur, immo excecantur et opprimuntur. Et pro verbo dei Papae dogmata tractantur, ut videatur ad Euangelium funditus extinguendum nec astutius nec efficacius invenisse Satan commentum quam Universitatum erigendarum, Ubi sub titulo doctrinae Christianae non nisi pugnantissima Christianae fidei docerentur; de qua re longa et multa nobis esset disputatio, si tempus et ocium faveret. | E poi propongono Aristotele come un modello senza neppure aver capito cosa dice e con la cultura pagana e umana tengono occupate le intelligenze dei cristiani, anzi le accecano e le opprimono. Inoltre spacciano i dogmi del papa come parole di Dio, così da rendere evidente che Satana per togliere definitivamente di mezzo il Vangelo non ha inventato alcuna macchinazione più astuta ed efficace della creazione delle università, nelle quali sotto l'egida della dottrina cristiana si insegnano le cose più radicalmente contrarie alla fede cristiana; e se avessi un po' di tempo a disposizione, potrei trattare a lungo e molto a fondo di questo argomento. | ||
7,737,14-30 | Ad librum eximii Magistri Nostri Ambrosii Catharini, defensoris Silvestri Prieratis acerrimi, responsio | Questo lungo brano è una parafrasi di Ap 9,1-2 ( Il quinto angelo suonò la tromba e vidi un astro caduto dal cielo sulla terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell Abisso; egli aprì il pozzo dell Abisso e salì dal pozzo un fumo come il fumo di una grande fornace, che oscurò il sole e l'atmosfera ). Lutero aveva già fornito un esegesi analoga nella Praelectio in librum Iudicum del 1516 (WA 4,552,14). In questo caso è messo a tema lo sfascio delle università e la penetrazione del verbo aristotelico nel mondo cristiano con la regia dell Aristotelicissimus Tommaso. Senza accorgersene, Lutero incorre qui in una contraddizione. Definire infatti Tommaso come plane Aristoteles ipse non si concilia molto con quanto Lutero afferma in molti altri passi a proposito dell incomprensione scolastica di Aristotele (cfr. ad es. WA 6,508,7-26). Ritornano qui poi vari temi tipici della critica luterana ad Aristotele, tra cui il parallelo tra il filosofo e Cristo, il lamento per la diffusione della dottrina delle virtù morali peripatetiche al posto della fede cristiana, la condanna della pluralità di scuole e di indirizzi tutti di origine aristotelica. Il nome di Alessandro di Hales, inoltre, va probabilmente associato più alla sua ricezione di Aristotele (anche se Lutero contraddistingue il posteriore Tommaso come primus in questo senso) che all orientamento della sua filosofia, che fa propri molti elementi della tradizione platonica e agostiniana. | 122 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 737 | universitas, Aristotelicissimus, studium, opinio, virtus-moralis, Alexander-de-Hales, Thomas, approbare, auctor, invehi, Aristoteles-ipse, terra, caelum, Christus, cadere, auctoritas, clavis, puteus, philosophia, mortuus, damnatus, apostolus, aequare, fides, iustitia, veritas, sol, eclipsis, aer, fumus | 318, 36, 37, 207, 319 | Stella de caelo in terram lapsa vel Alexander de Hales vel (quod magis credo) S. Thomas fuit, qui post universitates approbatas et tubam huius Angeli vel primus vel maximus fuit autor invehendae in orbem Christianum Philosophiae, solus Aristotelicissimus ac plane Aristoteles ipse, in quem velut in terram de caelo a Christo cecidit, fretus autoritate impiissimi illius Angeli eiusmodi studia probantis. Accepit autem clavem putei abyssi et aperuit, eduxitque nobis mortuam iamdudum ac damnatam per Apostolum philosophiam. Et inde ascendit fumus istius putei , id est mera verba et opiniones Aristotelis ac philosophorum. Sicut fumus fornacis magnae . Invaluit enim et late potens facta est philosophia, ut Christo Aristotelem aequarit, quantum ad autoritatem et fidem pertinet. Hinc obscuratus Sol (iustitiae et veritatis, Christus, pro fide inductis moralis virtutibus, pro veritate opinionibus infinitis) "Et Aer de fumo putei", ut intelligatur non fuisse solis Eclipsis, sed obscuritas aeris et solis, e fumo inferne ascendente, hoc est, humanis doctrinis Christum et fidem eius (quae est aer et spiritus) obscurantibus. |
L'astro caduto dal cielo sulla terra o è Alessandro di Hales o (come mi pare più probabile) san Tommaso. Da quando furono istituite le università - dopo lo squillo di tromba di questo angelo - egli fu il primo e il più solerte responsabile della penetrazione della filosofia nel mondo cristiano; aristotelicissimo come nessuno, anzi un redivivo Aristotele, nel quale precipitò come cadendo dal cielo di Cristo sulla terra, confidando nell'autorità dell'Angelo nemico di Dio che aveva dato l'approvazione a quel genere di studi. Così san Tommaso prese la chiave del pozzo dell'Abisso e lo aprì e portò tra noi la filosofia, già morta da lungo tempo e condannata dall'Apostolo. E salì dal pozzo un fumo , cioè le vuote parole e le opinioni di Aristotele e dei filosofi. Come il fumo di una grande fornace . Infatti la filosofia prese piede e divenne potente dappertutto, al punto che osò paragonare in materia di fede l'autorità di Aristotele a quella di Cristo. Perciò il sole fu oscurato (il sole della giustizia e della verità, Cristo, poiché la fede fu sostituita dalle virtù morali, la verità dalle dispute senza fine) e per il fumo proveniente dal pozzo fu oscurato anche il cielo , così che si capisca che non si tratta di un'eclisse di sole, ma di un oscuramento totale del cielo e del sole, causato dal fumo che saliva dal basso, cioè dagli insegnamenti umani che mettono in ombra Cristo e la fede in lui (che è aria e spirito). | ||
7,738,19-38 | Ad librum eximii Magistri Nostri Ambrosii Catharini, defensoris Silvestri Prieratis acerrimi, responsio | Continua la parafrasi dell'apocalisse. Il brano preso in considerazione ora è Ap. 9, 6-8 ( In quei giorni gli uomini cercheranno la morte, ma non la troveranno, brameranno morire, ma la morte li fuggirà. Queste cavallette avevano l'aspetto di cavalli pronti per la guerra. Sulla testa avevano corone che sembravano d'oro e il loro aspetto era come quello degli uomini. Avevano capelli, come capelli di donne, ma i loro denti erano come quelli dei leoni ). Lutero insiste nel ricordare che la facoltà di eliminare il peccato è solo della fede e non delle virtù morali insegnate da Aristotele. Ritornano poi la caricatura della litigiosità scolastica, il tratteggio - non privo di tratti comici - della finta umiltà degli accademici, la condanna della ragione puramente naturale. I capilli mulierum invece, se nella Praelectio in librum Iudicum indicavano le superfluitates aristotelicae, qui indicano la mollezza e la mancanza di virilità degli ecclesiastici che si dedicano alla filosofia. Conclude il brano una descrizione di quelli che Lutero evidentemente ritiene i più pericolosi tra gli Scolastici: i tomisti, che si distinguono dagli altri per il loro astio e l'aggressività.Non è improbabile al proposito una sfumatura autobiografica, probabilmente in riferimento al Gaetano o al Prierio. | 122 | 1521 | Eth. Nic. VI,13,1144b,26-1145a,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 738 | conscientia, pro-et-contra, dictamen, ratio-naturalis, lumen-naturae, effeminatus, mors, peccatum, cognoscere, litera, spiritus, similitudo, locusta, equus, disputatio, conflictatio, scholasticus, allegoria, arguere, nomen, titulus, gradus, doctrina, vita, spiritus, fides, illuminare, luxus, philosophia, capillus, theologus, thomista, mordax, calumniator, devorator, aristotelica-theologia | 191, 53, 323, 281 | Et in diebus illis quaerent homines mortem et non invenient eam, et detestabunt mori et mors fugiet ab eis . Mortem scilicet peccati, quod nimis vivit in conscientia, et tamen non recte cognoscitur: si enim cognosceretur, mox occisum periret: hoc enim non Ethicorum Aristotelis, sed literae et spiritus officium est. Et similitudines locustarum similes equis paratis in bellum , scilicet disputationis et conflictationis Scholasticae bellum hac allegoria pingit: prompti enim sunt arguere pro et contra (ut dicitur). Et super capita earum coronae similes auro, id est nomina et tituli graduum magister noster eximius , Sacrae Theologiae humilis et indignus professor &c. Et facies earum tanquam facies hominum" , Quia doctrina et vita eorum non spiritu fidei, sed dictamine naturalis rationis regitur, lumine naturale Aristotele illuminatae. Et habebant capillos sicut capillos mulierum , sacrificulos effeminatos et luxui deditos gignit Philosophia, in quibus nihil spiritus neque virilis in Christo sensus viget. Capilli enim sacerdotes sunt psal. lxvii. Esaie. iii. et aliis locis. Neque Theologum fieri licet nisi sacrificum eiusmodi, ut vulgo etiam ob id male audiant Theologi. Dentes earum sicut dentes leonum erant . Vel Thomistas solos vice omnium Theologorum considera, an non sint mordaces, calumniatores, devoratores omnium qui contra Aristotelicam Theologiam loquuntur. |
In quei giorni gli uomini cercheranno la morte, ma non la troveranno, brameranno morire, ma la morte li fuggirà . Morte cioè propria del peccato, che è fin troppo vivo nella coscienza, ma tuttavia non viene riconosciuto: infatti se fosse conosciuto perirebbe, ucciso sull'istante: ma questa non è facoltà dell'Etica di Aristotele, ma della lettera e dello spirito. Queste cavallette avevano l'aspetto di cavalli pronti per la guerra ; san Giovanni con questa allegoria ritrae la guerra della litigiosità e della rissosità scolastica: essi infatti sono sempre pronti a discutere il pro e il contro (come si usa dire). Sulla testa avevano corone che sembravano d'oro , cioè gradi e titoli accademici quali il nostro esimio maestro , umile e indegno professore di sacra teologia e via dicendo. E il loro aspetto era come quello degli uomini , perché il loro insegnamento e la loro vita non è pervasa dallo spirito della fede, ma dai dettami della ragione naturale, illuminata da Aristotele, luce della natura. Avevano capelli, come capelli di donne ; la filosofia infatti genera pretini un po' effeminati e dediti alla lussuria, che non hanno nerbo né tanto meno si comportano da veri uomini in Cristo. I capelli infatti sono i sacerdoti, come si dice nel salmo 67, nel terzo capitolo di Isaia e altrove. E non è consentito diventare teologo se non a preti di questo genere: per questo i teologi sono disprezzati perfino dal popolino. Ma i loro denti erano come quelli dei leoni . Prendi pure ad esempio, anziché tutti i teologi, solo i tomisti: mordaci, calunniatori, aggressivi verso tutti coloro che parlano contro la teologia aristotelica. |
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7,739,19-30 | Ad librum eximii Magistri Nostri Ambrosii Catharini, defensoris Silvestri Prieratis acerrimi, responsio | Continua l'esegesi dell'Apocalisse. Lutero ora analizza Ap. 9,11 ( Il loro re era l'angelo dell'Abisso, che in ebraico si chiama Perdizione, in greco Sterminatore ), identificando l'angelo sterminatore con Aristotele stesso. Da notare il ruolo importante ma subordinato che san Tommaso assume nei confronti di Aristotele. Se il primo è reo di aver introdotto la filosofia pagana nelle università, è comunque soprattutto l'insegnamento del secondo ad essere condannato. Tommaso è sempre condannato da Lutero in quanto aristotelico (non appare dunque del tutto fondata la posizione di chi afferma che la critica ad Aristotele è in realtà critica alla Scolastica: è più vero il contrario). Non casualmente Lutero attribuisce i caratteri della morte e della dannazione ad Aristotele, proprio per contestare la sua immagine di filosofo conciliabile con il cristianesimo. Il richiamo a Cerbero, cane a tre teste custode dell'ingresso dell'inferno, e a Gerione, re dai tre corpi di Eritrea, isoletta presso Gades, si riferisce alla triade menzionata da Lutero: libero arbitrio, virtù morali e filosofia naturale. Sono i tre punti a proposito dei quali la frattura di Lutero con la filosofia aristotelica è insanabile, anche se in un successivo momento Lutero recupererà queste dottrine, confinandole però pur sempre nell'ambito del sapere puramente mondano. | 122 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 739 | apollyon, Abbadon, angelus-Abyssi, mortuus, damnatus, liberum-arbitrium, virtus-moralis, philosophia-naturalis, rector-generalissimum, universitas, Christus, spiritus-sanctus, lumen-naturae, doctor, auctoritas, regnare, triceps, Cerber, tricorpor, Gerion | 38, 39, 40, 208, 241, 325 | "Et habebant super se regem, angelum Abyssi, cui nomen hebraice Abbadon, graece autem ajpollu;wn". Audiamus hic rectorem generalissimum omnium universitatum, non Christum, non spiritum sanctum, non angelum domini, sed angelum Abyssi, id est mortuum et de mortuis ac damnatis. Quem ergo? Lumen illud naturae, scilicet Aristoteles, qui vere ajpollu;wn, id est, perdens et vastator Ecclesiae, in universitatibus regnat. Neque enim dignus erat nominari in sacris literis suo nomine. Diximus enim, Angelum significare doctorem in Ecclesia. Et certum est, Aristotelem mortuum et damnatum esse doctorem hodie omnium universitatum magis quam Christum. Quia auctoritate et studio Thomae elevatus regnat, resuscitans liberum arbitrium, docens virtutes Morales et philosophiam naturalem, et triceps scilicet Cerber, immo tricorpor Gerion. | Il loro re era l'angelo dell'Abisso, che in ebraico si chiama Abbadon, in greco ajpollu;wn . Veniamo ora a conoscenza del rettore generalissimo di tutte le università, non Cristo, non lo Spirito Santo, non l'angelo del Signore, ma l'angelo dell'Abisso, cioè angelo dei morti che regna sui morti e i dannati. Di chi si tratta? Della celebre luce della natura , Aristotele, che è un vero ajpollu;wn, uno cioè che, mentre regna nelle università, manda in rovina e fa piazza pulita della chiesa. Chiaro che non fosse degno di essere nominato esplicitamente nelle sacre scritture. Ma abbiamo detto che la figura dell'angelo significa un dottore della Chiesa; ed è fuori di dubbio che il morto e dannato Aristotele è oggi dottore di tutte le università, ben al di sopra di Cristo. Regna, incoronato dall'autorità e dalle opere di Tommaso, facendo resuscitare il libero arbitrio, insegnando le virtù morali e la filosofia naturale. E' proprio un Cerbero dalle tre teste. Anzi: un Gerione con tre corpi. | ||
7,810,23-811,7 | Ein Sermon auf dem Hinwege gen Worms zu Erfurt getan | L'infiltrazione di Aristotele non si fa sentire solo nel mondo accademico, ma anche in quello ecclesiastico, soprattutto nella predicazione. Lutero denuncia l'eccessivo ricorso a esempi e citazioni tratte da Aristotele (ma anche da Platone e Socrate, per una volta citati con una notazione di segno negativo). Parlare di Aristotele nel corso di una predica è un espediente paragonato da Lutero al citare Attila o Teodorico, il re ostrogoto le cui capitali erano a Verona e a Berna (cfr. WA 1,494,21): l'accostamento la dice lunga sulla considerazione che Aristotele aveva presso Lutero nel 1521. Lutero distingue due livelli di condanna verso questi maestri pagani. Sono contro il Vangelo, e questa è affermazione molto comune in Lutero. Ma sono anche contro Dio, e quindi radicalmente irreligiosi, perché non hanno conosciuto la Rivelazione. L'esempio che prova l'irreligiosità di Aristotele è quello su cui Lutero è tornato già tante volte: la dottrina aristotelica dell'acquisizione delle virtù morali attraverso una ripetizione costante di atti. | 203 | 1521 | Eth. Nic. II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 811 | prediger, fabel, history, ubung, Philosophus, from, Etzel, Ditterich-von-Bernn, Plato, Socrates, gutter-werck, heydenische-meister, irthumb, pfaffe, licht, zimlickeit, erkantnusz | 54, 197, 220 | Daher komet es nun, das die welt so gar vorkert und in irthumb ist, das kein rechter prediger lang tzeit ist gewest. Es seyn woll dreytausent pfaffen, under den man vier rechter nicht vindet, got erbarm den jamer. Unnd so man schon recht prediger hat, so sagt man das euangelium uberhin und darnach ein fabel von dem alten Etzel oder ein history vom Ditterich von Bernn, Odder mischt in die Heydenische meister Aristotelem, Platonem, Socratem etc. die gantz wider das euangelium sein. Auch wider got, dan sie haben nicht die erkantnusz gehabt des lichtes, das wir haben. Jha komestu her und sprichst "Philosophus spricht: thu vil gutter werck, so kommestu in die ubung und wurst zu letsth from", So sprich ich "thu kein wergk, das du from werdest. aber so du from schon bist, dan so thu werck, doch mit zimlickeit unnd mit dem glauben, da sicht man, wie sy wider eynander seyn". | E perciò si è giunti a un punto tale e il mondo va così a rovescio ed è talmente pieno di errori, che da lungo tempo non si trova più un buon predicatore. Su tremila preti non se ne trovano quattro all'altezza: Dio abbia pietà di questa desolazione. E quando si trova qualche buon predicatore, anche allora si dà una scorsa al vangelo e poi si racconta la favola del vecchio Attila o una storia di Teodorico di Berna, oppure il vangelo viene mescolato con i maestri pagani come Aristotele, Platone, Socrate e via dicendo, che sono del tutto contrari al vangelo. E anche contrari a Dio, perché non hanno conosciuto la luce che a noi è stata data. Mi si potrebbe dire: Dice il Filosofo: fa' molte opere buone, così ti eserciterai e, alla fine, diverrai giusto , ma io dico: non fare alcuna opera buona per diventare giusto. Ma quando tu sei già giustificato, allora sei in grado di compiere opere buone, in modo opportuno e con fede, poiché è evidente che le due cose si oppongono l'una all'altra . | |
7,811,23-26 | Ein Sermon auf dem Hinwege gen Worms zu Erfurt getan | Si parla sempre della predicazione al popolo. Aristotele è non solo inadatto per un pubblico di gente semplice, ma anche contrario alla religione. Lutero ribadisce qui il giudizio espresso poche righe sopra (WA 7,810,23-811,7), ma mentre prima nell'obiettivo c erano i filosofi in quanto tali, qui ci si concentra sul solo Aristotele, evidentemente ritenuto da Lutero come il più "pericoloso" tra i filosofi. | 203 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 811 | wort-gottes, stewer, arme, glaube, mischen, liber-Aristotiles, wider-got, Paulus, gesetz, philosophia, schwach, sich-hütten | 41, 181 | So mann das wort gottes clar zu stewer den armen schwachen des glaubens sagenn solt, so mischt man ein den liben Aristotilem, der wider got ist, so doch Paulus ad Colo. sagt "hüttent euch von gesetzen unnd philosophia" etc. | Mentre la parola di Dio dovrebbe essere predicata chiaramente, a guida dei poveri, cioè i deboli nella fede, si preferisce mescolarla con il buon Aristotele, che è nemico di Dio; come dice Paolo ai Colossesi: "Guardatevi dalle leggi e dalla filosofia", e via dicendo. | ||
8,75,27-76,17 | Rationis Latomianae confutatio | Com'è solito fare in presenza di interlocutori aristotelizzanti , Lutero tira in campo la sua innegabile conoscenza della filosofia. In questo caso, però, l'esposizione è particolarmente accurata e approfondita, anche perché riguarda un punto nodale sia della teologia di Lutero, sia della filosofia di Aristotele. Nell affermazione biblica secondo cui non v è uomo giusto che non pecchi (presente in molti luoghi dell'Antico Testamento, tra i quali Proverbi 24,16 a cui qui si accenna), Lutero vede un anticipazione del suo simul peccator et iustus. Simul significa sotto lo stesso rispetto e nel medesimo tempo ? Dalla spiegazione offerta da Lutero pare di capire di sì; e qui lo scontro con Aristotele diviene frontale. In questa prima parte di questo lungo passo della Confutatio, Lutero cerca anzitutto di difendere questo tipo di affermazioni in base al principio secondo cui da una premessa logicamente impossibile può derivare qualsiasi tipo di conclusione (è il cosiddetto teorema dello pseudo-Scoto). Ciò non significa, però, come Lutero sembra implicitamente affermare, che ogni conclusione di questo genere sia vera. Dire che da una premessa impossibile come non v'è un uomo giusto che faccia il bene e non pecchi possa legittimamente derivare che egli fa il bene e pecca con un unico stesso atto non significa che questa conclusione sia vera. Naturalmente Lutero non perde l occasione per criticare i suoi avversari come incompetenti. Più sorprendente l accusa, rivolta genericamente ai sofisti , di non comprendere il senso comune della gente. In altri passi (ad esempio in WA 6,457,36) Lutero accusa Aristotele del contrario, cioè di appiattirsi sul senso comune e su affermazioni ovvie. | 399 | 1521 | De interpr. 13,22a,14-23a,28; De caelo I,12,281b,15 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 76 | dialectica, iustus, peccare, inferre, consequentia, impossibile, antecedens, consequens, simul, sensus-communis, captio, alogon, ignarus, vivere, mors, vigilare, dormire, comedere, puer, praeceptor, industria, rudimentum, diabolus, deus, oppositum, legitimus, contradictorium, inferre, serius, nugari, caecus, invidia | 68 | Inter haec et argutatur dialecticis captionibus in Lutherum velut prorsus a[logon et ignarum dialectices, dicens: Non magis sequitur: Non est iustus, qui faciat bonum et non peccet, ergo uno et eodem actu facit bonum et peccat, quam sequitur: Non est homo, qui vivit et non videat mortem, ergo simul vivit et moritur. Aut si quis diceret: Non est homo, qui vigilet et non dormiat, si ex hoc velis inferre, quod simul vigilet et dormiat. Similiter: Non est homo, qui vivit et non comedat, ergo quandocunque vivit, comedit . Haec ille. Obsecro, da unum de pueris Latomi, qui una die audierit dialecticam, ut coram eo praeceptoris sui industriam examinem. Dic, puer: Estne omnis illa consequentia optima, quoties ad impossibile sequitur quodlibet, ut habent prima rudimenta apud Aristotelem? Exempli gratia, bene sequitur: Tria et duo sunt octo, ergo diabolus est deus, per regulam ad impossibile sequitur quodlibet ? Quamprimum enim antecedens fuerit verum, consequens erit etiam verum. Ita, nonne bene sequitur: Non est homo, qui vivit et non videat mortem, ergo simul vivit et moritur? Est enim antecedens impossibile, cum nemo vivens videat mortem, unde ex eodem antecedente sequitur etiam oppositum consequentis, scilicet: Ergo non simul vivit et moritur. Ita: Non est homo, qui vigilet et non dormiat, ergo simul vigilat et dormit, nonne est legitima sequela? sequitur enim etiam contradictorium: Ergo non simul vigilat et dormit. Quia antecedens impossibile est, cum homo dormire non possit, qui vigilat, nec econtra. Sic: Nonne sequitur: Non est homo, qui vivat et non comedat, ergo quandocunque vivit, comedit, non comedit, est et non est, et omnia quae voles inferri? Quare ergo praeceptor tuus istas consequentias negat et damnat? tum in re seria sic nugatur? An hoc etiam comprobavit Bulla egregium factum? Vide itaque, lector, quam caeca sit invidia sophistica, ut ista puerilia rudimenta etiam et communem hominum sensum non capiat. | Nel frattempo Latomo ciancia con i suoi giochetti sofistici contro Lutero, come se costui fosse privo di ragione e digiuno di dialettica, affermando: Dire non v è un uomo giusto che faccia il bene e non pecchi significa che egli fa il bene e pecca con un unico stesso atto? La conclusione non è certo più cogente di quella per la quale 'non v'è uomo che viva e non veda la morte' significa che egli vive e insieme muore. E neppure è più cogente di quella di chi dicesse: 'Non v'è uomo che vegli e non dorma', se da ciò si vuol dedurre che sia sveglio e addormentato allo stesso tempo. Eccone un'altra di simile: 'Non c'è uomo che viva e non mangi: perciò in ogni singolo momento in cui egli è vivo, mangia'''. Così dice Latomo. E allora chiedo: portatemi uno degli scolari di Latomo, che abbia preso sì e no una lezione di dialettica, così che io possa esaminare davanti a lui la fondatezza delle affermazioni del suo maestro. Dimmi, ragazzo: secondo le più elementari norme di Aristotele, nel caso in cui a una premessa impossibile segua qualsiasi cosa non è forse sempre validissima la conclusione? Faccio un esempio. Seguiamo la regola secondo cui "a una premessa impossibile segue qualsiasi cosa"; non è forse una buona conclusione affermare che 'tre più due fa otto, perciò il diavolo è Dio'? Una volta che l'antecedente sia vero, diverrà vero anche il conseguente. E così, non ti pare coerente affermare che 'non v'è uomo che viva e non veda la morte, perciò egli vive e insieme muore'? L'antecedente infatti è impossibile, poiché nessuno che sia vivo vede la morte; proprio per questo dal medesimo antecedente può derivare anche il conseguente opposto, cioè: 'perciò non può essere insieme vivo e morto'. E così, dire che 'non v'è uomo che vegli e non dorma, perciò egli è insieme sveglio e addormentato' non è una conclusione legittima? L'antecedente infatti è impossibile, perché un uomo sveglio non può essere addormentato e viceversa. Allo stesso modo, non è forse giusto affermare che se 'non c'è uomo che vive e non mangia', allora in ogni singolo momento della sua vita mangia e non mangia, è e non è, e ogni altra conclusione che se ne voglia trarre? Ma perché allora il tuo maestro non accetta, anzi, condanna queste conclusioni? Si può essere così leggeri in argomenti così seri? O forse la Bolla ha sancito anche questo? Vedi, lettore, quanto sia cieca l'invidia dei sofisti: non comprende questi principi elementari e neppure il senso comune della gente. | |
8,76,18-77,7 | Rationis Latomianae confutatio | Lutero fa un ulteriore passo in avanti nella sua difesa del simul peccator et iustus. E lo fa con una chiarezza esemplare, precisando da subito che non è sua intenzione usare simul in senso debole , nel senso che il giusto aliquando possa anche peccare, altrimenti sarebbero giustificate le obiezioni di Latomo e dei maestri di Lovanio e Colonia. Il principio qui affermato da Lutero si viene a configurare così come un esplicito tentativo di negare il principio di non contraddizione, affermando che uno stesso A (homo) può essere B (peccator) e non-B (iustus: termine che viene inteso come contraddittorio con peccator, altrimenti tutto il dibattito non avrebbe ragion d essere) nello stesso tempo (significativa l accusa mossa a Latomo, che secondo Lutero farebbe un uso disinvolto dei tempi verbali, mescolando presente e futuro) e sotto lo stesso rispetto. L aliquando di Latomo, in effetti, non è conciliabile con il simul di Lutero. L appellarsi alla lettera della scrittura dà poi modo a Lutero di convalidare le proprie posizioni: Salomone nel libro dei Proverbi non usa avverbi, ma parla solo di un giusto che non può non peccare. Singolare però il fatto che al termine di questo passo Lutero rimproveri ai suoi avversari proprio la carenza di logica e il ricorso a petizioni di principio: egli si appella a un principio che poco prima ha dichiarato, sia pur implicitamente, di voler negare. Nella parentesi ironica che sta al centro del passo, infine, Lutero ironizza sulla quaestio quod notiones sunt eaedem apud omnes sostenuta nel Dialogus in trium lingu. ratione (Latomus, Opp., f.162). Il titolo dell opera di Latomo spiega anche il riferimento alle lingue, mentre arbitraria è la sostituzione operata da Lutero tra le notiones e le passiones. | 399 | 1521 | An. pr. II,16,64b,28-65a,37; Top. VIII,13,162b,34-163a,1; Soph. el. 27,181a,15-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 76 | aliquando, simul, petitio-principii, tempus-verbi, passio-animae, absurdum, consequentia, dialectica, viciosissime, magister, homo, vivere, mors, futurum, vigilare, dormire, tempus, comedere, informatio, grammatica, differentia, enunciare, adverbium, occultare, vindicta, Latomus, efferre, inferre, pugnare, peccare, obtrudere, contentio, regula, probare, negare | 105 | Sed dicet aliquis Latomaster: Magistri nostri eximii hoc voluerunt: Non est homo, qui vivat et non videbit mortem aliquando in futurum. Et non est homo, qui vigilet et non dormiat aliquando, alio scilicet tempore, quam quo vigilat. Et non est homo, qui vivit et non comedat aliquando, non omni tempore quo vivit. Ex illis enim non sequitur: Ergo simul vivit et moritur, simul vigilat et dormit, simul vivit et comedit . Ago gratias de bona informatione. Sed hoc est Magistros nostros eximios uno absurdo liberare et geminis immergere. Quorum primum est, quod grammaticam ignorant nec sciunt differentiam inter verbum praesentis et futuri temporis, dum rem futuram per praesens enunciant, simul multa adverbia occultant, forte in vindictam, quod antea linguarum peritiam calumniati, nunc passiones illas animae, quae iuxta Aristotelem, ut Dialogus Latomi habet, apud omnes eedem sunt, efferre nequeant et sint, quod voluerunt, elingues. Ita concedo pessime inferri: Non est homo, qui vivit et non videbit (ut psal. lxxxviii. habet) mortem, vel non videat aliquando mortem, ergo simul vivit et moritur. Ita pessime infertur: Non est homo, qui vigilet et non dormiat aliquando, ergo simul vigilat et dormit. Non sequitur: Non est homo, qui vivit et non comedat aliquando, ergo quandocunque vivit, comedit. Sed contra quem pugnant istae absurdae consequentiae? Nunquid Lutherus dixit: Non est iustus in terra, qui bene faciat et non peccet aliquando, ergo simul bene facit et peccat? Quis mihi hoc adverbium aliquando obtrudet? quis illud Salomoni addere audebit? Et hoc alterum est absurdum Magistrorum nostrorum, quo fere semper peccant, quod vocatur petitio principii. Quo quia Latomus toties utitur, non gravabor hominem toties admonere, si forte ex hac contentione saltem aliquam regulam dialecticae discere queat. Dico ergo: hoc probandum fuit Latomo, quod Salomonis verbum includeret adverbium aliquando , quo contraheretur peccatum ad opera mala extra bonum opus. At ipse, quasi probatum sit, apprehendit et probat negatum per negatum viciosissime. | Ma a questo punto sbucherà fuori un Latomastro qualsiasi a dire: I nostri eminenti maestri davano questa interpretazione: non c è uomo vivente che non vedrà, in un qualche momento nel futuro, la morte. E non v è uomo sveglio che in qualche momento non dorma, in un tempo cioè diverso da quello in cui è sveglio. E non v è uomo vivente che in qualche momento non mangi, non però in ogni singolo istante della sua vita. Da queste proposizioni non consegue che egli perciò vive e allo stesso tempo muore, è sveglio e allo stesso tempo dorme, vive e allo stesso tempo sempre mangia . Ringrazio Latomo per la cortese precisazione, anche se ciò significa liberare i nostri eminenti maestri da una sola assurdità per impelagarli in un assurdità duplice. La prima assurdità è che essi sono ignoranti di grammatica e non conoscono la differenza tra il verbo al tempo presente e al futuro, visto che parlano di un fatto futuro usando il verbo presente e nel frattempo passano sotto silenzio molti avverbi. Forse è una vendetta: prima hanno detto tutto il falso possibile sulla capacità di parlare in lingue diverse, adesso non riescono ad esprimere le passioni dell anima, che secondo Aristotele (così almeno pensa Latomo nel suo Dialogo) sono le medesime in tutti, e sono rimasti - se la sono voluta - incapaci di parlare. Io concedo che dire non v è uomo vivente che non vedrà la morte (come dice il salmo 88) oppure che in qualche momento non debba vedere la morte e poi concludere perciò egli vive e muore allo stesso tempo , è la deduzione più sbagliata che ci sia. E anche sbagliatissimo, dalla proposizione non c è uomo sveglio che in qualche momento non dorma , concludere che è sveglio e dorme contemporaneamente . E non è neanche logico affermare che se non c è un uomo vivente che qualche volta non mangi allora in ogni singolo istante della sua vita egli mangia . Ma queste assurde conseguenze chi dovrebbero mettere a tacere? Forse che Lutero ha detto: non c è un giusto sulla terra che faccia il bene e in qualche momento non pecchi, perciò fa il bene e insieme pecca ? Chi mi vorrà appioppare questo avverbio in qualche momento ? Chi avrà la temerarietà di aggiungerlo al testo di Salomone? Questa è la seconda assurdità dei nostri maestri, il loro peccato continuo: si chiama petizione di principio. E poiché Latomo ci casca tante volte, non mi rifiuterò di correggere altrettante volte questo soggetto, se per effetto di questa disputa possa accadere per caso che lui impari qualche regola della dialettica. Veniamo al dunque: Latomo doveva dimostrare che il verbo usato da Salomone includeva l avverbio in qualche momento , attraverso cui il peccato si esplica in opere malvage che sono esterne all opera buona. Ma egli, come se avesse già dimostrato tutto, usa di ciò che nega e vuol dimostrare ciò che nega con le stesse proposizioni negate: errore logico gravissimo. | |
8,77,8-19 | Rationis Latomianae confutatio | Lutero aveva visto bene: affermare che il peccato è legato all'opera buona come propria passio è effettivamente una proposizione che avrebbe fatto rizzare i capelli a qualsiasi teologo cattolico, ma anche a qualsiasi filosofo aristotelico. Ai teologi cattolici, perché con questa affermazione Lutero introduce un plesso opera buona-peccato incompatibile con la teologia cattolica, per la quale le opere buone sono frutto della santificazione dell anima, quindi della presenza in essa di Cristo, incompatibile con il peccato. Ma anche ai filosofi aristotelici, perché questa predicazione sostanziale del peccato viola il principio di non contraddizione, visto che nello stesso tempo e sotto lo stesso rispetto si afferma di un uomo che è giusto e peccatore (non-giusto). Le argomentazioni addotte da Lutero sono però non del tutto convincenti, soprattutto quando entra in campo l esempio del risibile. Il ragionamento di Lutero è: il risibile è una propria passio dell uomo, quindi per il fatto stesso di vivere l uomo è un essere risibile. Ma qui si parla di una potenzialità dell uomo, che non passa sempre all atto: Lutero stesso afferma che per il fatto di vivere, l uomo non ride sempre. Quando però Lutero afferma che per il fatto di compiere opere buone, l uomo pecca, sembrerebbe suggerire il paragone tra il risibile e il peccato. Ma risibile, com egli stesso ha detto, indica una potenza. Si deve pensare lo stesso del peccato? Lutero in questo caso ricadrebbe nella posizione di Latomo, per il quale l uomo giusto è in potenza un peccatore, tanto è vero che aliquando pecca. L avverbio aliquando sta proprio a significare una potenzialità che non passa sempre all atto. Ma questo è in contraddizione con quanto egli ha detto del peccato come propria passio: Un affermazione che rimane perciò non chiarita. Significativa infine la parentesi, in cui sembrerebbe che Lutero difenda Aristotele a scapito dei sofisti scolastici. In realtà, si tratta della consueta dichiarazione di Lutero, che afferma di voler combattere i propri avversari sul piano stesso della loro filosofia. | 399 | 1521 | Top. I,4,101b,17-25; Metaph. V,18; V,30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 77 | vicium, logicus, praedicatio, per-se, per-accidens, peccatum, perseitas, subiectum, propria-passio, modus, praedicare, pilus, horrescere, magister, inesse, vivere, risibile, mos, esca, somnus, mors, sequi, semper, vigilare, comedere, mori, supponere, Salomon | 6 | Quod si haec vicia non essent, adhuc deficit in modis praedicandi per se et per accidens. Peccatum enim (quod horrescere faciet omnes pilos Magistrorum nostrorum) volui et nunc dico praedicatione perseitatis inesse operi bono, quam diu vivimus, sicut risibile inest homini (loquor ad morem Aristotelis, non sophistarum, qui adhuc nesciunt, quid sit per se apud Aristotelem aut propria passio), sed esca, somnus, mors, insunt praedicatione per accidens. Ut ergo non sequitur: Homo semper est risibilis, ergo semper ridet, ita non sequitur: homo vivit, ergo semper vigilat, comedit, moritur. Tamen ut sequitur: Homo vivit, ergo est risibilis, comestivus, dormitivus, mortalis &c., ita sequitur: Homo bene facit, ergo peccat, quia homo bene faciens est subiectum et peccatum eius passio, ut suppositum est ex Salomone. | E poi, anche se questi errori non ci fossero, Latomo è in errore perfino per quanto riguarda i modi della predicazione sostanziale e accidentale. Io infatti ho inteso e tuttora ritengo che il peccato (ma questo farà rizzare i capelli ai nostri maestri) è inerente all opera buona per una predicazione sostanziale, relativa cioè a tutto l arco della nostra vita, così come la capacità di ridere è propria dell uomo (parlo con il linguaggio di Aristotele, non dei sofisti, che non hanno neanche l idea di cosa siano per se e il proprio in Aristotele) mentre il nutrimento, il sonno, la morte sono inerenti per una predicazione accidentale. Dal fatto che l uomo sia capace di ridere non deriva che egli rida sempre e allo stesso modo il fatto che uno viva non implica che sia sempre sveglio, sempre mangi, sempre muoia. Tuttavia, così come è lecito dalla proposizione l uomo vive , concludere che egli può ridere, mangiare, dormire, morire e via dicendo, allo stesso modo è coerente affermare che l uomo che opera il bene per ciò stesso pecca, poiché l uomo che fa il bene è soggetto e il peccato è il suo accidente proprio: questa è la supposizione di Salomone. | |
8,80,9-18 | Rationis Latomianae confutatio | Questo passo di Lutero richiama in molti punti il seguente brano del Dialogus di Latomo. (Opp. Lat., f.9) Accipiamus aliquod opus iustitiae sive virtutis, ut divi Pauli collectam portantis in Hierusalem: dicat Martinus, quae circunstantia rationis et prudentiae in hoc opere deficit? Unde sit ibi malitia? An non observavit Paulus, quis, quod, qualiter, per quid, propter quid, ubi et quando? ergo hoc opus rationi consonat, cum sit virtus. Nam virtus est habitus naturae modo atque rationi consentaneus. Neque nos Martinus reiiciat, quod habitum nominaverimus et circunstantias, de quibus Aristoteles in Ethicis et Praedicamentis . L accento va sulle circostanze dell atto buono, che Latomo elenca minuziosamente: quis, quod, qualiter, per quid, propter quid, ubi et quando. San Paolo le rispetta tutte? Lutero è d accordo, anche se questo non impedisce a san Paolo, osserva, di dichiararsi lo stesso un peccatore. In quell etiam Aristotele recensitis di Lutero l ironia è evidente: non dev essere Aristotele, che non conosce la grazia, a spiegare a san Paolo cosa sia un atto buono. | 399 | 1521 | Eth. Nic. VI,7,1141b,14-23 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 80 | synecdoche, opus-bonum, circunstantia, virtus, iustificare, conspectus, iustitia, praedicare, evangelium, recensere, peccator, Paulus | 152 | Et ibi tunc est illud psal. c.i. Non intres in iudicium cum servo tuo, quia non iustificabitur in conspectu tuo omnis vivens ? An hic synecdoche est omnis vivens , id est, multi vel aliqui viventes? Sed et paulus i. Corint. iiii. Nihil mihi conscius sum (ecce bona opera), sed non in hoc iustificatus sum . Quo modo non iustificatus, cum in bono opere sit iustitia et nullum peccatum? Certe praedicasti Evangelium totis viribus, collegisti (ut Latomus dicit) collectam cum omnibus circunstanciis virtuosis, etiam ab Aristotele recensitis, certe hoc opus fuisse bonum non potes negare, quomodo ergo adhuc peccator es in illo? | E allora cosa c entra con questo il salmo 101: Non chiamare in giudizio il tuo servo, nessun vivente innanzi a te è giusto ? Forse che nessun vivente è una sineddoche per significare nessuno tranne qualcuno o nessuno tranne molti ? E vedi cosa dice san Paolo nel quarto capitolo della prima lettera ai Corinzi: anche se non sono consapevole di colpa alcuna (ecco le opere buone), non per questo sono giustificato . Ma come, non giustificato, se nelle buone opere c è la giustizia e non c è traccia di peccato? Certo: hai predicato il Vangelo con tutte le forze, hai raccolto (come dice Latomo) una colletta. C erano tutte le circostanze, anche approvate da Aristotele, perché si realizzasse un atto buono; non puoi proprio negare che si trattasse di un opera buona, ma allora perché ti dichiari addirittura peccatore? | |
8,82,21-25 | Rationis Latomianae confutatio | Lutero prende in giro Latomo per la sua forma mentis aristotelica e scolastica e per il suo vedere una stessa cosa - il peccato - sotto diversi aspetti. A questo punto, ironizza Lutero, si poteva parlare anche di peccato per se e peccato per accidens, così l ortodossia aristotelica sarebbe stata piena, e magari poi trattare della ricompensa del peccato. Va rilevato però che poche righe dopo sarà Lutero stesso a parlare del peccato come sostanza e sotto le diverse figure delle categorie (WA 8,88,3-25). | 399 | 1521 | Metaph. V,18; V,30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 82 | modus, per-se, per-accidens, distinctor, modus, accipere, causa, effectus, pena, oblatio, culpa, anima, reus, praemium, foecundus | 94 | Deinde peccatus quattuor modis accipit: Primo pro causa peccati, Secundo pro effectu seu pena, Tertio oblationem pro peccato, Quarto pro ipsa culpa, quo anima rea fit. Et miror, quod non quinto modo etiam pro premio peccati acceperint, deinde, ut totum Aristotelem haberemus, etiam peccatum per se et peccatum per accidens facere poterant foecundi illi distinctores. | Quindi Latomo prende in considerazione il peccato sotto quattro aspetti: il primo è la causa del peccato, il secondo l'effetto cioè la pena, il terzo è l'oblazione per il peccato, il quarto è la colpa stessa, per cui l'anima diventa peccatrice. Mi meraviglio che non abbia preso in considerazione un quinto aspetto: la ricompensa del peccato. Inoltre, per non tralasciare nulla di Aristotele, questi fecondi creatori di distinzioni potevano anche inventare il peccato-sostanza e il peccato-accidente. | |
8,88,3-25 | Rationis Latomianae confutatio | Finalmente una lode della filosofia aristotelica e precisamente della dottrina delle categorie. Una lode smorzata dal fatto che Lutero anteponga Quintiliano ad Aristotele, anche se riconosce che il metodo espositivo che sta lodando è usato anche da Aristotele nelle sue varie opere. In effetti è di dottrine aristoteliche che qui si parla; e la precisazione che sostanza qui significa la risposta alla domanda quid sit? non toglie niente al fatto che questa definizione di Quintiliano sia perfettamente compatibile con la sostanza in senso aristotelico, il quod quid erat esse. Di questa dottrina aristotelica Lutero apprezza soprattutto il valore metodologico nel campo dell eloquenza: un discorso è più efficace se strutturato secondo l ordine delle categorie. Ma Lutero intravvede anche riflessi gnoseologici in questo modo di procedere che va dalla sostanza alle categorie ( ad intellectum, ad cognitionem rerum... utilissimus ). L unica limitazione, un po in sordina ma non irrilevante, è l accenno alla possibilità di discutere con questo metodo de quavis re mundi. Un espressione generica? Più probabilmente un riferimento (anche inconscio) al limite che la ragione umana non deve mai superare secondo Lutero: quello dell esperienza contingente, sensibile, intramondana. In fondo, tra la valutazione positiva che Lutero formula in questo passo e la condanna espressa un anno prima nello scritto Alla nobiltà cristiana di origine tedesca (WA 6,457,35-450,30) non c è frattura. Anche lì si afferma che di Aristotele vanno conservati, sia pur depurati , gli scritti che si occupano di logica, retorica e poetica, soprattutto in vista dell educazione dei giovani. Ma rivalutazione della dottrina della sostanza e delle categorie non è rivalutazione dell Aristotele metafisico. | 399 | 1521 | Cat. 4,1b,25-27 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 88 | praedicamentum, substantia, quid, qualis, quantus, quorum, agere, pati, ubi, tempus, sophista, peccatum, relatio, scire, tractare, parcere, lector, crassissime, loqui, metaphora, natura, proprietas, musca, homo, infirmus, robustus, captare, Quintilianus, res, disputare, disserere, quidditas, locus, oratio, eloquentia, memoria, intellectus, cognitio, utilissimus, exercere, schola | 95, 96 | Ultra dicimus sophistas non nihil capere, quae sit substantia peccati, scilicet offensio dei et legis dei transgressio, sed quale sit in praedicamento quantitatis, qualitatis, relationis, actionis, passionis, hic prorsus nihil sciunt. Quare hic sic tractabo, ut ad omnia Latomi producta semel responderim, ne liber crescat in immodicum, si per singula discurram, parcendum enim est lectori. Ut ergo crassissime loquamur pro sophistis, peccatum secundum praedicamenta tractemus, si forte possint nos sequi. Peccatum citra metaphoram, ubi ubi fuerit, vere peccatum est natura sua, nec unum magis peccatum quam aliud iuxta proprietatem substantiae, quae non suscipit magis neque minus, licet unum sit maius et fortius alio, sicut et substantia una maior quam altera, non enim minus substantia est musca quam homo, nec minus homo infirmus quam robustus. Porro, ne me in verbis captent, Substantiam hic accipio non more Aristotelis, sed Quintiliani, quo modo de quavis re mundi possis primum disputare, quid sit, deinde quanta, deinde qualis, et sic de aliis: quod et Aristoteles observat, ubicunque disserit, sed et sophistae cuivis praedicamento suam tribuunt quidditatem. Sic enim de iustitia disserturus, per praedicamenta dispones locos orationis, primum, quid sit, secundum substantiam suam, deinde, quanta, qualis, quorum, quid agat, quid patiatur, ubi sit, quo tempore sit, quid habeat, quo modo gerat sese. Nam hic de praedicamentis intellectus meo iudicio ad eloquentiam, ad memoriam, ad intellectum, ad cognitionem rerum utilissimus foret, si exerceretur, sed scholis sophisticis prorsus ignotus. |
Affermiamo inoltre che i sofisti capiscono qualcosa in fatto di sostanza del peccato: sanno che è un'offesa fatta a Dio e una trasgressione delle sue leggi. Ma se si parla del peccato sotto le categorie di quantità, qualità, relazione, agire, patire, su questo argomento non sanno proprio niente. Perciò qui affronterò il problema in modo da dare un'unica risposta a tutte le obiezioni prodotte da Latomo. Infatti se affrontiamo gli argomenti a uno a uno, questo libro crescerà oltre misura: cercheremo di risparmiare una simile eventualità a chi legge. Per parlare in modo quanto mai grossolano, adatto ai sofisti, tratteremo del peccato secondo le varie categorie, sperando che ce la facciano a seguirci nel ragionamento. Fuor di metafora, in qualsiasi caso si presenti, il peccato è sempre veramente tale per sua natura e nessun peccato è più peccato di un altro per una qualche proprietà della sostanza. La sostanza infatti non ha un più e un meno, anche se una cosa può essere grande o potente più di un'altra; ma la mosca non è meno sostanza dell'uomo, e lo stesso vale dell'uomo debole nei confronti del robusto. Ma attenzione! Per non farmi sorprendere da tranelli verbali, preciso che qui non parlo della sostanza di Aristotele, ma di quella di Quintiliano e cioè del modo in cui si può discutere di una qualsiasi cosa al mondo prima chiedendosi cosa sia, poi esaminandone la quantità, poi la qualità, e via via tutte le altre categorie. Un procedimento che anche Aristotele osserva in qualsiasi sua trattazione: e d'altra parte anche i sofisti attribuiscono la loro quidditas ad ogni tipo di categoria. Così, se hai intenzione di trattare della giustizia, ordina le varie parti del tuo discorso secondo l'ordine delle categorie. Per primo dì cos'è la giustizia nella sua sostanza. Di seguito esponi la quantità, la qualità, la relazione, l'azione e la passione, il luogo e il tempo, la posizione e la condizione. Questa comprensione delle categorie a mio giudizio sarebbe utilissima sia per l'eloquenza, sia per la memoria, sia per l'intelletto, sia per la conoscenza delle cose: ma è del tutto sconosciuta alle scuole sofistiche. |
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8,90,31-36 | Rationis Latomianae confutatio | Con la parola vizio gli interlocutori di Lutero intendevano non il peccato attuale, ma uno stato di non perfetta attuazione della carità. Lutero invece tende a identificare questa condizione di fides non ancora charitate formata come un peccato in senso pieno, rifacendosi a quando affermato in precedenza sulla simultaneità della condizione di giustificato e di peccatore propria del cristiano. Seguendo questa interpretazione, egli ha buon gioco a richiamare una comune consuetudine linguistica che identifica vitium con il peccato. Inoltre, per rafforzare ancora di più le sue affermazioni, si richiama anche all'autorità di Aristotele, usato dialetticamente contro un aristotelico come Latomo. | 399 | 1521 | Eth. Nic. II,1,1103b,18-21; II,6,1106b,14-16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 90 | vitium, virtus-moralis, peccatum, saeculum, verbum, vocare, audere, prodire, negare, gratia | 145 | Omnia secula, totus orbis vicium vocat eciam hoc, quod contra virtutes morales est, et usitatissimum est verbum de viciis et virtutibus, nec ipsorum Aristoteles peccata aliud quam vitia vocat. Et adhuc audent isti prodire, nostra, sua, divina, omnia negaturi et in faciem omnium dicturi, vitium non solum non contra virtutes, sed nec contra gratiam dici. | In ogni epoca, in tutti gli angoli del mondo una delle definizioni di vizio è "ciò che è contrario alle virtù morali", tanto che il trattare di vizi e virtù è un luogo comune e anche il loro Aristotele chiama i peccati nient'altro che vizi. Ma questa gente osa spingersi a tanto, pronti a negare le dottrine nostre, le loro, quelle di Dio e tutto ciò che si può negare e pronti a dire in faccia a tutti che il vizio non solo non è contrario alla virtù, ma che non è neppure contro la grazia. | |
8,93,25-31 | Rationis Latomianae confutatio | Ironia di Lutero. Seguendo sempre il metodo che consiste nell opporre Aristotele agli aristotelici, Lutero semplifica alcune affermazioni dei suoi avversari riguardanti il peccato, che per Lutero è assimilato in ogni caso al peccato attuale. La posizione dei suoi avversari a Lutero ricorda da vicino quella di Demodoco nell'Etica Nicomachea, secondo il quale i Milesi non sono ignoranti ma fanno le cose che sono proprie degli ignoranti. In questo modo Lutero ottiene l'effetto retorico di identificare gli aristotelici di Lovanio con dei personaggi condannati da Aristotele stesso. | 399 | 1521 | Eth. Nic. VII,9,1151a,9s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 93 | cavillum, Demodocus, facere, verbum, sophista, haerere, peccatum, appellare, concedere, opus, bonus, impossibilis, mandatum, aemulare, Lovaniensis, insipiens | 148 | Claret ergo in meris cavillis verborum sophistas haerere, dum negant peccatum esse, et tamen appellari a Paulo peccatum concedunt, ut possis dicere secundum eos: Opus bonum non est peccatum, est tamen illud quod dicitur peccatum , sicut supra de impossibili: Mandatum dei non est impossibile, est tamen quod dicitur impossibile . Quasi Demodocum apud Aristotelem aemuleris et dicas: Lovanienses insipientes quidem non sunt, faciunt tamen ea, quae faciunt insipientes . | E dunque evidente che i sofisti si impantanano su veri e propri cavilli dialettici: negano che vi sia peccato e poi dicono che la stessa cosa è chiamata peccato da san Paolo, così che, seguendo quanto dicono, si può affermare: L opera buona non è un peccato: è ciò che viene chiamato peccato , così come in precedenza si era detto dell impossibile: Il disegno di Dio non è impossibile, ma è ciò che viene chiamato impossibile . E come se si volesse imitare il Demodoco di Aristotele e dire: Non è che i professori di Lovanio siano ignoranti: però si comportano proprio come gli ignoranti . | |
8,97,22-28 | Rationis Latomianae confutatio | E' significativo il fatto che Lutero definisca summa responsionis Lutherianae et confutationis Latomianae un principio dedotto dalla filosofia aristotelica: quello secondo cui si può provare ciò che a noi è sconosciuto solo attraverso ciò che già conosciamo. E poco importa se poi le argomentazioni con cui Lutero cerca di dimostrare gli errori dei professori di Lovanio spesso sono capziose o addirittura contraddittorie: l'accusa principale che Lutero rivolge a Latomo è di cadere sistematicamente in petizioni di principio e quindi di non essere sufficientemente aristotelico. | 399 | 1521 | An. pr. II,16,64b,28-65a,37; Top. VIII,13,162b,34-163a,1; Soph. el. 27,181a,15-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 97 | obscurum, clarum, probare, petitio-principii, viciose, sophista, oppugnare, humanum, divinum, prohibere, manifestum, ineptus, Latomus | 65 | Quare sophistis nostris per patrum dicta me oppugnantibus sic dixerim: Vos per obscura probatis clarissima et per humana tractatis divina. Quare cum hoc etiam vester Aristoteles prohibuerit, ne ignota per ignota, obscura per obscura, multo magis ne manifesta per obscura probentur, concludo vos ineptos disputatores, qui non nisi toto opere et omni tempore principium viciosissime petitis. Summa responsionis Lutherianae et confutationis Latomianae est haec. | Perciò ai nostri sofisti che contraddicono le mie tesi con affermazioni dei Padri della Chiesa, avrei detto così: Voi volete provare realtà evidentissime con argomenti poco chiari e trattate di ciò che è divino con argomenti umani. Ma siccome anche il vostro Aristotele vi proibì di seguire un simile procedimento - cioè di provare ciò che non si conosce attraverso ciò che non si conosce, ciò che è oscuro con ciò che è oscuro e, a maggior ragione, ciò che è evidente con ciò che non lo è per nulla - ne traggo la conclusione che voi come disputatori valete ben poco, visto che in tutto ciò che avete scritto, che scrivete e scriverete non fate altro che cadere in gravissime petizioni di principio. E questa è la sintesi della risposta di Lutero e della confutazione di ciò che Latomo afferma. | |
8,98,27-99,3 | Rationis Latomianae confutatio | Ritorna la metafora della cattività babilonese del popolo eletto, questa volta però per indicare la schiavitù a cui, secondo Lutero, gli scolastici hanno ridotto la chiesa imponendole la filosofia aristotelica. Il bis sacerrimus Aristotele è stato innalzato sugli altari, mentre una tale devozione non è dovuta nemmeno ai Padri della Chiesa. Da notare l'atteggiamento critico di Lutero verso i Padri, in altre occasioni (cfr. WA 42,505,21-25; 56,273,3-9; 59,500,2074-2079) da lui contrapposti frontalmente agli scolastici e agli ecclesiastici del tempo di Lutero proprio in funzione antiaristotelica. | 399 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 99 | bis-sacerrimus, Babylonia, tyrannis, captivitas, obsequium, libertas, patres, credere, mandare, Augustinus, liber-agg., sophista, libertas, resistere, obsequi, cogere, servire, respirare | 42, 209 | At dices: non tu credis ergo dictis patrum? Respondeo: Credam? quis mandavit illis credi? Ubi est praeceptum dei de ista fide? Cur illi non crediderunt suis patribus? praesertim Augustinus, qui liber esse voluit et omnes esse liberos iussit in omnium hominum scriptis? An quia Sophistae nobis haec invexerunt tyrannidem et captivitatem libertatis nostrae, donec et bis sacerrimo Aristoteli non resistendum, sed obsequendum coegerint, ideo perpetuo in illa serviemus et non aliquando in Christianam libertatem respirabimus et nostras literas vel postliminio huius Babyloniae suspirabimus? | Mi dirai: "dunque tu non credi a ciò che affermano i padri della Chiesa?". Rispondo: crederci? Chi ha ordinato di prestarvi fede? E dove sta scritto il precetto divino che riguarda questa fede? E perché allora neppure essi hanno creduto ai loro padri, soprattutto Agostino, che volle essere libero e che prescrisse che tutti fossero liberi in ciò che riguarda ogni cosa scritta da mani d'uomo? O forse, per il fatto che i sofisti hanno fondato questa tirannide e ci hanno privato della nostra libertà, costringendoci a non opporci ma addirittura a rendere ossequio al due volte sacrosanto Aristotele, dovremo essere schiavi per sempre di questa tirannia? Non respireremo nemmeno in nel futuro la libertà cristiana? E ci limiteremo a rimpiangere le nostre lettere per il diritto di tornare in patria, lontano da questa Babilonia? | ||
8,127,17-20 | Rationis Latomianae confutatio | Latomo aveva rimproverato a Lutero il suo scagliarsi contro auctores che erano stati riconosciuti santi dalla Chiesa. Lutero risponde mettendo in dubbio la stessa salvezza eterna dell anima di san Tommaso. La causa dalla dannazione di Tommaso per Lutero è proprio la sua responsabilità nella penetrazione delle dottrine aristoteliche nella chiesa. Si conferma così implicitamente il giudizio secondo cui il pensiero aristotelico per Lutero è non solo neutrale rispetto ai contenuti della fede, ma radicalmente contrario, al punto da far meritare l inferno a chi se ne fa propugnatore. | 399 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 127 | vastator, fructus, philosophia, scolasticus, theologia, Thomas, damnatus, beatus, vehementissime, dubitare, Bonaventura, haereticum, scribere, autor, regnare, pius, doctrina | 43, 320 | Ex fructibus suis cognoscitur philosophia et scholastica Theologia. Nam de Thoma Aquino an damnatus vel beatus sit, vehementissime dubito, citius Bonaventuram crediturus beatum. Thomas multa haeretica scripsit et autor est regnantis Aristotelis, vastatoris piae doctrinae. | La filosofia e la teologia scolastica si riconoscono dai loro frutti. Infatti per me il dubbio sul fatto che Tommaso sia tra i dannati, anziché tra i beati, è fortissimo, mentre mi convince di più l'ipotesi che Bonaventura sia santo. Tommaso ha scritto molte proposizioni eretiche ed è il principale responsabile del dominio di Aristotele, che ha distrutto la santa dottrina. | ||
8,288,24-28 | Ein Urtheil der Theologen zu Paris über die Lehre Doctor Luthers. Ein Gegen-Urtheil Doctor Luthers. Schutzrede Philipp Melanchtons wider dasselbe Parisische Urtheil für D. Luther | In quest'opera Lutero raccoglie le obiezioni che gli vengono rivolte dai professori della facoltà teologica di Parigi. Il passo in questione è una traduzione in tedesco, lievemente modificata, di un giudizio dato da Lutero nell'opera, risalente a tre anni prima, Ad dialogum Silvestri Prieratis de potestate papae responsio (WA 1,650,23-27). In questo caso però si prescinde dal contesto della Responsio (il dibattito sul sacramento della penitenza) per parlare direttamente della dottrina morale aristotelica, che viene sconfessata con argomenti usuali a Lutero: Aristotele è inadatto al popolo, perché i suoi concetti, oscuri e fumosi, provocano l'unico risultato di scatenare le diatribe tra gli interpreti. | 552 | 1521 | Eth. Nic. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 288 | sittlichen-tugenden, getzenk, ynnerlichen-tatten, volck, schrifft, thatt, leren, nutz, wort-grewell | 193 | Martinus. 1. Die Philosophia Aristotelis von den sittlichen tugenden, von der selben gegen wurff, von den thatten und ynnerlichen tatten ist eyn solch ding, das man dem volck nit leren kan, ist auch keyn nutz, die schrifft tzuvorstehen. Denn es ist nit mehr drynnen den wortt grewell, nur tzum getzenck yn wortten ertichtet. | Martino. 1. La filosofia aristotelica sulle virtù morali, sul loro oggetto, sugli atti e sull'atto elicito è un tipo di argomenti che non si può insegnare al popolo e neppure è utile alla comprensione delle Scritture. In essa infatti si trovano solamente mostri verbali, escogitati a null'altro scopo che per scatenare dispute da parolai. | |
8,289,25-27 | Ein Urtheil der Theologen zu Paris über die Lehre Doctor Luthers. Ein Gegen-Urtheil Doctor Luthers. Schutzrede Philipp Melanchtons wider dasselbe Parisische Urtheil für D. Luther | Come nel passo precedente (WA 8,288,24-28), anche in questo caso si tratta di un brano di un'opera precedente di Lutero, il commentario alla lettera ai Galati (del 1519, v. WA 2,493), usato dai professori parigini contro Lutero e da quest'ultimo tradotto in tedesco in vista dell'autodifesa. Lutero ribadisce l'inconciliabilità tra la dottrina morale di Aristotele e gli insegnamenti di Cristo e di san Paolo. | 552 | 1521 | Eth. Nic. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 289 | sitliche-bucher, ubereynstummen, schultheologe, lügen, Christus, Paulus, lere | 175 | Martinus. 7. Die schultheologen haben schlecht gelogen, das Aristotelis sitliche bucher mit Christs und Pau. lere ubireynstummmen. | Martino. 7. I teologi scolastici hanno detto il falso affermando che i libri di etica di Aristotele concordano con la dottrina di Cristo e di san Paolo. | |
8,425,23-25 | De abroganda missa privata Martini Lutheri sententia | Le parole di Lutero sono rivolte ai "papisti" in generale. Il nome di Aristotele, citato di passaggio in un contesto diverso (il dibattito sui ministeri nella Chiesa) è accomunato alla menzogna e al diavolo. | 503 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 425 | mendacium, evangelium, extinguere, damnare, spiritus, Satana, liber, doctrina | 44, 221 | Evangelium extinxistis et damnastis. Mendacia vestra et Aristotelis docetis, et spiritus Satanae regnat in omnibus libris et doctrinis vestris. | Avete tolto di mezzo e condannato il vangelo. Insegnate menzogne - vostre e di Aristotele - e lo spirito di Satana regna in tutti i vostri libri e nei vostri insegnamenti. | ||
8,444,1-9 | De abroganda missa privata Martini Lutheri sententia | Variazione sul tema dell'ignoranza scolastica di Aristotele. Lutero rimprovera ai maestri di Colonia e Lovanio di non aver compreso la dottrina aristotelica della definizione e pertanto di non saper distinguere tra sacrificio e testamento. Interessante il riferimento al rasoio di Occam: un procedimento condannato da Lutero. I "rasoi" dei maestri parigini fanno piazza pulita sì, ma in modo indiscriminato, distruggono le auctoritates umane e divine e lasciano in piedi solo le opinabilissime teorie di chi li usa; ce n'è a sufficienza, secondo Lutero, per bollarli come asini. | 503 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 444 | definitio, locus, pugnans, crassus, rasus, asinus, discere, parrhisiensis, Sodoma, lovaniensis, Gomorra, Babylon, papa, caput, sacrificium, testamentum, divinus, humanus, auctoritas | 62 | OCTAVO. Novum testamentum . Ecce, testamentum ipsemet vocat Eucharistiam, quo quid pugnantius esse potest sacrificio? Si Parrhisiensis Sodoma et Lovaniensis Gomorra et universa Babylon Papae suum Aristotelem didicissent, agerem cum eis per definitionis locum, si quo modo possent tam crassa capita aliquando videre, quid different sacrificium et testamentum. Sed, quia sola multitudine rasorum sua stabiliunt nec divinam, nec humanam autoritatem spectantes, dimittamus asinos mutuo suis ruditibus plaudere et nostra prosequamur! |
OTTAVO. "Nuovo testamento". Ecco, egli stesso chiama testamento l'Eucarestia: ma cosa ci può essere di più stridente con l'idea di sacrificio? Se la Sodoma parigina, la Gomorra lovaniense e la Babilonia universale del papa avessero imparato qualcosa dal loro Aristotele, discuterei con loro usando il procedimento della definizione, sempre che cervelli tanto ottusi si possano mai accorgere della differenza che sussiste tra sacrificio e testamento. Ma poiché solo in virtù di una gran copia di "rasoi" considerano stabilmente fondate le loro affermazioni e non rispettano né l'autorità divina né l'umana, lasciamo pure in pace gli asini: che si applaudano a vicenda con i loro ragli; e noi proseguiamo col nostro discorso. |
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8,445,30-35 | De abroganda missa privata Martini Lutheri sententia | In questo passo Lutero mette in evidenza l'artificiosità dell'applicazione della filosofia aristotelica alla teologia cristiana. Usare le categorie di Aristotele nel contesto eucaristico è una fatica ardua, paragonabile alle imprese degli atleti nello stadio; e un vero inferno per il morto Aristotele, i cui concetti vengono piegati a descrivere eventi (quale la transustanziazione) che per Lutero sono pure invenzioni della fantasia umana. Si comprende così perché Lutero deve definire morto Aristotele in questo contesto. Oltre che un dato biografico ovvio, l'aggettivo esprime l'inadeguatezza di una filosofia precristiana a spiegare i misteri di una fede che Aristotele non poteva conoscere. | 503 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 445 | consecratio, nihil, mortuus, eucharistia, disputatio, canticum, tractare, testamentum, sudare, heros, stadium, panis, fieri, corpus, Christus, gloriosus, negocium, infernus | 45, 282 | Et hanc eorum sapientia super Eucharistia spirant omnes eorum disputationes, cantica et quicquid de hac re tractant. Verba consecrationis vocant, non verba testamenti. Et hic videas sudare heroas istos in stadio, ut probent mirabilia istius consecrationis, ut panis transeat, ut fiat nihil, ut corpus Christi sub pane esse possit: tantum est Aristoteli mortuo et suae gloriosae philosophiae negocium, ut hic eius infernus videri possit. | E questa loro sapienza in tema di Eucarestia è testimoniata dalle loro dispute, dai loro inni e da qualsiasi cosa provenga da loro su questo argomento. Dicono le parole della consacrazione, non del testamento. E qui puoi vedere un tal genere di campioni sudare nello stadio, così da dimostrare le meraviglia della cosiddetta consacrazione: il fatto che il pane si trasformi, che divenga un nulla, che il corpo di Cristo possa essere presente sotto le apparenze del pane. E quest'onere è tanto grande per il morto Aristotele e per la sua gloriosa filosofia, che gli fa soffrire le pene dell'inferno. | ||
8,446,9-18 | De abroganda missa privata Martini Lutheri sententia | Ironia di Lutero sull'utilizzazione di concetti aristotelici da parte della chiesa cattolica e in particolare a proposito dell'Eucaristia. Il tallone d'Achille del papa secondo Lutero è proprio quello di fondare una dottrina divina con contenuti umani. Il fatto che Aristotele sia morto pare a Lutero quasi una prova della caducità delle sue dottrine e dell'inutilità dei suoi concetti, quando siano usati nel contesto di una dottrina eterna, com'è quella della Chiesa. Da notare la definizione delle dottrine aristoteliche come stercora. | 503 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 446 | accidens, philosophia, subiectum, transsubstantiatio, stercus, mortuus, contio, esurire, verbum-dei, Christus, indulgentia, babylon, contemnere, eruditus, pius, pietas, lachrymari | 222, 283 | Tum mox proripit sese ad philosophiam Aristot. egregiam illam et pulchre Christianam contionem de accidentibus et subiecto, de transsubstantiatione consummaturus. Ubi vero Aristotelem finivit et adhuc esuriant animae, imo stercora hominum pro verbo dei voraverunt, largitur sanctissimus in Christo pater de plenitudine thesauri nubes indulgentiarum iis, qui has vocum et rerum babylonas audiverunt. Et tamen audet hic bonus autor in prooemio fingere, sibi dulces lachrymas stillare per oculos, dum ista divinae bonitatis beneficia meditatur. Tu nunc vide, an Aristoteles contemnendus sit, qui mortuus Papam tam eruditum et pium facit, ut prae pietate lachrymetur! | Subito dopo (il pontefice) si scatena, pronto a propinare quel discorsone così sublime e tanto cristiano sugli accidenti e il sostrato: la transustanziazione. Una volta poi che l'ha fatta finita con Aristotele, le anime sono ancor più affamate (per forza! anziché parole di Dio hanno inghiottito sterco d'uomo), e così il santissimo padre in Cristo distribuisce a piene mani una nube di indulgenze, tratte dalla sovrabbondanza del suo tesoro, a tutti coloro che sono rimasti ad ascoltare una tale Babilonia di parole e di cose. Non basta: questo buon maestro osa anche far finta, nel corso di questo suo esordio, che alcune lacrime di dolcezza gli riempiano gli occhi, mentre medita sui questi benefici della bontà divina. Vedi tu ora se non sia il caso di disprezzare Aristotele, che, morto da un pezzo, è in grado di rendere tanto sapiente e santo il papa da fargli scendere lacrime di religiosa pietà! | ||
8,464,37-465,3 | De abroganda missa privata Martini Lutheri sententia | Il riferimento ad Etica Nicomachea VII,9 e alla figura di Demodoco ritorna spesso in Lutero e sempre per definire i papisti , per mettere in risalto la diversità tra le loro parole e le loro azioni. E' interessante notare che alcuni flash di precisi riferimenti a testi aristotelici emergono di tanto in tanto nel discorso luterano quasi come ritornelli. Si tratta certamente di eredità dello studio universitario, allora basato in larga parte dello studio mnemonico, ma che d'altra parte dimostrano fino a che punto la conoscenza del filosofo greco facesse parte del patrimonio culturale di Lutero. | 503 | 1521 | Eth. Nic. VII,9,1151a,9s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 464 | Demodocus, milesius, insipiens, Parrhisiensis, Papista, Ebionita, Montanus, Pelagianus, Turca, Antichristus | 148 | Unde quod apud eorum Aristotelem dicit Demodocus: Milesii insipientes quidem non sunt, faciunt tamen ea, quae faciunt insipientes : ita possumus et nos dicere: Parrhisienses et Papistae Ebionitae, Montani, Pelagiani, Turcae et Antichristi non sunt, faciunt tamen ea, quae faciunt Ebionitae, Montani, Pelagiani, Turcae et Antichristi. | E così, poiché nei testi del loro Aristotele Demodoco dice: Non è che i milesi siano ignoranti, ma agiscono proprio come fanno gli ignoranti ; così anche noi possiamo dire: non è che i parigini e i papisti siano ebioniti, montanisti, pelagiani, turchi e anticristi, ma agiscono proprio come fanno gli ebioniti, i montanisti, i pelagiani, i turchi e gli anticristi. | |
8,498,35-37 | Vom Mißbrauch der Messe | Quest'opera in tedesco è stata in seguito tradotta da Lutero in latino (v. per la corrispondenza di questo brano WA 8,425,23-25). Vale quindi quanto detto sopra: Aristotele qui è citato solo di passaggio e il suo insegnamento è presentato come una menzogna diabolica, soprattutto in quanto si infiltra nella predicazione e nell insegnamento ufficiale delle università. | 503 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 498 | Euangelion, lüge, predigen, buch, schrifft, teuffell | 44, 223 | Ihr habt das Euangelion ausz gelesscht unnd verdampt: Aristotelis und ewer lügen prediget yhr, und ist ynn allen ewern büchern und schrifften nit anders denn der teuffell selbst. | Avete tolto di mezzo e condannato il vangelo. Predicate menzogne - vostre e di Aristotele - e in tutti i vostri libri e nei vostri insegnamenti non regna se non il diavolo stesso. | ||
8,523,24-34 | Vom Mißbrauch der Messe | E il brano corrispondente a quello in latino di WA 8,446,9-18. Per osservazioni sulla critica ad Aristotele contenute in queste righe si rimanda quindi a quel contesto. Va sottolineato però che nella versione tedesca, rivolta a un interlocutore meno dotto, Lutero semplifica alcune espressioni tecniche del linguaggio aristotelico. Non c'è il termine transustanziazione, non si parla di accidenti ma della rotondità e della bianchezza dell'ostia, resiste solo il termine furnichtung, di per sé non strettamente filosofico. Si evidenzia la grande abilità di Lutero come volgarizzatore e ciò è un'implicita testimonianza della padronanza dei termini usati. Il brano mantiene così il suo contenuto ma suona in modo affatto diverso. In particolare perde il particolare sapore ironico che gli veniva dall'affastellamento di termini aristotelici. L'ironia in questo caso è più concentrata sull'azione, specialmente sul particolare delle lacrime del papa. | 503 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 523 | Bapst, lection, schatz, glawben, testament, verkundigen, kunst, brot, weysze, ründe, furnichtung, eyttel, sprew-un-stro, wortt-gotts, ablaß, weynen, majestat, vorachten, todt | 222, 283 | Datzu kumpt auch der Bapst ynn den lection tzur metten mit grossem pracht, das yderman meynt, er wurde nichts, denn den reychen schatz des glawbens und testaments verkundigen, sehet wol an, fellt aber von stundt an auff Aristoteles kunst von brot, von seyner weysze und ründe, von der furnichtung des brots. Und darnach, szo das gescheen ist und die armen menschen noch hungerich sind, ja eyttel sprew un stro fur das wortt gotts gehört haben, den gibt der heylige vatter reychen und milden ablaß. Nach darff der from man yn seyner vorred sprechen, das er wol weynen mocht, wenn er solche gnadenreyche güttickeyt gottlicher majestat betrachte. Nu sihe tzu, ab Aristoteles tzuvorachten sey, der nach seym todt den Bapst szo gelert, from und heylig macht, das er auch fur heylickeyt weynt! |
Nel bel mezzo della lezione entra anche il papa con gran pompa, così che ognuno pensa che non voglia fare altro che annunciare il ricco tesoro della fede e del testamento; egli cominia, ma poi ricade subito sulla concezione aristotelica dell ostia, sulla sua bianchezza e rotondità, sull annullarsi del pane. Poi, quando ha concluso e i poveri ascoltatori sono ancora affamati (anzi, hanno sentito cose spregevoli, paglia e pula spacciate per parole di Dio), allora il santo padre concede una ricca e clemente indulgenza. Dopo di che il sant uomo può dire, nella sua introduzione, che vorrebbe proprio piangere, quando tratta di tali ricchezze di grazia della maestà divina. Vedi tu ora se non sia il caso di guardarsi bene da Aristotele, che, morto da un pezzo, è in grado di rendere tanto sapiente, pio e santo il papa da fargli scendere lacrime di religiosa pietà! |
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8,547,35-548,2 | Vom Mißbrauch der Messe | E la versione tedesca del brano latino già presentato in WA 8,464,37 e sopra commentato. | 503 | 1521 | Eth. Nic. VII,9,1151a,9s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 547 | Demodocus, Milleser, narr, thun, Paryser, Papist, Ebionit, Montaner, Pelagianer, Turcke, Antichrist | 148 | Denn, wie Demodocus bey yhrem Arist. sagt: Die Milleser sindt nicht narrn, sie thun aber wie die narren , alszo mögen wyr auch sagen: Die Paryser und Papisten sin nit Ebioniten, Montaner, Pelagianer, Turcken und Antichristen, sie thun aber, was die alle thun. | E così, come nei testi del loro Aristotele Demodoco dice: Non è che i milesi siano ignoranti, ma agiscono proprio come fanno gli ignoranti ; così anche noi possiamo dire: non è che i parigini e i papisti siano ebioniti, montanisti, pelagiani, turchi e anticristi, ma agiscono proprio come tutti costoro. | |
8,607,33-608,2 | De votis monasticis Martini Lutheri iudicium | Lutero qui sta commentando At 20,29 ("Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge ), un versetto che a suo giudizio descrive a perfezione la scuola teologica parigina. Il motivo di tale identificazione è collegato alla critica più comune che Lutero rivolge ai teologi di matrice aristotelica: essi ritengono che la morale peripatetica e la morale cristiana siano conciliabili. Lutero però ha buon gioco nell assolutizzare le posizioni dei suoi interlocutori, che non propendevano affatto per una pura e semplice cristianizzazione di Aristotele ma al massimo affermavano, come Lutero stesso testimonia, che in multis moralia Aristotelis cum Christi Paulique doctrina consentire (v. Op. var. arg. edizione Erlangen VI p.56: ma nel passo qui citato e altrove, es. in WA 2,493,10 Lutero tralascia in multis). L assolutizzazione gli permette di identificare con una obscena meretrix la scuola parigina e di ritenere che la dottrina aristotelica dell habitus sia sentina inferni, soprattutto quando la si voglia applicare al cristianesimo. Interessante infine rilevare che proprio ai parigini (forse pensando anche al loro predecessore san Tommaso) Lutero addossa la responsabilità principale nell aver seminato la confusione tra principi di Aristotele e dogmi di Cristo. | 755 | 1521 | Eth. Nic. II,1,1103b,1s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 607 | moralia, opus, virtus, temperantia, meretrix, Parrhisiensis, schola, dogma, Christus, docere, temperatum, efficere, conscientia, sentina, infernus, credere, donum | 140, 180 | Maxime vero hic damnatur impura illa et obscena meretrix Parrhisiensis scholae, quae determinavit Aristotelis dogmata in moralibus non dissentire Christi dogmatis, cum ille aliud non doceat, quam per opera acquiri virtutes, dicens Faciendo temperata efficimur temperati , quod Christiana conscientia ceu sentinam inferni execratur et dicit: Credendo in Christum temperatum efficiar et ego temperata, illius temperantia et mea est, donum est enim illius, non opus meum. | In questo passo viene condannata soprattutto l indecente prostituta, la scuola parigina, che ha stabilito che i principi di Aristotele in fatto di morale non contraddicono agli insegnamenti di Cristo. D altra parte Aristotele non insegna altro che virtù acquistabili per mezzo delle opere. Egli afferma che agendo con moderazione diventiamo persone moderate . Ma la coscienza cristiana condanna tale affermazione come feccia dell inferno e ribatte: è credendo nel Cristo temperante che anch io divento temperata, la sua moderazione è anche la mia: il dono proviene da lui, non è opera mia. | |
9,13,10-13 | Randbemerkungen Luthers zu Augustini opuscula (De vera religione) | Lutero esprime le sue considerazioni a margine delle opere degli autori da lui maggiormente studiati. E' il caso di sant'Agostino e del suo De vera religione, di cui Lutero sta commentando l'affermazione "quod nondum formatum est, tamen aliquo modo, ut formari possit, incohatum est" (18,35s.): un passo che Lutero osserva essere perfettamente in armonia con quanto Aristotele sostiene in tema di materia e forma. Ma ciò che soprattutto sta qui a cuore a Lutero è osservare che la materia prima in questo contesto non è solo una pura potenzialità, ma qualcosa di più, qualcosa che tende all essere e che quindi conserva un certo grado di consistenza ontologica. Lutero continuerà sempre a insistere su questo concetto (di origine nominalistica) della materia, concetto che troverà la sua più organica esposizione nelle tesi filosofiche della Disputa di Heidelberg. | 53 | 1509 | Metaph. VIII,1 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 13 | forma, actus, materia-prima, potentia, incohari, fieri, sententia, Augustinus, esse, materia | 88 | Nam illud quod in comparatione: Ecce hic intelligitur quae sit sententia b. Augustini de materia prima, quia est nihil aliud nisi ipsum incohari sive fieri: quod jam it ad esse et hoc dicit Aristoteles de potentia i. e. materia ad actum i. e. formam ire. | Infatti, ciò che in rapporto: qui si capisce quale sia la concezione di sant Agostino in tema di materia prima, poiché essa non è altro che lo stesso incominciare o divenire: e questo è già un andare verso l essere: lo stesso dice Aristotele a proposito della potenza, cioè della materia, nell atto, cioè nella forma. | |
9,14,37 | Randbemerkungen Luthers zu Augustini opuscula (De decem chordis) | Interessante questo rilievo di Lutero a un sermo (IX,3) di sant Agostino, rilievo che fa risalire già al 1509 i primi accenti di critica luterana verso la dottrina morale aristotelica. Ciò induce a ritenere che l origine del dissenso di Lutero per la filosofia aristotelica riguardi proprio la tematica morale. In questi anni, infatti, l atteggiamento di Lutero in altri settori della filosofia non è sempre critico nei confronti di Aristotele (cfr. ad es. WA 1,27,18-39). Inoltre nel 1509 Lutero è reduce da appena un anno, dall esperienza di insegnamento dell Etica Nicomachea nel convento di Wittenberg. Questo passo documenta la familiarità con quest opera di Aristotele. | 53 | 1509 | Eth. Nic. IV,9,1128b,10-35 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 14 | castitas, virtus | 141 | quoniam castitas virtus est: contra Aristotelem. | poiché la castità è una virtù: contro Aristotele. | |
9,23,6-11 | Randbemerkungen Luthers zu Augustini opuscula (De trinitate) | Qui profecto spe beati sunt ad bona non transitura perveniunt. Il commento a questo passo di Agostino offre il destro a Lutero per precisare che la felicità in questa vita, così come è stato teorizzata da Aristotele e ripresa dai suoi interpreti medievali, è un assurdo; non solo è l indebita trasformazione di un concetto aristotelico, visto che Aristotele non poteva concepire che una felicità mondana, ma è anche, se riferita alla fede, una palese mistificazione. Queste affermazioni di Lutero sono interessantissime, soprattutto in considerazione che qui è il Lutero giovane a parlare. Già nel 1509 quindi egli rifiuta in pieno un etica eudemonistica (confermando l ipotesi secondo cui è proprio sul piano etico che avviene la prima rottura con il pensiero aristotelico). Implicita, ma chiara, emerge anche la critica all uso scolastico di Aristotele, uso giudicato più che scorretto (distortissime). Inoltre di altrettanta chiarezza è la presa di distanza di Lutero nei confronti delle varie scuole, come l avverbio discordissime, riferito alle varie interpretazioni di Aristotele, sta a significare. In nuce, sono i temi fondamentali della critica luterana ad Aristotele. Appare quindi non del tutto fondata l interpretazione secondo cui a un primo momento giovanile, contraddistinto dalla parziale adesione al filosofo greco, è seguito il momento della ripulsa, al quale a sua volta, verso gli anni Trenta, succede un addolcimento delle critiche. Al di là delle forme e degli accenti diversi, la continuità del pensiero luterano è sostanziale. Non per nulla Aristotele è qui definito fabulator. | 55 | 1509 | Eth. Nic. I,4-13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 23 | felicitas, fabulator, discordissime, distortissime, concordare, Augustinus, defensor, frivolus, legere, distinguere, renitere, fides | 15, 168 | Li.XIII.c.7. Qui profecto spe beati sunt: Melius hic Augustinus et verius de felicitate disputat quam fabulator Aristoteles cum suis frivolis defensoribus. Qui quia hunc Augustinum hoc loco non legant, audacter nobis distinguunt felicitatem in hac vita et renitentem Aristotelem discordissime et distortissime purae fidei concordant. Vide eadem li. 19. civitate dei c. 4. 5. etc. | Libro XIII, cap.7. E senza dubbio coloro che sono beati nella speranza: In questo passo Agostino tratta della felicità più adeguatamente e con maggior verità rispetto al mistificatore Aristotele e a tutti i suoi futili difensori. Essi infatti non si occupano di questo passo di Agostino, distinguono - a nostro giudizio temerariamente - una felicità di questa vita e in modi diversissimi l'uno dall'altro ma sempre scorretti vogliono mettere insieme Aristotele (che non ne vuol sapere) con la purezza della fede. Vedi anche il quarto e quinto capitolo del diciannovesimo libro della Città di Dio eccetera. | |
9,27,22-24 | Randbemerkungen Luthers zu Augustini opuscula (De civitate Dei) | Il passo della Città di Dio commentato da Lutero è il seguente: eorum (Peripateticorum et veterum Academicorum) quoque mirus est error, quod... vitam beatam... esse contendunt . E il commento del giovane monaco agostiniano non lascia cadere invano l'accenno di critica di Agostino ai peripatetici, dirottandolo su coloro che ritengono che Aristotele sia compatibile con la verità cattolica. Questa critica da parte di Lutero non è di una particolare originalità: altri nel suo ordine (come soprattutto gli studi di Zumkeller e di Grabmann hanno dimostrato) lo avevano anticipato nel contenuto e nei toni duramente critici. Molto più interessante è invece collocare cronologicamente tali giudizi: si noterà così che nel 1509, a soli quattro anni dalla sua entrata in convento, il pensiero di Lutero su Aristotele e i suoi interpreti è già ben delineato e il suo giudizio non è per nulla discordante da quelli che esprimerà in opere come la Cattività babilonese o lo scritto Alla nobiltà cristiana di origine tedesca. Anche il lessico lo conferma: garrire resta - assieme a termini come nugae, larvae, phantasmata, figmenta - un termine tipico della critica luterana ad Aristotele. Va infine rilevato che qui è la concezione eudemonistica di Aristotele ad essere criticata. Ciò apparenta questo passo (oltre che con il precedente WA 9,23,6-11) con una tesi della disputa Contra scholasticam theologiam del 1517 (WA 1,226,12s.). | 54 | 1509 | Eth. Nic. I,4-13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 27 | error, dissonare, impudenter, garrire, veritas, catholicus, mirus | 169 | Li. XIX. c. 4. Bl. G8ased eorum quoque mirus est error: Sed multo mirior nostratium qui Aristotelem non dissonare catholicae veritati impudentissime garriunt. | Libro XVI, cap.4, foglio G8a. Singolare anche l'errore di coloro: ma molto più singolare quello dei nostri contemporanei che senza la minima traccia di pudore cianciano dicendo che Aristotele non è in contraddizione con la verità cattolica. | |
9,43,2-5 | Randbemerkungen Luthers zu den Sentenzen des Petrus Lombardus | Pietro Lombardo aveva (dist.17,CXCII,565, c.5) affermato che la carità è un habitus. Un'affermazione che trova nettamente contrario Lutero (se non per l identificazione di questo habitus con lo Spirito Santo), il quale vede in questa operazione una contaminazione di cristianesimo e aristotelismo. Il concetto di habitus è tra i più criticati da Lutero, proprio perché inteso in senso strettamente aristotelico di disposizione costante che sta alle sole energie dell'uomo realizzare, senza l aiuto della grazia. Per questo Aristotele è rancidus, un aggettivo che indica lo stato di decomposizione dei cadaveri e che va accostato ad altri (mortuus, caecus, gentilis, bestia) che indicano tutti il non essere cristiano di Aristotele. Aristotele è morto, è cadavere, perché non ha conosciuto il cristianesimo. | 565 | 1510-1511 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 43 | habitus, rancidus, absurdissime, spiritus-sanctus, commentum, verbum, philosophus | 16, 106 | Et videtur Magister non penitus absurdissime loqui: in eo quod habitum dicit esse spiritum sanctum. Quia commentum illud de habitibus opinionem habet ex verbis Aristotelis rancidi philosophi. | E evidente che se qui il Maestro (Pietro Lombardo) non esprime un opinione proprio in tutto e per tutto assurda, dipende solo dal fatto che egli afferma che l habitus è lo Spirito Santo; poiché quel suo commento sugli habitus trae il suo punto di vista dalle parole di Aristotele, filosofo putrescente. | ||
9,50,22-26 | Randbemerkungen Luthers zu den Sentenzen des Petrus Lombardus | Riassunto fedelmente aristotelico di alcuni concetti richiamati nel quinto libro della Metafisica. Più originale la conclusione, da riferirsi probabilmente più al concetto di identità che a quelli di uguaglianza e somiglianza, secondo cui la presenza di una stessa sostanza in cose diverse è possibile solo in Dio. Evidente il riferimento alla dottrina trinitaria. | 565 | 1510-1511 | Metaph. V,9; Top. I,7-8 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 50 | identitas, substantia, aequalitas, Deus, quantitas, similitudo, qualitas, rigor, verus | no | In omnibus ergo: 5. metaphysicae. Identitas est plurium una substantia Aequalitas est plurium una quantitas Similitudo est plurium una qualitas Hoc secundum rigorem verborum in solo deo est verum. |
Infatti in tutte le cose: quinto libro della Metafisica. L'identità è una medesima sostanza in cose diverse L'uguaglianza è una medesima quantità in cose diverse La somiglianza è una medesima qualità in cose diverse Questo, secondo il rigore dei termini, si verifica solo in Dio |
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9,61,19-25 | Randbemerkungen Luthers zu den Sentenzen des Petrus Lombardus | Lutero oppone alla concezione del mondo eterno propria di Aristotele (ad Lombard. sent. II d 1 c 3 § 3: Aristoteles... dixit... mundum... semper esse et fuisse ) il salmo 134,6 in cui si afferma che tutto ciò che Dio vuole, lo può compiere. Un richiamo di sapore occamistico alla potentia Dei absoluta. Il discorso poi prosegue ma non trattando dell'eternità del mondo, quanto il problema del rapporto tra tempo ed eternità di Dio. | 565 | 1510-1511 | De caelo I,10-II,1; e in particolare II,1,283b,25-284a,2 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 61 | praesens, praeteritum, futurum, Deus, tempus, effectus, velle, facere, cadere, differentia, singulariter, relucere | 75 | Liber II. Dist. 1. c. 1-3. Bl. l2b Zu dem Ganzen: Aristoteles: Omnia quaecunque voluit fecit. Respondetur, quod in deum non cadit praeteritum vel futurum, sed omnia praesenter ei sunt. Ergo quandocunque de deo differentiae temporum dicuntur singulariter, non excluditur aliqua de eis, quantum est de se, nisi quantum relucet in effectu. |
Libro II. Distinzione 1. capp. 1-3. Foglio l2b. In generale: Aristotele: Tutto ciò che il Signore vuole, lo compie . La soluzione è che il passato o il futuro non vengono meno in Dio, ma tutte le cose gli sono presenti. Perciò ogni qual volta si predicano di Dio delle differenze di tempo prese singolarmente, non viene esclusa qualcuna tra esse in quanto tale, ma solo in quanto riluce nell'effetto. |
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9,110,22-24 | Randbemerkungen Luthers zu Opuscula Anselmi und Johannis de Trittenhem Liber lugubris de statu et ruina monastici ordinis. | Raccolte tra le annotazioni di Lutero ai testi di sant'Anselmo, queste poche parole di Lutero si riferiscono invece al Liber pro insipiente di Gaunilone, interlocutore di Anselmo stesso. Lutero riconosce un'eco aristotelica nell'affermazione secondo cui quod intelligitur, necesse est ut non in solo intellectu sed etiam in re sit . Il richiamo è al quarto libro della Metafisica: non è ammissibile che possa essere conosciuta una cosa che non esiste nella realtà (e non solo nella mente). In realtà però non è chiaro a quale passo del quarto libro Lutero si voglia riferire; forse al primo capitolo in cui si parla della filosofia prima come scienza dell essere in quanto essere? Sorge il sospetto che Lutero si sia sbagliato e abbia invece voluto citare il quarto libro della Fisica (Phys. IV,6-9), alludendo all inesistenza e quindi all inconoscibilità del vuoto, com egli stesso fa in WA 32,241,29-34; 42,408,19-38. | 25 | 1513-1516 | Metaph. IV,1-2? | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 110 | non-ens, intelligere, intellectus, res | 86 | Liber pro insipiente Bl. l3b necesse est ut non in solo intellectu: Metaphysicae 4. Quia non ens non intelligitur. |
Libro in difesa dello stolto. Foglio l3b è necessario che non solo nell'intelletto: Quarto libro della Metafisica. Poiché il non ente non è intelligibile. |
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9,137,23-27 | Auslegung und Deutung des heiligen Vaterunsers | Quest opera è l edizione, a cura del suo discepolo Johannes Agricola, di alcune prediche tenute da Lutero nel 1517. Lutero, reputando troppo difficile l edizione di Agricola, rielaborò il testo nel 1519 con il significativo titolo di Auslegung Deutsch des Vaterunsers für die einfaltigen Laien (WA 2,80-130). I riferimenti ad Aristotele, numerosi nel testo curato da Agricola, scompaiono in quello di Lutero. Così egli metteva in pratica ciò che aveva affermato più volte nel corso della sua opera: che Aristotele e i suoi concetti sono inadatti ad essere spiegati al popolo. In questo passo Lutero si riferisce all insegnamento di san Bernardo secondo il quale l'uomo ha la facoltà di volere, ma non quella di volere il bene. Secondo Lutero, siamo agli antipodi di Aristotele, qui citato quasi alla lettera, secondo il quale il dominio degli atti umani appartiene all uomo stesso, mentre, osserva Lutero, la concezione aristotelica non coglie il dramma dell uomo incapace di volere il bene. In questa fase il pensiero di Lutero in tema di libero arbitrio non è ancora pienamente sviluppato. L opposizione alla teoria aristotelica dell azione, però, è già netta. Quanto al riferimento nelle opere di san Bernardo, Theo Bell (Divus Bernhardus - Bernhard von Clairvaux in Martin Luthers Schriften, Mainz 1992, pp.418) lo individua in De gratia et libero arbitrio, 6,16-18. Alle pagg. 276-279 Bell presenta un dettagliato paragone tra la concezione della libertà di Bernardo e di Lutero, dimostrandone le significative divergenze e mettendo in rilievo la conoscenza solo parziale che Lutero aveva di quest opera di Bernardo. E sempre lo studioso tedesco ad affermare che questo versetto è sufficiente a Lutero per sentire Bernardo come alleato nella lotta contro Aristotele. Si tratta di un atteggiamento che in seguito Lutero correggerà per assumere una posizione più fredda nei confronti del santo di Clairvaux (cfr. BELL, Divus Bernhardus..., cit., pp.333-337). | 742 | 1518 | Eth. Nic. III,5,1113b,3-6; III,5,1114b,24-27 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 137 | Bernhardus, lere, herr, werck, anfang, mittel, ende, will, macht, gute, bestehen | 119, 114 | Hye wirfft darnydder Bernhardus dye lere Arestotelis, da er sagt, ein mensch sey eyn herr aller seiner werck, anfanges, mittels und endes. Wye kan und magk aber das bestehen, dyweyl der will, dem Arestoteles die groste macht gibt, nicht gutes tzuwollen vormagk? | Qui Bernardo rigetta del tutto l'insegnamento di Aristotele, secondo il quale un uomo è padrone dei suoi atti all inizio, nel corso e al termine dell azione. Ma come può mai accadere una cosa del genere, dal momento che la facoltà di volere, alla quale Aristotele conferisce la massima capacità, non è in grado di desiderare il bene? | |
9,139,26-34 | Auslegung und Deutung des heiligen Vaterunsers | Lutero ritorna su una delle frasi aristoteliche che ha scolpite nella memoria: l affermazione secondo cui ratio deprecatur ad optima. Secondo Lutero si tratta di una delle frasi aristoteliche più incompatibili con la teologia cristiana, soprattutto con la dottrina del peccato originale, intesa nel senso restrittivo proprio di Lutero: nel senso cioè che la ragione umana, senza il concorso della grazia di Dio, è privata di tutte le sue potenzialità spirituali. La ragione quindi, al contrario di quanto afferma Aristotele, è più inclinata al male che al bene. Lutero però non cita il contesto dell Etica Nicomachea in cui Aristotele afferma che la ragione spinge l uomo alle cose migliori e per esempio non prende in esame l affermazione, fatta da Aristotele poche righe più sotto (Eth. Nic. I,13,1102b,19s.) secondo cui nell uomo c è qualcosa, la parte irrazionale dell anima, che tende a contrastare l impulso della ragione. Probabilmente ratio deprecatur ad optima è una frase rimasta nella memoria di Lutero a partire dagli anni della sua formazione e ciò spiegherebbe la citazione fuori contesto. Si comprende qui l affermazione di Lutero secondo la quale è molto difficile che Aristotele si sia salvato dalle fiamme dell inferno: in quanto pagano, egli era infatti più inclinato al male che al bene. Di qui anche l aggettivo dannato (vordampt, WA 6,458,5; 10 I 1,472,11damnatus, WA 7,737,21; 7,739,27) spesso usato nei suoi confronti. | 742 | 1518 | Eth. Nic. I,13,1102b,15-20 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 139 | vornufft, weysen, mensch, beste, natur, krefft, vorgiften, vorstandt, gnade, reynigen, bose, gute, bewerung, finster-loch, gesetz, Bebst, Keyser | 113 | So sprichstu aber: "Ey hat doch Aristoteles gelernt, dy vornufft weyset altzeit den menschen tzum besten". Antwort: Die menschliche natur ist in allen iren krefften also vorgiftet, das sye nichs aus ir selber guts vormagk. Hyrumb szo die vornufft, vorstandt des menschen, durch gotliche gnade nicht gereyniget werden, ist sye meer tzum bosen geneigt dan tzum guten. Hyrumb wirt die bewerung Arestotelis aus dem finstern loch wenigk stadt haben, es ist uns aber genugk, wan wir das wissen, das in allen gesetzen van allen Bebstenn, Keysern, adder andern, wu nicht gottis wille vorgeeth, die menschliche vornufft nichts vormagk. | Così tu ribatti: Ma Aristotele ha insegnato che la ragione spinge perpetuamente l uomo verso le cose migliori . Risposta: la natura umana è così corrotta in tutte le sue potenzialità, che non può far nulla di buono con le sue sole forze. E pertanto se la ragione e l intelletto dell uomo non vengono purificati dalla grazia divina, sono più inclinati verso il male che verso il bene. Per questo è molto difficile che Aristotele sia stato preservato dal profondo dell inferno. Per noi è comunque sufficiente arrivare a comprendere che in tutte le leggi di tutti i papi, imperatori o altri, quando non è la volontà di Dio a prevalere, la ragione umana non può nulla. | |
9,139,35-140,2 | Auslegung und Deutung des heiligen Vaterunsers | Il concetto di buona intenzione è rigettato da Lutero, per il quale la volontà dell uomo è interamente corrotta e non può essere certo un sacramento a rinnovarla. In questo atteggiamento dei commentatori delle Sentenze di Pietro Lombardo Lutero ritrova un eredità aristotelica. Da notare il verbo traumen usato per qualificare la filosofia aristotelica. | 742 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 140 | Sententiarius, mensch, sund, berawen, beichten, gnade, gute-meynung, vorsatz, bona-intentio, bose, gute, beste, warheit, traumen | 340 | Nun sein da dye Sententiarii und sagen, wan den menschen sein sunde berawen und gebeichtet hat, so ist er in gnaden, und was er darnach thue, das ist guth, szo er eyn gute meynung unnd vorsatz hath, unnd meynen, das dye meynung, das sy heissen bonam intentionem, allein im bosen sey, so sye doch in gutem und besten, als uns duncket, erhalten wirt, darumb das alles der warheit ser ungleich. Dan sye habens aus Aristotele also getraumet. | E ora saltano fuori i commentatori delle Sentenze a dire che quando l uomo si è pentito e si è confessato è in stato di grazia e ciò che egli compie in seguito è buono, ed egli ha un intenzione e un proposito buoni, e ritengono che l inclinazione che essi chiamano buona intenzione si trovi solo nell uomo malvagio, mentre invece, come a noi pare, si conserva solo nel buono e nell ottimo: perché se non è così tutto è molto dissimile dalla verità dei fatti. Infatti costoro hanno tratto da Aristotele questi sogni. | ||
9,143,35-144,5 | Auslegung und Deutung des heiligen Vaterunsers | C è opposizione diretta in Lutero tra il werck di Cristo, che viene donato gratuitamente all uomo, e il werck di Aristotele, che dipende solo dall uomo e sulla base del quale, attraverso un lungo e faticoso esercizio, l uomo giunge alla virtù morale. Se dunque l uomo che contempla i misteri della passione di Cristo non può rimanere freddo e inattivo, questo fare il bene non ha nulla a che fare con l operare inteso in senso aristotelico. Anzi: si deve insegnare al popolo che la virtù è pura conseguenza della grazia, facendogli disimparare il vecchio concetto di virtù. | 742 | 1518 | Eth. Nic. II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 144 | tzu-hertzen-nemen, betrachten, anreitzen, selich, werck, leyden, Christus, erwarmen, volgk, lernen, togend, vorlernen, lehr, kunst, dahinten-bleyben | 215 | Und so wir dis tzu hertzen nemen und betrachten, werden wir an tzweivel gut tzuthun sser angereitzt. Wan worumb es ist unnutzlich, das das selichen rwen kan, so das werck adder leyden Christi in ym erwarmeth, und wirt itzundt van nothen sein, das man das volgk lerne, wy sye dye togende vorlernen solle, und Aristotelis lehr und kunst mus dahinten bleyben. | E se noi prendiamo a cuore e osserviamo la Sua passione, veniamo senza dubbio spinti a operare il bene, perché è impossibile che possa riposare beatamente colui che viene reso ardente dal sacrificio e dal martirio di Cristo. Ora, inoltre, sarà necessario che si insegni al popolo a disimparare le virtù umane: l insegnamento e la sapienza di Aristotele devono essere messi all ultimo posto. | |
9,147,10-17 | Auslegung und Deutung des heiligen Vaterunsers | La trasformazione dell uomo da ingiusto e peccatore a giusto e virtuoso non può avvenire nel modo indicato da Aristotele (espressione che, alla luce di tutti gli altri passi luterani analoghi, nel senso di: con i soli sforzi dell uomo ), ma attraverso Cristo. Va notato il fugace riferimento ad Aristotele che la stesura di Agricola - molto probabilmente più fedele all originale della successiva rielaborazione luterana - inserisce un contesto esortativo e spirituale. Sono probabilmente passi come questi ad aver provocato le critiche di Lutero al testo di Agricola, non adatto ai semplici laici . D altra parte però sono proprio citazioni quasi a sproposito come questa che testimoniano la presenza di Aristotele e delle sue concezioni nell orizzonte mentale di Lutero. La successiva rimozione non fa che evidenziare in negativo tale presenza. | 742 | 1518 | Eth. Nic. II,1,1103b,1s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 147 | vatter, brot, wesen, naturliches-lebenn, sundtlich, gnade, vordinstlich, boszheit, fromkeit, untzugt, tzucht, hoffart, demuth, unkeuscheit, keuscheit, ungedult, gedult, tzorn, feusstmutigkeit, gutigkeit, lieb, fruntschafft, Christus, sunder, werck, tod, leyden | 183 | Darumb bitte wir "O vatter, gib unns ein ander brot, das unns in eyn ander wesen fuere: aus dem naturlichen lebenn, das do sundtlich ist, in das leben der gnaden, das do vordinstlich ist, nicht tzur boszheit, szunder tzu der fromkeit, van der untzugt tzu tzucht, van hoffart tzu demuth, van unkeuscheit tzu keuscheit, van ungedult tzu gedult, van tzorn tzu feusstmutigkeit, gutigkeit, lieb, fruntschafft, und das gibt alles Christus, nicht als Aristoteles sagt, Sunder als wir Christum annemen in seynem leben, wercken, tode und leyden etc." | Perciò noi preghiamo: O padre, dacci un altro pane, che ci trasformi in un altra sostanza; dalla vita secondo natura, che è così piena di peccato, alla vita della grazia (che è così meritoria non in ordine alla malvagità ma alla giustizia), dal vizio alla virtù, dalla boria all umiltà, dall impudicizia alla castità, dall impazienza alla pazienza, dall ira alla mansuetudine, bontà, amore, amicizia; e tutto ciò lo dà solo Cristo, e non nel modo insegnato da Aristotele, ma lo dà quando noi facciamo nostro Cristo nella sua vita, nelle sue opere, nella sua passione e morte . | |
9,174,11-15 | Bruchstück eines ersten Entwurfes zu dem frühesten Schreiben Luthers an den Papst | L'accenno ad Aristotele è tutto in quel peripateticos Theologos: Lutero dichiara che tutta la filosofia aristotelica dei teologi di Colonia e di Lovanio non sarà sufficiente a dimostrare che lui è un eretico. Da notare la terminologia: lustris e volutabris. E' implicita l'idea, tante volte ribadita da Lutero, che l'impianto concettuale aristotelico sia un vero pantano nel quale la ragione non può che impelagarsi. | 638 | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 174 | peripateticus, lustrum, volutabrum, theologus, quaestio, detractor, calumniator, haereticus, scientia, scriptura, meretricula, iracundus | 291 | Maluerunt esse detractores et calumniatores quam haereticae Inquisitores in me, quia illud sine scientia Scripturarum facile se posse videbant, quod iracundas meretriculas vident aeque posse, ad hoc vero sentiebant sibi non sufficere Magistros nostros Eximios peripateticos Theologos cum universis questionum suarum lustris et volutabris. | Hanno preferito insultarmi e calunniarmi piuttosto che dimostrarsi inquisitori eretici nei miei confronti. Infatti si erano accorti che nel primo caso era possibile fare con grande facilità e senza alcuna cognizione delle Scritture ciò che (e loro lo sanno bene) poteva essere fatto altrettanto bene da quattro puttanelle arrabbiate. Ma sapevano anche che per sostenere un accusa di eresia non sarebbero bastati i nostri esimi maestri teologi peripatetici con tutte le paludi e gli acquitrini delle loro quaestiones. | ||
9,604,32-34 | Predigten Luthers gesammelt von Joh. Poliander | L influsso di Aristotele non si estendeva solo sulla teologia, ma anche sulla predicazione; un influsso, a quanto pare, al quale Lutero stesso non aveva saputo resistere, se è vero che stesure come quella che Agricola aveva fatto nel 1518 delle prediche sul Paternoster tenute l anno prima da Lutero a Wittenberg contenevano numerosi riferimenti - sia pur polemici - ad Aristotele e ai suoi sostenitori (cfr. ad es. WA 9,137,23 e 9,140,2 segg.). Lutero però critica duramente questo costume ecclesiastico, che giudica nefasto perché in questo modo a suo giudizio si accantonano le sacre scritture a favore della sapienza umana. | 578 | pr. 171 | 1521 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 604 | predig, schriefft, buch | 224 | Man soll al predig auf der schriefft füren und nicht nemen auzsm Aristotele oder andern Buchern. | Bisognerebbe condurre le prediche sulla falsariga delle Scritture e non trarre ispirazione da Aristotele o da altri libri. | |
31 I,465,36-466,3 | Zu Luthers Scholae in ps. XXIII-XXV | Esistono due giustizie per Lutero: quella mondana che trova il suo massimo codificatore e teorizzatore in Aristotele, e che ha una sua efficacia nel campo umano, e quella di Cristo. Solo la seconda giustifica l'uomo, che però rimane tuttavia sottomesso anche alla prima delle due. Questo pensiero è suggerito a Lutero da Sal 22,3: Mi guida per sentieri di giustizia . A questa duplice concezione di giustizia Lutero resterà sempre fedele, con valutazioni contrastanti nei confronti della prima delle due, ma mantenendo sempre netta la separazione. Termini come sensus e opinio secondo Lutero non hanno nulla a che fare con la giustizia di Cristo e anzi introducono a un atteggiamento mentale opposto: la pertinacia nelle proprie convinzioni opposta alla mitezza evangelica. | 593 | 1513-1516 | Eth. Nic. V | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 465 | iustitia, iurisperitus, sensus, opinio, pertinax, agere, fides, gratia, iustificare, semita, deducere, ductilis, mitis, dirigibilis, suasibilis | no | Iustitia autem ista non est ea, de qua Aristoteles 5. Ethicorum vel iurisperiti agunt, sed fides seu gratia Christi iustificans, in cuius semitis ii deducuntur, qui sunt ductiles et mites, hoc est (ut aiunt) dirigibiles et suasibiles, minimeque suo sensu et opinione pertinaces. | Questa giustizia non è quella di cui Aristotele parla nel quinto libro dell'Etica Nicomachea né quella di cui trattano gli studiosi di diritto, ma la fede o grazia di Cristo giustificante, sui cui sentieri vengono condotti coloro che si lasciano portare con mitezza e cioè (come dicono) coloro che si lasciano guidare e convincere, ma non assolutamente coloro che si accaniscono nelle loro idee e nei loro punti di vista. | |
55 I 1,102,30s. | Luthers I. Psalmenvorlesung | Annotazione di Lutero che coincide con il passo, sopra tradotto e commentato, contenuto in WA 3,100,30. | 593 | 1513-1515 | Hist. anim. VIII,29,607a,22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 102 | aspis, ictus, Affrica, remedium, gignere | 159 | Ps. 9. Aspis in Affrica gignitur, cuius ictui nullum est remedium. Aristoteles. | L aspide proviene dall Africa, per il suo morso non c è alcun antidoto. Aristotele. | |
56,116,1-3; 15-18 | Vorlesung über den Römerbrief | Lutero sta spiegando Rm 11,33: O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Egli usa di questo versetto per condannare i tentativi di conoscenza puramente razionale della realtà, di cui la filosofia è l esempio principale (nel significato ampio che la parola filosofia assumevano a quel tempo, inclusivo quindi anche delle scienze naturali). Da notare che la Lettera ai Romani qualifica come incomprensibili e inaccessibili i giudizi e le vie del Signore , mentre Lutero attribuisce lo stesso aggettivo alle cause che sono l obiettivo della scientia rerum. Con ciò egli opera un interpretazione molto estensiva del versetto: non si parla più dell imperscrutabilità (agli occhi della ragione) della sapienza divina, ma della realtà in quanto tale. | 646 | 1515-1516 | Phys. I,1,184a,12-14; An. post. I,2,71b,9-12 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 116 | incomprehensibilis, rationem-reddere, inscrutabilis, stultus, scientia-rerum, causa, quaerere | 98 | Quam incomprehensibilia sunt quia non est ratio reddibilis super iis, que videmus fieri ab eo iudicia eius et inuestigabiles i.e. inscrutabiles1 viae eius.2 1Iob. 5: Qui facit magna et inscrutabilia . Et 9.: qui facit magna et incomprehensibilia etc. 2Et ideo eo ipso omnes stulti sunt, qui scientiam rerum querunt per causas, vt Aristoteles, cum sint incomprehensibiles . |
Quanto incomprensibili sono poiché non si possono spiegare razionalmente le cose che vediamo provenire da lui i suoi giudizi e quanto inaccessibili nel senso che non possono essere penetrate1 le sue vie.2 1 Giobbe,5: Egli fa cose grandi e inaccessibili . E al nono capitolo: egli fa cose grandi e incomprensibili eccetera. 2 Proprio per questo motivo sono stupidi tutti coloro che, come Aristotele, vogliono conoscere le cose risalendo alle loro cause, dal momento che queste sono incomprensibili . |
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56,172,5-11 | Vorlesung über den Römerbrief | La differenza tra la giustizia umana e la giustizia divina è, secondo Lutero, la differenza tra una giustizia che deriva dalle azioni umane e un altra giustizia che cambia il modo di agire degli uomini. Tra questi due tipi di giustizia esiste un omonimia a cui non corrisponde alcuna analogia di contenuto. Lutero qui si richiama al terzo libro dell Etica Nicomachea ed è una citazione che va segnalata, dal momento che Lutero stesso, per esprimere il concetto di giustizia proveniente dalle opere, di norma si rifà al secondo libro dell Etica (WA II,1,1103a,32-1103b,16). | 646 | 1515-1516 | Eth. Nic. III,5,1114a,7-12; II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 172 | Augustinus, iustitia-Dei, salus, actus, iustitia-hominum, opus, determinare, impertire, manifeste, praecedere, fieri | 125 | Unde b. Augustinus c. XI de spi. et lit.: Ideo Iustitia Dei dicitur, quod impertiendo eam Iustos facit. Sicut Domini est salus, qua saluos facit. Et eadem dicit c. 9 eiusdem. Et dicitur ad differentiam Iustitie hominum, que ex operibus fit. Sicut Aristoteles 3. Ethicorum manifeste determinat, secundum quem Iustitia sequitur et fit ex actibus. Sed secundum Deum precedit opera et opera fiunt ex ipsa. | E perciò sant Agostino, nell undicesimo capitolo del De spiritu et litera, dice: La giustizia di Dio viene chiamata così proprio perché Dio nell impartirla rende giusti. Lo stesso vale per la salvezza del Signore: attraverso di essa egli ci salva . Egli afferma lo stesso anche nel nono capitolo del medesimo libro. La giustizia dunque viene definita in questo modo per differenziarla dalla giustizia degli uomini che è frutto delle opere. Aristotele nel terzo libro dell Etica ne parla esplicitamente in questi termini: secondo lui la giustizia deriva e proviene dalle azioni. Secondo Dio essa precede le opere, anzi, sono le opere a derivare da essa. | |
56,189,15-21 | Vorlesung über den Römerbrief | Il commento verte sull inizio del secondo capitolo della lettera ai Romani, in cui san Paolo stigmatizza l atteggiamento di chi giudica e condanna i propri fratelli per gli stessi peccati che egli commette. L esempio della caccia per Lutero è lampante. L ipocrisia che sottostava al sistema di regolazione dell attività venatoria, che adottava due pesi e due misure per i contadini e per i signori, richiama alla mente di Lutero l esempio di Demodoco, citato nell Etica Nicomachea, secondo il quale gli abitanti di Mileto pur non essendo degli stolti si comportavano come tali. Lo stesso vale per i signori: non si possono definire apertamente ladroni, ma si comportano come tali. Questa citazione aristotelica è molto cara a Lutero, che la ripropone più volte nel corso della sua opera (cfr. WA 8,93,30; 8,464,37; 8,547,36, 39 I,535,26). | 646 | 1515-1516 | Eth. Nic. VII,9,1151a,8-10 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 189 | princeps, potens, feruare, Demodocus, fur, raptor, authoritas, saeculum, fera, volucer, ius, vulgaris, peculator, communitas, aufferre, facere, latro | no | Qua authoritate principes et potentes saeculi sibi feruant omnes feras et volucres, ne vllus eas capiat praeterquam ipsi? Quo iure? Si haec faceret vulgaris aliquis, Iuste fur et raptor et peculator diceretur, vt qui communitati aufferret, quod suum non esset. Sed quia potentes id faciunt, fures esse non possunt. An verum est, quod emulatione Demodoci dicere possumus, principes et potentes fures quidem et raptores non esse, facere tamen ea, que fures et latrones faciunt? | Con quale autorità i principi e i potenti del secolo vanno a cacciare per loro piacere tutti gli animali e gli uccelli, al punto che nessuno può prenderli al di fuori di essi? Con quale diritto? Se lo facesse qualche popolano, sarebbe chiamato - e giustamente - ladro, predone e colpevole di peculato per aver sottratto alla comunità ciò che non apparteneva a lui. Ma poiché lo fanno i potenti, non possono essere ladri. O forse è vero che su esempio di Demodoco possiamo affermare che i principi e i potenti non sono propriamente ladri e predoni, ma compiono azioni che sono tipiche dei ladri e dei briganti? | |
56,195,24-196,2 | Vorlesung über den Römerbrief | Lutero riprende la definizione aristotelica di onore - tratta dall Etica Nicomachea e dalla Retorica - per commentare Rm 2,7: gloria e onore . L onore, inteso secondo la definizione aristotelica, si differenzia dalla gloria proprio per il fatto di essere rivolto alla persona provenendo dall esterno, mentre la gloria effluit et foris exit (WA 56,196,4s.). | 646 | 1515-1516 | Rhet. I,5,1361a,27-29; Eth. Nic. IV,3,1123b,35 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 196 | honor, reverentia, exhibere, signum, virtus, verbum, opus | 142 | Honor vero secundum Aristotelem est reverentia alicui exhibita in signum virtutis Vel Est Reuerentia verbo, opere, signo exhibita alicui propter virtutes eius. | Onore , invece, secondo Aristotele è il rispetto dimostrato a una persona a testimonianza della sua virtù, oppure è il rispetto dimostrato a una persona con la parola, con le opere e con segni espliciti a causa della sua virtù. | |
56,215,7-13 | Vorlesung über den Römerbrief | Lutero polemizza con Niccolò di Lyra, anche se non chiamato esplicitamente in causa ( alii , illis carnalibus ), il quale nel suo commento alla lettera ai Romani (ma non in riferimento a questo versetto, bensì a Rm 7,18), mette in campo questa citazione aristotelica tratta dagli Elenchi sofistici attraverso la mediazione di Egidio Romano. Secondo Lutero la mancanza di giustizia propria della condizione umana nel peccato non loda Dio neppure per accidens. Lutero è stato comunque colpito da questo passo aristotelico, che ha poi usato anche in seguito (cfr. WA 56,220,5s.). Questo passo mette dunque in rilievo che i numerosi commenti alle scritture di cui egli faceva uso nelle sue lezioni costituivano una delle fonti attraverso le quali Lutero veniva a contatto con Aristotele, anche se spesso si tratta di un Aristotele filtrato da autori medievali, come accade in questo caso con Egidio Romano. | 646 | 1515-1516 | Soph. el. 15,174b,5-7; Metaph. V,18; V,30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 215 | iniustitia, agnitio, confessio, per-accidens, commendare, oppositum, umbra, color, pictura, iustitia, carnalis, odisse, deus, gloria, hostis, necessarius, salutaris, elucescere | no | Igitur Non Iniustitia nostra, quam semper odit Deus ut glorie suae hostem, Sed agnitio et confessio iniustitiae nostrae glorificat et commendat, quia necessariam et salutarem probat. Alii autem sic, Quod per accidens commendat, sicut opposita iuxta se posita magis elucescunt , sicut umbra colores in pictura. Sed Apostolus omnino negat, Quod Dei Iustitiam nostra iniustitia commendat vllo modo, sed illis carnalibus ita videri ex verbis psalmi. | E pertanto non l ingiustizia che è in noi loda e magnifica Dio, anzi, Dio la odia sempre come nemica della sua gloria; ma il riconoscere e il confessare la nostra ingiustizia loda e magnifica Dio, perché egli approva questo atteggiamento come necessario e apportatore di salvezza. Secondo altri invece l ingiustizia loda Dio in senso lato così come gli opposti contrastano maggiormente quando vengono accostati , come l ombra fa con i colori in una pittura. Ma l Apostolo nega recisamente che la nostra ingiustizia magnifichi in alcun modo la giustizia di Dio, ma così è sembrato a quegli uomini carnali sulla base delle parole del salmo. | |
56,218,21-219,2 | Vorlesung über den Römerbrief | Lutero sta dicendo che se l uomo vuole credere in Dio, egli deve per ciò stesso ammettere la sua miseria, perché, come sta scritto in Mt 9,12, sono gli ammalati ad aver bisogno del medico e non i sani. Per dare maggior risalto a questa sua tesi, si spiega con due esempi filosofici: anche la forma in un composto - egli afferma - deve essere espulsa, quando ne viene introdotta un altra, e così è per l intelletto possibile, che dev essere una tabula rasa se deve recepire gli intelligibili. Le due citazioni aristoteliche sono piuttosto esteriori rispetto alla tesi che Lutero vuol dimostrare. Due anni dopo però, nella Disputa di Heidelberg, Lutero tornerà su questi temi commentando il passo aristotelico (De an. III,5,430a,25) Intellectus vero passivus extinguitur Ecco il commento: quia materia nunc habet, nunc caret, et sic extinguitur, dum eius aufertur forma et separatur et alia introducitur . (WA 59,419,4-6, in questo caso però la forma che viene introdotta non sono gli intelligibili ma è l intelletto agente). L edizione di Weimar (WA 56,218s.) cita una lunga serie di autori medievali che riprendono queste dottrine. Degno di nota, per la quasi letterale coincidenza dei termini, è soprattutto un passo del commento di Alberto Magno al De anima di Aristotele (Colonia 1510, foglio O III), commento che fu ampiamente usato dal maestro di Lutero, Bartholomäus Arnoldi da Usingen: Intellectus humanus in principio sui esse est in pura potentia ad intelligendum cum sit nudus tanquam tabula rasa . | 646 | 1515-1516 | Phys. I,7,190b,25-191a,2; De an. III,4,429b,30-430a,2 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 218 | philosophi, forma, privatio, expulsio, intellectus-possibilis, recipere, principium, esse, nudare, tabula-rasa | no | Et Vt philosophi dicunt: Non inducitur forma, nisi vbi est privatio forme precedentisque expulsio, Et: intellectus possibilis non recipit formam, nisi in principio sui esse sit nudatus ab omni forma et sicut tabula rasa. | E, come dicono i filosofi, non viene introdotta una forma se non avvengono la privazione e l espulsione della forma precedente. Dicono anche che l intelletto possibile non può accogliere la sua forma, se al principio del suo essere non viene spogliato di ogni forma ed è come una tabula rasa. | |
56,220,1-10 | Vorlesung über den Römerbrief | Questo principio tratto dagli Elenchi sofistici è particolarmente caro a Lutero che in queste lezioni ne fa uso anche in WA 56,215,7-13. Si noti il ricorrere di termini scolastici di origine aristotelica nell argomentare di Lutero: iustitia per accidens, relative, formalis. Il linguaggio filosofico scolastico fa parte integrante del lessico di Lutero, che non rinuncia ad usarne anche per elaborare concetti squisitamente teologici. | 646 | 1515-1516 | Soph. el. 15,174b,5-7; Metaph. V,18; V,30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 220 | iustificare, iustitia, relative, formalis, oppositum, elucescere, per-accidens, iniustus, ostendere, punire, manifestare, commendare, modicus, pulcher, foedus, internus, formalis, credere, verbum, impius | no | Summarie itaque Tribus modis Deus iustificatur: Primo, quando Iniustos punit; tunc enim ostendit se Iustum et Iustitia eius per Iniustitiam nostram punitam manifestatur et commendatur. Sed hoc est modicum commendare, quia et Impius Impium punit. Alio modo per accidens siue relatiue, sicut opposita iuxta se posita magis elucescunt quam seorsum posita. Ideo tanto est pulchrior Dei Iustitia, quanto nostra Iniustitia fedior. De istis non intelligitur Apostolus hoc loco, quia hec est Iustitia Dei interna et formalis. Tertio, Quando Impios Iustificat et gratiam infundit siue quando Iustus esse in suis verbis creditur. |
In sintesi pertanto Dio viene giustificato in tre modi. Primo, quando punisce gli ingiusti; così infatti egli si dimostra come giusto e la sua giustizia si manifesta e viene messa in risalto dalla punizione delle nostra ingiustizia. Ma si tratta pur sempre di un mettere in risalto poco significativo: anche l ingiusto punisce l ingiusto. In un altro modo Dio è giustificato in senso lato o relativo, come avviene quando elementi opposti vengono messi in evidenza maggiore quando sono accostati rispetto a quando sono isolati. Perciò tanto più risplende la giustizia di Dio, quanto più è turpe la nostra ingiustizia. Ma se si considerano questi due modi non si capisce più cosa intenda qui l Apostolo, perché questa è una giustizia di Dio interna o formale. In terzo luogo, Dio è giustificato quando è lui a giustificare e a infondere la grazia negli empi, quando cioè egli viene creduto come giusto nelle sue parole. |
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56,244,7-11 | Vorlesung über den Römerbrief | In questo versetto della lettera ai Romani (3,13) san Paolo cita Sal 139,4: veleno di serpenti è sotto le loro labbra . Un versetto che, secondo Lutero, va attribuito ai falsi maestri . La citazione dell Historia animalium di Aristotele viene qui riportata come tutte le volte in cui Lutero si trova a commentare questo versetto (cfr. WA 5,416,6; 9,794; 55 I 1,102,30). E una citazione strettamente funzionale all interpretazione luterana. Come infatti per il veleno dell aspide non c è rimedio, così gli insegnamenti di questi maestri provocano l irreversibile dannazione dell anima. | 646 | 1515-1516 | Hist. anim. VIII,29,607a,22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 244 | venenum, doctrina, occidere, irreparabilis, aspis, insanabilis, species, serpens, Aphrica, ictus, blandiloquus, vivificare, credere | 159 | Venenum enim sub labiis eorum. Est eadem blandiloqua et placens doctrina, que non solum non viuificat credentes illam, Sed etiam occidit. Ac sic occidit, vt sint irreparabiles. Quia venenum aspidum insanabile est. Aspis enim species est serpentis in Aphrica, Cuius ictus, Vt ait Aristoteles, est insanabilis. | C è veleno, infatti, sotto le loro labbra. Si tratta del medesimo insegnamento pieno di lusinghe e di attrattiva, che non solo non vivifica coloro che credono in esso, ma - anzi - dà la morte. E la dà in modo tale che essi non possono più tornare in vita, perché il veleno dell aspide non si può combattere in alcun modo. L aspide infatti è una specie di serpente che vive in Africa e il cui morso, come dice Aristotele, non si può combattere in alcun modo. | |
56,273,3-9 | Vorlesung über den Römerbrief | La giustizia apportata dalla grazia di Cristo elimina o no il peccato originale? Per Lutero la risposta è un no deciso: Dio imputa a noi la sua giustizia, ma la natura umana continua ad essere totalmente viziata (quanto alle sue facoltà spirituali) dalla colpa originale. Ma neppure per i teologi cattolici (e nonostante tutta l ambiguità del termine, neppure per gli scolastici , perlomeno di quelli con cui Lutero polemizza più di frequente come Tommaso, Bonaventura e Scoto, cfr. WA 56,273n) la grazia, che pure rimette ogni peccato, originale e attuale, elimina del tutto le conseguenze del peccato originale: rimane comunque la concupiscenza o fomite, che però non è peccato in senso proprio ma solo un inclinazione al peccato. Lutero quindi non afferma il vero quando contesta ai suoi avversari di eliminare il peccato originale. Ma soprattutto è importante qui osservare che nella strategia del discorso luterano il richiamo alla giustizia aristotelica serve proprio per descrivere la tesi cattolica come tipica di una teologia delle opere , in cui peccato e giustizia dipendono praticamente in tutto dallo sforzo umano. L identificazione della teologia cattolica con la filosofia aristotelica secondo Lutero è totale. A quali passi di Aristotele si riferisce qui Lutero? Non è improbabile che egli abbia in mente gli stessi passi dell Etica Nicomachea ricordati sopra a proposito di WA 56,172,5-11. In generale comunque è chiaro che egli intende contestare la dottrina secondo la quale si può acquistare la giustizia, così come tutte le altre virtù, solo attraverso una ripetizione di atti giusti o virtuosi e quindi basandosi esclusivamente sulle capacità naturali dell uomo. | 646 | 1515-1516 | Eth. Nic. III,5,1114a,7-12; II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 273 | peccatum, gratia, theologus, scholasticus, tenebrae, lux, patres, Augustinus, Ambrosius, iustitia, opus, positio, privatio, intelligere, loqui, originalis, actualis, ictus, oculus, scriptura | 137 | Que cum ita sint, Aut ego nunquam intellexi, aut non bene satis de peccato et gratia theologi scolastici sunt locuti, Qui Originale totum auferri somniant sicut et actuale, quasi sint quedam amouibilia in ictu oculi, sicut tenebre per lucem, Cum Antiqui sancti patres Augustinus, Ambrosius multum aliter sint locuti ad modum Scripture, illi autem ad modum Aristotelis in ethicorum, Qui peccata et iustitiam collocauit in opera et eorum positionem et priuationem similiter. | Stando così le cose, o io non ne ho capito mai nulla, o i teologi scolastici non si sono espressi abbastanza bene sul peccato e sulla grazia. Nei loro sogni il peccato originale viene eliminato del tutto, così come il peccato attuale, quasi che queste realtà si possano far sparire in un batter d occhio come le tenebre quando fa luce. Gli antichi santi padri, Agostino, Ambrogio, si sono espressi in modo ben diverso sul modello della Scrittura, questi invece hanno a modello l Aristotele dell Etica, che pone il peccato e la giustizia nelle opere e, similmente, nella loro presenza o assenza. | |
56,349,22-26 | Vorlesung über den Römerbrief | Lutero attribuisce all influsso della filosofia aristotelica la concezione tipicamente cattolica secondo cui i sacramenti del battesimo e della penitenza eliminano il peccato. Come si è visto in precedenza a proposito di WA 56,273,3-9, l influsso aristotelico è da identificare con quella che Lutero chiama la giustizia delle opere, per cui si può diventare giusti attraverso una iterazione di opere di giustizia. Così, a un opera esteriore, come per Lutero è il sacramento, viene attribuito il potere di cambiare la natura peccaminosa dell uomo. L influsso della filosofia aristotelica sulla concezione cattolica della grazia giustificante è un dato scontato per Lutero. Secondo lui Aristotele influenza gli scolastici non solo in senso terminologico o nell uso di singole argomentazioni, ma proprio per il contenuto. Egli sorvola invece sulle differenze tra le due concezioni e in particolare non accenna al ruolo che la grazia svolge nella concezione dei suoi avversari. | 646 | 1515-1516 | Metaph. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 349 | fallax, traditio, humanus, decipere, theologus, peccatum, baptisma, poenitentia, philosophia, absurdum | 69, 227 | Nunc autem non ego operor etc. [7,17]. Nonne ergo fallax Aristotelis metaphysica et philosophia secundum traditionem humanam decepit nostros theologos? Vt quia peccatum in baptismate Vel penitentia aboleri norunt, absurdum arbitrati sunt Apostolum dicere: Sed quod habitat in me peccatum. |
Quindi non sono più io a farlo ecc. [7,17]. Non è forse vero che la metafisica ingannatrice di Aristotele e la filosofia che proviene dalle tradizioni umane hanno traviato i nostri teologi? Essi hanno stabilito che il peccato nel battesimo e nella penitenza viene eliminato e perciò non possono che considerare assurdo ciò che afferma l Apostolo: ma poiché in me abita il peccato . |
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56,354,22-26 | Vorlesung über den Römerbrief | Lutero sta parlando degli Scholastici. Egli stesso però in precedenza (WA 56,354,14s.) si preoccupa di escludere dal novero degli stessi i recentiores, soprattutto i nominalisti di scuola occamista. La dottrina che preoccupa Lutero è quella dell inerenza delle virtù all anima come habitus, o qualità costanti. Una dottrina inconciliabile con quella luterana, secondo cui il peccato rimane essenzialmente nell anima anche dopo la giustificazione. Lutero infatti si rende perfettamente conto che in un anima in cui la virtù della giustizia sia presente allo stesso modo che la forma in un soggetto o la bianchezza su una parete, non c è posto per il peccato. E anche quando Lutero stesso parla di simul peccator et iustus (cfr. ad es. WA 56,260,24; 270,12s.; 442,17-22) non intende parlare di questo tipo di giustizia, ma della giustizia extra nos: La virtù come habitus (quindi, seguendo l etimologia, come avere ) non è invece compatibile con il peccato, che è privazione. Una simile virtù per Lutero è carne , non spirito e il citare Aristotele in questo contesto ha esattamente il significato di inscrivere questo tipo di virtù in un ambito puramente naturale, non cristiano, appunto carnale . | 646 | 1515-1516 | Eth. Nic. II,5,1106a,11s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 354 | futilis, noxius, phantasia, virtus, vitium, albedo, paries, scriptura, asser, forma, subiectum, occidens, metaphoricus, anima, spiritus, caro, differentia, intelligere | 339 | Quocirca futilis est et noxia eorum phantasia, dum ex Aristotele Virtutes et vitia velut albedinem in pariete, Scripturam in assere et formam in subiecto occidentissimis verbis et metaphoricis docuerunt in anima herere. Sic enim Spiritus et carnis differentia penitus cessauit intelligi. | Di conseguenza, è superficiale e pericolosa la loro fantasia, per cui sulla scorta di Aristotele hanno insegnato con parole più che oscure e piene di metafore che le virtù e i vizi sono presenti nell anima come la bianchezza in un muro, la scrittura in una tavoletta e la forma in un soggetto. E così si è cessato del tutto di vedere la differenza che sussiste tra spirito e carne. | |
56,355,13-18 | Vorlesung über den Römerbrief | Aristotele dice che la ragione spinge l uomo alle cose migliori? In questi anni - ma anche negli anni della sua tarda maturità (cfr. WA 42,107,27-38) - Lutero non risponde con un no totale a questa proposizione aristotelica, ma distingue il piano della fede da quello della ragione. La ragione tende alle cose migliori per quanto riguarda la realtà terrena, ma questo nei confronti di Dio non è affatto vero. Anzi, proprio perché la ragione cerca sempre ciò che è suo, non può che tendere, come dice Lutero con un ossimoro, male alle cose migliori. Queste affermazioni sono analoghe a quelle che Lutero farà tre anni dopo nella Disputa di Heidelberg: Imo omnes vires corporis et animae tales sunt, ut suum obiectum, id est bonam creaturam dei, perverse cupiant. Multo magis intellectus suum obiectum (id est verum) cupit perverse, scilicet in gloriam suam vel in odium alterius fastidit etc (WA 59,409,19-410,12). | 646 | 1515-1516 | Eth. Nic. I,13,1102b,15s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 355 | olere, philosophia, anhelitus, ratio, optimum, deprecari, lex-naturae, fabulari, se, suum, fides, charitas, quaerere, deus | no | Ita olet philosophia in anhelitu nostro, quasi ratio ad optima semper deprecetur, et de lege naturae multa fabulamur. Verum est sane, Quod lex naturae omnibus nota est et quod ratio ad optima deprecatur. Sed quae? Non secundum Deum, Sed secundum nos, i. e. male bona deprecatur. Quia se et sua in omnibus querit, Non autem Deum, Quod sola fides in charitate facit. |
Fino a questo punto la filosofia puzza nel nostro alito, quasi che la ragione aspirasse sempre alle cose migliori; e intanto raccontiamo un sacco di storie sulla legge naturale. E ben vero che tutti sanno cosa sia la legge di natura e che la ragione tende alle cose migliori. Ma a quali? Non a quelle conformi a Dio, ma a quelle conformi a noi stessi: essa tende cioè in modo cattivo alle cose buone; infatti la ragione in tutte le cose cerca sé e ciò che è suo e non cerca invece Dio. Solo la fede nella carità cerca Dio. |
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56,364,16-20 | Vorlesung über den Römerbrief | L errore fondamentale dell etica aristotelica, secondo Lutero, è quello di non spiegare che solo un uomo reso interiormente buono può compiere il bene. A suo avviso Aristotele punta invece tutto su un criterio meccanico ed esteriore di acquisizione delle virtù, mentre il Vangelo insegna (cfr. Mt. 12,33) che solo da un albero buono possono provenire frutti buoni. Paradossalmente però Lutero qui usa principi aristotelici per criticare Aristotele, ricordando tre concetti scolastici di chiara matrice aristotelica: che l atto secondo presuppone sempre un atto primo, che ogni operazione implica una sostanza e una capacità di agire, e che ogni effetto presuppone di necessità una causa. Lutero stesso però nella sua maturità riconoscerà che anche secondo la filosofia aristotelica l azione virtuosa presuppone una persona virtuosa, cfr. WA 42,609,3-4: Igitur Philosophi quoque concludunt, quod ante bona opera oportet personam esse bonam . | 646 | 1515-1516 | Eth. Nic. II,1,1103a,32-1103b,16; III,5,1114a,4-7; Metaph. IX,8,1049b,25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 364 | fructus, arbor, opus, actus, Christus, actus-primus, actus-secundus, operatio, substantia, virtus, effectus, causa, fieri | 139, 182 | Non ex fructibus arbor fit, sed ex arbore fructus. Non ex operibus et actibus virtus, Vt Aristoteles, Sed ex virtutibus fiunt actus, vt Christus docet. Quia actus secundus presupponit primum et operatio prerequirit substantiam et virtutem et effectus causam. | NON L ALBERO PROVIENE DAI FRUTTI, MA I FRUTTI DALL ALBERO. E dalle opere e dagli atti non derivano, come insegna Aristotele, le virtù, ma dalle virtù derivano gli atti, come insegna Cristo. L atto secondo infatti presuppone un atto primo, l operazione richiede una sostanza e un energia e così è per l effetto e la causa. | |
56,374,9-14 | Vorlesung über den Römerbrief | Spesso, quando Lutero dà una valutazione positiva di un passo di Aristotele, si scopre che il passo in questione è stato reinterpretato da Lutero in un contesto che è tutt altro da quello originale aristotelico. Il passo riportato sopra è un tipico esempio di questo procedimento. Lutero sta parlando dell identificazione che avviene in colui che spera nei confronti della cosa sperata. Al proposito, accanto ad Agostino (ma in realtà si tratta di Bernardo, De praecept. et dispensat. 20,60), a un detto popolare e a Virgilio (Bucoliche 3,66), viene citato il terzo libro del De anima. Secondo Aristotele, afferma Lutero, senso e sensibile, intelletto e intelligibile divengono una sola cosa nell atto del sentire e del conoscere. Ma in Aristotele si può dire la stessa cosa dell amore? No, o comunque non certamente nel contesto del terzo libro del De anima. Solo in senso analogico, metaforico, ha senso citare questo passo di Aristotele, tanto più se si pensa che Lutero qui sta commentando Rm 8,24 ( ciò che si spera, se visto, non è più speranza ) e che più sotto, in WA 56,374,19-20, Lutero stesso afferma che se l oggetto della speranza fosse presente non ci sarebbe più speranza, ma visione e godimento. La coppia aristotelica sensibile/intelligibile è di certo molto più assimilabile alla visione che alla speranza. Va rilevato poi che questo stesso passo aristotelico, interpretato in modo molto restrittivo, costituirà uno degli snodi principali delle tesi filosofiche della Disputa di Heidelberg: Ideo (sc. intellectus possibilis) est omnia intelligibilia, fit enim ex intellectu et intelligibili idem, ut supra de sensu quoque (sc. Aristoteles) dixit (WA 59,417,16-18). | 646 | 1515-1516 | De an. III,2,425b,25-27; III,4,429b,3s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 374 | sperare, spes, Augustinus, unum, anima, intellectus, intelligibile, sensus, sensibile, potentia, obiectum, amor, ardor, Amynta, transferre, amare | 109 | Ideo fit, vt ex re sperata et sperante per intensam spem velut vnum fiat, Secundum illud B. Augustini: Anima plus est, Vbi amat, quam vbi animat . Sic et vulgo dicitur: Hic meus ardor . Et poeta: Meus ignis Amynta . Et Aristoteles 3. de anima dicit, Quod ex intellectu et intelligibili, ex sensu et sensibili fit vnum et vniversaliter ex potentia et obiecto suo. Sic amor transfert amantem in amatum. | E così accade che, per l intensità della speranza, colui che spera e la realtà sperata divengano come un unica cosa, in conformità con quanto dice sant Agostino: L anima ha più essere quando ama, che quando anima il corpo . Anche il tra il popolo si dice: Ecco la mia fiamma . E il poeta: Aminta è il mio fuoco . Anche Aristotele dice nel terzo libro del De anima che dall intelletto e da ciò che esso coglie, dal senso e da ciò che esso percepisce deriva una sola realtà e che lo stesso vale in generale per le facoltà e il loro oggetto. Allo stesso modo l amore trasferisce l amante nell amato. | |
56,392,17-22 | Vorlesung über den Römerbrief | La definizione dell amore tratta dalla Retorica di Aristotele (e probabilmente, come segnala l edizione di Weimar, filtrata attraverso Gabriel Biel, Collectorium III, dist. 32, qu. un., art. 1, notab. 1) viene in primo luogo applicata all amore di sé e poi del tutto rigettata da Lutero. Volere il proprio bene significa, così Lutero interpreta Gv 12,25, perdere la propria anima. Chi invece desidera amare veramente se stesso deve perdere se stesso, odiarsi. | 646 | 1515-1516 | Eth. Nic. VIII,5,1157b, 31s.; VIII,7,1159a,9s.; Rhet. II,4,1380b,35-1381a,1 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 392 | intelligentia, caro, imaginatio, anima, diligere, bonum-velle, bonum, odisse, optare, ignorare, damnare, mundus, vita, aeternus | no | Qui itaque horrent hanc Intelligentiam, Carnis adhuc aguntur imaginationibus putantes, Quia diligere seipsum primo sit sibi bonum velle et optare, Sed ignorant, quid sit bonum huiusmodi, ideo neque quid sit diligere. Est enim diligere seipsum odisse, damnare, malum optare, secundum illud Christi: Qui odit animam suam in hoc mundo, in vitam aeternam custodit eam . | Coloro che invece aborriscono questa comprensione sono ancora mossi dalle fantasie della carne, loro che ritengono che amare se stessi significhi volere il bene e desiderarlo per se stessi. Essi ignorano cosa sia un bene di questo genere e perciò anche cosa significhi amare. Amare infatti significa odiare, condannare, desiderare il male per se stessi, secondo il detto di Cristo: Chi odia la sua anima in questo mondo la custodisce per la vita eterna . | |
56,395,4-7 | Vorlesung über den Römerbrief | Perversus è aggettivo che Lutero usa sempre con un significato ben preciso, in riferimento a cose che ottengono il risultato contrario a quello che si prefiggono o allo scopo per cui sono state concepite, come viene bene esemplificato nella seconda tesi filosofica della Disputa di Heidelberg (WA 59,410,1-12). Lo stesso vale per la definizione aristotelica della virtù, che è due volte perversa: da una parte nei confronti della persona, che dalla stessa virtù si illude di essere perfezionata proprio nel suo essere persona, d altra parte la perversione riguarda gli atti, perché Aristotele insegna erroneamente che quelli che procedono da virtù sono lodevoli. Lutero però, mentre denuncia questa duplice difformità allo scopo, offre anche una scappatoia all etica aristotelica. Egli fa l ipotesi che Aristotele abbia concepito la virtù sul piano esclusivamente umano e mondano dei rapporti sociali (coram hominibus) e di una coscienza di sé svincolata da qualsiasi riferimento a Dio (in oculis nostris). Questa soluzione, che Lutero presenta con coerenza lungo l arco di tutta la sua vita (cfr. ad es. WA 42,107,27-38) è però incompatibile con la visione religiosa dell esistenza: l atteggiamento contrario, come Lutero dice senza mezzi termini nel passo qui considerato, è più gradito a Dio. | 646 | 1515-1516 | Eth. Nic. I,7,1098a,17s.; I,12,1101b,14; Eth. Eud. VIII,3,1248b,20-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 395 | definitio, virtus, perficere, opus, laudabilis, commendare, perversus, homo, oculus, commendare, abominabilis | 140 | Peruersa itaque est definitio virtutis apud Aristotelem, Quod ipsa nos perficit et opus eius laudabile reddit, Nisi intelligat, Quod coram hominibus et in oculis nostris nos perficit et opera nostra commendat. Quod est coram Deo abominabile et contrarium magis placitum. | Pertanto la definizione aristotelica di virtù, secondo la quale la virtù ci perfeziona e rende degna di lode l azione che da essa procede, è perversa; a meno che Aristotele intenda dire che la virtù ci perfeziona ai nostri occhi e davanti agli uomini e rende onorabili le nostre opere. Dio però detesta un simile atteggiamento: gli è più gradito l opposto. | |
56,418,25-419,7 | Vorlesung über den Römerbrief | C è qualcosa di più antireligioso ancora rispetto alla giustizia così come viene intesa da Aristotele. Lutero afferma che nella pratica delle indulgenze, ad esempio, non si dà nemmeno quella frequente ripetizione di atti che caratterizza l acquisizione della virtù in Aristotele. Lutero non manca però di rilevare il carattere di esteriorità proprio di una simile dottrina. Come si può pensare di acquistare la giustizia con una ripetizione di atti e per di più del tutto esterni? Una simile giustizia non potrà che essere vuota e le sue partizioni, soprattutto quelle aristoteliche di giustizia particolare, a sua volta divisa in distributiva e correttiva, e generale, sono puri esercizi mentali. Da notare l aggettivo politica che determina l orizzonte di una simile giustizia e il sostantivo caecitas che ne qualifica la reale portata. L uomo non può presumere di non essere in debito con qualcuno, la sua condizione di peccatore lo rende universalmente colpevole e quindi universalmente debitore. | 646 | 1515-1516 | Eth. Nic. III,5,1114a,7-12; II,1,1103a,32-1103b,16; V,2,1130b,7-1131a,9 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 418 | iustitia, acquisitio, actus, frequenter, politicus, verba-Dei, dispertire, iustitia-distributiva, iustitia-commutativa, iustitia-generalis, caecitas, mens, sapientia, res-temporalis, debere, communicare, credere, opus, sapientia, studium, divitiae, honor, obolus, peccator, scire, legere, docere, dignitas, sublimis, fulgere, ministrare, exterior, agere, reprobus, cor, humanus, tractare, iustitia-dei, reus | 126,135 | Corde enim Creditur ad Iustitiam [10,10]. Quasi dicat: Nullis operibus, Nulla sapientia, Nullis studiis, Sed neque diuitiis aut honoribus peruenitur ad Iustitiam, Licet multi nunc oblatis duobus obolis peccatorum indulgentiam sibi promittant. Et multi ideo Iusti volunt sibi videri, Quod multa sciunt, legunt, docent, Aut quod sublimi dignitate fulgent et sacris ministrent. Verum Noua est hae acquisitio Iustitiae contra | Vel supra | Aristotelem, Quoniam ex actibus, puta maxime exterioribus frequenter actis, producatur Iustitia. Sed Iustitia politica, idest coram Deo reproba. Vera itaque Iustitia fit credendo ex toto corde verbis Dei, Vt supra 4.: Credidit Abraham Deo et reputatum est illi ad Iustitiam . Quod autem Iustitia Philosophi ita dispertitur in distributivam et commutativam, deinde et generalem, Venit ex caecitate mentis Seu ex humana sapientia in temporalibus tantum intenta secundum rationem tractandis, Scil. Vbi potest fieri, Vt aliquis nulli, alius paucis, alius multis debeat et communicet. Verum in Iustitia Dei Homo nulli non debet, Quia factus est omnium reus . |
Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia [10,10]. Come se dicesse: nessun opera, nessuna sapienza, nessuno sforzo, ma neanche nessuna ricchezza od onore valgono per arrivare alla giustizia, anche se oggi molti, per il fatto di fare due elemosine, pensano di aver ottenuto l indulgenza dai peccati. Molti poi vogliono apparire giusti a se stessi perché sanno, leggono, insegnano tante cose o perché risplendono per la carica elevata che ricoprono nel sacro ministero. Certo però che questo modo di acquistare la giustizia è proprio nuovo e va contro - anzi, va oltre - Aristotele per il quale la giustizia si produce dalla frequente ripetizione di atti, per quanto esteriori al massimo livello. Ma questa è una giustizia politica, vale a dire degna della condanna divina. La vera giustizia nasce dal credere con tutto il cuore nelle parole di Dio, come è stato detto in precedenza al quarto capitolo: Abramo credette a Dio e ciò gli fu imputato come giustizia . Che poi la giustizia per il Filosofo si divida in distributiva e commutativa e poi ancora in giustizia generale, dipende dall ottenebramento dell intelligenza ovvero della sapienza umana, tutta intenta nel considerare le realtà mondane a lume di ragione. Essa cioè vuole determinare il criterio in base al quale è giusto che uno non sia debitore né abbia beni in comune con nessuno, mentre un altro sia debitore ed abbia beni in comune con poche altre persone e un altro ancora con molte. Ma secondo la giustizia di Dio non c è nessuno con cui l uomo non sia in debito, perché egli è diventato colpevole di tutto . |
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56,441,23-442,17 | Vorlesung über den Römerbrief | Lutero sta commentando Rm 12,2: ma trasformatevi rinnovando la vostra mente . Egli cerca di descrivere il percorso che porta dalla prima grazia alla trasformazione definitiva nell uomo nuovo , senza però ricalcare il concetto scolastico di iustitia inhaerens, intesa cioè come una qualità dell anima umana. E paradossalmente Lutero combatte questo concetto, elaborato su basi aristoteliche, con un linguaggio e con concetti di origine aristotelica. I cinque gradus di cui parla all inizio non si trovano citati in questa sequenza in alcuna opera di Aristotele. Lo stesso Lutero li cita altrove ma non in questa sequenza, cfr. ad es. WA 59,420,4-17. E singolare che Lutero qui affermi che Aristotele bene philosophatur. non è dell Aristotele storico che Lutero sta parlando, ma della reinterpretazione in chiave teologica e spirituale di alcuni suoi concetti. Da notare che Lutero tre anni dopo riprenderà il tema del bene philosophari nella disputa di Heidelberg, in questo caso però il philosophari in Christo (WA 59,410,1-12) si risolverà in una confutazione generale della filosofia aristotelica (cfr. WA 59,426,17-19). Nel passo qui citato, poi, Lutero vuole significare il progresso della grazia nell uomo attraverso i concetti aristotelici. Quando però afferma che Semper homo Est in Non Esse, In Fieri, In esse sembra che egli intenda proprio che l uomo è, non è e diviene nel medesimo tempo e sotto il medesimo rispetto, venendo così a determinare una contraddizione. In effetti la coesistenza di grazia e peccato nello stesso uomo è un concetto tanto tipicamente luterano quanto problematico dal punto di vista filosofico. Non a caso in quest opera Lutero afferma che il modo di parlare di san Paolo è opposto al modo di parlare metafisico (cfr. WA 56,334,14-28) e ciò non fa che sottolineare la paradossalità nell uso che Lutero fa di Aristotele in questo contesto per esprimere concetti antitetici al pensiero di Aristotele stesso. Difficile infine capire se questo tipo di interpretazione spirituale è quello che Lutero avrebbe voluto sviluppare nel commento alla Fisica che si riprometteva di scrivere nel 1517 (cfr. WABr 1,88,19-23). | 646 | 1515-1516 | Phys. I,7-9; De gener. et corr. I,7,324b,16-18; Metaph. V,21,1022b,14-21 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 442 | naturalia, gradus, non-esse, fieri, esse, actio, passio, privatio, materia, forma, operatio, res, homo, peccatum, iustificatio, iustitia, opus, motus, potentia, philosophari, penitens, spiritus, nomen, agere, vivere, perficere, consummare, respective, pati, nativitas, novus, intelligere | 85, 58, 103, 255 | Nam Sicut In Naturalibus rebus quinque sunt gradus: Non esse, fieri, Esse, Actio, passio, i. e. priuatio, Materia, forma, operatio, passio, secundum Aristotelem, Ita et Spiritu: Non Esse Est res sine nomine et homo in peccatis; fieri Est Iustificatio; Esse est Iustitia; opus Est Iuste agere et viuere; pati est perfici et consummari. Et haec quinque semper velut in motu sunt in homine. Et quodlibet in homine est Inueniri - respectiue preter primum non esse et ultimum esse, Nam inter illa duo: Non esse et pati currunt illa tria semper, sc. fieri, esse, agere - per Natiuitatem nouam transit de peccato ad Iustitiam, Et sic de non esse per fieri ad esse. Quo facto operatur Iuste. Sed ab hocipso esse nouo, quod est verum non esse, ad aliud nouum esse proficiendo transit per passionem i. e. aliud fieri, in esse melius, Et ab illo iterum in aliud. Quare Verissime homo semper est in priuatione, semper in fieri seu potentia et materia et semper in actu. Sic enim de rebus philosophatur Aristoteles et Bene, Sed non ita ipsum intelligunt. Semper homo Est in Non Esse, In Fieri, In esse, Semper in priuatione, in potentia, in actu, Semper in peccato, in Iustificatione, In Iustitia, i. e. Semper peccator, semper penitens, semper Iustus. |
E infatti, come nelle realtà naturali ci sono cinque gradi: non essere, divenire, essere, azione, passione, e cioè, usando i termini di Aristotele, privazione, materia, forma, operazione e passione, lo stesso vale anche nello Spirito. Il non essere è la realtà senza nome e l uomo nel peccato, il divenire è la giustificazione, l essere è la giustizia; l operazione è il vivere e agire nella giustizia, mentre il patire è l essere perfezionati e portati a compimento. Così queste cinque cose sono sempre, per così dire, in movimento nell uomo. E nell uomo si può trovare uno qualsiasi di questi elementi (a parte rispettivamente il primo essere e l ultimo non essere: infatti tra questi due, il non essere e il patire, sono sempre in movimento gli altri tre, cioè il divenire, l essere e l agire; l uomo attraverso la nuova nascita passa dal peccato alla giustizia, e così dal non essere al divenire e all essere) e in forza di ciò l uomo agisce con giustizia. Ma da questo stesso essere nuovo, che in verità è un non essere, progredendo, egli passa attraverso la passione (ovvero attraverso il divenire altro) a un altro nuovo essere, in un essere migliore e da quello passa ancora in un altro. Perciò è verissimo che l uomo è sempre in privazione, sempre in divenire ovvero in potenza e materia e sempre in atto. E questo il modo con cui Aristotele filosofa sulla realtà, e filosofa bene, ma loro non lo interpretano così. L uomo è sempre in non essere, in divenire, in essere, sempre in privazione, in potenza, in atto, sempre nel peccato, nella giustificazione, nella giustizia, vale a dire: sempre peccatore, sempre penitente, sempre giusto. |
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57 I,133,8-11 | Vorlesung über den Römerbrief (Nachschriften) | Il passo in esame appartiene alle Nachschriften delle lezioni sulla lettera ai Romani, cioè agli appunti presi dagli studenti a lezione e coincide quasi alla lettera con la stesura di Lutero presentata in WA 56,172,9-11. | 646 | 1515-1516 | Eth. Nic. III,5,1114a,7-12; II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 133 | determinare, iustitia, actus, Deus, precedere, fieri | no | Sicut Aristoteles 3. Ethicorum manifeste determinat, secundum quem iusticia sequitur et fit ex actibus. Sed secundum Deum precedit et actus fiunt ex ipsa etc. |
Aristotele nel terzo libro dell Etica così definisce la questione: secondo lui la giustizia deriva e proviene dalle azioni. Secondo Dio essa viene prima, anzi, sono le opere a derivare da essa. | |
57 I,209,8-15 | Vorlesung über den Römerbrief (Nachschriften) | Questa Nachschrift si riferisce al passo degli Scholia WA 56,418,25-419,7 esaminato sopra, ma ne costituisce anche un significativo corollario. Da essa si evince una più rigorosa divisione dei tipi di giustizia da parte di Lutero (nel brano di riferimento non si accennava invece alla giustizia particolare). Lutero inoltre, subito dopo aver condannato queste divisioni come espressione di sapientia temporalium e ignorantia Dei (genitivo oggettivo), fa uso delle stesse divisioni reinterpretandole in chiave spirituale. Egli infatti afferma a sorpresa che anche nelle cose spirituali esiste una giustizia distributiva e commutativa, nel senso che, essendo debitore verso tutti, l uomo deve spogliarsi di se stesso. Negli Scholia lo stesso concetto veniva invece spiegato in base al principio giuridico (ecco quindi perché secundum regulam iuris ) secondo cui il debitore che rinuncia a tutti i suoi beni ha dato soddisfazione del debito. Neppure in questo caso comunque Lutero sfugge alla regola secondo cui la reinterpretazione in chiave spirituale di concetti aristotelici viene effettuata distorcendo il significato originario degli stessi concetti. Iustitia commutativa e distributiva sono termini usati con significato equivalente a humilitas, nel significato luterano di spogliazione di sé necessaria all acquisizione della grazia. | 646 | 1515-1516 | Eth. Nic. III,5,1114a,7-12; II,1,1103a,32-1103b,16; V,2,1130b,7-1131a,9 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 209 | Philosophus, iustitia-generalis, iustitia-particularis, iustitia-distributiva, iustitia-commutativa, sapientia, ignorantia, res-temporalis, debere, reus, distributio, commutatio, bonum, regula-iuris, deus, corpus, anima, verbum, Christus | no | Unde quod iusticia philosophi partitur in generalem et particularem et hec in distributivam et commutativam, venit ex sapiencia temporalium et ignorantia Dei. Illic enim potest aliquis nulli, aliquis paucis debere, hic autem homo factus est omnium reus . Ideo sine distribucione et commutacione non iustificatur, nisi cedat omnibus bonis secundum regulam iuris, hoc est: omnibus creaturis, eciam se ipso, in corpore et in anima secundum verbum Christi abneget semet ipsum etc. | E perciò che la giustizia del Filosofo sia divisa in generale e particolare e questa a sua volta in distributiva e commutativa, dipende dalla sapienza nelle cose temporali e dall ignoranza nei riguardi di Dio. In forza della prima infatti uno può essere debitore nei confronti di nessuno e un altro nei confronti di poche persone, in forza della seconda l uomo è divenuto colpevole di tutto . Perciò egli non viene giustificato senza applicare la giustizia distributiva e la giustizia commutativa, se cioè non rinunci a tutti i beni secondo la regola della legge, vale a dire: nei confronti di tutte le creature, se stesso compreso, in corpo e anima, secondo la parola di Cristo: rinneghi se stesso eccetera. | |
57 II,88,8-10 | Luther erste Vorlesung über den Galaterbrief | Lutero vuole chiarire una possibile ambiguità interpretativa di Gal 4,4 factum sub lege ( nato sotto la legge ). Factum secondo Lutero non va inteso come participio passato del verbo facere, nel senso che Cristo sia stato creato e per di più creato sotto la legge, ma come participio del verbo fieri, nel senso appunto di nascere, cominciare ad essere. Per chiarire il concetto egli si avvale di due espressioni. La prima, in esse ponere, viene da lui qualificata come propria della logica, la seconda, in actu, come più tipicamente aristotelica. Anche esempi apparentemente marginali come questo mostrano la volontà e la capacità - più volte dichiarate dallo stesso Lutero (cfr. ad es. WA 1,611,25-612,4; 6,458,14-25; 8,77,8-19; 30 II,635,15-28) anche se non sistematicamente applicate - di distinguere tra il genuino pensiero di Aristotele e le sue interpretazioni medievali. | 230 | 1516-1517 | Metaph. V,7,1017a,35-1017b,7; IX,6,1048a,25-1048b,36 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 88 | locutio, factum, veritas, aequitas, operatum, esse, logici, in-actu, in-esse-ponere | 89 | Que loquutio frequens est in Scripturis, ut psal. 110.: facta in veritate et equitate - facta , non operata , sed in esse posita , ut logici dicunt, seu ut Aristoteles solet, in actu . | Questo modo di esprimersi è frequente nelle Scritture, come ad esempio nel salmo 110: azioni che si compiono nella verità e nell equità . Dice che si compiono ; non già realizzate , ma, come dicono i logici, poste in essere o come è solito dire Aristotele, in atto . | |
59,37,44-38,2 | Eigenhändige Randbemerkungen zu Gabriel Biels Collectorium und Canonis Misse Expositio | Cosa vuol dire Lutero, commentando Biel (Collect. Sent. III, d. 13,q. un.) quando afferma che nel terzo libro della Fisica Aristotele presenta un infinito che è tantum in potentia quantum in actu ? Un espressione peraltro contraddetta subito dopo, quando Lutero afferma che l infinito è solo in potenza. Ulteriori difficoltà sopravvengono con la terza proposizione, secondo cui potenza e atto nell infinito sono la medesima cosa. Anche il raffronto con la settima tesi filosofica della Disputa di Heidelberg, il testo luterano, peraltro posteriore solo di un anno, che più si diffonde sulla concezione aristotelica dell infinito, non è di grande aiuto. In entrambi i testi però Lutero presenta la figura di un Aristotele che da una parte nega l esistenza di un infinito in atto, dall altra implicitamente la ammette. | no | 1516-1517 | Phys. III,3-8; e in particolare III,5,204a,21s.; III,6,206a,9-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 37 | infinitum, potentia, actus | no | Immo Aristoteles Id non vult 3. Physicorum, Sed infinitum tantum in potentia, quantum in actu. Et infinitum nullum est in actu, Sed solum in potentia. Ergo potentia et actus in infinito sunt idem. Et actus infiniti est ipsa potentia infiniti, quod non est in aliis. | Anzi, Aristotele non intende una cosa del genere nel terzo libro della Fisica, ma un infinito che è tanto in potenza quanto in atto. E non esiste alcun infinito in atto, ma solo in potenza. Perciò potenza e atto nell infinito sono la medesima cosa. L atto dell infinito, perciò, è la stessa potenza dell infinito, e questo è l unico caso in cui ciò avviene. | |
59,49,38s. | Eigenhändige Randbemerkungen zu Gabriel Biels Collectorium und Canonis Misse Expositio | Lutero sta commentando Collect., Sent. III d.22 q.un. art.3 dub.1I, e in particolare il seguente passo: Sciendum, quod duplex est definitio secundum Philosophum II. Posteriorum: Una est oratio exprimens quid rei, alia est oratio exprimens quid nominis (...) Ad propositum dicitur, quod sacramentum non potest definiri primo modo, hoc est definitione quid rei, quia sacramentum non est res una, sed aggregatum ex pluribus. Sicut dicit Augustinus: Accedat verbum ad elementum et fit sacramentum . Sed tantum definitur definitione quid nominis . Il fatto però che per il sacramento valga la definizione quid nominis, dipende dall interpretazione che Biel dà delle parole di sant Agostino. Secondo questa interpretazione il sacramento non è una realtà unitaria ma un aggregato. La notazione ironica di Lutero nei confronti di Aristotele, anziché di Biel o di Agostino, è dunque solo in minima parte giustificata e costituisce un ulteriore testimonianza del suo atteggiamento contrario all uso di Aristotele in un contesto teologico, anche quando, come avviene in questo caso, l apporto sia solo terminologico e non riguardi direttamente il contenuto. | no | 1516-1517 | An. post. II,7,92a,34-92b,11 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 49 | sacramentum, quid-rei, auctor | no | Et sic sacramentum non est quid rei Autore Aristotele. | E così un sacramento non sarebbe una realtà determinata (lo dice Aristotele!). | |
59,381,29-32 | Eine weitere Nachschrift (Glossen) von der ersten Vorlesung über den Galaterbrief | Lutero stabilisce un opposizione netta tra Cristo e Aristotele. Secondo il suo pensiero chi si affida a Cristo non può presumere di avere alcuna virtù, ma lascia che sia Cristo ad operare, mentre chi confida in Aristotele è padrone - o perlomeno si considera tale - di una serie di virtù che dipendono esclusivamente dai suoi sforzi umani. Per questo ancora una volta si conferma che, nella visione di Lutero, Aristotele è direttamente contrario a Cristo e che il punto di maggior distacco tra le due figure è nella concezione antropologica che ciascuno dei due agli occhi di Lutero implica. Va infine notata la scelta dei termini: se in un caso si tratta di infundere e imprimere Cristo nel cor dei fedeli, dove la preminenza della volontà sulla ragione è evidente, nel caso di Aristotele si verifica un inculcare ingeniis: il verbo indica un azione violenta, che va contro la natura umana, il sostantivo che si tratta di un operazione intellettualistica, in cui la ragione ha la meglio sulla volontà. | no | 1516-1517 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 381 | cor, Christus, mens, inculcare, virtus, superbus, ingenium, dolor, cogitare, infundere, imprimere | no | O dignum ecce dolorem, qui solum id cogitat infundere et imprimere cordibus hominum, ut Christum fixum gerant in mente. Non sic, qui hodie Aristotelem inculcant fidelibus ingeniis facientes eos de virtutibus suis superbos. | Ecco un dolore veramente meritevole, che si preoccupa solo di infondere e imprimere l amore di Cristo nei cuori degli uomini, così che essi lo conservino in modo duraturo nella memoria. Non agiscono così coloro che al giorno d oggi inculcano Aristotele nelle menti dei fedeli rendendole superbe per effetto delle virtù insegnate da lui. | ||
59,409,1-18 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | C'è una profonda differenza di tono tra le prime due tesi filosofiche della Disputa di Heidelberg e le altre dieci. La stessa denominazione "filosofiche" appare inadeguata. Lutero rinuncia alle conclusioni logiche e si appella piuttosto all'autorità della Scrittura, all'affermazione di principi teologici e al paragone esplicativo tra la filosofia e la libidine. L'enunciato della prima tesi è scopertamente, con la pregnanza delle formule philosophari in Aristotele e stultificari in Christo e con la sua contrapposizione interna, un richiamo all'eloquenza di san Paolo. Ed è con una frase di san Paolo, probabilmente citata a memoria,(Lutero indica come riferimento 1Cor.1, mentre si tratta di 1Cor.3,18) che la prova inizia. La citazione però è alterata rispetto all'originale nel senso di una conferma del testo della tesi. San Paolo non dice "chi vuol essere sapiente... ", ma "chi si crede sapiente, ...si faccia stolto". Non si tratta di una modifica secondaria. Lutero sottolinea le condizioni dell'uso della filosofia per un cristiano. Riecheggia la tesi anche l'affermazione, basata su 1 Cor. 8,1, secondo cui la scienza mondana non può che gonfiare se chi la pratica non è in stato di grazia. Un tema che rimanda direttamente alla theologia crucis è l'alternativa che viene stabilita tra il Cristo nascosto in Dio e quod apparet intus et foris. La sapienza non apparente è in Cristo, non si pensi di potersi gloriare di qualcosa al di fuori di essa. | no | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 409 | philosophari, philosophia, stultificari, periculum, sapiens, stultus, scientia, apparire, intus, foris, gloriari, inflare, salus, gratia, animus, electus, bonum, malum, fiducia, vita, gloria, virtus, sapientia, Christus, deus, absconditus, intus, foris, homo, praesumere, placere, gloriari | 355 | Ex philosophia Conclusio prima Qui sine periculo volet in Aristotele philosophari, necesse est, ut ante bene stultificetur in Christo. Huius ratio est: Prima illud 1 Coryn. 1: Si quis inter vos vult sapiens esse in hoc saeculo, stultus fiat, ut sit sapiens . Secunda, quod secundum apostolum scientia inflat , ideo nisi sciatur, quod omnis scientia est de numero rerum, quae non prosunt ad salutem nisi hiis, qui sunt in gratia, omnino inflatur animus scientis. Sicut enim electis omnia cooperantur in bonum , ita illis omnia in malum. Tertia, quod hominis tota fiducia, vita, gloria, virtus, sapientia non est nisi Christus. Christus autem est in deo absconditus, quare omne, quod apparet intus et foris, non est id, de quo sit homini praesumendum. Unde stultificari hoc loco id dico, scilicet scire omnia praeter Christum scire sit nihil scire. Ideoque talem scientiam habendam, ac si non habeatur, non in ea placere neque prae ceteris se aliquid esse putare. Hiere.9: Non glorietur sapiens in sapientia sua, sed glorietur nosse me . |
Tesi di contenuto filosofico Prima tesi Chi vorrà filosofare in Aristotele senza pericolo, dev'essere prima reso ben folle in Cristo. La ragione di ciò è la seguente: La prima argomentazione a favore è il passo di 1 Cor.1 Se qualcuno tra di voi vuole essere sapiente in questo mondo, si faccia stolto, per essere sapiente . La seconda: come dice l'Apostolo la scienza gonfia , perciò, se non ci si rende conto che ogni scienza è nel novero delle cose che non giovano alla salvezza se non a coloro che sono già in stato di grazia, lo spirito di chi sa si gonfierà del tutto. Infatti come per gli eletti tutto coopera al bene , così per quelli tutto coopera al male. Terzo argomento: l'intera fiducia, la vita, la gloria, la virtù, la sapienza dell'uomo non è altri che Cristo. Ma Cristo è nascosto in Dio, per cui tutto ciò che appare internamente o all esterno non è cosa di cui l'uomo debba presumere. E perciò essere reso folle in questo passo lo interpreto così, che cioè sapere tutto senza sapere Cristo equivale a non sapere nulla. Questa è la scienza che è veramente necessario possedere, e se uno non la possiede, non pensi di compiacersi nella sua scienza mondana né di valere qualcosa rispetto agli altri. Dice il nono capitolo del libro di Geremia: Non si vanti il sapiente della sua sapienza ma si vanti di conoscere me . |
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59,409,19-410,12 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | In questa seconda tesi Aristotele non è citato direttamente, a parte un generico accenno alla verità come oggetto dell intelletto. Il passo però rappresenta un tentativo di spiegazione all affermazione contenuta nella prima tesi, secondo cui chi vuole filosofare in Aristotele deve prima essere reso stolto in Cristo. La seconda tesi con la relativa prova è tutta imperniata sul paragone tra philosophia e libido. Lutero però non spiega in cosa consista il philosophari bene che secondo l enunciato della tesi è proprio del cristiano. In quella che dovrebbe essere l argomentazione principale, introdotta dall iniziale quia, Lutero risponde per viam negationis. Con le parole perversus amor sciendi definisce ciò che la filosofia non è, o perlomeno quello che essa è nel suo uso sbagliato, estraneo a Cristo. La definizione è giustificata con un altra proposizione negativa (filosofia e passione dei sensi in se stesse non sono un male); questa infine è seguita dalla frase che dovrebbe spiegare l'enunciato della tesi: cupido utriusque non potest esse recta nisi christianis . In questo passo, in cui è chiamata in gioco una possibile definizione in positivo del philosophari bene, Lutero incorre però in una petizione di principio. Pur non contrapponendoli direttamente, egli distingue il filosofare buono dal filosofare perverso, attribuendo il primo esclusivamente al cristiano. Quando poi però deve spiegare perché la filosofia possa essere buona , risponde che solo ai cristiani una tale filosofia è possibile. Il prosieguo della prova insiste sull inevitabile perversità delle forze umane e in particolare dell intelligenza. La distinzione finale tra uti e frui è l unico sviluppo positivo che la prova offre del philosophari bene accennato nella tesi, ma la sua posizione rimane marginale rispetto al centro dell argomentazione. | no | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 410 | philosophia, libido, perversus, amor, scire, coniugatus, cupiditas, voluptas, obiectum, verum, concupiscentia, uti, philosophari-bene, stultus, christianus, scire, malus, rectus, vis, corpus, anima, creatura, intellectus, gloria, odium, Johannes, reprobare, oculus, caro, vita, superbia, Christus, matrimonium, fornicari, frui, homo | no | Secunda Sicut libidinis malo non utitur bene nisi coniugatus, ita nemo philosophatur bene nisi stultus, id est christianus. Ratio est: Quia sicut libido est perversa cupiditas voluptatis, ita philosophia est perversus amor sciendi, nisi assit gratia Christi; non quod philosophia sit mala nec voluptas, sed quod cupido utriusque non potest esse recta nisi christianis. Imo omnes vires corporis et animae tales sunt, ut suum obiectum, id est bonam creaturam dei, perverse cupiant. Multo magis intellectus suum obiectum (id est verum) cupit perverse, scilicet in gloriam suam vel in odium alterius fastidit etc. Ideo Johannes non reprobabit oculum carnem, vitam, sed concupiscentiam carnis, oculorum et superbiam vitae. Ideo philosophari extra Christum idem est, quod extra matrimonium fornicari, nusquam enim utitur, sed fruitur homo creatura. |
Seconda Così come non fa un buon uso di quel male che è la passione dei sensi se non chi è coniugato, allo stesso modo nessuno filosofa bene se non è folle, cioè cristiano. La ragione è la seguente: Come la passione sensuale è un perverso desiderio del piacere, così la filosofia è una perversa brama di sapere, se non è presente la grazia di Cristo; non che la filosofia o il piacere siano in sé cattivi, ma perché il desiderio dell'una o dell'altro non può essere giusto se non per i cristiani. Anzi: tutte le forze del corpo e dell'anima non possono desiderare che in modo perverso quel loro proprio oggetto, che pure è una buona creatura di Dio. In modo ancor più perverso l intelletto brama il suo oggetto (che è la verità), cioè in vista della propria gloria oppure lo rifiuta con fastidio in odio di qualcun altro, ecc. Per questa ragione Giovanni disapprovò non l occhio, la carne, la vita, ma la concupiscenza della carne e degli occhi e la superbia della vita. Perciò filosofare fuori di Cristo è lo stesso che fornicare fuori del matrimonio: e di fatto l'uomo non usa mai della creatura, ma ne vuole godere. |
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59,410,13-20 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Fin dall'enunciato della tesi Lutero presenta le due questioni di cui si tratta: l'eternità del mondo e l'immortalità dell'anima. Lutero stesso però aggiunge nel testo della prova di non avere ancora dato ragione di due affermazioni presupposte per vere nella tesi, e cioè che l'immortalità dell'anima sia negata da Aristotele e che l'eternità del mondo, al contrario, sia da lui sostenuta: a questo scopo alla succinta spiegazione qui riportata Lutero acclude due amplissime trattazioni. Per quanto riguarda questo brano, invece, tutto fa pensare che Lutero abbia ricuperato, e con una certa imprecisione, dei contenuti già imparati mesi o anni prima. Anzitutto, quello che Lutero presenta è un argomento accorciato. In secondo luogo, l'ordine degli argomenti nella tesi è inverso rispetto a quello che nella prova gli argomenti stessi presentano. Mentre nella tesi l'eternità del mondo è presentata come una conseguenza della negazione dell'immortalità dell'anima, tre righe più sotto, nella prova, si parla di una immortalitas animae che "multum resistit opinioni de aeternitate mundi", divenendo così la seconda causa della negazione della prima. Occorre infine osservare che se all'asserzione che il mondo è eterno consegue necessariamente, che l'anima sia mortale, non è per questo vero l'inverso, perché il negare l'immortalità dell'anima è compatibile sia con l'affermazione dell'eternità del mondo sia con la sua negazione. A questa non reversibilità del rapporto causa-effetto tra le due dottrine il monaco agostiniano non ha prestato attenzione. L'argomento dell'infinità delle anime, noto anche agli studenti appena immatricolati nella Facoltà delle arti, gli consente di aprirsi la strada verso la tematica, molto più delicata e controversa, dell'inconciliabilità di Aristotele con la visione cristiana della vita. | no | 1518 | De caelo II,1,283b,26-30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 410 | mundus, aeternus, opinari, anima, humanus, mortalis, opinio, sententia, infinitus, immortalitas, resistere, ponere, abhorrere, ostendere | 79 | Tertia conclusio Facile fuit Aristoteli mundum aeternum opinari, quando anima humana mortalis est eius sententia. Ratio huius est: Prima, quia immortalitas animae multum resistit opinioni de aeternitate mundi, cum sic infinitas animas ponere sit necesse, quod nimis abhorret. Quod autem Aristotelis sententia mundus sit aeternus et anima etiam mortalis, restat ostendere. Et primus prius. |
Terza tesi E' stato facile per Aristotele credere all'eternità del mondo, visto che, stando a quanto afferma, l'anima dell'uomo è mortale. La ragione di ciò è la seguente: Primo. L'immortalità dell'anima contrasta nettamente con l'opinione secondo cui il mondo è eterno, perché in questo caso bisogna supporre un numero infinito di anime, il che è troppo inaccettabile. Resta ancora da dimostrare che Aristotele veramente affermi che il mondo è eterno e, perfino, che l'anima è mortale. E, per primo, il primo dei due. |
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59,410,21-411,14 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | La pagina che per prima è al centro dell'esame critico è tratta dal De caelo et mundo. Si tratta in questo caso non esattamente di un unico brano, ma di un riferimento generico alla fine del primo libro dell'opera e all'inizio del secondo, con una duplice citazione tratta ancora dall'inizio del secondo libro a proposito del mito di Atlante. Le due citazioni che chiudono la parte dedicata all'eternità del mondo sono tratte l'una dall'ottavo libro della Fisica e l'altra dal dodicesimo della Metafisica. Di per sé queste due citazioni non sarebbero fuori tema. Esse presuppongono che il divenire che contraddistingue il mondo non abbia né un principio né una fine e da questo eterno movimento deducono il relativo motore, ma rispetto all'intenzione di Lutero (dimostrare cioè che Aristotele ha sostenuto l'eternità del mondo) hanno una validità solo indiretta. D'altra parte anche il brano del De caelo riportato per esteso all'inizio non è certo la più autorevole delle testimonianze aristoteliche sul tema. Appare quindi non infondata l'ipotesi che i due passi del De caelo accennati quasi di sfuggita all'inizio, abbiano costituito il 26 aprile 1518 di fronte al capitolo degli agostiniani l'argomento principale di Lutero su questo tema. Come anche la struttura della frase iniziale, aperta da "Patet clare ex...", e in sé conclusa, confermerebbe. La frase successiva, inizia con "Et ridet ibidem...", quasi portando ulteriori prove ad integrazione di un argomento di per sé consistente e dato per presupposto. |
no | 1518 | De caelo I,12,283b,12-22; II,1,283b,26-30; II,1,284a,19-23; II,1,284b,2-5; Phys. VIII,6,259a,15-19; VIII,10,267b,24-25; Metaph. XII,7,1072a,23-26 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 410 | mundus, Athlas, aeternitas, problema-neutrum, assertive, immortalitas, motus, continuum, causa-efficiens, infinitus, ridere, caelum, sustentare, concinnis, vaticinatio, deus, sententia, perpetuus, sempiternus, motor, necessarius, unus, movens, mobilis, tempus | no | Mundus est aeternus. Patet clare ex primo De caelo et mundo in fine et capitulo 1 libri 2. Et ridet ibidem fabulam illam Athlantis caelum sustentantis. Licet enim aliis locis exemplificet de aeternitate mundi ut probleumate neutro, tamen in hiis locis assertive loquitur, unde dicit: Non solum concinnius est ita de aeternitate ipsius existimare, sed etiam hoc modo duntaxat consentaneas ei vaticinationi, quam de diis habemus, sententias possumus certo proferre (id est, si aeternum esse mundum asserimus, tunc etiam deos immortales asserere possumus et non aliter). Idem libro 8 Physicorum ex moto perpetuo et sempiterno concludit motorem perpetuum, quando dicit: Demonstratum est enim semper motum necessario esse, quodsi necesse est semper esse, necesse est et continuum esse. Semper enim esse continuum est, at si continuus est, unus nimirum est. Unus autem motus a movente proficiscitur uno et unius mobilis est . Idem cum per omnes libros Metaphysicae quaesisset causam efficientem, tandem 12 Metaphysicae capitulo 3 concludit, quod sit ens perpetuum infinito tempore movens. |
Il mondo è eterno. Il che emerge con chiarezza dalla conclusione del primo libro del De caelo et mundo e dal primo capitolo del secondo libro. E giusto in quel passo egli deride anche il mito di Atlante che sostiene il cielo. Sebbene infatti in altri passi presenti l'eternità del mondo come esempio di problema irrisolto, in questi invece si esprime affermativamente e perciò dice: "Non solo è più coerente pensare che le cose, per quanto riguarda l'eternità del mondo, stiano così, ma anzi in questo modo possiamo fare con certezza affermazioni perlomeno corrispondenti a quei responsi che noi abbiamo intorno agli dei" (il che significa che solo se asseriamo che il mondo è eterno abbiamo la possibilità di asserire anche che gli dei sono immortali, e non altrimenti). Allo stesso modo nell'ottavo libro della Fisica dalla continuità ed eternità del movimento egli conclude l'esistenza di un motore eterno, quando dice: "E' provato infatti che c'è sempre necessariamente un movimento; e se è necessario che esso esista sempre, è necessario anche che esso sia continuo. Esistere sempre, infatti, è essere continuo. Ora se il movimento è continuo non può che essere uno. Ma movimento unico è quello che deriva da un unico motore ed è proprio di un unico mosso." Allo stesso modo Aristotele, dopo aver ricercato per tutti i libri della Metafisica la causa efficiente, nel terzo capitolo del dodicesimo libro conclude finalmente che esiste un ente dotato di movimento eterno in un tempo infinito. |
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59,411,15-412,9 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | La prima argomentazione secundum principia prende in esame la definizione aristotelica di anima. Actus primus perfectioque corporis naturalis potentia vitam habentis è la traduzione di Argiropolo. Lutero usa invece una definizione stranamente accorciata, quando dice che Aristotele la definisce actum corporis potentis vivere . Forse Lutero cita a memoria una definizione precedentemente imparata. Vale la pena sottolineare la stranezza di questo riferirsi del monaco agostiniano alla memoria, quando gli era possibile attingere da una traduzione umanistica come quella di Argiropolo: si ha l impressione che la traduzione dell umanista greco funga da copertura di contenuti e formulazioni già precedentemente assimilati. La definizione aristotelica, argomenta Lutero, viene estesa indistintamente a tutti gli animali, e poiché non viene data una definizione specifica per l'anima umana, si deve dedurre che anch essa, come le altre, sia mortale. Effettivamente in nessun punto della sua opera Aristotele usa due diverse definizioni per l'anima umana e quella degli altri animali. Ciononostante, lo Stagirita non pensava certamente che una tale differenza non sussistesse (cfr. De anima I,5,410b,24-25; II,2,413b,32-414a,1 e II,3,414b,28-415a,8, dove indica come segno di distinzione di pochissimi tra gli enti dotati di sensibilità il ragionamento e il pensiero). Il secondo argomento chiama in causa direttamente il primo libro della Fisica. Secondo il filosofo greco ogni composto è corruttibile, ma l anima e il corpo, come forma e materia, formano un composto; per questo nella definizione di anima si parla di una materia e di una forma dell uomo. |
no | 1518 | De an. II,1,412a,19-21; 27s.; II,1,412a,4-412b,6; Phys. I,5,188b,7-10; I,9,192a,21-22; De an. II,2,414a,11-28; De caelo I,12,283b,7-9 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 411 | anima, philosophari, principium, recitatum, definitio, actus, potentia, vita, corpus, animal, mortalis, corrumpere, continuum, materia, forma, compositum, corruptibilis, homo | no | Anima est mortalis. Duobus modis de anima iuxta Aristotelem licet philosophari: Primo secundum eius principia, secundo secundum eius recitata. Primo secundum eius principia, quod anima sit mortalis. Primo patet ex definitione animae libro 3 De anima, ubi animam vocat actum corporis potentis vivere et hanc communem aliis animalibus facit. Ergo sicut aliae sic et ipsa est mortalis, alioqui propriam ei debuisset dare definitionem. Secundo, quod secundum Aristotelem 1 Physicorum compositum corrumpitur, at anima et corpus sicut materia et forma faciunt corruptibile continuum vel compositum; unde et definitio animae exprimit materiam et formam hominis, ut patet. |
L'anima è mortale. In due modi si può filosofare su quanto Aristotele sostiene intorno all'anima: primo, secondo i suoi principi; secondo, prendendo in esame passi della sua opera. Primo: secondo i principi di Aristotele l'anima è mortale. Il che appare in primo luogo evidente dalla definizione di anima nel terzo libro del De anima, nel quale egli chiama anima l'atto di un corpo che ha la vita in potenza e attribuisce una siffatta anima anche agli altri animali. Di conseguenza anche l'anima umana, come le altre, è mortale, altrimenti egli ne avrebbe dovuto dare una definizione specifica. Secondo. Aristotele sostiene nel primo libro della Fisica che il composto è soggetto a corruzione. Ma anima e corpo, così come materia e forma, costituiscono un nesso corruttibile, un composto. Per questo anche nella definizione dell'anima è sottintesa, come è evidente, l'esistenza di una materia e di una forma dell'uomo. |
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59,412,10-413,2 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | La terza e la quarta argomentazione si basano su due richiami alla tradizione interpretativa di Aristotele. Nella terza argomentazione, Lutero riprende quasi alla lettera il seguente testo di Valla: Plutarchus inquit Aristotelem et Dicaearchum immortalem quidem esse animam non sentire: sed tamen diuinitatis cuiusdam participem (Dialecticae disputationes, 1,9 - Opera, Basel 1540, p.661). Ma c è una serie di significative modifiche nel testo della prova nei confronti dell affermazione di Valla. Pur rispettando la forma sintattica dell umanista (una proposizione principale seguita da una coordinata avversativa) la gerarchia delle due frasi viene invertita, ponendo così l accento sul fatto che Aristotele nega l'immortalità dell anima. Diuinitatis cuiusdam participem di Valla diviene più genericamente divinum quiddam , non sentire è reso da Lutero con il molto più marcato asseruit . Il monaco agostiniano esaspera la negazione aristotelica dell immortalità dell anima a cui l umanista si era limitato a far cenno. L argomentazione si conclude con un riferimento alla Fisica in cui la forma è definita come bonum, divinum, appetibile , ma nel senso, spiega Lutero, che essa tanto possiede di divinità quanto è l essere che le compete. Così anche l anima si può definire un qualcosa di divino, ma non è certo immortale, né essa stessa un dio. La quarta argomentazione attribuisce ad Alessandro di Afrodisia la convinzione che l anima non sia immortale, sottolineando il fatto che egli rivendichi la conformità della sua filosofia con gli insegnamenti di Aristotele. Lutero conclude che si deve pensare che talem discipulum perfecte nosse praeceptoris sui sententiam . Anche in questo caso la denominazione secundum principia è inadeguata al contenuto dell argomentazione, che si rifà piuttosto ad un auctoritas universalmente riconosciuta come tale. | no | 1518 | Phys. I,9,192a,16-17 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 412 | Plutarchus, Alexander, divinum, particeps, immortalitas, forma, actus, appetibilis, entitas, deus, Laurentius, recitare, asserere, bonum, divinum, appetibile, mortalis, divinitas, perpetuitas, Aphrodisaeus, magister, sententia, discipulus, praeceptor | no | Tertio omnes philosophi ut Plutarchus (teste Laurentio) recitant, quod Aristoteles divinum quidem quiddam asserit esse animam et particeps immortalitatis. Sed mortalem tamen asseruit. Sicut 1 Physicorum omnem formam atque actum vocat bonum, divinum, appetibile etc. Quia sicut esse est quoddam divinum, ita tantum habet divinitatis, quantum habet entitatis. Sic et anima, ut est actus, est particeps divinitatis et perpetuitatis, sed non perpetuum nec immortale nec deus. Quarto insignis discipulus eius Alexander Aphrodisaeus (ut notum) asserit animam mortalem iuxta sui magistri sententiam. At credendum est discipulum talem perfecte nosse praeceptoris sui sententiam. |
Terzo. Tutti i filosofi, come per esempio Plutarco (secondo la testimonianza di Lorenzo Valla), riferiscono che Aristotele afferma che nell'anima c'è certamente qualcosa di divino e partecipe dell'immortalità. Ma in realtà egli sostenne che l'anima è mortale. Proprio come nel primo libro della Fisica, dove chiama ogni forma e ogni atto "buono, divino, desiderabile" ecc. E questo perché come da una parte l'essere è qualcosa di divino, così dall'altra possiede tanta divinità quanta è l'entità che esso ha. Così anche l'anima, in quanto atto, è partecipe della divinità e dell'eternità, ma non è una cosa perpetua né immortale né un dio. Quarto. Il suo insigne discepolo Alessandro di Afrodisia asserisce di seguire l'insegnamento del maestro quando sostiene (come noto) che l'anima è mortale. Ora, si può ben credere che un discepolo di tale valore conoscesse a perfezione l'insegnamento del suo maestro. |
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59,413,4-14 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Nel quinto argomento Lutero inizia con un'affermazione che più avanti riprenderà ancora: "iuxta Aristoteles una res est materia, forma, compositum". Il prosieguo ricalca per sommi capi quanto era già stato detto nella seconda argomentazione: dal momento che l'uomo è un composto corruttibile, segue necessariamente che l'anima, in quanto forma del composto-uomo, sia a sua volta corruttibile. La differenza rispetto alla seconda argomentazione non sta nel contenuto principale (corruttibilità dell'anima in quanto parte di un composto) quanto nel contesto diverso. Mentre prima Lutero sottolineava il problema della definizione dell'anima, qui, oltre a essere più dettagliato nelle conclusioni, vuol mettere in rilievo che per Aristotele materia, forma e composto sono la stessa cosa. E' ancora la Metafisica ad essere chiamata in causa all'inizio della sesta argomentazione. In quest'opera Aristotele "tot solum concludit immortales mentes quot sunt corpora mobilia perpetua". I corpi celesti, proprio perché incorruttibili, non sono passibili di mutamento, con la sola eccezione del movimento locale. Ma secondo i principi aristotelici, argomenta Lutero, ogni movimento implica l'esistenza di un motore e non si dà l'esistenza di un motore senza un corpo ad esso relativo. Fino a questo punto Lutero non fa che riassumere correttamente alcuni punti della cosmologia e della fisica aristoteliche. Stupisce invece il riferimento finale all'anima come actus quando tutto lo svolgimento dell'argomentazione si svolge piuttosto attorno al concetto di motor. Lutero stesso, mostra di conoscere bene la distinzione tra actus e motor. Nella discussione secundum recitata infatti (WA 59,419,13-14) egli prende in esame per terzo un passo del terzo capitolo della Metafisica, commentando: "(Aristoteles) cum dixisset causas moventes esse priores materia, formales autem simul, (...)". A maggior ragione stupisce qui la confusione terminologica. |
no | 1518 | Metaph. XII,8,1073a,34-1073b,3; 1074a,14-31; XI,9,1066a,26-34 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 413 | materia, forma, compositum, homo, corruptibilis, sequi, anima, corpus, mobilis, perpetuus, immortales-mentes, principium, motor, pars, loqui, numerare, motus, cessare, esse, asserere, actus | no | Quinto, quia iuxta Aristotelem una res est materia, forma, compositum. Cum autem homo sit compositum corruptibile, necessario sequitur ex suis principiis animam ut partem corruptibilis compositi corruptibilem esse. Esse autem eandem rem formam, materiam et compositum infra latius patebit. Sexto, quod 12 Metaphysicae tot solum concludit immortales mentes quot sunt corpora mobilia perpetua. Et ibi nihil de anima loquitur nec eam inter eas numerat. Nunc autem cum principia Aristotelis sint talia, ut ex motu corporum concludat motorem esse 8 Physicorum, 12 Metaphysicae, et motorem non esse, cuique corpus non est, sequitur animamque cessare esse, quando corpus eius cessat esse mobile, quia non habet, quomodo asserat animam esse, cui nullus sit actus. |
Quinto. Secondo Aristotele materia, forma, composto sono una sola cosa. E poiché l'uomo é un composto corruttibile, dai principi stessi posti da Aristotele segue necessariamente che l'anima, in quanto parte di un composto corruttibile, sia a sua volta corruttibile. E che materia, forma e composto siano una stessa cosa, lo si dimostrerà più ampiamente in seguito. Sesto. Nel dodicesimo libro della Metafisica si conclude che ci sono solamente altrettante intelligenze immortali quanti i corpi in movimento eterno. E in quel passo non si parla per nulla dell'anima né l'anima viene numerata tra le intelligenze. Ora però dal momento che secondo i principi di Aristotele la conclusione a cui si perviene (nell'ottavo libro della Fisica e nel dodicesimo della Metafisica) a partire dal moto dei corpi è l'esistenza di un motore, e non c'è motore senza relativo corpo, ne segue che l'anima termina di esistere quando il corpo relativo termina di essere in movimento, e questo perché egli non ha alcuna possibilità di attribuire l'essere a un'anima che non è atto di niente. |
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59,413,15-414,5 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | La settima e l'ottava argomentazione sono strettamente legate dalla tematica dell'ignoranza di Aristotele, come anche la struttura del periodo lascia intendere. La critica che Lutero muove al filosofo è di essere intellettualmente disonesto. Le due argomentazioni segnano i due aspetti di tale disonestà: nella settima si mette in rilievo l'ignoranza di Aristotele, nell'ottava si biasima il suo voler nascondere l'incapacità di comprendere adeguatamente il problema. Nella settima argomentazione Lutero non si limita a sottolineare l'ignoranza di Aristotele, ma la mette in diretta contrapposizione con la verbosità e prepotenza che il filosofo greco dimostra quando tratta argomenti che conosce. Si tratta di un argomento meno legato a procedimenti dimostrativi rispetto ai precedenti. Ancora una volta nell'ottava argomentazione Lutero riprende da un nuovo punto di vista contenuti già toccati in precedenza. Il problema di cui si tratta è lo stesso del primo argomento, e cioè l'indistinzione, riscontrabile nell'opera aristotelica, tra l'anima umana e l'anima degli altri animali. Secondo Lutero infatti, mentre tutti i pensatori precedenti avevano parlato esplicitamente della diversità dell'anima umana rispetto alle altre, il solo Aristotele sceglie di rifugiarsi in una trattazione generica con il segreto intento di occultare la sua ignoranza dell'anima umana, visto che nel caso degli altri esseri viventi, la cui anima non è certo immortale, non era esposto all'errore. Il paragone con il primo argomento mostra come la critica luterana si inasprisca: il monaco agostiniano non accusa Aristotele solo di aver dato una definizione vaga, ma di aver intenzionalmente evitato il riferimento all'anima umana. | no | 1518 | De an. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 413 | immortalis, nescire, verbosus, audax, prolixus, anima, reprehendere, reprobare, animal, ignorantia, asserere, mutus, disputatio, verbum, loqui, philosophi, humanus, tractare, angustia, in-genere, scribere, errare, mortalis | no | Septimo evidens argumentum est vel nescisse saltem Aristotelem, an sit immortalis, ex eo, quod, cum sit tam verbosus et audax et prolixus in iis, quae novit, omnia reprehendendo et omnes reprobando, sua asserendo, in hac re sola velut mutus nullam uspiam instituit disputationem propriam nec de ea alicubi ultra decem loquitur verba, cum non satis possit de aliis rebus loqui, quas novit. Octavo argumentum est eum nescisse saltem ex eo, quia tamen omnes philosophi de anima humana tantummodo tractarent, solus ipse, ut angustiam evaderet, videtur ideo de anima in genere voluisse scribere, ut sic suam occultaret ignorantiam de anima humana, qua non posset errare in animalibus aliis mortalibus. |
Settimo. La dimostrazione evidente che Aristotele addirittura - quanto meno - non abbia saputo se l'anima è immortale si ricava dal fatto che egli, così verboso, insistente e prolisso negli argomenti che conosce, criticando tutto e prendendosela con tutti quando sostiene le sue opinioni, solo su questo punto, come se fosse muto, non istituisce nessuna particolare trattazione né in alcun passo spreca più di dieci parole, mentre sugli altri argomenti che conosce non può parlare mai abbastanza. Ottavo. Una prova della sua - come minimo - ignoranza si deduce dal fatto che mentre tutti i filosofi trattarono solamente dell'anima umana, lui solo invece, per evitare l'imbarazzo, ha voluto, come appare, trattare dell'anima in generale, proprio per nascondere la sua ignoranza sull'anima umana, dal momento che non poteva errare nel caso degli altri esseri dotati solo di un'anima mortale. |
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59,414,6-19 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Il primo passo aristotelico commentato nella sezione secundum recitata è tratto da De anima II,2. Tre le obiezioni di Lutero al riguardo. La prima rileva la dubbiosità con cui Aristotele si esprime, certificata da "non est manifestum" e dal fatto che qui il filosofo non afferma niente con certezza. La seconda obiezione è mossa a partire dall'espressione "perinde ac perpetuum". Si tratta in questo caso, come il monaco agostiniano nota, di un'espressione analoga a quella di Lorenzo Valla riportata in precedenza (WA 59,412,10-16), in cui ogni forma o atto era definita come qualcosa di buono, divino o immortale. L'intelletto, allo stesso modo, ha un che di immortalità ma non è veramente immortale. Infine, il fatto che esso, a differenza delle altre parti dell'anima, sia considerato separabile viene spiegato da Lutero con una separatio operationis, non con una presunta separabilità naturale, essenziale dell'intelletto, inteso come indipendente dall'anima vegetativa e sensitiva. Ai primi due argomenti si era già ricorso nella sezione secundum principia. Al proposito vale la pena solo di notare che il primo dei due presenta come dubbiose due affermazioni di Aristotele ("nondum esse manifestum" e "valeri aliud genus") delle quali in realtà solo una esprime un'incertezza. Il secondo argomento, basato sul significato di "perinde ac perpetuum", dipende, come si è ricordato, da una discutibile traduzione di Argiropolo. Un peso senza dubbio più rilevante spetta al terzo ed ultimo argomento. Cosa intende Lutero per separatio operationis? Probabilmente Lutero allude all'indipendenza operativa dell'intelletto, relativa cioè non alla sua natura ma all'atto del pensare. Forse Lutero ha già lo sguardo rivolto alla sua interpretazione aristotelica del seguente De anima III,5, e si limita ora ad anticipare quanto poi spiegherà più estesamente. | no | 1518 | De an. II,2,413b,24-27 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 414 | anima, intellectus, potentia-contemplativa, manifestus, separare, authoritas, immortalitas, perpetuus, operatio, genus, diversus, seiungere, adducere, dubie, valere, asserere, probare, divinus, particeps, separabilis, substantialis, materia | no | Secundo iuxta recitata anima videtur immortalis Primo libri 2 capitulo 2 De anima: De intellectu vero contemplativaque potentia nondum quidquam est manifestum, sed videtur hoc animae genus diversum esse idque solum perinde ac perpetuum ex eo, quod accidit, seiungi separarique potest . Haec est illa unica authoritas, quae adducitur ex Aristotele de animae immortalitate. Sed primum vide, ut dubie loquitur! Dicit non esse manifestum, deinde valeri aliud genus, nihil hic asserit omnino. Ideo nihil hinc probari potest. Secundo, etiam si quid probat, id solum probat, quod intellectus sit sicut perpetuum, non autem est perpetuum, sed perinde ac perpetuum . Hoc est, quod supra diximus, est quoddam divinum et particeps immortalitatis, simile quidem, sed non vere immortale. Tertio, quod sit separabilis, ceterae autem partes non sint separabiles. Manifeste de separatione operationis non substantiali loquitur, scilicet quod sit sine materia etc. |
Secondo: prendendo in esame passi della sua opera, sembra che l'anima sia immortale. Primo. Secondo capitolo del secondo libro del De anima: Per quanto riguarda invece l'intelletto e la potenza contemplativa, non c'è ancora niente di chiaro, però sembra che questo genere di anima sia diverso e che esso solo, come se fosse eterno, possa essere diviso e separato dal corruttibile. Questo è quel famoso passo di straordinaria autorità che si suole addurre dai testi di Aristotele a proposito dell'immortalità dell'anima. Ma, tanto per cominciare, vedi con quale esitazione si esprime! Dice che non c'è niente di chiaro, poi dice che ha valore un genere di anima diverso, niente afferma qui con certezza. Da questo passo non si può certo ricavare una dimostrazione. In seconda istanza, anche se dimostra qualcosa, solo questo dimostra: che l'intelletto è come un qualcosa di eterno, non cioè semplicemente eterno, ma così come se fosse eterno . E la stessa cosa che abbiamo detto più sopra: l anima ha un qualcosa di divino e partecipe dell immortalità, qualcosa di simile sì, ma non veramente immortale. Per terzo il fatto che l'intelletto è separabile e invece le rimanenti parti dell'anima non lo sono. E chiaro che qui si parla della separazione dell'operazione, e non della separazione sostanziale, nel senso che l'intelletto sia senza materia, ecc. |
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59,414,20-27 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Prima di addentrarsi nella glossa di De anima III,5 Lutero in alcune righe introduce il tema da trattare anticipando anche il suo giudizio su questo passo aristotelico. Egli presenta subito la frase centrale del brano in questione come una delle testimonianze principali che vengono tratte da Aristotele da chi sostiene che il filosofo greco ha creduto nell'immortalità dell'anima. Costoro sono in errore: qui non si parla dell'intelletto in quanto tale (substantialiter), ma della distinzione tra intelletto agente e intelletto possibile. Di tale distinzione Aristotele aveva trattato già in precedenza (De anima III,4,429a,10-430a,9) con la stessa ciarlataneria intellettuale con cui nel terzo libro della Fisica sproloquia di movimento, considerando atto ciò che è invece potenza, anzi privazione. Ecco l'imbroglio: il filosofo parla dell'intelletto non ontologicamente (ut rem) ma in rapporto ai suoi contenuti (in ordine ad intelligibilia). E' in ordine agli intelligibili che egli può parlare di intelletto passivo e attivo. In queste righe è già contenuto in nuce tutto lo sviluppo successivo. Non sfugga il passo "faciens eum actum, qui est potentia, imo privatio". In queste righe è contenuto qualcosa di più che non un (errato) commento alla Fisica. In esse probabilmente si cela la chiave di lettura di tutto il lungo commento al testo di De anima III,5 che segue queste righe, oltre che il legame che unisce la terza tesi al resto dell'opera. Qui Lutero accusa Aristotele di giocare con concetti insensati e sostanzialmente tutti interscambiabili, perché vacui di reale significato. | no | 1518 | De an. III,5,430a,22-23; III,4,429a,10-430a,9; Phys. III,2,201b,27-35 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 414 | intellectus, separatus, immortalis, perpetuus, authoritas, passivus, agens, motus, actus, potentia, privatio, garrire, intelligibile, substantialiter, adducere, intellectus-passivus, intellectus-agens, res, textus | no | Secundo libro 3 De anima: Separatus (sc. intellectus) vero id solum est, quod est, atque id solum est immortale atque perpetuum . Et haec quoque authoritas una de principalibus adducitur. Sed certum est, quod non loquitur de intellectu substantialiter, sed ut est passivus et agens, ut supra in textu, quo modo de motu quoque garrit libro 3 faciens eum actum, qui est potentia, imo privatio. Ita hic facit intellectum, non ut rem, sed in ordine ad intellegibilia. Ad haec enim se habet ut activus et passivus, passivus et agens. Breviter textum transeamus. | Secondo. Terzo libro del De anima: Ma (intelletto) separato solamente è ciò che realmente è ed esso solo è immortale ed eterno. E questa a sua volta viene riportata come una prova tra le principali. Ma è certo che egli non parla di intelletto secondo la sostanza, ma in quanto passivo o agente, come dice appena prima nel testo in questione; nello stesso modo in cui, d'altra parte, va cianciando nel terzo libro della Fisica a proposito del movimento, considerando un atto quello che è potenza, anzi, privazione. Ugualmente qui considera l'intelletto non in quanto tale, ma in ordine agli intelligibili. In rapporto a questi infatti si presenta come in atto e in potenza, possibile e agente. Ma scorriamo brevemente il testo. | |
59,415,1-14 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Il titolo della glossa di Lutero a De anima III,5 suona "Textus ex 3 De anima tractatus 4 capitulo 3". L'edizione di Weimar annota (WA 59,415, nota 49) che una tale partizione dell'opera aristotelica è strana: non corrisponde alla divisione di Argiropolo che Lutero qui usa. Si noti la stranezza di questo adoperare una traduzione umanistica senza adottarne la partizione dei capitoli. Si comincia subito con il testo aristotelico: Lutero anzitutto annota che secondo Aristotele non esiste una sola materia, ma in ogni singola cosa si può ritrovare una materia diversa. Con il che egli curiosamente dà un'interpretazione corretta basandosi sulla traduzione ambigua ( in omni natura ) di un passo altrimenti non molto eloquente al proposito. Corretta è l'analogia istituita tra la materia e l'intelletto possibile. Molto più problematica e ricca di sviluppi si presenta invece la glossa scilicet formalis , che Lutero introduce nel testo subito dopo causa , quasi come una precisazione di qualcosa di ovvio. Ma seguendo il corso dell analogia, si arriva a concludere che anche l intelletto agente rappresenta la causa formale, la forma dell intelletto possibile. E' da sottolineare come anche in questo caso la genericità della versione latina di Argiropolo renda possibile la scelta interpretativa luterana. Viene così esaltato l'aspetto della causalità formale e passato sotto silenzio quello di causalità efficiente. Al passo aristotelico "omnia nimirum efficiendo atque agendo", viene aggiunto che "omnia" non viene riferito indiscriminatamente a tutte le cose, ma solo a tutti i possibili composti dell'intelletto, cioè agli intelligibili. Il rilievo è giusto, anche se per Aristotele il problema non consiste nel numero di cose che l'intelletto può efficere, ma di una certa modalità dell'efficere stesso, non certo identificabile con la produzione materiale né tanto meno con il creare ex nihilo. "Vide mera nova figmenta!" è l'affermazione scandalizzata di fronte all'affermazione secondo cui nell'anima sono presenti materia e forma. Lo scandalo di Lutero ha due possibili motivazioni: la contraddizione che verrebbe a crearsi con la definizione aristotelica di anima (l'anima stessa sarebbe un atto-forma composto a sua volta di materia e forma), o l'implicita accettazione della sua corruttibilità. | no | 1518 | De an. III,5,430a,10-14 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 415 | natura, genus, potentia, materia, ars, efficiens, condicio, anima, forma, merus, novus, figmentum, patere, res, intellectus, causa-formalis, compositum, agere, ratio, differentia, inesse | no | Textus ex 3 De anima tractatus 4 capitulo 3: Cum autem in omni natura sint quaedam, quorum alterum unicuique generi materies est, quod id esse patet, quod est potentia illa cuncta, ex hoc loco patet, quod non sit una materia in omnibus rebus, sed in omni re est invenire materiam, id est id, quod sit in potentia esse talis res. Quasi dicat: Sic et in intellectu fit, ut sit quoddam, quod potentia sit intellectus seu potens esse intellectus; alterum vero causa est (scilicet formalis) et efficiens omnia nimirum efficiendo atque agendo omnia, scilicet quae sui sunt compositi; nam nullum est, quod omnia omnium agat; talem subiens rationem, qualem ars condicionem ad materiam subit, id est, quod est efficiens, sicut ars est efficiens; necesse est et in anima differentias has easdem inesse. id est materiam et formam in anima reperiri. Vide mera nova figmenta! |
Testo tratto dal terzo capitolo del quarto trattato del terzo libro del De anima E poiché in ogni natura da una parte c'è qualcosa che è materia e che è proprio di ciascun genere di cose, ed è ciò che appare chiaramente essere in potenza tutte quelle cose, da questo passo emerge palesemente che non c'è un'unica materia in tutte le cose, ma in ogni cosa si può trovare una diversa materia, vale a dire l'essere in potenza una tale cosa; come se dicesse: "Così anche nell'intelletto accade che ci sia qualcosa che è in potenza intelletto o intelletto in potenza all'essere"; e d'altra parte esiste qualcos'altro che è causa si intende causa formale; e che fa ogni cosa naturalmente con l'operare e l'agire, "ogni cosa", cioè che è suo composto; infatti non c'è nulla che operi tutto di tutte le cose; sottoponendosi a una certa misura, paragonabile alle condizioni alle quali l'arte si sottomette nel plasmare una materia, questo significa che è efficiente nello stesso modo in cui è efficiente l'arte; è necessario che anche nell'anima ci siano tali differenze. cioè che nell'anima si trovino materia e forma. Ma guarda che razza di novità inventa! |
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59,415,15-20 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Lutero preferisce precisare subito che l'intelletto non diventa se non le cose che sono iscritte nell'ambito della sua potenzialità, vale a dire gli intelligibili. L'intelletto possibile è dunque la materia di tutti gli intelligibili. Oltre all'intelletto possibile esiste anche un'altro tipo di intelletto che anziché diventare tutte le cose fa tutte le cose. Coerentemente con la sua interpretazione Lutero spiega che come l'intelletto possibile è materia (solo) degli intelligibili, così questo "fare tutte le cose" dell'intelletto agente significa che l'intelletto agente stesso è la forma degli intelligibili, cioè forma dell'intelletto possibile. La glossa è una vera violenza al testo aristotelico, e tanto più per il fatto che un significativo taglio viene operato sulla traduzione di Argiropolo. Al posto di "(intellectus qui) omnia agat atque efficiat" dell'umanista, Lutero scrive semplicemente "omnia agat". Ancora una volta viene sottovalutato l'aspetto di causalità efficiente a vantaggio della causalità formale. Emerge qui un punto che sarà di importanza decisiva per l'interpretazione proposta dal monaco agostiniano, e cioè l'identificazione degli intelligibili in potenza con l'intelletto possibile stesso. Lutero vi accenna quasi di sfuggita commentando un periodo di Aristotele relativo all'intelletto agente. Aristotele, secondo il punto di vista luterano, afferma che l'intelletto agente è la forma degli intelligibili in potenza, e quindi (id est) forma dell'intelletto possibile. Ciò che è in questione in questo punto è la correttezza logica dell'id est che sancisce il passaggio dagli intelligibili all'intelletto. Per Lutero comunque è l'intelletto agente ad essere la forma degli intelligibili, cioè (l'id est di cui si è appena parlato) dell'intelletto possibile. | no | 1518 | De an. III,5,430a,14-17 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 415 | intellectus, omnia, materia, intelligibile, potentia, fieri, agere, possibilis, forma, naturaliter, intellectus-possibilis, actus | no | Atque quidam est intellectus talis, ut omnia fiat, id est materia omnium intellegibilium. Non enim fit omnia nisi ea, ad quae potentia fieri potest; quidam talis, ut omnia agat, id est forma omnium sic potentia naturaliter intellegibilium, id est forma possibilis intellectus, quo fit, ut intellectus possibilis sit actu, quod potuit fieri potentia; | E c'è un intelletto che diviene tutto e questa è la materia di tutti gli intelligibili. L'intelletto infatti non diviene tutte le cose se non quelle che può diventare in virtù della sua potenzialità; e un intelletto che opera tutto, vale a dire: è la forma di tutte le cose che sono naturalmente intelligibili in potenza, cioè la forma dell'intelletto possibile, per cui si dà che l'intelletto possibile sia in atto ciò che ha potuto secondo la sua potenzialità divenire; | |
59,415,20-416,14 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Il commento a questo passo assolve al compito di confermare la natura dell intelletto agente come forma dell intelletto possibile, allontanando l idea che Aristotele pensi veramente che l'intelletto agente è come la luce. Parum atque lumen , afferma Lutero, significa che l'intelletto agente è paragonabile alla luce, non che è una luce come molti si immaginano. Quando poi Aristotele parla dell intelletto come un habitus, secondo il monaco agostiniano ciò si deve al fatto che, come Aristotele stesso dice, ogni forma è un abito. Lutero ribadisce così che l'intelletto agente è forma, dopodiché si permette una breve divagazione: habitus è quello che la potenzialità insita nella materia acquisisce ed ottiene; una volta che gli abiti si realizzano nella materia, l attività cessa. La privazione consiste nella mancanza di un habitus e quindi, per tornare all esempio della luce, privazione è la notte, perché è la forma che dà l essere alla cosa. Anche questo veloce approfondimento è funzionale all affermazione dell intelletto agente come forma: Lutero infatti conclude che l intelletto agente è la forma dell intelletto possibile, così come la forma del bronzo in una statua. Un altra divagazione di Lutero prende spunto dal passo in cui Aristotele asserisce che la luce porta all atto i colori che prima esistono solo in potenza. Per prima cosa il monaco agostiniano sottolinea che il filosofo in questo passo si esprime dubbiosamente. In secondo luogo, egli riprende alcune dottrine aristoteliche: la definizione di colore come limite del visibile in un corpo definito, l identificazione del limite del corpo con il colore in potenza, l affermazione che visibile significa ciò che viene a contatto con questo limite, diventando una sola cosa con esso. Lutero conclude che solo attraverso la luce il colore passa all atto. L affermazione finale secondo cui la forma è in atto e pienamente essere solo nella singola cosa, più che rappresentare l ultimo termine del ragionamento, viene semplicemente giustapposta per riaffermare la tesi che a Lutero sta a cuore. | no | 1518 | De an. III,5,430a,14-17; De gener. et corr. I,7,324b,16-18; Metaph. V,22,1022b,22-1023a,7; De an. II,7,418b,18-20; Metaph. VII,3,1029a,4-5; De sensu III,439b,11-12 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 415 | habitus, lumen, intellectus-agens, perpetuus, forma, potentia, materia, operatio, privatio, carentia, habere, nox, dare, esse, res, figura, quodammodo, actus, color, extremitas, perspicuus, corpus, terminatus, aes, intellectus-possibilis, definitio, videre | no | qui quidem ut habitus est quidam et parum atque lumen. id est sicut lumen, non autem est lumen, ut multi de intellectu agente somniant. Simili modo est sicut supra perinde atque perpetuum , sed non est perpetuum. Omnis forma est habitus, id est id, quod potentia materiaque adquisivit et obtinuit, ut dicitur, habitibus existentibus in materia cessat operatio. Sicut privatio aequaliter est carentia habitus, qui ab habendo dicitur. Similiter est lumen, sicut privatio est nox, quia forma dat esse rei et ostendit eam esse in rebus. Sic intellectus agens est forma possibilis intellectus sicut figura aeris etc.; Nam et lumen colores, qui sunt potentia, actu colores quodammodo facit. iterum quodammodo dicit. Verum est, color per lumen in actum venit. Unde est illa sua definitio: color est extremitas perspicui in corpore terminato. Quia terminus corporis est potentia color, sed perspicuum tangens hunc terminum et unum cum eo fiens; tunc est actu color , quia tunc potest primum videri et non ante. Sic omnis forma actu in re et esse plenum; | che è come un certo abito e paragonabile alla luce. è come una luce, ma non è una luce, come invece molti nei loro sogni credono che l'intelletto agente sia. C'è un'affinità con quanto si è detto più sopra essere "così come qualcosa di eterno", ma non eterno però. Ogni forma è un abito, è quello che la potenzialità insita nella materia ha acquisito ed ottenuto, come si dice: una volta che gli abiti si realizzano nella materia, l'attività cessa. Così, ugualmente, la privazione è la mancanza di un abito, il quale dal verbo "habere" trae il nome. Una cosa analoga si verifica con la luce: privazione in questo caso è la notte, perché la forma dà l'essere alla cosa e mostra la propria esistenza nelle cose. Così l'intelletto agente è la forma dell'intelletto possibile, come la forma del bronzo in una statua ecc. Infatti anche la luce in qualche modo rende i colori che esistono in potenza, colori in atto. e di nuovo dice "in qualche modo". E' vero, il colore passa in atto attraverso la luce. Da qui viene la sua nota definizione: colore è il limite del diafano in un corpo definito. E questo perché "limite del corpo" è il colore in potenza, ma "diafano" è ciò che viene a contatto con questo limite e diventa una sola cosa con esso; allora si ha il "colore in atto", perché solo allora può essere percepito e non prima. Allo stesso modo è nella cosa che ogni forma è in atto e pienamente essere. | |
59,416,14-417,5 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Dopo aver posto le premesse della sua interpretazione, Lutero può entrare nel cuore del capitolo, là dove Aristotele tratta direttamente dei due tipi di intelletto. Iniziando a prendere in considerazione l'intelletto agente il filosofo lo contraddistingue con quattro attributi: separabile, non misto, impassibile, per natura in atto. "Observa anguillam hanc lubricissimam!" tuona Lutero nei confronti della doppiezza di un Aristotele che attribuisce tutte queste caratteristiche all'anima, mentre invece è dell'intelletto agente che si sta parlando: in realtà non c'è alcuna possibile ambiguità nelle parole di Aristotele, che si riferisce in questo passo all'intelletto agente. Ma da cosa è separabile, dall'anima, dall'uomo stesso? No, perché la sua materia non è il corpo, ma l'intelletto possibile, come Aristotele ha già detto in precedenza (ritorna qui l'interpretazione dell'intelletto agente come forma dell'intelletto possibile). L'intelletto non è mescolato con altro. Non mescolato, si intende, con il corpo? No, con la sua materia che è l'intelletto possibile. E così, allo stesso modo, esso non è passivo perché per sua natura in atto. Ma atto di cosa? Qui va a parare tutto il procedimento esegetico svolto finora da Lutero: non atto di quel composto che è l'uomo, ma di quel tutto che ha per sua materia l'intelletto possibile e per sua forma l'intelletto agente, e cioè la scientia. Il monaco agostiniano approfondirà subito i perché di questa sua inaspettata conclusione, ma ancor prima gli preme stigmatizzare l'errore di coloro (non si fanno nomi) che, lasciando da parte la corretta interpretazione di Aristotele, credono che egli abbia sostenuto la separabilità dell'anima, mentre in realtà il filosofo greco aveva parlato della forma che è nell'anima, cioè dell'intelletto agente. | no | 1518 | De an. III,5,430a,14-17 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 416 | intellectus-agens, separabilis, mixtus, passio, vacare, substantia, actus, anguilla, lubricus, compositum, materia, forma, scientia, anima, corpus, intellectus-passivus, intellectus-possibilis, homo, errare | no | Et is intellectus separabilis est et non mixtus passioneque vacat, cum sit substantia actus. Observa anguillam hanc lubricissimam! Non dicit, quod anima sit separabilis et non mixta, sine passione, sed intellectus agens est separabilis. A quo? Nisi anima vel composito suo? At materia eius non est corpus, sed intellectus passivus, ut praedixit. Sic non est mixtus. Quo? Corpore? Non, sed non est mixtus sua materia, scilicet possibili intellectu. Sic non est passivus, quia est forma (inquit) et substantia actus. Cuius actus? Non compositi, quod est homo, sed, ut sequitur, totius illius, quod ex intellectu ut materia et intellectu agente constituitur, quod est scientia. Vides ergo, quomodo ii errant, qui relictis praecedentibus et sequentibus putant Aristotelem animam posuisse separabilem, cum ille de forma, quae in anima est, scilicet in intellectu agente, loquatur. | E questo intelletto è separabile e non misto e non patisce, perché è atto secondo la sostanza. Ma che razza di scivolosissima anguilla! Non dice che l'anima è separabile e non mista, senza passioni, ma che l'intelletto agente è separabile. Separabile da cosa, se non dall'anima (anzi, dal suo composto)? E invece la materia dell'intelletto agente non è il corpo ma l'intelletto passivo, come egli ha detto in precedenza. In questo senso l'intelletto agente non è mescolato. Non mescolato con cosa? Con il corpo? No: non si mescola con la sua materia, che è l'intelletto possibile. E così non patisce, perché forma (dice lui) e per sua natura atto. Atto di cosa? Non del composto che è l'uomo, ma, come segue, di quell'intero che dall'intelletto (come materia) e dall'intelletto agente è costituito, e questo intero è la scienza. Vedi allora dove sta l'errore di coloro che, trascurando quanto detto in precedenza e ciò che segue, ritengono che Aristotele abbia pensato a un'anima separabile, mentre egli parla della forma che è nell'anima, e precisamente nell'intelletto agente. | |
59,417,5-11 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Queste righe di Aristotele vengono non casualmente definite parenthesis. Si ritrova qui la coppia di verbi efficere/agere che già in precedenza la traduzione di Argiropolo aveva presentato. In questo caso non si rende necessaria, come più sopra era successo (cfr. WA 59,415,17), l'eliminazione di uno dei due verbi: la frase viene interpretata nel senso di una breve appendice esplicativa di quanto detto e se si parla di causa efficiente la cosa assume il senso di un'affermazione generale da non mettere in diretta corrispondenza con quanto precede. "Ciò che opera e agisce" è superiore alla materia, e questo spiega perché l'intelletto agente è abito, luce, non misto, separato, impassibile, atto per sua natura: tutti attributi che gli convengono appunto perché agente. La spiegazione del passo come parenthesis mette al riparo Lutero dalla possibile obiezione secondo cui Aristotele parlerebbe qui dell'intelletto agente come causa efficiente. Si può inoltre intravvedere nel commento del monaco agostiniano un elemento di continuità con la terza argomentazione della sezione secundum principia. Nel commento al giudizio di Plutarco sulla filosofia aristotelica, si diceva che ogni forma e ogni atto sono qualcosa di buono, divino, desiderabile, perché l'essere ha tanto di divinità quanta è l'entità che esso possiede. Analogo suona il commento a questo passo. Tutti questi attributi non definirebbero proprietà ontologiche dell'intelletto agente, ma costituirebbero puri "titoli" che ad esso, in quanto attivo, spettano. | no | 1518 | De an. III,5,430a,17-19 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 417 | efficere, agere, pati, principium, causa, materia, habitus, lumen, mixtus, separatus, vacuus, passio, substantia, actus, praestans, praestabilis, causa-efficiens, intellectus-agens, convenire | no | Sequitur parenthesis: Semper enim id, quod efficit atque agit, praestabilius est eo, quod patitur, ipsum principium omnino id est efficiens causa praestabilior est quam materia. id dicit causam reddens, cum intellectus agens sit habitus, lumen, non mixtus, separatus, vacuus passionis, substantia actus; dicitur scilicet: est agens, cui ut praestantiori haec conveniunt; | Segue una parentesi: Sempre infatti ciò che opera e agisce è superiore a ciò che è passivo e il principio stesso è assolutamente superiore alla - il che vuol dire: la causa efficiente è superiore alla - materia. Dicendo questo spiega perché l'intelletto agente è abito, luce, non misto, separato, impassibile, per natura in atto; detto in altri termini: è all'agente in quanto eccellente che questi titoli convengono. | |
59,417,11-20 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Come si è visto, a giudizio di Lutero la scienza costituisce il compositum dei due tipi di intelletto, l'agente come forma e il possibile come materia. Senza dubbio però il ricorso al termine di scienza è introdotto per creare una continuità con il successivo passo del De anima, in cui Aristotele, interrompendo il corso del ragionamento, distingue la scienza in atto dalla scienza in potenza. Tutto ciò contribuisce a una notevole complicazione, peraltro solo temporanea, dell'interpretazione. Lutero riassume quanto appena detto: l'intelletto possibile è materia, l'intelletto agente è forma e dall'unione dei due si genera come composto la scienza, definibile anche intellezione (intellectio). Aristotele però più sopra ricordava che l'intelletto possibile diventa tutte le cose. (cfr. WA 59,415,15) Perciò esso è tutti gli intelligibili, intelletto e intelligibile divengono una stessa cosa, come anche il filosofo greco afferma quando parla del senso (De anima, III,4,429b,3s.) Si evidenzia qui una seconda conclusione: la scienza è una stessa cosa con l'oggetto conosciuto, conclusione che va ad accavallarsi a quanto si era detto più sopra, e cioè che la scienza stessa si identifica anche con il composto costituito dai due intelletti, quali materia e forma. "Vide larvas figmentorum" è il commento di Lutero, più che giustificato se alla base di queste larvae, soprattutto della seconda delle due conclusioni, non ci fosse la sua incomprensione di un fondamentale principio aristotelico: quando Aristotele dice che l'anima è quodammodo tutte le cose, intende dire che la cosa è presente alla mente come forma svincolata, attraverso il procedimento di astrazione intellettuale, dalle condizioni individualizzanti della materia, e quindi l'intelletto e l'oggetto conosciuto sono la stessa cosa solo analogicamente. | no | 1518 | De an. III,4,429b,30-430a,5; III,5,430a,20-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 417 | scientia, actus, res, intellectus-passibilis, intellectus-agens, materia, forma, compositum, intellectio, intelligibilis, omnia, sensus, larva, figmentum | no | Scientia autem ea, quae est actu, est idem, quod res. intellectus passibilis est materia, agens est forma, ex quibus nullum compositum potest aliud fieri quam scientia seu intellectio. Ideo intellectionis materia est intellectus possibilis, forma eius est intellectus agens, scientia autem compositum. At iam supra dictum est, quod intellectus possibilis fit omnia capitulo 2 tractatus 4. Ideo est omnia intelligibilia, fit enim ex intellectu et intelligibili idem, ut supra de sensu quoque dixit. Ideo scientia est idem, quod res ipsa intellecta et ipsum compositum ex duobus intellectibus ut materia et forma. Vide larvas figmentorum! | La scienza che è in atto, poi, è una sola cosa con il suo oggetto. L'intelletto passivo è materia, l'intelletto agente è forma e da essi non può derivare come composto se non la scienza o intellezione. Materia dell'intellezione perciò è l'intelletto possibile, forma l'intelletto agente e la scienza è composto. E' già stato però detto più sopra, nel secondo capitolo del quarto trattato, che l'intelletto possibile diviene tutte le cose. Perciò esso è tutti gli intelligibili, infatti intelletto e intelligibile divengono una sola cosa, nello stesso modo in cui si è parlato del senso. Perciò la scienza "è una sola cosa con l'oggetto" stesso che viene conosciuto e allo stesso tempo è il composto dei due tipi di intelletto, come materia e forma. Vedi che fantasmi si immagina! | |
59,417,20-418,5 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | La formula di Argiropolo, "in uno prior est tempore", viene interpretata da Lutero come "in uno tempore est prior", sottolineando cioè una generica priorità nel tempo (in uno tempore) anziché il riferimento al singolo individuo (in uno). Egli può così commentare che l'intelletto possibile (perché secondo Lutero ad esso Aristotele si riferirebbe quando parla di scienza in potenza) solo per il tempo viene prima, e non in senso assoluto. A questo punto Lutero deve accollarsi una duplice fatica: chiarire la sua interpretazione della scienza in potenza che "in uno prior est tempore" e introdurre una nuova e molto personale lettura della successiva riga aristotelica (dove si parla di ciò che "non nunc quidem intelligit, nunc autem non intelligit"). L'anima e il composto-scienza, viene in primo luogo ricordato, sono una sola cosa allo stesso modo in cui la materia di un qualsiasi composto, in senso assoluto (absolute), non esiste prima del composto stesso. Quando Lutero spiega che la materia non viene prima del composto, intende alludere all'intelletto possibile-materia nei confronti del composto-scienza. A questo punto Lutero spiega che il termine absolute significa ciò che altri hanno definito l'essere nella sua realizzazione (in facto esse) e non in divenire (in fieri). Questa distinzione viene subito applicata alla "scienza possibile", che, come si è visto più sopra (WA 59,417,12s.; 21-22), costituisce per Lutero una stessa cosa con l'intelletto possibile. Esistono dunque due scienze possibili, la prima in facto esse et absolute e non può essere che essa "ora intenda e ora non intenda", perché una tale discontinuità molto più propriamente si addice all'altro tipo di scienza possibile: quella in fieri, materiale. L'introduzione del termine absolute serve dunque per creare una nuova distinzione tra due diversi tipi di scienza possibile/intelletto possibile. | no | 1518 | De an. III,5,430a,20-22; Metaph. XII,3,1070a,9-24 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 417 | potentia, unus, tempus, intellectus-possibilis, scientia, absolute, praecedere, anima, compositum, in-facto-esse, in-fieri, materia, res, scientia-possibilis | no | Ea vero, quae est potentia, in uno prior est tempore id est intellectus possibilis, qui est potentia, ut fiat actu scientia, ideo praecedit solo tempore; absolute autem neque tempore, dicitur: Est eadem res scilicet anima, idem compositum, scilicet scientia. Sicut materia absolute non est prior composito, sed simul cum ipso 12 Metaphysicae capitulo 2. Absolute autem puto dictum, quod alii vocant in facto esse, non in fieri. Sic scientia possibilis in facto esse et absolute non sic habet, quod nunc intelligit, nunc non intelligit ; id enim materiae esse in fieri convenit; | Ma in rapporto al tempo, solamente in un singolo la scienza che è in potenza risulta essere anteriore, si parla dell'intelletto possibile, che è potenzialità di realizzare la scienza in atto, e perciò è prioritario solo in rapporto al tempo; in senso assoluto, però, non per il tempo viene prima, si intende: una stessa sola cosa è l'anima e il composto, cioè la scienza. Così la materia in senso assoluto non esiste prima del composto, ma insieme ad esso, come sta scritto nel secondo capitolo del dodicesimo libro della Metafisica. "In senso assoluto" credo però che qui significhi ciò che altri dicono: l'essere nella sua realizzazione e non: in divenire. Allo stesso modo la scienza possibile nella sua realizzazione e in senso assoluto non è in uno stato tale che "ora intenda, ora non intenda"; questo è piuttosto da attribuirsi all'essere della materia in divenire; | |
59,418,5-10 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Da quanto si è detto a proposito del passo precedente, segue che il soggetto della frase iniziante con "sed non..." non è, come per Aristotele, l'intelletto agente, ma "ea quae est in potentia", cioè la scienza in potenza o intelletto possibile "in senso assoluto". Ma perché Lutero sceglie un'interpretazione così contrastante con l'originale greco e densa di complicazioni? In questo punto il filosofo greco riprende il filo del discorso interrotto dalla digressione sulla scienza in atto e in potenza. La proposizione a cui ci si riallaccia è quella in cui l'intelletto agente era stato definito come separato, immisto, impassibile e in atto per sua natura. Ma allora tutto lo sforzo di Lutero di "indebolire" l'intelletto agente stesso verrebbe compromesso da una frase in cui esso viene descritto come dotato di un'ininterrotta attività. Ecco allora la spiegazione del passo in cui si affermava che la scienza in potenza (identificata da Lutero con l'intelletto possibile) è anteriore nel tempo, ma absolute non è anteriore. Essa infatti, in quanto in fieri, precede nel tempo la scienza in atto; se invece la si considera in facto esse et absolute, non può precedere nel tempo la scienza in atto, perché in un tale stato essa non è tale che "ora intenda ora non intenda" ma è una stessa cosa con la scienza in atto. Non si tratta certo di una spiegazione lineare, e Lutero addossa la responsabilità di ciò ad Aristotele, facendo balenare l'ipotesi che il filosofo greco con queste parole abbia voluto dire qualcosa di ancor meno chiaro con l'intenzione di lasciare al buio i suoi futuri interpreti. Ma solo le ambiguità della traduzione di Argiropolo consentono a Lutero di proporre la sua lettura del testo aristotelico. | no | 1518 | De an. III,5,430a,21-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 418 | intelligere, scientia, potentia, intellectus-passibilis, absolute, tempus, actus, intelligentia, obscure, nescire | no | sed non nunc quidem intelligit, nunc autem non intelligit. id est scientia in potentia seu intellectus passibilis absolute acceptus non est prior tempore, quia idem cum scientia actu. Quia tunc non est talis, ut nunc intelligat, nunc non intelligat , quia est actu intelligentia seu scientia; nisi aliud istis obscurius loqui voluit, quod nescire omnes voluit; | ma non è di una natura tale che ora intenda e ora non intenda. la scienza in potenza, che è quanto dire intelletto passivo in senso assoluto, non viene prima nel tempo, perché è una sola cosa con la scienza in atto. In questo caso infatti essa non è di una natura tale che "ora intenda e ora non intenda", dal momento che è intelligenza in atto ovvero scienza; a meno che Aristotele non abbia voluto dire con queste frasi qualcosa di ancor meno chiaro, con l'intenzione che nessuno ne potesse capire alcunché; | |
59,418,11-18 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Con un fraintendimento del testo aristotelico inizia anche la parte del commento dedicata alla nota dichiarazione aristotelica sulla separabilità dell'intelletto agente. Lutero prima di proporre la sua glossa ricapitola quanto finora il commento a De anima III,5 ha espresso. La ricapitolazione esclude però tutte le complicate distinzioni che avevano caratterizzato il passo precedente. A questo punto - afferma il monaco agostiniano - sono sul tappeto tutti e tre i concetti base della trattazione aristotelica: in primo luogo la scienza in atto, che è il composto dei due tipi di intelletto e si identifica anche con l'oggetto conosciuto. Per secondo viene nominato l'intelletto possibile o scienza in potenza, che è la materia di un tale composto. Di esso si dice che viene prima nel tempo dell'oggetto conosciuto (o scienza in atto). Infine la forma; l'intelletto agente, che è esclusivamente ciò che è. E' in questo punto che Lutero fraintende il testo di Aristotele, in quanto "id solum est, quod est" non esprime una pura tautologia, ma significa che l'intelletto agente è ciò a cui, nell'anima, l'essere compete nel massimo grado. L'autore della Disputa di Heidelberg invece intende: l'intelletto agente non è altro che quello che è, cioè, come si è ricordato in precedenza, solamente atto. La forma, insiste Lutero, non può venir definita, perché sono le altre cose che attraverso di essa sono definite, dal momento che è essa a dare l'essere alla cosa. Per questo essa è solo ciò che è. Ancora una volta il tentativo ermeneutico di Lutero procede nel senso di una svalutazione dell'intelletto agente. Se dunque si deve partire dalle premesse che sono state poste, sarà chiaro - asserisce il monaco agostiniano - che in questo capitolo del De anima Aristotele non parla minimamente dell'immortalità dell'anima, della separabilità dell'anima dal corpo, ma della separabilità dell'intelletto agente dal suo composto, la scienza in atto, e dalla sua materia, l'intelletto possibile. | no | 1518 | De an. III,5,430a,22s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 418 | separatus, scientia, compositum, res, scientia-possibilis, actus, forma, materia, intellectus-agens, esse, definire, dare, separatio, intelligere, anima, corpus, potentia, intellectus-possibilis | no | Separatus vero id solum est, quod est sic habes omnia tria: scientia ut compositum est idem, quod res; possibilis scientia est prior ipsa re seu scientia actu, tertio forma talis materiae et compositi agens intellectus, qui "est solum id, quod est", id est actus. Quia forma non potest definiri, cum per eam cetera definiantur et sint, ipsa dat esse rei. Ergo est, quod est, in se ipsa. Ideo ista separatio non potest intelligi de tota anima a corpore, sed a suo composito, id est scientia actu, et sua materia, id est in potentia, quae est intellectus possibilis; | Ma intelletto separato, esso è esclusivamente ciò che è e così li hai tutti e tre: la scienza, come composto, è lo stesso che il suo oggetto; la scienza in potenza viene prima dell'oggetto conosciuto stesso; terzo, la forma relativa a una tale materia e a un tale composto, che "è esclusivamente ciò che è", e cioè atto. E questo perché la forma non può essere definita, visto che sono le altre cose ad essere definite e ad esistere per mezzo suo; la forma dà l'essere alla cosa. Conclusione: essa è ciò che è in se stessa. Perciò non si può intendere questa separazione nel senso di separazione dal corpo dell'intera anima, ma come separazione dal suo composto, che è la scienza in atto, e dalla materia, la scienza in potenza che è poi l'intelletto possibile; | |
59,418,18-25 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Improvvisamente sembra che Lutero creda che Aristotele voglia attribuire l'immortalità all'intelletto possibile. Il problema è che di fronte alle parole "atque id solum immortale atque perpetuum" egli non può non attribuire a una qualche parte dell'anima tale affermazione. Se riferisce il contenuto di queste parole all'intelletto agente, viene vanificata tutta la costruzione interpretativa realizzata fino a questo punto. Se le riferisce alla scienza in atto, nega l'immortalità ad una o più potenze dell'anima per attribuirla a un singolo atto dell'anima stessa, il che non è certo nelle sue intenzioni, e meno che meno è nelle intenzioni di Lutero di attribuire tale immortalità all'anima in quanto tale. Resta dunque "a disposizione" solo l'intelletto possibile. Lutero sente il bisogno di chiarire questo punto ripetendo ancora una volta, alcune righe più sotto, che illud (l'intelletto agente; il caso neutro rimanda probabilmente al primo id solum) è immortale come qualsiasi atto o forma, cioè participative, perché è l'essere della cosa. Ci sono altre motivazioni che spingono il monaco agostiniano ad attribuire l'eternità all'intelletto possibile? Probabilmente (ma tale ipotesi non trova esplicita conferma nel testo, estremamente conciso su questo punto) Lutero accenna qui a quell'"intellectus possibilis absolute acceptus", del quale in precedenza (WA 59,418,3-10) per ben due volte si era detto che "non nunc quidem intelligit, nunc quidem non intelligit". Che non si tratti però di un argomento in cui Lutero si trova a proprio agio, lo dimostra il fatto che l'accenno all'intelletto possibile non viene sviluppato. Il monaco agostiniano torna a un tema sul quale si muove con maggior sicurezza, e cioè la critica all'ambiguità di Aristotele. | no | 1518 | De an. III,5,430a,22s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 418 | immortalis, perpetuus, anima, patere, intellectus-possibilis, compositum, ludere, forma, actus, participative, esse, res, ignarus, accipere, certe, sonare, negare | no | atque id solum est immortale atque perpetuum. patet, quod hinc non ponitur animae immortalitas, alioqui non tota anima esset immortalis, sed possibilis, nec compositum ex utroque; sed voluit ludere philosophus ignarus, ut, quoquo modo acciperetur, certe dixisse videretur. Nam verba sonant pro animae immortalitate, sed si id neges, iterum dicit: Ego quoque id nolui. Igitur est immortale illud sicut quaelibet forma vel actus, ut supra, participative, quod est esse rei; | e solo questo è immortale ed eterno. Chiaramente da questo passo non è messa in causa l'immortalità dell'anima, altrimenti di conseguenza non sarebbe immortale l'intera anima, ma solo l'intelletto possibile, e non il composto di entrambe le specie di intelletto. Ma il filosofo, nella sua ignoranza, volle prendersi beffe dei suoi lettori, così che in qualunque modo si fossero interpretate le sue parole, si avesse sempre l'impressione di affermazioni certe. Le parole infatti suonano favorevoli all'immortalità dell'anima, ma se tu dici che le cose non stanno così, quello torna fuori a dire: "ma anch'io non ho voluto dire queste cose". Insomma: il composto è immortale tanto quanto qualsiasi forma o atto, come più sopra si è detto, nel senso della partecipazione, perché è l'essere della cosa; | |
59,418,25-419,4 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Definite ormai le principali argomentazioni in favore della sua esegesi, Lutero si avvia a concludere il commento del quinto capitolo del De anima. E' in questione il passo in cui Aristotele afferma che noi non ricordiamo (cioè, come spiega correttamente Lutero, con il solo intelletto agente separato) perché l'intelletto agente è impassibile e senza l'apporto dell'intelletto possibile, che perisce, non è in grado di intendere. Il commento inizia mantenendosi sui binari dell'interpretazione tradizionale. Non si può dare un atto, argomenta Lutero, se non in presenza della relativa materia. Con ciò si spiega il fatto che l'intelletto agente da solo non abbia alcuna attività, perché privo della sua materia, che è l'intelletto possibile. L'intelletto agente, infatti, è impassibile, come Aristotele stesso aveva detto più sopra: "passione vacat". La spiegazione di questa affermazione aristotelica consente a Lutero di tornare su un punto, già toccato più di una volta, che appartiene alla sua personale interpretazione di Aristotele: l'intelletto agente è impassibile e non è ricettivo degli intelligibili perché atto (come Lutero non ha mai smesso di ripetere) di una tale ricezione e passione. | no | 1518 | De an. III,5,430a,23s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 418 | recordari, intellectus-agens, separatus, materia, operari, passio, intelligibile, actus, nihil, expers, receptio | no | Non autem recordamur id est solo intellectu agente separato, cum actus non sit nisi praesente materia. Ideo intellectus agens se solo nihil operatur, ut sequitur; quia hoc quidem expers est passionis. Ut supra, "passione vacat", id est non recipit intelligibilia, sed est actus talis receptionis seu passionis; | E noi non ricordiamo, cioè con il solo intelletto agente separato, perché non si dà atto senza la presenza della materia. Perciò l'intelletto agente da solo non agisce per nulla, come risulta da quanto segue; perché esso, appunto, è impassibile. come sopra: "non patisce", cioè non è ricettivo degli intelligibili ma è l'atto di una tale ricezione o passione; | |
59,419,4-11 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Sembrerebbe a questo punto che Lutero incorra in una contraddizione con quanto ha appena detto (che cioè al solo intelletto possibile spetta l'immortalità). Le righe conclusive dell'argomentazione contengono però una significativa distinzione, secondo cui Aristotele parla "de extinctione perpetuitate intelligendi, non essendi". Proprio quest'ultima precisazione di Lutero permette di non precludere la possibilità dell'eternità dell'intelletto possibile. Il tono usato da Lutero con il sed avversativo iniziale è quello di chi vuol negare una ipotesi sbagliata. Nella proposizione che precede gli illi quidam (coloro che sostengono la corruttibilità dell'intelletto possibile) non sono citati in qualità di interpreti fedeli del testo aristotelico ma come esponenti di una falsa opinione, come indica anche la forma verbale habent concedere a cui il sed si oppone. Tutto ciò farebbe pensare che Lutero anche qui si riferisca all'intellectus possibilis in facto esse et absolute di cui parlava più sopra. In questo caso però egli sarebbe in contraddizione con quanto afferma in precedenza, e cioè che questo tipo di intelletto "non nunc intelligit, nunc autem non intelligit", mentre a proposito dello stesso intelletto in queste righe si dice che è soggetto ad una extinctio intelligendi. Si ha l'impressione però che il riferimento a questa extinctio perpetuitasque intelligendi, non essendi sia sfuggito alla penna di Lutero per la preoccupazione di ribadire alla fine dell'esame di questo passo aristotelico quanto aveva detto all'inizio: "Ita hic facit intellectum non ut rem, sed in ordine ad intellegibilia" (WA 59,414,24s.). | no | 1518 | De an. III,5,430a,24s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 419 | intellectus-passivus, materia, forma, habere, carere, extinguere, auferre, separare, scientia, corrumpere, anima, intelligere, esse, extinctio, perpetuitas, essentia, substantialiter, velle, concedere, cupere | no | Intellectus vero passivus extinguitur quia materia nunc habet, nunc caret, et sic extinguitur, dum eius aufertur forma et separatur et alia introducitur; et sine hoc nihil intelligit. Ut patet ex dictis, quia scientia sine intellectu possibili non est. Quare, si intellectus passivus corrumpitur substantialiter, ut illi quidam volunt, habent concedere, quod tota extinguitur anima. Sed Aristoteles de extinctione perpetuitateque intelligendi, non essendi loquitur; et tamen quasi videri cupit locutus de essentia intellectus. | L'intelletto passivo perisce perché, in quanto materia, talora possiede, talora è privo e così perisce, mentre gli viene tolta la relativa forma e ne viene separato, e un'altra forma subentra; e senza quest'ultimo l'intelletto agente non può intendere nulla. Come è evidente da quanto detto: perché non c'è conoscenza senza intelletto possibile. Per cui, se l'intelletto passivo si corrompe sostanzialmente, come certi personaggi pensano, si deve poi concedere che l'anima intera perisce. Ma Aristotele si riferisce al perire definitivo o al durare senza limiti del conoscere, non dell'essere; e tuttavia è come se volesse lasciare l'impressione di aver parlato dell'intelletto nella sua essenza. | |
59,419,12-24 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Il terzo brano aristotelico esaminato nella sezione secundum recitata è tratto dal dodicesimo libro della Metafisica. Le prime righe non riguardano direttamente il problema dell'anima, ma la differenza tra cause formali e cause motrici. Non si può escludere che Lutero le abbia inserite in riferimento alla discussione appena conclusa sull'intelletto agente come forma dell'intelletto possibile, quasi a dimostrare la propria padronanza dei concetti base usati fino a questo punto. Il brano più importante è comunque quello che segue, in cui Aristotele si chiede "se qualcosa rimanga anche dopo" e si risponde che per alcuni esseri, come per esempio l'anima, nulla sembra impedirlo; ma non l'intera anima, solo la mens. E' con sbrigativa disinvoltura che Lutero crede di poter infirmare radicalmente le parole di Aristotele, in quanto il filosofo greco non darebbe voce a una fondata convinzione ma si esprimerebbe dubbiosamente. E' interessante il fatto che il fortasse sia riferito non alla posteriore permanenza di una parte dell'anima, ma all'ipotesi secondo cui tutta l'anima sfugge alla corruzione del corpo. Dal che si è autorizzati a dedurre che Lutero non sia disturbato dall'ipotesi che per Aristotele "qualcosa" permanga dopo la morte; ciò che gli sta a cuore è di chiarire che in Aristotele non si possa parlare di immortalità dell'intera anima. In questo senso riceve un'indiretta conferma l'ipotesi secondo cui nella sua lettura di De anima III,5 Lutero attribuisce ad Aristotele l'affermazione dell'eternità dell'intelletto possibile. Cosa poi Aristotele intenda per mens, argomenta Lutero, dal momento che egli si sofferma così in breve su questo argomento, non è chiaro. La brevità del filosofo induce al sospetto che qui, più che esprimere convinzioni proprie (affirmare), Aristotele riporti l'opinione di altri (recitare). | no | 1518 | Metaph. XII,3,1070a,21s.; 22-27 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 419 | causa, movens, materia, formalis, ratio, sanitas, aeneus, pila, anima, permanere, mens, authoritas, intellectus, affirmare, asserere, recitare, figura, manere, prohibere, fortissimus, infirmus, dubitanter, fortasse, anima-rationalis, simul, sanus | no | Tertio illud 12 Metaphysicae capitulo 2, cum dixisset causas moventes esse priores materia, formales autem simul, unde ibidem dicit: At hae, quae sunt ut ratio, causae simul sunt. Cum enim homo est sanus, tunc et sanitas est. Figura etiam aeneae pilae et ipsa aenea pila simul sunt. Mox secutus dixit quasdam posse manere: Si vero inquiens, et posterius quippiam permanet, considerare oportet. In quibusdam enim nihil prohibere videtur, veluti si anima tale sit, non omnis, sed mens ipsa, ut enim omnis permaneat anima, fieri fortasse non potest. Haec omnium est fortissima authoritas, nisi hoc uno penitus fieret infirma, quod dubitanter loquitur: "fortasse", inquit, "non omnis anima manet". Deinde, quid per mentem, scilicet intellectum, an animam rationalem et quidquid sit, cum tam breviter transeat neque asserat, potius recitare videtur quam affirmare. | Terzo, quel passo del secondo capitolo del dodicesimo libro della Metafisica, in cui aveva trattato delle cause motrici in quanto precedenti la materia e invece delle cause formali, simultanee ad essa. Prendendo le mosse da questo argomento in quel passo dice: E quelle cause invece che esistono come forma, esistono insieme con la cosa. Infatti quando l'uomo è sano, allora esiste anche la salute. E anche la figura della sfera di bronzo e la sfera di bronzo sono simultanee. Immediatamente di seguito, dice che alcune cose possono permanere. Se poi - afferma - rimanga qualcosa anche dopo, è una questione da prendere in esame. Per alcuni esseri infatti nulla sembra proibirlo, per esempio l'anima, nel caso che essa sia di una tale natura; non l'intera anima, ma solo la mente; che infatti l'anima intera possa permanere, forse è cosa impossibile. Questo tra tutti è il pronunciamento più autorevole, se per un solo motivo non venisse radicalmente indebolito, e cioè per il fatto che qui Aristotele parla in forma dubitativa: "forse, dice, non rimane l'anima intera". Cosa intende poi per mente, cioè intelletto: forse l'anima razionale? e comunque, di qualunque cosa si tratti, dal momento che con tanta concisione scorre questo argomento senza fare affermazioni esplicite, dà l'impressione di riportare pareri altrui più che esporre il proprio punto di vista. | |
59,419,25-420,3 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Di importanza molto minore rispetto a tutti gli altri si presenta il quarto ed ultimo brano esaminato da Lutero, un passo dell'Etica Nicomachea in cui sembra che i defunti ricevano un qualche vantaggio dalla cattiva o buona sorte dei viventi. Con questa affermazione Aristotele accetterebbe implicitamente che l'anima permane dopo la morte. Lutero integra il brano con due testimonianze del mondo greco e romano, tratte da Omero e Virgilio. Il primo nell'Iliade (XVIII,334-337; XXIII,19-20; 179s.) parlando di Patroclo, il secondo nell'Eneide (XII,948s.) a proposito di Pallante raccontano che essi sapevano di essere stati vendicati. Ma anche in questo caso per Lutero è chiaro che Aristotele riporta opinioni altrui, non esprime il proprio pensiero. | no | 1518 | Eth. Nic. I,11,1101b,5-9 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 419 | defunctus, (authoritas), adversitas, prosperitas, commodum, Homerus, Vergilius, Patroclus, Pallas, ulcisci, anima, asserere, disputare, recitative, respondere, conclusio | no | Quarto, reliqua est illa 1 Ethicorum tractatus 3 capitulo 3 de defunctis, an ex viventium adversitate, prosperitate accipiant aliquid commodi (ut Homerus de anima Patrocli dicit et Virgilius de anima Pallantis, sese scilicet ultos sentientium), ubi videtur defunctos vivere putasse. Ad quod iterum respondetur, quod ipse nusquam id asserit aut disputat, recitative procedit. Hanc in tertiam conclusionem dicta sint. | Quarto, rimane ancora la testimonianza del terzo capitolo del terzo trattato del primo libro dell Etica Nicomachea a proposito dei defunti: e cioè se essi ricevano un qualche vantaggio dalla cattiva o dalla buona sorte dei viventi (come Omero afferma a proposito dell'anima di Patroclo e Virgilio a proposito dell anima di Pallante, e cioè che essi sapevano di essere stati vendicati). In quel passo può sembrare che Aristotele pensasse che i defunti vivono ancora. Ma a questo si deve rispondere un altra volta che egli non fa affermazioni certe né istituisce una trattazione, ma procede per citazioni. E questo sia detto a riprova della terza tesi. | |
59,420,4-17 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | L'obiettivo dell'analisi diviene ora il concetto di materia. La critica viene svolta in otto brevissime argomentazioni, che si rifanno tutte a singoli passi aristotelici. Aristotele, inizia Lutero riecheggiando senza esplicitamente citare un passo della Fisica (I,7,191a,20), ha posto tre principi: privazione, materia e forma. "Essi" (il soggetto nel testo è sottinteso) non hanno attribuito alcuna specificità alla forma e alla privazione, ma le hanno interpretate come universali. Non c'è dunque alcuna ragione perché non interpretassero come universale anche la materia. A chi si riferisca Lutero è difficile a dirsi, ma l'intenzione del monaco agostiniano, più che di criticare Aristotele, è di rivendicare nei confronti degli interpreti scolastici una lettura più corretta del pensiero aristotelico. Lutero prende poi in esame la definizione che nella Fisica si dà della materia (I,9,192a,31s.), che implica l'esistenza di un sostrato proprio per ciascuna cosa e non identico per tutte. Egli stesso più sopra (WA 59,415,5) aveva affermato che non c'è un'unica materia in tutte le cose. Alla Fisica si richiama anche la terza argomentazione, ma si tratta evidentemente di un'errata citazione a memoria, che però corrisponde ad un passo della Metafisica (XII,6,1071b,26-1072a,9). Questo l'argomento: se si accetta che ci sia un'unica materia per tutte le cose si ricade nella dottrina platonica del caos, che Aristotele critica apertamente. Nella sesta tesi Lutero stesso però sosterrà una opinione che ricorda da vicino quella del caos platonico. Il che significa che, come già nella tesi relativa all'immortalità dell'anima, anche qui se Lutero rivendica un'interpretazione di Aristotele più fedele di quella degli scolastici, ciò non significa che egli accetti quanto dalla nuova interpretazione emerge. Anzi: proprio perché lo si è ben interpretato, diviene chiaro che Aristotele è da respingere con la sua filosofia. |
no | 1518 | Phys. I,7,191a,20; I,8,191a,23-192b,4; I,8,191a,23-192b,4; I,9,192a,31s.; Metaph. XII,6,1071b,26-1072a,9 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 420 | forma, substantialis, compositum, materia, recipere, principium, privatio, specivocus, universalis, subiectum, Plato, cahos, definitio, primum, oratio, opinio, reprehendo | no | Quarta conclusio Postquam receptum est tot esse formas substantiales quot composita, necessario et tot esse materias fuerat recipiendum. Primo, quia Aristoteles posuerit tria principia: privationem, materiam, formam. Et formam et privationem nullam specivocam, sed universalem acceperunt, nulla est ratio, cur non et materiam acceperint universalem. Secundo, quia sic explicat definitio materiae 1 Physicorum: "Materia est id, quod est primum uniuscuiusque subiectum, ex quo aliquid fit". Quae oratio certe id habet, quod uniuscuiusque rei est suum subiectum, non omnibus idem. Tertio, nisi sic tunc relabimur in opinionem Platonis, qui tamen reprehenditur ab Aristotele in sua materia seu cahos, 1 Physicorum capitulo... tractatus... . |
Quarta tesi Una volta che si era accettato che ci sono tante forme sostanziali quanti i composti, si doveva necessariamente accettare anche l'esistenza di un uguale numero di materie. Primo, perché Aristotele ha posto tre principi: la privazione, la materia e la forma. E poiché essi hanno interpretato la forma e la privazione non come specifica ma come universale, non c'è ragione perché non interpretassero anche la materia come universale. Secondo, perché a questa conclusione porta la definizione di materia nel primo libro della Fisica: "la materia è ciò che è il primo sostrato di ogni cosa, dal quale un qualcosa si costituisce". Un tale modo di esprimersi implica certamente che ci sia un sostrato proprio di ciascuna cosa e non uno stesso per tutte. Terzo, se le cose non stanno così allora ricadiamo nell'opinione di Platone, il quale tuttavia nel trattato... del capitolo... del primo libro della Fisica viene criticato da Aristotele per la sua dottrina della materia come caos. |
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59,421,1-13 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | La quarta argomentazione è quella che presenta il maggior numero di citazioni aristoteliche, volte a dimostrare che lo Stagirita stesso in contesti diversi ricorre a diversi tipi di materia. Tre sono i luoghi della Metafisica a cui si fa riferimento (nell'ordine: XII,2,1069b,25s.; XII,3,1070a,23s.; XII,3,1070a,19s.) in cui si parla di materia del cielo, del bronzo e si afferma che il viso, la testa, il fuoco e le cose di questo genere sono materia. In un altro passo del De caelo (I,9,279a,7-9) Aristotele indica il "corpo naturale sensibile" come materia del mondo. Di nuovo la Fisica (II,1,193b,7s.) viene ad essere citata nella quinta argomentazione. Aristotele afferma proprio parlando della materia che ciascuna cosa ha più essere quando è in atto che non quando è in potenza. Da ciò, conclude Lutero, risulta chiaro che la materia e la potenza soggettiva sono la stessa cosa e che quindi ogni cosa ha una sua propria materia. Due citazioni della Fisica anche per la sesta argomentazione, una tratta dal terzo e una dal primo libro (III,6,207a,21s.; I,4,187b,7-9) A tema è il concetto di infinito come materia del compimento della grandezza, che però si rivela un concetto-limite, perché tale materia è destinata a non avere mai una relativa forma e quindi non può essere conosciuta, dal momento che la materia non si conosce se non attraverso la forma. Il tema dell'infinito sarà ripreso da Lutero nella settima tesi e prova, riprendendo un'altra volta la definizione aristotelica. L'interesse che muove il monaco di Wittenberg nei due casi è però diverso. Qui si tratta di evidenziare come questo infinito sia un tipo particolare di materia non riducibile a tutte le altre, più avanti si discuterà se ad esso spetti una realtà solo concettuale o anche ontologica. |
no | 1518 | Metaph. XII,2,1069b,25-26; XII,3,1070a,19-20; 23-24; De caelo I,9,279a,7-9; Phys. II,1,193b,7-8; III,6,207a,21-22; I,4,187b,7-9 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 421 | materia, uti, caelum, generabilis, aes, locus, instabilis, os, caput, ignis, fieri, mundus, naturalis, sensibilis, corpus, actus, potentia, subiectivus, infinitum, perfectio, magnitudo, forma, cognoscere | no | Quarto, quod Aristoteles in diversis rebus utitur diversa materia, ut 12 Metaphysicae capitulo 1 dicit, quod caelum non habet materiam generabilem, sed loco instabilem, et ibidem 2 dicit, quod aes sit materia et non fiat, et itaque, quod os, caput, ignis et similis generis sunt materia; et 1 Caeli tractatus 3 capitulo 2: "Universus mundus ex tota sua constat materia. Materia enim ipsius est naturale sensibile corpus. Quinto, Aristoteles 2 Physicorum tractatus 1 capitulo 2 materiam exponens dicit: "Unumquodque tum magis est, cum actu quam cum potentia". Ex quo patet, quod materia et potentia subiectiva idem idem sunt, et unumquodque suum habeat materiam. Sexto, 3 Physicorum dicit: "Infinitum" esse "materiam perfectionis magnitudinis", et itaque infinitum ideo ignotum dicit, quia materia non habet formam. Materia enim non cognoscitur, nisi per formam. |
Quarto, il fatto che Aristotele in contesti diversi ricorre a diversi tipi di materia, come nel primo capitolo del dodicesimo libro della Metafisica, dove dice che il cielo ha una materia non generabile ma suscettibile di movimento locale; nel secondo capitolo dello stesso libro afferma che il bronzo è una materia e non è derivato, e ancora, allo stesso modo, che il viso, la testa, il fuoco e le cose di questo genere sono materia; e così nel secondo capitolo del terzo trattato del primo libro del De caelo: "Il mondo nella sua totalità è formato di tutta la materia propria ad esso. Materia del mondo infatti è il corpo naturale sensibile". Quinto. Aristotele, trattando della materia, dice nel secondo capitolo del primo trattato del secondo libro della Fisica: "Ciascuna cosa ha più essere quando è in atto che non quando è in potenza". Risulta chiaro da queste parole che materia e potenza soggettiva sono la stessa cosa e che ciascuna singola cosa deve avere la relativa materia. Sesto. Nel terzo libro della Fisica egli sostiene che "l'infinito è la materia del compimento della grandezza". E dice inoltre che a motivo di ciò l'infinito ci è sconosciuto, perché la materia non ha forma. Infatti non si conosce la materia se non attraverso la forma. |
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59,421,14-20 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Settimo: Aristotele afferma nel primo libro della Fisica (I,7,191a,7-12) che la materia, in quanto natura che è soggetta, si conosce per similitudine ed analogia alla forma. Ma se la materia deve assomigliare alle forme, che sono diverse tra di loro, essa non può essere unica e senza differenze. Infine nell'ottava ed ultima argomentazione viene ripreso un passo della Metafisica (II,2,994a,27s.) in cui la materia viene descritta come qualcosa di mezzo tra l'essere e il non essere e identificata con il divenire stesso, cosa di cui Aristotele parla anche nel primo libro della Fisica (I,7,190a,31-190b,20). L'argomento non appare molto probante in paragone con l'enunciato della tesi (la pluralità delle forme sostanziali implica una pluralità di materie). Lutero introduce tuttavia in questo punto un tema sul quale dovrà soffermarsi ancora già nella tesi e prova successiva, e cioè la questione se la materia abbia una propria consistenza ontologica anche a prescindere dalla forma. Per il momento comunque egli può dichiarare soddisfatto, in conclusione della quarta prova filosofica: "Et vide supra quam multas authoritates ex Aristotele." Solo nella terza e nella quarta prova filosofica Lutero propone dei commenti alla fine del procedimento argomentativo. Nella terza però tutto ciò che ha da dire è un neutrale "Haec in tertiam conclusionem dicta sint". Il richiamo al gran numero di testimonianze autorevoli provenienti dallo stesso Aristotele che si trova invece al termine della quarta prova si riallaccia alla polemica che egli stesso all'inizio della prova aveva aperto. Gli scolastici ritengono che Aristotele abbia accettato "materiam... nullam specivocam sed universalem"? Con i testi aristotelici alla mano egli dimostra che l'opinione del filosofo greco era ben diversa. |
no | 1518 | Phys. I,7,190a,31-190b,20; 191a,7-12; Metaph. II,2,994a,27-28 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 421 | natura, subicere, materia, similitudo, analogia, forma, esse, fieri, authoritas, medium, non-esse, fiens, probare | no | Septimo, 1 Physicorum dicit, natura, quae subicitur (id est materia), cognoscitur similitudine et analogia formae, sed impossibile est, ut formae sit similis, nisi alterius formae alia, et alia sit materia. Octavo, 2 Metaphysicae capitulo 2 dicit materiam esse medium inter esse et non esse, scilicet ipsum fiens, quod et 1 Physicorum satis multis agit et probat. Et vide supra quam multas authoritates ex Aristotele. |
Settimo. Nel primo libro della Fisica egli afferma che la natura che è soggetta, (cioè la materia) si conosce per similitudine e analogia alla forma. Ma è impossibile che la materia sia simile alla forma se la materia che è relativa ad una certa forma e la materia che è relativa ad un'altra forma non sono due materie diverse. Ottavo, nel secondo capitolo del secondo libro della Metafisica egli dice che la materia è qualcosa di mezzo tra l'essere e il non essere e cioè il divenire stesso, cosa che egli tratta e dimostra a sufficienza nel primo libro della Fisica. Vedi dunque sopra quante autorevoli testimonianze di Aristotele al riguardo. |
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59,422,1-9 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Le tesi e prove quinta, sesta e settima presentano, oltre alle prove che provengono dal manoscritto di Kamenz, anche prove che si trovano nel manoscritto di Zittau. La discussione sull autenticità luterana è ancora aperta (cfr. Helmar JUNGHANS, Die probationes zu den philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation Luthers im Jahre 1518, Lutherjahrbuch , 46 (1979), pp.10-59): ma tali prove contribuiscono a chiarire l interpretazione delle tre relative tesi. La quinta tesi è divisa in due membri, di cui però la probatio di Kamenz prende in esame solo il secondo. Cita infatti tre passi aristotelici (Fisica I,5,188b,21-26; I,8,191a,25-31; Metafisica XII,1,1069b,15-20): tutti esempi che mostrano come dalla materia-potenza di necessità tutto ciò che esiste venga generato e che quindi, secondo Lutero, alla materia stessa spetti una certa consistenza ontologica. Ma cosa significa ex nulla re mundi fit aliquid necessario ? Una risposta emerge dall analisi della prova riportata nel manoscritto di Zittau. La prima parte - viene detto - è comunemente riconosciuta come evidente, dal momento che dal nulla niente viene generato. Ma ogni cosa in tanto esiste, in quanto poté essere generata. E poiché poter essere generato e materia sono la stessa realtà, ne deriva che la materia non è un puro nulla, ma una via di mezzo tra il nulla e il qualcosa. In questo senso ex nulla re fit aliquid necessario equivarrebbe alla formula ex nihilo nihil e il senso della prova sarebbe: dal nulla niente viene generato, ma dalla materia viene generato tutto ciò che è, quindi la materia non è un puro nulla. La tesi ha una particolare struttura antinomica. Già nella divisione in due unità della tesi si presenta evidente l intenzione di Lutero di contrapporre tra loro due pronunciamenti aristotelici. Il tentativo di Lutero è di provocare una critica interna , che cioè muovendo dai principi stessi di Aristotele ne mostri l inevitabile sbocco in irrisolvibili antinomie. | no | 1518 | Phys. I,5,188b,21-26; I,8,191a,25-31; I,9,192a,31s.; Metaph. XII,2,1069b,15-30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 422 | necessarius, res, mundus, materia, fieri, definitio, ovum, pullus, accidens, pullabilis, ens, naturaliter, patet, determinare, nihil, non-ens, esse, immediate, causa-secunda, posse-fieri, intelligibiliter, philosophi, medius, aliquid | no | Conclusio quinta Ex nulla re mundi fit aliquid necessario, ex materia tamen necessario fit, quidquid fit naturaliter. De quo vide 1 Physicorum capitulo 1 tractatus 2. Item definitio materiae, quando dicit: "Ex quo aliquid fit eo pacto, ut non per accidens insit". Quia ex ovo non fit pullus, cum iam sit ens, sed ex pullabili seu ex potentia pullo fit actu pullus, ut late patet tractatus 3 capitulo 1, ubi determinat, quomodo ex ente nihil fit et ex non ente similiter nihil fit, et ipse idem 12 Metaphysicae capitulo 1 vult. (Il manoscritto di Zittau riporta la seguente prova: Prima pars patet, quod nota est, quia ex nihilo fit nihil. Quidquid autem est, fuit vel erit, ideo est, fuit aut erit, quia fieri potuit aut fieri potest. Quomodo enim fieret nisi fieri posset vel per deum immediate vel per causam aliquam secundam? Unde materia, id est (ut intelligibiliter dicam) posse fieri non est nihil secundum philosophos, sed mediam inter nihil et aliquid). |
Quinta tesi Da nessuna cosa al mondo deriva qualcosa di necessità e tuttavia dalla materia di necessità deriva tutto ciò che si genera naturalmente. Vedi al proposito il primo capitolo del secondo trattato del primo libro della Fisica. Analoga è la definizione di materia, quando Aristotele dice: "da questo si genera qualcosa, purché non sia solo accidentalmente immanente": perché il pulcino non si genera dall'uovo per il fatto di essere già un ente, ma è da ciò che può divenire pulcino, ovvero dalla potenza del pulcino che si genera il pulcino in atto, come è diffusamente spiegato nel primo capitolo del terzo trattato, dove egli precisa in che senso nessuna cosa si generi dall'ente e, similmente, nessuna dal non-ente; nel primo capitolo del dodicesimo libro della Metafisica, poi, egli vuole ribadire la stessa cosa. (La prima parte è comunemente riconosciuta come evidente, dal momento che dal nulla niente viene generato. E se qualsiasi cosa è, fu o sarà, in tanto è, fu o sarà in quanto poté essere generata o può essere generata. Ebbene, in che modo sarebbe generata se non avesse potuto esserlo o da Dio immediatamente o attraverso una qualche causa seconda? Ne deriva che la materia, e cioè (lo dico per farmi comprendere) il poter essere generato, non è considerata dai filosofi un nulla, ma una via di mezzo tra il nulla e il qualcosa). |
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59,422,10-21 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | L interpretazione della sesta tesi filosofica dipende dalla traduzione dell enunciato della tesi, che nel manoscritto di Kamenz suona: Si Aristoteles absolutam dei cognovisset potentiam, adhuc impossibile asseruisset materiam stare nudam . Nel testo allegato si è proposta invece la versione del manoscritto di Zittau. La diversità consiste soprattutto nell etiam iniziale. Secondo il manoscritto di Kamenz Lutero si opporrebbe all idea di una materia nuda preesistente alla creazione divina. Ma Aristotele non accetta mai che la materia sussista indipendentemente dalla forma e si è visto che nelle precedenti prove filosofiche Lutero più di una volta (ad es. in WA 59,412,6-10) mostra di conoscere questo principio. Ciò che il monaco agostiniano vuol mettere in luce in queste righe è la cocciutaggine di un Aristotele che non sarebbe receduto dalle proprie posizioni quand anche avesse conosciuto la potenza assoluta di Dio, alla quale nulla è precluso, neppure il far sì che la materia possa sussistere senza la forma. Non rappresenta dunque un problema, in riferimento alla dottrina della creazione, che Dio abbia creato il mondo a partire da una materia nuda , come si è ricordato più sopra a proposito del cahos Platonis (WA 59,420,15-17). Le tre argomentazioni portate da Lutero mettono semplicemente in mostra il fatto che nella filosofia aristotelica la materia è inconcepibile se separata dalla forma. La probatio del manoscritto di Zittau riassume in una riga il motivo del fatto che Aristotele non parli mai della materia indipendentemente dalla forma: egli - si dice - non considerò la necessità del poter essere generato (cioè della materia) se non sotto questo punto di vista. L accusa alla cocciutaggine di Aristotele diviene accusa alla chiusura di un sistema filosofico incapace di misurarsi con un evidenza, quale la potentia dei absoluta doveva apparire a Lutero, che la filosofia non poteva non considerare. | no | 1518 | Phys. II,2,194b,8-9; Metaph. IV,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 422 | potentia-dei-absoluta, cognoscere, materia-nuda, actus, forma, relativus, aliquid, imperfectum, perfectum, impossibilis, asserere, creatura, separare, ponere, destruere, relativum, minor, aliquid, accomodare, diversus | 87 | Sexta conclusio Etiam si Aristoteles absolutam cognovisset potentiam dei, adhuc impossibile asseruisset materiam stare nudam. Primo sic patet, impossibile est actum esse sine potentia in creaturis, ut omnes dicunt. Sed materia est potentia, forma vero actus, ergo non possunt separari. Secundo, relativa sunt simul natura. Et posito uno ponitur et reliquum, destructoque uno destruitur et reliquum, sed materia et forma sunt relativa, ergo non possunt separari. Minor patet per Aristotelem 2 Physicorum tractatus 2 capitulo 2, ubi dicit: "Insuper materia est eorum, quae sunt ad aliquid. Alia enim ad aliam accomodata est formam." Tertio, materia et forma differunt enim sicut imperfectum et perfectum, sed perfectum separari ab imperfectum in creaturis est impossibile, cum quaelibet res sit perfecta et imperfecta respectu diversorum, ergo. (Il manoscritto di Zittau riporta la seguente prova: Quia ipsum fieri non nisi sub ratione ea, opus consideravit). |
Sesta tesi Anche se Aristotele avesse conosciuto la potenza assoluta di Dio, ancora avrebbe asserito l'impossibilità che la materia sussista nuda. Questo è chiaro in primo luogo per il fatto che è impossibile che nelle creature si trovi un atto senza potenza, come tutti dicono. Ma la materia è potenza e la forma è atto, perciò non possono essere separate. Secondo. I relativi sono insieme per natura. Quando si sia posto uno, si pone anche l'altro, distrutto l'uno, è distrutto anche l'altro; ma materia e forma sono relative: di conseguenza non possono essere separate. L'evidenza della minore è attestata da Aristotele, nel secondo capitolo del secondo trattato del secondo libro della Fisica, dove dice: "Inoltre la materia è tra quelle cose che esistono in relazione a qualcosa. Una materia infatti è adatta a una certa forma, una materia ad un'altra." Terzo. Tra materia e forma sussiste di fatto la differenza che c'è tra l'imperfetto e il perfetto, ma è impossibile nelle creature che il perfetto venga separato dall'imperfetto, dal momento che qualsiasi cosa è perfetta ed imperfetta rispetto a cose diverse; di conseguenza la tesi è dimostrata. (Perché egli non considerò la necessità del poter essere generato se non sotto questo punto di vista). |
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59,423,4-10 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Anche per quanto riguarda la settima tesi le differenti lezioni dei manoscritti di Kamenz e di Zittau sono discriminanti ai fini dell'interpretazione della tesi e della relativa prova. La divergenza di Kamenz rispetto a Zittau consiste nella sostituzione di "ut materia" con "et forma". Ma la coppia potentia/forma è perlomeno inusuale (ci si aspetterebbe piuttosto potentia/actus o materia/forma). Nella prova inoltre non si parla mai di forma se non di sfuggita alla fine. Sarebbe strano, infine, che qui Lutero parlasse di infinite forme, quando nella terza tesi ha negato l'ipotesi di un mondo infinito proprio a partire dall'assurdità di un infinito numero di anime/forme in atto. Resta dunque aperta la possibilità della lezione potentia, ut materia (in caso ablativo). E questa sembra essere l ipotesi più credibile, dal momento che finora Lutero ha parlato proprio del concetto di materia. In questo modo inoltre si conserva l'evidente struttura antinomica della tesi, volta ad evidenziare come Aristotele da una parte ritenga che non ci sia alcun infinito in atto, ma poi, ut materia, accetti un infinito numero di cose. Occorre tener conto del fatto che, come si è visto nelle tesi e prove precedenti, al concetto di materia Lutero tende ad attribuire una qualche realtà. In questo senso il fatto che ci siano infinite cose ut materia significa per lui qualcosa di più che non una semplice infinita potenzialità. Le citazioni sono tratte esclusivamente dal quinto e dal sesto capitolo del terzo libro della Fisica, in un'area di testo molto ridotta. La prova viene divisa in due parti, ciascuna delle quali si riferisce ad una metà della tesi. Per provare l'affermazione aristotelica secondo cui non esiste infinito in atto Lutero ha solo l'imbarazzo della scelta: nel passo citato (Fisica III,5,204a,20-22; 204b,4-206a,8) il filosofo greco dice espressamente che non si dà l'esistenza di un infinito in atto o come sostanza e principio. | no | 1518 | Phys. III,5,204a,20-22; 204b,4-206a,8 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 423 | infinitum, actus, potentia, materia, compositum, substantia, principium, argumentum, probare | 81 | Septima conclusio Infinitum actu nullum est. Potentia tamen, ut materia, tot sunt, quot in rebus composita, iuxta Aristotelem. Prima pars claret et patet ex Aristotelis 3 Physicorum tractatus 2 capitulo 2, ubi inter cetera sic dicit: "Perspicuum autem infinitum sic esse non posse, ut actu sit et ut substantia principiumve" etc. Item capitulo 3 libro eodem multis argumentis perlongum probat. |
Settima tesi L'infinito non esiste in atto. Secondo Aristotele, tuttavia, in potenza (cioè come materia) ci sono tante cose quanti sono i possibili composti nelle cose. La prima parte è chiara ed evidente dal secondo capitolo del secondo trattato del terzo libro della Fisica aristotelica, dove egli, tra l'altro, si esprime in questi termini: "E' chiaro inoltre che l'infinito non può esistere come un essere in atto e come sostanza o principio" ecc. Analogamente nel terzo capitolo dello stesso libro egli produce un'ampia dimostrazione con molti argomenti. |
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59,423,11-424,9 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Un puro elenco di citazioni è apparentemente anche la seconda metà della prova, quella che dimostra che in Aristotele secondo la potenza (cioè come materia) ci sono tante cose quanti i possibili composti nelle cose. All inizio si richiamano i passi in cui il filosofo, precisando che l'infinito è per addizione o per divisione, conclude che esso rientra nell ordine di ciò che è in potenza, ma non nel senso che questa potenza sia prima o poi destinata a realizzarsi in un infinito in atto. Nella successiva citazione un quasi impercettibile scostamento del testo luterano dalla versione di Argiropolo crea un notevole cambiamento nel senso della frase. La citazione dice, nel testo di Argiropolo: et potentia sic est ut materies, et non per se ut ipsum finitum . La modifica introdotta da Lutero consiste nell eliminazione di ut. Risultato: salta la contrapposizione tra potentia e per se e inoltre a per se viene ad aggregarsi finitum. La traduzione che con il testo di Argiropolo suona: [l'infinito] è, come la materia, in potenza e non per se stesso, come invece è il finito , dopo questa modifica diviene: [l'infinito] è in potenza in quanto materia e per se stesso non finito . La probatio termina con un ulteriore richiamo alla Fisica in cui Aristotele definisce l'infinito come materia del compimento della grandezza e come intero in potenza, non in atto, aggiungendo che è anche inconoscibile, perché materia che non ha una forma. Interessante il contenuto della prova contenuta nel manoscritto di Zittau. Mentre la prima parte della tesi è giustificata con l'affermazione che un infinito in atto è evidentemente contraddittorio, la seconda viene sviluppata con un esempio. Il legno del quale un cucchiaio viene prodotto potrebbe essere impiegato per costruirne un altro e uno ancora diverso, e via via all infinito. Lo stesso vale per i composti: in questo senso ciascun composto è infinito secondo un infinita potenzialità. | no | 1518 | Phys. III,6,206a,14-17; 21-26; 206b,12-16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 423 | infinitum, potentia, actus, additio, divisio, magnitudo, materies, perfectio, forma, statua, res, potentia, contradictorium, lignum, coclear, compositum | no | Secunda pars patet ex eiusdem capitulo 4 tractatus 2, ubi sic dicit: "Dicitur itaque quippiam esse aut potentia aut actu et infinitum est additione ac etiam divisione. Magnitudo autem actu quidem infinita non est, uti diximus, divisione autem est". Et sequitur: "Restat igitur infinitum in ratione rerum potentia esse. Non oportet autem infinitum potentia sic accipi, ut tandem actu evadat quemadmodum, si potest hoc statua esse, erit hoc statua tandem". Et infra: "Alio ergo modo non est infinitum in rebus, sed hoc pacto potentia, inquam, et divisione et potentia sic est ut materies, et non per se ipsum finitum". In fine addit: "Infinitum enim materia perfectionis magnitudinis est, et id, quod est potentia totum non actu. Quapropter ignotum est ea ratione, qua est infinitum; materia namque formam non habet." (Il manoscritto di Zittau riporta la seguente prova: Primum patet, nam infinitum esse actu implicat contradictoria <...>tissime patet. Patet etiam secundum, quia ex ligno iam est coclear potuisset fieri aliud et aliud, et aliud etc. usque in infinitum. Et hoc idem dicendum est de singulis compositis. Ergo quodlibet compositorum, quae materia ex qua est potentia infinita infinitum.) |
La seconda parte è spiegata dal quarto capitolo dello stesso trattato, dove egli afferma: Si dice pertanto che una cosa o è in potenza o è in atto mentre l'infinito è per addizione o anche per divisione. La grandezza poi non è certamente infinita in atto, come abbiamo detto, ma per divisione . E segue: "Rimane così attestato che l'infinito è nell'ordine di ciò che è in potenza. Ma non si deve comprendere l'infinito in potenza così che alla fine si possa avere come risultato un infinito in atto, nello stesso senso in cui se questa cosa è in potenza una statua, prima o poi lo sarà realmente." E più sotto: "Di conseguenza, in nessun altro modo l'infinito si trova nelle cose, ma solo in questo, voglio dire in potenza e per divisione ed è in potenza in quanto materia e per se stesso non finito. Alla fine aggiunge: "L'infinito infatti è materia del compimento della grandezza ed è l'intero in potenza, non in atto. Per cui, nella misura in cui è infinito, è anche sconosciuto; poiché la materia non ha una forma." (La prima parte è chiara; che infatti sostenere l'esistenza di un infinito in atto implichi contraddizione, è chiarissimo. Anche la seconda parte è evidente, poiché dal legno dal quale un cucchiaio è già stato prodotto, potrebbero esserne prodotti uno diverso e uno ancora diverso e un altro ancora ecc. all'infinito. E questa stessa cosa si deve dire anche dei singoli composti. In conclusione, uno qualunque tra i composti, che di una tale materia sono fatti, è infinito secondo un'infinita potenzialità). |
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59,424,4-425,9 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Scopo dell'ottava tesi e della relativa prova è dimostrare da una parte la superiorità "morale" di Platone rispetto ad Aristotele, ma ancor più interessa a Lutero di usare il riferimento alla dottrina platonica per portare un attacco diretto all'ilemorfismo. L'idiosincrasia del monaco agostiniano per la distinzione tra materia e forma, rimasta finora implicita ma preparata da tutte le tesi precedenti, esplode ora improvvisa. Platone viene rivalutato per la sua religiosità. Aristotele, per contro, viene dipinto (come un ateo, o meglio un sacrilego) nell'atto del deridere le realtà separate e intelligibili. Violentemente contrapposto a Platone ("cui per omnia contrarius") egli vuole trascinare ciò che è separato e intelligibile verso il singolare e il sensibile e fino in fondo (penitusque) nel fango di ciò che è umano e naturale. Questa descrizione di un Aristotele che trascinerebbe l'intelligibile verso il sensibile presenta indubbiamente tratti di un procedimento neoplatonico. L'ilemorfismo viene smascherato da Lutero come il raffinato stratagemma di Aristotele ("Verum id facit astutissime") per abbassare l'intelligibile al livello del sensibile. Inoltre - prosegue Lutero - la forma è una quiddità: per questo solo fatto il filosofo greco ha già distrutto tutte le idee, ponendo al loro posto le forme e le quiddità congiunte alla materia e ridendosela (ridens) delle idee separate dalla materia. Lo Stagirita viene soprattutto criticato per il suo tentativo di mescolare e confondere immanente e trascendente, realtà sensibile e realtà intelligibile, materia e forma. Lutero si preoccupa infatti alla fine della prova di puntualizzare che le idee di Platone sono realmente separate e lo fa appellandosi all'autorità di Agostino, Giamblico e di non meglio precisati Platonici certatores (forse pensatori scolastici della scuola platonico-agostiniana). | no | 1518 | Metaph. I,6,987b,4-7; Phys. I,9,192a,16-17; II,2,194a,20-21; Metaph. IV,5,1010a,25; VII,10,1035a,8-9; Eth. Nic. I,4,1096a,11-1097a,14 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 424 | Plato, idea, ridere, divinum, immortale, separatum, aeternum, intelligibile, forma, materia, causa, scire, quidditas, Augustinus, Iamblichus, faeces, fluxus, scibilis, bonum, appetibile, destruere | no | Octava conclusio Aristoteles male reprehendit ac ridet Platonicarum idearum meliorem sua philosophiam. Pro declaratione: Quod philosophia Platonis melior sit philosophia Aristotelis, ex eo patet, quod Plato semper nititur ad divina et immortalia, separata et eterna, insensibilia et intelligibilia, unde et singularia, individua, sensibilia relinquenda censuit, quia non possent esse scibilia propter instabilitatem eorum. Cui per omnia contrarius Aristoteles ridet illa separata et intelligibilia et trahit ad sensilia et singularia penitusque humana et naturalia. Verum id facit astutissime: Primo, quia non potest negare illa individua esse fluxa, finxit aliud formam, aliud materiam, et ita res ut materia non est scibilis, set ut forma. Ideo dicit formam esse causam sciendi, et hanc vocat "divinum, bonum, appetibile" et huic intellectum tribuit. Et sic eludit omnium mentes, dum eandem rem dupliciter considerat. Secundo, ista forma est quidditas et tota eius Metaphysica ac sic iam ideas destruxit omnes, ponens loco earum suas formas et quidditates coniunctas materiae, et ridens ac negans ideas separatas a materia, ut patet in multis locis, praesertim 1 Metaphysicae, 1 Ethicorum etc. Quod autem ideae Platonis sint separatae, patet per beatum Augustinum, Iamblichum et omnes Platonicos certatores. Et sic patet, quod philosophia Aristotelis reptat in faecibus rerum corporalium et sensilium, ubi Plato versatur in rebus separatis et spiritualibus. |
Ottava tesi A torto Aristotele critica e deride la filosofia delle idee di Platone, che è migliore della sua. A titolo di spiegazione: Che la filosofia di Platone sia migliore della filosofia di Aristotele, appare chiaro dal fatto che Platone è sempre teso alle realtà divine e immortali, separate ed eterne, non legate al mondo sensibile ed intelligibili; e per questo valutò anche che dovessero essere lasciate da parte le cose singolari, individuali, sensibili, perché di queste è impossibile avere una scienza a causa della contingenza che è loro propria. Aristotele, a lui contrario sotto ogni aspetto, se la ride di quelle realtà separate e intelligibili e le trascina verso le cose sensibili e singolari e fino in fondo alle cose umane e naturali. E lo fa, a dire il vero, con grandissima astuzia: in prima istanza, non potendo negare la caducità di quelle cose individuali, immaginò che una cosa fosse la forma e un'altra la materia; in questo modo la cosa non è conoscibile come materia, ma lo è come forma. Perciò egli dice che la forma è causa della conoscenza, e la chiama "cosa divina, buona, desiderabile" e attribuisce ad essa un intelletto. E così riesce a sviare i tentativi di comprensione di tutti, mentre considera una stessa cosa da un doppio punto di vista. Secondo, una tale forma è una quiddità (qui c'è tutta la sua Metafisica) ma con ciò ha già distrutto tutte le idee, ponendo al loro posto le sue forme e le quiddità congiunte alla materia e deridendo e negando le idee separate dalla materia, come appare chiaramente in molti passi, soprattutto nel primo libro della Metafisica, nel primo libro dell'Etica, ecc. Che poi le idee di Platone siano separate, questo è evidente per la testimonianza di sant'Agostino, Giamblico e di tutti i disputatori platonici. E così si dimostra che la filosofia di Aristotele striscia nella feccia delle cose corporali e sensibili, là dove Platone si volge alle realtà spirituali e separate. |
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59,425,10-426,10 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | La tesi è il ricalco di un passo aristotelico (Metafisica I,6,987b,11-13). Evidente la polemica sottesa alla contrapposizione luterana ingeniose/ingeniosius: solo l'ignoranza di Aristotele poteva accantonare questi insegnamenti, ritenendo che l'imitazione pitagorica dei numeri e la platonica partecipazione delle idee fossero la stessa cosa. La prova è divisa in due parti, l'una riferita a Pitagora, l'altra a Platone, nelle quali non viene sviluppato il confronto delle due dottrine. La parte dedicata a Pitagora è una collezione di citazioni soprattutto aristoteliche, la caratteristica più evidente delle quali consiste nel riguardare solo in parte la filosofia di Pitagora, al punto che questa sembra essere un puro spunto per trattate della simbologia inerente alle diverse cifre. La parte della prova dedicata a Platone presenta a sua volta tratti inaspettati. Trascurando brani in cui la partecipazione delle idee alle cose sensibili viene spiegata con chiarezza molto maggiore Lutero riassume due brani del Parmenide (137C-141D; 142A-145E). L'uno - afferma Lutero - è esterno a tutte le cose e nello stesso tempo dentro tutte le cose. Viene citato a sostegno un brano di Agostino (De vera religione XVIII,35s.) nel quale si parla della presenza di Dio nel creato. Theobald Beer (Der fröhliche Wechsel und Streit - Grundzüge der Theologie Martin Luthers, Einsiedeln 1980, pp.130-132) indica una precisa terminologia di Lutero di fonte neognostica-neoplatonica, in particolare i termini numerus e indivisibilis, che in questa prova ricorrono rispettivamente otto e due volte. Anche il brano del Parmenide sintetizzato da Lutero nella seconda parte della prova è interpretabile nel senso di una ripresa del tema neoplatonico dell'exitus e del reditus. | no | 1518 | Metaph. I,5,985b,27-28; I,6,987b,11-13; Phys. III,4,203a,10-15; Eth. Nic. I,11,1100b,12-22; | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 425 | imitatio, numerus, res, Pythagora, Plato, participatio, idea, divisibilis, par, materia, quadratus, constantia, infinitum, iustitia, similitudo, disputatio, unum, nihil, separatio, intelligere, vere, pulcherrimus, induere | no | Nona conclusio Imitatio numerorum in rebus ingeniose asseritur a Pythagora, sed ingeniosius participatio idearum a Platone. Velut 3 Physicorum numerus impar est symbolum formae, quae est indivisibilis sicut imparitas, ideo et ideae sunt unitates et indivisibilitates apud Platonem. Item numerus pars est figura materiae, quia divisibilis et mutabilis. Item numerus quadratus significat constantiam, ut patet in Ethicis. Item numerus par significat infinitum, impar finitum, 3 Physicorum. Item senarius numerus iustitiarum. Et breviter, ut 1 Metaphysicae dicit: "In numeris videbant similitudines multas earum, quae sunt et fiunt". Secunda pars patet ex Platone in Parmenide, ubi pulcherrima disputatione primum exuit illud unum et ideam, donec omnia ei auferat et ipsum nihil esse relinquat. Rursum illud idem induit omnibus, donec nihil relinquitur, in quo non sit illud unum, et nihil sit, quod non inposito uno sit. Et sic est extra omnia et tamen intra omnia, quomodo et beatus Augustinus libro 1 De vera religione disputat. Ista autem participatio et separatio unius seu ideae magis potest intelligi quam dici, imo <...> intelligi quam vere est. |
Nona tesi L'imitazione dei numeri nelle cose è genialmente sostenuta da Pitagora, ma ancora più genialmente lo è la partecipazione delle idee da Platone. Da una parte, nel terzo libro della Fisica il numero dispari è il simbolo della forma, che, come ciò che è dispari, è indivisibile, e così anche le idee hanno per Platone il carattere di unità e indivisibilità. D'altra parte il numero pari è immagine della materia, che è divisibile e mutabile. E ancora, il numero elevato al quadrato significa perseveranza, come è scritto nell'Etica. Così nel terzo libro della Fisica il numero pari significa l'infinito, il dispari il finito. Il numero sei, poi, è quello che indica i tipi di giustizia. In breve, come Aristotele dice nel primo libro della Metafisica: "Nei numeri essi vedevano molte somiglianze con le cose che esistono e quelle che sono generate." La seconda parte è dimostrata da Platone nel Parmenide, dove con un bellissimo procedimento dialettico dapprima spoglia l'uno e l'idea, fino a che sia privato di tutto e rimanga che esso stesso non è più nulla. Di nuovo poi fa rivestire quel medesimo uno con tutte le cose, finché non rimanga nulla in cui quell'uno non sia, e nulla esista in cui l'uno non sia presente. E così l'uno è esterno a tutte le cose e tuttavia dentro tutte le cose, come nella trattazione di sant'Agostino nel primo libro del De vera religione. Questa partecipazione e separazione dell'uno o idea è però più intuibile che non esprimibile a parole, e perfino [...] intuibile che essa esista realmente. |
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59,426,11-13 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | Delle ultime tre tesi non sono state conservate le probationes. Ciò nonostante un'interpretazione può essere tentata tenendo conto del procedimento seguito da Lutero nelle prime nove. La decima tesi continua il paragone tra Aristotele e i filosofi a lui precedenti, dei quali viene ora preso in considerazione Parmenide. Il passo aristotelico a cui Lutero si riferisce è Metafisica I,5,986b,18-987a,2. Non a caso torna qui l'unica citazione biblica delle tesi filosofiche successive alle prime due. Il richiamo all'esempio del pugilato, tratto da san Paolo (1 Cor 9,26) indica che l'interesse di Lutero a Parmenide è ancora motivato da un'interpretazione religiosa del filosofo stesso. Interpretazione mediata ancora una volta dal neoplatonismo? Non è escluso che Lutero in questa tesi abbia presente la seconda proposizione del Liber XXIV philosophorum (cit. da Theobald BEER, Der fröhliche Wechsel..., cit., pp.530-539): "Deus est sphaera infinita, cuius centrum est ubique, circumferentia nusquam". Nella tesi non si parla di sfera, ma dell'uno; bisogna anche ricordare che l'uno sferico parmenideo non è infinito. Il termine sphaera è stato spesso usato da Lutero per esemplificare la propria teologia, ad esempio in WA 31/II,446,27-29: "Parvum punctum tribolationis et irae et misericordia est sempiterna et perpetua. Ja, lerne disze sphera machen: Derelictio est ipsum centrum: ipsa misericordia est infinita sphera". Altri passi luterani sul concetto di sphaera citati in BEER, op. cit., alle pp.123, 186, 288s., 386, 389. | no | 1518 | Metaph. I,5,986b,18-987a,2 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 426 | disputatio, unum, Parmenides, unum, verberare, christianus, venia, aer, pugnus |
80 | Decima conclusio Disputatio Aristotelis adversus unum illud Parmenidis "verberat" (christiano venia sit) "aera pugnis". |
Decima tesi La polemica di Aristotele contro l'uno di Parmenide "prende" (si passi l'espressione a un cristiano) "l'aria a pugni". |
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59,426,14-16 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | "Invito enim Aristotele" è un'allusione a quel passo della Metafisica (I,3,984a,11-18) in cui Anassagora viene criticato, non però per avere stabilito l'infinito come forma, ma per aver posto infiniti principi. Che anche qui Lutero alluda a tematiche religiose lo lascia intendere la probatio, relativa alla stessa tesi, che è contenuta nel manoscritto di Gotha (cfr. al proposito Helmar JUNGHANS, Die probationes zu den philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation Luthers im Jahre 1518, Lutherjahrbuch , 46 (1979), pp.21-23). L'autore non è certamente Lutero: verosimile però si presenta l'ipotesi che l'anonimo autore abbia tratto spunto anche da una preesistente prova di Lutero. Ecco una parte della lunga trattazione: "Ratio vero, qua Anaxagoras videtur, imo certe affirmatur posuisse infinitum forma, sumitur ex ipsius verbis, quae talia fuisse referuntur: "Unum est, quod melius est quam omnia simul". Istis certe verbis testatur esse bonum aliquod optimum sive summum et unum sive simplex (...) Sed videamus, ut semetipsum exponat Anaxagoras. Hic suum hoc unum Mentem vocat absolutam absolventem omnia quibusdam mediis etc. "Hoc unum, inquit, non est corporeum, sed forma quaedam ineffabilis incomposita sive simplex. Nempe Mens est. Et absoluta Mens, ut sit infinite simplex, impermixta summe, seu (melius dici non potest) absoluta ab omni potentialitate (ut vocant), ut sit actu pura, absoluta ab omni compositione, ut sit summe simplex, absoluta ab omni mutabilitate, ut sit simpliciter aeterna. Ista enim omnia concomitantur imo coincidunt in absoluto simpliciter, illud non possit esse nisi infinitum." (Cfr. Otto CLEMEN, Beiträge zur Lutherforschung, Zeitschrift für Kirchengeschichte , 26 (1905), p.398). Il prosieguo della prova spiega che questo principio è la causa di tutto e insiste sulle virtù morali di Anassagora che avrebbero fatto di lui un cristiano ante litteram. |
no | 1518 | Metaph. I,3,984a,11-18 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 426 | Anaxagoras, infinitum, forma, optimus, philosophus, invitus | 82 | Undecima conclusio Si Anaxagoras infinitum forma posuit, ut videtur, optimus philosophorum fuit, invito etiam Aristotele. |
Undicesima tesi Se Anassagora ha posto, come sembra, l'infinito come forma, è stato il migliore dei filosofi, anche a dispetto di Aristotele. |
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59,426,17-19 | Die philosophischen Thesen der Heidelberger Disputation mit ihren Probationes | La tesi si propone come il punto in cui Lutero tira le somme della parte filosofica della disputa. L'accusa è chiara: tutta la filosofia di Aristotele è una pura accozzaglia di parole sostanzialmente tutte di uguale significato. Il collasso finale del sistema aristotelico su se stesso è stato infatti accuratamente preparato da Lutero. Nelle prime due tesi e prove egli pone come premessa generale che chi non conosce Cristo non può ben filosofare, perché farebbe cattivo uso delle cose migliori (WA 59,409,1-410,12). Nella terza e quarta tesi sgombra il campo dall'obiezione che il suo Aristotele non sia l'Aristotele storico, dimostrando l'erroneità dell'interpretazione scolastica in tre punti fondamentali: l'eternità del mondo, l'immortalità dell'anima, l'unicità della materia (WA 59,410,13-421,20). Contemporaneamente afferma, nella quinta argomentazione secundum principia, che "una res est materia, forma, compositum". (WA 59,413,3-4) Nel corso della stessa prova accusa Aristotele di ritenere il movimento "actus, qui est potentia, imo privatio" (WA 59,414,24-25) e di definire la scienza da una parte "idem, quod res ipsa intellecta" (WA 59,417,18) e dall'altra "ipsum compositum ex duobus intellectibus" (WA 59,417,19). Nella quinta e nella settima tesi (WA 59,422,1-9; 423,4-424,3) mette in rilievo l'inevitabile antinomia a cui due proposizioni aristoteliche danno luogo; nella sesta (WA 59,422,10-423,3) indica l'assurdità delle conclusioni che derivano dai principi del filosofo greco. Nell'ottava tesi (WA 59,424,4-425,9) mostra come l'ilemorfismo consenta di considerare ogni cosa "dupliciter". Nelle tesi infine che vanno dall'ottava fino all'undicesima (WA 59,424,4-426,19) si scaglia contro il pregiudizio che vede Aristotele come il filosofo per eccellenza. Il fine di Lutero è evidente: smontare la filosofia con la filosofia, dimostrando che il philosophari in Christo della prima tesi conduce necessariamente all'autonegazione della filosofia stessa, alla sua interna contraddizione. | no | 1518 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 426 | privatio, materia, forma, mobile, immobile, actus, potentia, idem | 71 | Duodecima et ultima conclusio Apud Aristotelem videtur idem esse privatio, materia, forma, mobile, immobile, actus, potentia etcetera. |
Dodicesima tesi E' evidente che in Aristotele la privazione, la materia, la forma, il mobile, l'immobile, l'atto, la potenza, ecc. sono una stessa sola cosa. |
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59,500,2074-2079 | Disputatio inter Ioannem Eccium et Martinum Lutherum | Lutero risponde a una precisa domanda di Eck, che lo aveva accusato di condividere molte dottrine di Wyclif e Hus. E su questo delicatissimo punto - che Eck alla fine della disputa riuscirà a sfruttare in suo favore - Lutero sorvola, appellandosi a un autore riconosciuto ortodosso come Gregorio da Rimini. Sull influenza esercitata da Gregorio da Rimini su Lutero esiste un ampia letteratura (rintracciabile in Adolar ZUMKELLER, Erbsünde, Gnade, Rechtfertigung und Verdienst nach der Lehre der Erfurter Augustinertheologen des Spätmittelalters, Würzburg, Augustinus-verlag 1984). Sempre Zumkeller ha messo in rilievo che a Gregorio da Rimini e ad altri appartenenti all ordine degli Eremitani di sant Agostino Lutero deve anche alcuni temi della sua critica ad Aristotele (Die Augustinertheologen Simon Fidati von Cascia und Hugolin von Orvieto und Martin Luthers Kritik an Aristoteles, Archiv für Reformationsgeschichte , 54 (1963), pp.15-37. | no | 1519 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 500 | Gregorius-Ariminensis, Augustinus, scriptura, resistere, doctores, scholastici, confutare | 194 | Item ultimo de articulis Bohemicis non vult iudicare licet nunquam desistat me sugillare, et ego de eis transeo, nihil dicens nisi quod Gregorium Ariminensem distinctione xxviii. reprobatum ab egregio domino doctore, ego approbo. Est enim totus aliud nihil quam Augustinus et divina scriptura, resistens quidem omnibus doctoribus scholasticis tum maxime Aristoteli, sed nondum ab ullo confutatus. | Allo stesso modo infine Eck non vuole dare un giudizio sugli articoli dei Boemi, sebbene non la smetta mai di infamarmi; io comunque voglio soprassedere, non dicendo nulla se non che approvo la ventottesima distinzione di Gregorio da Rimini, condannata dall egregio signor dottore. Questo autore infatti è tutto Agostino, divina scrittura e nient altro. Egli si oppone a tutti i dottori scolastici, soprattutto ad Aristotele, ma non è stato ancora confutato da nessuno. | ||
59,577,4538-4541 | Disputatio inter Ioannem Eccium et Martinum Lutherum | L argomento del contendere è l inizio della penitenza. Eck sostiene che il primo moto dell anima verso Dio, ispirato dalla grazia divina, è un moto di timore, di vergogna e di dispiacere per i propri peccati; Lutero, che in questa posizione vede un eccessiva presenza della volontà umana a scapito della grazia, ritiene che il primo moto dipenda dalla libera volontà dell uomo rinato per opera della grazia stessa. Per difendere le sue posizioni egli non esita (come già in precedenza nel corso della stessa disputa, cfr. WA 2,370,7-11 e anche in seguito, come nelle Resolutiones relative, cfr. WA 2,422,31-35), ad opporre ad Eck il suo Aristotele, e sottolineando anche con alcune espressioni ( admiror , receptissimis verbis ) la sua meraviglia per il fatto che Eck non sembra conoscere una dottrina tanto famosa. | 168no | 1519 | Eth. Nic. III,5,1113b,3-20 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 577 | lumen-naturae, virtus, initium, timor, voluntarius, opus-bonum, libera-voluntas | 51, 120 | Et satis admiror egregium dominum doctorem, quod oblitus luminis naturae Aristotelis audeat statuere alicuius virtutis initium in timore urgente, cum ille tot verbis iam receptissimis, iii. Ethicorum, persuadere conetur, oportere esse voluntarium opus bonum et libera voluntate fieri. | E sono abbastanza meravigliato del fatto che l egregio signor dottore, dimenticandosi di Aristotele, luce della natura, osi identificare l inizio di qualche virtù con il timore urgente. Aristotele invece, con tante espressioni ormai universalmente note, nel terzo libro dell Etica Nicomachea tenta di convincere il lettore che l opera buona è necessariamente volontaria e derivante da libera volontà. | |
9,170,1-9 | Eine Äußerung Luthers über die Heidelberger Disputation | Questa dichiarazione, apposta al termine di un manoscritto della Disputa di Heidelberg (1518) che si trova nella biblioteca consiliare di Zittau, nell ex-Ddr, è una piccola summa della critica luterana ad Aristotele. Questi i temi toccati: 1. l incomprensione scolastica di Aristotele; 2. la rivendicazione di un interpretazione nuova e più fedele del testo aristotelico; 3. l inutilità del pensiero aristotelico in teologia e perfino in filosofia; 4. l'accusa, rivolta direttamente ad Aristotele, di essere un mero prestigiatore di termini vuoti e astratti, ancorché imposti a tutta la filosofia occidentale (praescriptis). Di particolare importanza il terzo e il quarto punto. Con la Disputa di Heidelberg, infatti, Lutero si propone tra l altro di insegnare ai cristiani che sicut libidinis malo non utitur bene nisi coniugatus, ita nemo philosophatur bene nisi stultus, id est christianus (WA 56,409,20-21). Si può quindi philosophari bene anche (anzi, soprattutto) senza Aristotele. L elenco di concetti aristotelici che conclude la dichiarazione è infine un richiamo alla dodicesima tesi filosofica della disputa. Di tutti i termini qui citati Lutero afferma solo videtur idem esse . (WA 56,426,18-19), alludendo a una sostanziale identità e insensatezza dei concetti stessi. Da notare infine il ricorrere di verbi come nugari e cavillari e di sostantivi come somnium e sophista. | 276 | 1528 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 170 | sophista, somnium, sensus, philosophia-naturalis, theologia, cognitio-rerum, materia, forma, motus, finitum, tempus, nugari, cavillari, ostendere, sententia, aberrare, liber, tradere, adiumentum, praescribere, concipere | 172, 70, 259 | He conclusiones sunt a me ideo tractatae ac disputatae, ut ostenderem, primo quam longe lateque ab Aristotelis sententia aberrarint omnium Scholarum Sophistae ac plane sua somnia in Aristotelis non intellecti libros invexerint. Deinde ut, si quam maxime sensum eius teneamus (quemadmodum hic tradidi), tamen prorsus nihil adiumenti ex ipso haberi possit non solum ad Theologiam seu sacras litteras, verum etiam ad ipsam naturalem philosophiam. Quid enim iuvet ad rerum cognitionem, si de materia, forma, motu, finito, tempore nugari et cavillari queas verbis ab Aristotele conceptis et prescriptis? | Queste tesi sono state da me dimostrate e pubblicamente difese in primo luogo per dimostrare che i sofisti di tutte le scuole si sono allontanati di molto e su molti argomenti dal pensiero di Aristotele, visto che nelle opere di un Aristotele non capito non hanno trovato altro che i loro sogni. In secondo luogo ne ho trattato in modo tale che, anche se ci atteniamo con la maggior precisione possibile al significato delle sue parole (così come io l ho reso in queste tesi), non si possa lo stesso trarne il benché minimo aiuto non solo per la teologia o per le sacre scritture, ma perfino per la stessa filosofia naturale. Che utilità ha infatti, ai fini della conoscenza delle cose, sapersi trastullare e arzigogolare sulla materia, la forma, il moto, il finito, il tempo, usando i termini coniati e sanciti da Aristotele? | ||
10 I 1, 327,6-10 | Weihnachtspostille. Epistel am Sonntag nach dem Christtage, Gal. 4,1-7 | La dottrina aristotelica della virtù etiche viene qui citata nell ambito di una predica e quindi necessariamente volgarizzata in modo da far comprendere al popolo cosa voglia veramente dire Aristotele. Il giudizio su un tale insegnamento è il consueto, di condanna: una dottrina che antepone le opere alle persone non può che essere anticristiana. Lutero in questi anni considera la teoria aristotelica delle virtù morali come puramente esteriore, consistente in un puro ripetersi di atti esterni, tale da non richiedere un mutamento nella natura della persona. Questa però secondo Lutero è la giustizia di Caino, che pensava di piacere a Dio per i suoi sacrifici. Conclude il passo il lamento per il dominio di Aristotele nei punti-chiave dell elaborazione culturale: conventi, capitoli e università. | 758 | Po. 28 | 1522 | Eth. Nic. II,1,1103b,1s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 327 | gutt, schrifft, werck, person, (natur), hohe-schule, stifft, kloster, teufflisch, lere, regirn, Cainisch, heylig | 133 | Denn alszo hatt Aristoteles geleret: wer viel gutts thutt, der wirt dadurch gutt, darauff hafftet sie fest, und alszo keret sie die schrifft umb, meynett, Gott soll die werck tzuvor ansehen und darnach die person. Solch teufflisch lere regirn itzt ynn allen hohen schulen, stifften und klostern unnd sind allesampt eyttel Caynsche heyligen, die gott nitt ansihet. | Infatti così ha insegnato Aristotele: chi opera costantemente il bene, attraverso ciò diviene buono e con questo processo la natura si consolida. In questo modo essa rovescia del tutto le scritture, ritenendo che Dio sia tenuto a considerare prima l opera e poi la persona. Una tale dottrina del demonio oggi regna in tutte le università, nei capitoli e nei monasteri; sono tutti quanti nient altro che santi per le opere di Caino, ma Dio non li considera nemmeno. |
10 I 1,387,22-388,5 | Weihnachtspostille. Evangelium am Sonntag nach dem Christtage. Luk. 2, 33-40 | Aristotele è visto da Lutero come il cardine di un operazione volta a togliere ogni influsso alle sacre scritture, operazione che ha il suo centro nelle università. Ma secondo Lutero a questo tentativo occorre reagire chiarendo l incommensurabilità tra la parola divina delle scritture e il discorso puramente umano che caratterizza la filosofia. Le contaminazioni indebite, al contrario, si devono considerare sacrileghe, come il verbo entweyhen rivela. | 758 | Po. 29 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 388 | schrifft, vorstandt, vornunft, entweyhen, werck, lere, menschengesetz, Bapst, decretal, hohe-schule, mutwillen, schande, olgotze, sund | 242 | Das sind alle, die mit der schrifft yhren mutwillen treyben, machen sie tzu schanden, tzihen sie auff menschlichen vorstand und furen den olgotzen, die vornunfft, hyneyn, machen werck, lere und menschengesetz drausz, tzuletzt entweyhen und tzubrechen sie hyn gar unnd treyben alle sund und schand drynnen, wie der Bapst durch seyn Decretal, und die hohen schulen durch yhren Aristotel thun und than haben. | Questi sono tutti coloro che alimentano la loro petulanza con la Scrittura, che la svillaneggiano, che la interpretano sul piano dell intelligenza umana, vi introducono gli idoli, la ragione, trasformando la Scrittura in opera, insegnamento e legge umana e infine la dissacrano e la distruggono del tutto, introducendovi ogni specie di peccato e di vergogna, come fanno e hanno fatto il papa con le sue decretali e le università con il loro Aristotele. | |
10 I 1,422,12-18 | Weihnachtspostille. Evangelium am Sonntag nach dem Christtage. Luk. 2, 33-40 | IL PASSO IN ESAME VERTE Sempre sul rapporto Aristotele-sacre scritture. Lutero sta commentando Lc 2,36-37, in cui si parla della sacerdotessa Anna, che fu sposa in gioventù per sette anni e che dopo la morte del marito si dedicò al tempio fino all età di ottantaquattro anni, quando Gesù fu presentato al tempio. E proprio sul numero 84 che Lutero si sofferma, ponendo in risalto la sua natura simbolica e precisando che la Bibbia fornisce al credente criteri interpretativi della realtà tali che egli può tranquillamente fare a meno in eterno della filosofia profana. | 758 | Po. 29 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 422 | geystlich, deuttung, sieben, vierundachtzig, wittwe, man, Biblia, tzall, schicklickeyt, Christ, menschen-lere, studirn | 198 | Zum funfften kommen wyr noch tieffer ynn die geystlichen deuttungen. Sie ist sieben iar ehlich und mit yhrem man, darnach vierundachtzig iar eyne wittwe on man. Es sollt woll die gantz Biblia alleyn ynn diszer iar tzall begriffen und erfunden werden, wer tzeytt und schicklickeyt dartzu hette. Auff das man aber sehe, wie gar nichts wyr Christen bedurfften Aristotelis odder menschen lere, sondern tzu ewigen tzeytten gnug ynn der schrifft zu studirn funden. | 5. E ora andiamo ancora più a fondo nell interpretazione spirituale. Anna è sposa per sette anni, accanto a suo marito, poi per ottantaquattro anni vedova senza marito. Tutta la Bibbia potrebbe essere compresa e riscoperta in questo numero di anni, solo che qualcuno avesse il tempo e la competenza per farlo. A questo proposito comunque noi cristiani non abbiamo affatto bisogno della dottrina di Aristotele e degli insegnamenti umani: nelle scritture troviamo materia di approfondimento sufficiente per un eternità. | |
10 I 1,472,1-12 | Weihnachtspostille. Epistel am Neujahrstage, Gal. 3, 23-29 | Non si deve cercare in Lutero una equilibrata descrizione della dottrina dei suoi avversari; la dottrina cattolica del peccato originale viene presentata in modo semplificatorio, come se il peccato di Adamo non avesse lasciato alcuna conseguenza sulla natura dell uomo. Lutero ha buon gioco a questo punto a concludere che i papisti rigettano le sacre scritture. A questo proposito, il basarsi sulla filosofia aristotelica viene visto in questo brano da Lutero proprio come una punizione divina per aver voluto abbandonare la fede in Cristo e nella scrittura. Per questo Aristotele non può essere descritto che come morto, dannato e pagano. Tre termini che, agli occhi di Lutero, dovevano sembrare sinonimi; la morte e la dannazione vengono proprio dal non aver conosciuto la Rivelazione cristiana, com è sottolineato dalla contrapposizione degli aggettivi lebendig/todt. | 758 | Po. 30 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 472 | papist, natur, unuorruckt, gott, sunde, todt, vordampt, heyd, teuffels, heymlich-gemach, gesetz, menschen-lere, finsternis, fall, Adam, feynd, Moses, schimpff, wircken | 46, 284 | Darausz folgett, das die Papisten nit anders von der natur reden unnd glewben, denn als were sie noch unuorruckt, wie sie fur dem fall ynn Adam war, glewben nitt, das sie ynn sunden gantz vorterbet und gottis feynd sey. Denn gott ist sunden feynd, szo ist die sunde gott feynd, wie paulus .Ro. 5. und .8. leret. Szo glewben sie gewiszlich nit dem, das Moses schreybt von Adamsz fall Gen. 3., oder hallten denselben fall fur eynen schimpff, der nichts ynn der natur gewirckt habe, und habe sie nit sundlich gemacht und gottis tzorn unterworffen. Weyl sie denn nu Mosi nit glewben, Christum nit bedurffen, und alszo new und allt testament furwerffen, die lebendige gantze schrifft vordammen, ist yhn widderumb von gott recht geschehen, das sie des todten vordampten heyden Aristotels schuler wordenn sind und des teuffels heymlich gemach, der sie durch Bapst gesetz und menschen lere vollschlemmet. | Ne consegue che i papisti non possono che PARLAre e concepire LA NATURA come SE essa fosse ancora incorrotta com era prima della caduta di Adamo; non credono che essa si sia rovinata nei peccati e sia nemica di Dio. Se Dio infatti è nemico del peccato, anche il peccato è nemico di Dio, come Paolo insegna nel quinto e nell ottavo capitolo della lettera ai Romani. Essi dunque certamente non credono a ciò che Mosè scrive della caduta di Adamo nel terzo capitolo della Genesi, o ritengono che la stessa caduta sia uno scherzo che non ha sortito alcun effetto sulla natura e non l ha resa peccatrice e soggetta all ira divina. Poiché dunque essi non credono in Mosè, non hanno bisogno di Cristo, rigettano il Nuovo e il Vecchio Testamento e condannano l intera scrittura vivente, a buon diritto è accaduto a loro volta per opera di Dio di essere diventati allievi del morto, dannato, pagano Aristotele e dimore nascoste del diavolo, che li infanga da cima a fondo con leggi papali e dottrine mondane. | |
10 I 1,567,11-22 | Weihnachtspostille. Evangelium am Tage der heiligen drei Könige. Matth. 2, 1-12 | L ironia di Lutero si rivolge ai trattati aristotelici di scienze naturali. L intento è quello di dipingere un Aristotele inutile alla comprensione non solo della teologia, ma anche delle scienze, come Lutero stesso dirà sei anni dopo: tamen prorsus nihil adiumenti ex ipso haberi possit non solum ad Theologiam seu sacras litteras, verum etiam ad ipsam naturalem philosophiam (WA 9,170,5-7). In realtà però, più che esercitare una critica Lutero propone una parodia dell aristotelismo. Da una parte infatti Aristotele insegnerebbe solo ovvietà: che l acqua è bagnata, che il fuoco è secco e via dicendo, dall altra vere e proprie assurdità. A questo proposito però già Friedrich Nitzsch (Luther und Aristoteles. Festschrift zum 400jährigen Geburtstage Luther s, Kiel 1883, p.11) ricordava che questa critica è fondata su una Consequenzmacherei (ibidem) tutta luterana. Se è vero infatti che Aristotele paragona le radici delle piante alla parte superiore dell uomo non per questo egli intende dire che la terra allora sta in alto e il cielo sta in basso, né tanto meno che l uomo è un albero rovesciato. Le critiche di Lutero sono qui tanto ingenerose quanto ingegnose e senza dubbio venate di ironia. Serissimo però l assunto generale, che mira a squalificare Aristotele in un campo in cui la sua autorità era tenuta nella massima considerazione. | 758 | Po. 33 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 567 | edel, licht-der-natur, heydnische-meyster, ertzmeyster, hohe-schule, Christus, hoch-berumpt, steyn, schweer, fedder, leycht, wasser, nasz, fewr, trocken, meysterstuck, erde, hymel, wortzell, bawm, gewechsz, tzweyg, narung, mensch | 12, 55, 243 | Hie ist das edle licht der natur, der heydnische meyster, der ertzmeyster aller naturlichen meyster, der itzt alle hohen schulen regirt und leret an Christus stat, der hoch berumpt Aristoteles, der hatt geleret und leret sie auch noch, das eyn steyn schweer ist und eyn fedder leycht, das wasser sey nasz unnd das fewr sey trocken. Item eyn szonder meysterstuck, das die erden sey oben und der hymel unden, wilchs beweyst er damit: denn die wortzell an den bawmen und allem gewechsz sticken ynn der erden und die tzweyge gehn gegen hymell. Nu ist yhe das oben, da man die narung mitt schepfft, unnd das unten, da sich die narung hyn gibt, wie wyr am menschen sehen. darumb ist der mensch eyn vorkereter bawm, und alszo, wenn die fedder fleugt, szo fleugt sie unter sich, wenn der steyn felt, so fellet er ubir sich. | E qui ecco la nobile luce della natura, il maestro pagano, il maestro in capo di tutti i maestri naturali, che al giorno d oggi domina in tutte le università e insegna al posto di Cristo, il famosissimo Aristotele, che ha insegnato e continua a insegnare a loro che una pietra è pesante e che una piuma è leggera, che l acqua è umida e che il fuoco è secco. E allo stesso modo insegna - e questo è un capolavoro unico - che la terra sta sopra e che il cielo sta sotto, cosa che egli dimostra dicendo che le radici negli alberi e in tutte le piante sono nella terra e che i rami tendono verso il cielo. Ora la parte superiore è quella che assorbe il nutrimento, la parte inferiore è quella in cui il nutrimento penetra, come noi vediamo nell uomo. Perciò l uomo è un albero a rovescio, e così, quando la piuma vola, vola verso il basso, quando la pietra cade, cade verso l alto. | |
10 I 1,567,22-568,3 | Weihnachtspostille. Evangelium am Tage der heiligen drei Könige. Matth. 2, 1-12 | Lutero riassume in poche righe i motivi della sua avversione ad Aristotele. Dopo aver accennato (nel brano appena precedente, WA 10 I 1,567,11-22) all inutilità delle scienze naturali considerate in prospettiva aristotelica, si passa ad argomenti cosmologici, psicologici e teologici. Lutero ribadisce la sua tesi secondo cui Aristotele asserisce sia l eternità del mondo sia la corruttibilità dell anima umana. Il fatto che Lutero citi in questo contesto anche l anima umana sembra rimandare all argomento medievale dell infinità delle anime, più volte enunciato da Lutero, che mette in relazione proprio l eternità del mondo con la corruttibilità dell anima umana (cfr. WA 59,410,13-20). Consueta anche la descrizione - ai limiti della caricatura - del dio aristotelico, al quale Lutero rimprovera soprattutto l ignoranza dei destini umani. Il dio di Aristotele, inoltre, è ultimamente dipendente dal caso; e come si dipinge la dea fortuna bendata mentre imprime il movimento alla ruota, così il motore immobile muove i cieli alla cieca, comunica il movimento a qualcosa che non conosce e non vede. | 758 | Po. 33 | 1522 | Metaph. XII,7,1072b,14s.; De caelo II,1,283b,26-30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 567 | ubirste, wellt, ewickeytt, seele, sterben, leyb, hymell, sehen, blind, glück | 76 | Weytter, da er kompt tzu reden von dem ubirsten, beschleust er, das die wellt sey von ewickeytt szo geweszen unnd bleybe alszo, und alle seelen sterben mit dem leybe. Und der ubirste sitz ubir dem hymell unnd sihet gar nichts, was yrgen geschicht, szondernn wie man das blind glück malet, ruttelt er den hymell rumb ewiglich alle tage eyn mall, da komptt denn eyn iglich ding, wie es kompt. | Inoltre, poiché passa a trattare dell Altissimo, Aristotele stabilisce che il mondo è fatto dall eternità così com è ora, che sarà sempre così e che tutte le anime periscono insieme al corpo. L Altissimo, poi, sta seduto sopra il cielo ma non vede un bel nulla di ciò che accade; in compenso, come si suole dipingere la cieca fortuna, allo stesso modo egli imprime un movimento circolare al cielo, una rotazione al giorno per tutta l eternità, e in questo modo ogni cosa diviene ciò che è. |
10 I 1,568,3-13 | Weihnachtspostille. Evangelium am Tage der heiligen drei Könige. Matth. 2, 1-12 | Lutero si confronta con la tradizione interpretativa che nella figura dei re magi legge i sapienti del paganesimo, che hanno aspettato, magari inconsciamente, l avvento del redentore. Una tradizione che naturalmente egli rifiuta e prova ne è la sua condanna di quello che la tradizione considera il filosofo più conciliabile con il cristianesimo: Aristotele. Il dio aristotelico, argomenta Lutero, non potendo sopportare di vedere il male perché la sua beatitudine ne verrebbe sconvolta, è simile a una donna che culla un bambino nella notte, senza vederlo. Lutero vuole sottolineare il paradosso di un dio che governa il mondo (come il verbo regieren lascia intendere: ma per Aristotele più che di governo si tratta di trasmissione del movimento) senza conoscerlo, senza vederlo, senza entrare in rapporto con esso. Il tradizionale rapporto tra Aristotele e il cristianesimo è quindi da ribaltare, come Lutero affermava già nel 1517: Error est dicere: sine Aristotele non fit theologus. (...) Immo theologus non fit nisi id fiat sine Aristotele. (WA 1,226,14-17). | 758 | Po. 33 | 1522 | Metaph. XII,7,1072b,14s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 568 | ursach, ding, sehen, bösze, unrecht, unlustig, lust, wellt, blintzlich, regirn, fraw, kind, wigen, nacht, kunst, hohe-schule, parreth, Magister-artium-unnd-philosophie, theologus, heylige-schrifft, vorstehen, ketzer, Christ, volck, Magi, tzeuber, keuckeler, rasend, toll, unsynnig | no | Und ist sein ursach: solt er alle dinge sehen, wurd er viel böszes unnd unrechts sehen, davon wurd er unlustig; das er nu seyn lust behallte, soll er nichts sehen, denn sich selb, unnd alszo die wellt blintzlich regirn, gleych wie die fraw das kind wigett ynn der nacht. Ditz ist die kunst der hohen schulen, wer das kan oder lernet, dem setzt man eyn braun parreth auff und sagt: Wirdiger herr Magister artium unnd philosophie. Wer disze kunst nit kan, der kan keyn Theologus werden noch die heylige schrifft vorstehen, ia, er musz eyn ketzer seyn und mag nymmer eyn Christen werden. Sage du myr, wie sollen wyr das volck nennen? sie sind widder Magi noch tzeuberer noch keuckeler, szondernn rasend, toll und unsynnig. | E questa è la causa di un tale comportamento: se egli vedesse tutte le cose, dovrebbe vedere anche molti mali e molte ingiustizie, il che lo renderebbe triste; ora, per mantenere il suo stato di beatitudine, egli non deve vedere nulla all infuori di sé e governare il mondo come una donna che culla un bimbo nella notte. Questa è la scienza delle università! E a chi sa o a chi insegna queste cose, si sistema un berretto marrone sulla testa e lo si chiama egregio signor maestro d arti e di filosofia . Chi invece non capisce questa scienza, non può diventare teologo né capire la sacra scrittura; anzi, è sicuramente un eretico ed è escluso che possa mai diventare un cristiano. Ma dimmi tu: come dobbiamo chiamare questa genia? Essi non sono Magi, ma neanche maghi né giocolieri, ma pazzi, furiosi e stupidi. |
10 I 1,569,7-24 | Weihnachtspostille. Evangelium am Tage der heiligen drei Könige. Matth. 2, 1-12 | Non c è bisogno di Aristotele per sapere quali sono le qualità elementari della natura. Come Lutero aveva affermato in precedenza (cfr. WA 10 I 1,567,11-22) la scienza naturale di Aristotele è semplicemente un modo intellettualistico di esporre verità che sono note a tutti, quando non diventa addirittura una fonte di informazioni errate o assurde o una forma di aperta opposizione a Cristo. Qui Lutero sta commentando due versetti di Paolo (Col 2,8 e 1Tim 6,20s.) in cui l Apostolo condanna le dottrine pagane. Lutero riprende gli stessi termini paolini (come falsch berumpte kunst) e li attribuisce ad Aristotele, nel senso che a suo giudizio in questi passi Paolo intendeva prendere di mira proprio la filosofia di Aristotele. L atteggiamento di Lutero nei confronti della scienza è un rifiuto in nome dell esperienza e del senso comune (erfarung unnd gemeyn wissen); l aspetto pratico ha la netta prevalenza su quello teoretico. Non ha quindi grande importanza il chiedersi il perché dei fenomeni e la ragione di ciò è ultimamente teologica. La scienza infatti può indagare sulle cose ma non riesce a capire - Lutero qui lo afferma chiaramente - quale sia la radice ultima del loro essere, perché questo è compito della teologia. Da notare anche la coerenza di Lutero nel qualificare le azioni che stanno interamente nel dominio dell uomo, come dimostra il paragone con un brano della Genesisvorlesung: Item eo, quod Philosophi disputant: Rectam rationem esse causam omnium virtutum. Haec quidem non nego esse vera, cum transferuntur ad res rationi subiectas, ad gubernandas pecudes, aedificandam domum, conserendum agrum. Sed in rebus superioribus non sunt vera . (WA 42,107,28-31). Da notare infine la gran copia di termini assunti dal linguaggio comune: stern, steyn, holtz, thier, fewr, wasser, erbeyt, acker, fihe, hawsz, kind. E la vita comune che Lutero intende contrapporre a un mondo fatto di astrusità accademiche. | 758 | Po. 33 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 569 | ubirster-meyster, hohe-schule, nerricht, naturlich-kunst, unchristlich, eyttel, falsch-berumpt, rum, krafft, stern, steyn, holtz, thier, erfarung, gemeyn-wissen, fewr, heysz, wasser, kalt, feucht, erbeyt, acker, fihe, hawsz, kind | 13, 186, 187, 188, 244 | So musz yhe yderman bekennen, das Aristoteles, der ubirster meyster aller hohen schulen, nicht alleyn gar nichts von Christo leret, szondernn eytell solch nerricht ding, wie gesagt ist, das wol der Apostel gepeut, wyr sollen die lere behalten, die uns tzur hütt befolhen ist, und nennet die naturlich Aristoteles kunst unchristlich, eyttele wortter, da nichts hynder ist, datzu eyn widersatz gegen Christo, das doch nur sey eyn falsch berumpte kunst; wie hette er klerlicher kund deutten, denn das er sie eyn falsch berumpte kunst nennet? Es ist kein grosser rum denn von Aristotels kunst ynn den hohen schulen, und ist doch der rum falsch; denn die kunst ist nichts, nur eyn widersatz und Christo tzuuortilgen auffkommen. Darumb, lieber mensch, lasz naturlich kunst faren; weystu nit, was krafft eyn iglich stern, steyn, holtz, thier odder alle creatur hatt, darnach die naturlich kunst trachtet, wenn sie gleych am besten tracht, szo lasz dyr benugen an dem, das dich deyn erfarung unnd gemeyn wissen lernet. Es ligt auch nit macht dran, ob du es nitt alles wissist, ist gnug, das du weyst, das fewr heysz, wasser kalt und feucht ist, das ym somer ander erbeyt denn ym wyntter zu thun ist. Wisse, wie du deyn acker, fihe, hawsz unnd kind uben solt, das ist dyr gnug ynn naturlicher kunst. | E così ognuno deve riconoscere che Aristotele, l eminente maestro di tutte le università, non solo non insegna un bel nulla su Cristo, ma addirittura insegna una dottrina così vana e folle, come è stato detto prima, che a buon diritto l Apostolo ci ordina di custodire la dottrina che ci è stato chiesto di conservare e definisce la scienza naturale di Aristotele come non cristiana , come mere chiacchere, dietro alle quali non v è nulla. Di più: egli la definisce come un opposizione a Cristo, una scienza che non merita per nulla la sua fama. Come avrebbe potuto spiegarla meglio di così: scienza che non merita per nulla la sua fama ? Non v è nulla nelle università che sia più onorato della filosofia aristotelica; e però la fama è immeritata, perché questa scienza è un nulla, è solo una resistenza opposta a Cristo e un tentativo di toglierlo di mezzo. Perciò, caro amico, lascia perdere la scienza naturale; tu non riuscirai a comprendere quale sia l energia presente in ogni stella, pietra, legno, animale, in tutte le creature (perché è questo ciò a cui la scienza naturale aspira), quand anche essa cerchi di farlo nel migliore dei modi; accontentati di ciò che la tua esperienza e il senso comune ti insegnano. E non ha alcuna importanza se tu non sai tutto. E sufficiente che tu sappia che il fuoco è caldo, l acqua fredda e umida, che in estate è necessario fare alcuni lavori, in inverno altri. Tu devi sapere cosa devi fare nei campi, con il gregge, la casa, i figli; questo è quanto ti basta della scienza naturale. | |
10 I 1,584,14-20 | Weihnachtspostille. Evangelium am Tage der heiligen drei Könige. Matth. 2, 1-12 | Lutero ritorna sulla frase del vescovo Johannes Bonemilch (cfr. il commento a WA 60,125,38-44) secondo cui senza Aristotele non si può diventare teologo. Da questa frase egli prende spunto per condannare la decadenza delle università, dovuta alla miopia di chi ritiene di poter fondare un sapere sulla luce della natura e sulla sapienza pagana (termini che per Lutero sono sinonimi della filosofia aristotelica, come d altra parte legato alla filosofia aristotelica si ritrova spesso il termine blindheytt, cecità). Che valore ha dunque la conoscenza naturale? Lutero riafferma la sua concezione eminentemente pratica, secondo cui la scienza naturale si identifica con alcune elementari cognizioni di base utili alla vita quotidiana e allo svolgimento del proprio lavoro. L aspetto teorico della scienza viene invece censurato. Chi pretende di indagare sul perché delle cose vuole andare oltre le sue capacità naturali ( sie faren ubir sich , è l icastico commento di Lutero) e si ritrova, come risultato immediato, privo del rapporto con la realtà, come la parte finale del brano indica con estrema chiarezza fin dalla scelta dei termini: ertichten eyttel trewme , unnutze gedancken , dinge, die nichts sind und der sie nitt wissen . L esperienza e il senso comune sono dunque alleate della teologia; la scienza naturale, soprattutto nel senso aristotelico del termine, è nemica della teologia. | 758 | Po. 33 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 584 | abgrund, finsternisz, naturlich-liecht, gedanck, ding, heydnische-kunst, warheyt, hohe-schule, Theologus, blindheytt, naturlich-kunst, fewr, heysz, naturlich-vornufft, ertichten, trewm, unnutz, erfinden, grundlosz | 245 | Ubir das alles sind sie noch weytter ynn abgrund der finsternisz gefallen, das sie furgeben, das naturlich liecht und heydnische kunst sey auch eyn gutte weysze, die warheyt tzu erfinden; darauff stehen itzt die hohen schulen szo grundlosz voryrret, das sie leren, es muge on Aristotells keyn Theologus, das ist, der beste Christen, werden. O blindheytt ubir alle blindheytt! Nu wer es tzu leyden, wenn sie naturlich kunst hiessen, das fewr heysz ist, drey und funff acht machen unnd dergleychen, das ale naturlich vornufft wol weysz. Aber sie faren ubir sich und ertichten eyttel trewme und unnutze gedancken von den dingen, die nichts sind und der sie nitt wissen. | Non bastasse tutto ciò, essi sono sprofondati ancora di più nell abisso delle tenebre, al punto che pretendono che la luce della natura e la scienza pagana costituiscano anche un buon metodo per scoprire la verità. Le università al giorno oggi si basano su questi fondamenti, così insensati ed erronei, al punto che in esse si insegna che senza Aristotele non si può diventare teologi, cioè compiutamente cristiani. O cecità maggiore di ogni altra cecità! Ora la cosa sarebbe anche sopportabile se per scienza naturale essi intendessero che il fuoco è caldo, che tre più cinque fa otto: tutte cose che ogni essere dotato di ragione naturale conosce bene. Essi però si innalzano ben al di sopra del loro livello e si inventano puri sogni e inutili speculazioni su cose che non sono nulla e di cui essi non sanno nulla. | |
10 I 1,592,16-21 | Weihnachtspostille. Evangelium am Tage der heiligen drei Könige. Matth. 2, 1-12 | Ecco un altra testimonianza della diretta contrapposizione posta da Lutero tra Aristotele e Cristo, che si riferisce al brano evangelico Mt 2,2, in cui Erode interroga i re magi sul nuovo messia che deve nascere in Israele. Oltre a quello di Aristotele compaiono altri nomi (Bernardo, Gregorio) che però sono giustificati da riferimenti polemici fatti da Lutero poco più sopra (WA 10 I 1,582 e 589). Molto più interessante il riferimento alla naturlich vornuff. Lutero identifica la ragione naturale con Aristotele: per lui si tratta di un affermazione ovvia. | 758 | Po. 33 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 592 | Magi, hohe-schule, Papst, naturlich-vornufft, Bernhardus, Gregorius, concilium, doctor, Christus, Herodes, kunig | 246 | Nu kommen wyr wider auff den text und lernen von dissen Magis fragen: wo ist der new geporn kunig der Juden? lasz Heroden fragen noch den priestern und schreybern. Wyr fragen alleyn nach den gepornen kunige; lasz die hohen schulen fragen: wo ist Aristoteles? wo ist der Papst? wo ist die naturlich vornufft? wo ist Bernhardus? wo ist Gregorius? wo sind die Concilia? wo sind doctores? etc. Wyr fragen: wo ist Christus? | Ora torniamo pure al testo e apprendiamo che questi Magi chiedono: dov è il re dei Giudei appena nato? Lascia che Erode interroghi ancora i sacerdoti e gli scribi, noi chiediamo solamente del re appena nato. Lascia che le università chiedano: dov è Aristotele? dov è il Papa? dov è la ragione naturale? dov è Bernardo? dov è Gregorio? dove sono i concili? dove sono i dottori? eccetera. Noi domandiamo: dov è Cristo? | |
10 I 2,10,23-11,2 | Adventspostille. Epistel am 1. Adventssonntag. Röm. 13, 11-14 | Una prova in negativo dell importanza strategica che Aristotele riveste nella concezione del mondo di Lutero è proprio la continua contrapposizione a Cristo istituita da Lutero stesso. Aristotele non è solo un pagano, uno dei tanti filosofi che hanno insegnato dottrine inconciliabili con il cristianesimo. Aristotele è l antitesi di Cristo; e non a caso, come spesso accade (cfr. tra le tante citazioni possibili WA 7,425,20-29; 8,498,35-37; 10 I 1,327,6-10; 10 I 1, 472,1-15; 10 I 2, 74,8), il suo nome è associato a quello del diavolo. La prova irrefutabile del fatto che il diavolo si è impossessato delle università è infatti per Lutero la venerazione generalizzata nei confronti delle dottrine aristoteliche. | 10 | Po. 9 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 10 | plage, tzorn, nebenliecht, herr-der-wellt, liecht, szonne, hohe-schule, teuffel, hurerey, buberey, unvorschampt, uben, Christus, gott, rhumen | 247 | Es musz eyne grosse plage gotlichs tzorn seyn, das wyr szo widder helle klare spruche der schrifft ander nebenliecht suchen, szo sich der herr selb der wellt liecht und szonne nennet, und wenn keyn ander wartzeychen were, dabey man erkennen mocht, das die hohen schulen die aller grewlichst des teuffels hurerey und buberey weren, solt yhe das alleyn uberreychlich gnug seyn, das sie szo gantz und gar unvorschampt Aristotelem eyn nebenliecht auffwerffen und rhumen auch sich mehr ynn demselbigen, denn ynn Christo uben, ia, nichts ynn Christo und alleyn ynn Aristotell sich uben. | Dev essere proprio un grande flagello, frutto dell ira divina, il fatto che noi, opponendoci alla luminosa e chiara parola della scrittura andiamo a cercare un altro lumicino - e infatti il signore di questo mondo si definisce come luce e sole. E anche se non ci fosse nessun altro indizio da cui si potesse capire che le università sono diventate i più orrendi bordelli e covi di briganti del diavolo, dovrebbe bastare e avanzare questo solo, che essi esaltano e lodano in lungo e in largo e senza alcun pudore il lumicino di Aristotele e dedicano i loro sforzi più a di lui che a Cristo, anzi: non li dedicano per nulla a Cristo ma solo ad Aristotele. | |
10 I 2,74,4-25 | Adventspostille. Epistel am 2. Adventssonntag. Röm. 15, 4-13 | La critica all oscurità di Aristotele e la condanna dello stato in cui versa l università sono i due motivi conduttori di questo passo. Intrecciati a questi, emergono molti altri temi. Si inizia con la contrapposizione tra la chiarezza delle Scritture e l oscurità aristotelica; Lutero adotta lo stratagemma retorico di ipotizzare una punizione divina per i papisti aristotelici per poi mettere in risalto che questa punizione si è puntualmente avverata. E giusto parlare di punizione perché lo studio di Aristotele si risolve nel migliore dei casi, afferma Lutero, in un vuoto accumulo di nozioni inutili che porta alla pazzia. Ma non si deve pensare che uno studio così futile abbia almeno portato a una corretta interpretazione di Aristotele: con questa affermazione Lutero implicitamente dichiara di possedere un interpretazione migliore di quella dei suoi avversari, come conferma il fatto che egli stesso dichiari di poter dimostrare una per una le proprie critiche. E da notare poi che queste critiche sono rivolte a quelli che Lutero considera gli aspetti meno dannosi dell aristotelismo, che pure si rivelano inutili. In altre dottrine - presumibilmente qui Lutero fa riferimento alle dottrine metafisiche, psicologiche ed etiche - oltre che inutile, Aristotele si rivela essere dannoso. | 10 | Po.11 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 74 | gott, lesterer, schrifftmorder, lohn, hell, schrifft, finster, ferlich, hertz, auge, Averros, Bapsts, gesetz, glosze, rasend, studiren, lernen, esell, kronen, meyster, freye-kunst, doctor, tzeyle, kind, stocknarr, topffer, thon, topff, schmid, beweyssen, Christus, Papist, todt, heyd, leszen, kunst, eyttel, durchgifftig, todtlich, hohe-schule, hellisch, teufflich | 285, 270, 199, 14 | Was soll gott solchen lesterern unnd schrifftmorder tzu lohn gebenn? wenn er mich hett tzu radt nohmen, wollt ich yhn gepeten habenn, dieweyl sie seyne helle schrifft finster unnd ferlich schellten, damit sie unter den banck ausz aller menschen hertzen und augen vorstossen, das er yhn dafur Aristotelem und Averros gebe, darnach des Bapsts unendliche gesetz und gloszen, und das sie darnach rasend wurden, studirten yhr leben lang ynn Aristot und lernten dennoch nichts, liessen doch dieweyl den esell kronen, sich meyster der freyen kunst und doctores der heyligen schrifft machen, ob wol biszher yhr keyner noch nie eyn tzeyle ym Aristotele vorstanden hatt, und ob ersz vorstunde, dennoch nichts mehr drynnen lernete, denn eyn kind von funff iaren und die grossisten stocknarren wol wissen. Denn Aristot. ist hundert mal finsterer denn die heyligen schrifft, und willstu wissen was er leret, das wil ich dyr kurtzlich sagen: Eyn topffer kan ausz thon ein topff machen: das kan der schmid nit, er lerne es denn. Wenn ettwas hohersz ynn Aristotot ist, szo ssoltu myr keyn wort glewben, und erbiete mych das tzu beweyssen, wo ich soll. Das sag ich darumb, das wyr sehen, wie reychlich Christus die Papisten betzalet hatt, das sie seyne schrifft finster und ferlich schelten unnd von plan trieben haben, das sie mussen eynen todten heyden leszen, da keyn kunst, szondern eyttel finsternisz ynnen ist; und das ich gesagt hab, das ist das aller best yn Aristot, ich schweiyg wo er durchgifftig und todtlich ist. Die hohen schulen weren werd, das man sie alle zu pulver mecht, nichts hellischer und teufflicher ist auff erden komen von anbegynn der wellt, wirt auch nicht komen. | E Dio cosa dovrebbe dare come ricompensa a questi bestemmiatori che uccidono le scritture? Essi rimproverano alla sua luminosa Scrittura di essere oscura e pericolosa per cacciarla così dai cuori e dagli occhi degli uomini e per metterla nel cassetto. Ma se Dio avesse dovuto prendere me come consigliere, l avrei pregato di dare loro Aristotele, Averroè e per di più le infinite leggi e glosse del Papa al posto delle scritture. L avrei pregato in conseguenza di ciò di farli impazzire, di farli studiare Aristotele per tutta la vita senza imparare niente; e che loro gli concedessero infine la corona di asino e si autoproclamassero maestri in arti liberali e dottori in sacra scrittura. Va anche detto, però, che finora nessuno di loro ha capito una sola riga di Aristotele e che se anche l avesse capita, non vi avrebbe imparato nulla di più di quello che un bambino di cinque anni e che i pazzi più furiosi sanno a menadito. Aristotele infatti è cento volte più oscuro della sacra scrittura e se vuoi sapere cosa insegna, te lo dirò in breve. Un vasaio con l argilla può fare una pentola, il fabbro invece non può farla, a meno che lo impari. Se in Aristotele c è qualcosa di più elevato di questo, devi fare a meno di credere a qualsiasi parola io abbia detto e chiedermi di dimostrare ciò che devo ancora dimostrare. Dico queste cose perché noi vediamo quale ricca ricompensa Cristo ha dato ai papisti che hanno rimproverato alla sua Scrittura di essere oscura e pericolosa e l hanno tolta di mezzo: essi devono studiare un morto pagano, perché in Aristotele non c è alcuna scienza, ma solo pura tenebra. Ciò di cui ho parlato, comunque, è quanto di meglio ci sia in Aristotele. Taccio dei punti in cui egli è velenoso e mortifero. Le università meriterebbero di essere tutte ridotte in polvere; dal sorgere del mondo non è sorto né sorgerà mai nulla di più infernale e di più diabolico. | |
10 I 2,77,2-4 | Adventspostille. Epistel am 2. Adventssonntag. Röm. 15, 4-13 | Lutero sta commentando Rm 15,5: Il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti ad opera di Gesù Cristo . Perseveranza e consolazione, dunque, secondo Lutero sono doni di Dio che l uomo da solo non può ottenere. Da solo l uomo è in grado solo di seguire la ragione naturale, cioè Aristotele, e il caso delle università è indicato da Lutero come il più tipico esempio di questo affidarsi alla sola ragione naturale. | 10 | Po.11 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 77 | schrifft, vordampt, schule, ersz, ligen | 248, 286 | Ia, wo ersz nit gibt, da lest man die schrifft ligen und leufft Aristot. nach, wie denn geschehen ist den vordampten schulen. | Quando invece Dio non parla al cuore, allora si lascia perdere la sacra scrittura e si segue Aristotele, così com è capitato alle maledette università. | |
10 I 2,96,20-97,1 | Adventspostille. Evangelium am 2. Adventssonntag. Luk. 21, 25-36 | La penetrazione di Aristotele nella cristianità viene vista da Lutero non solo come un sintomo, ma come la più grave delle conseguenze della decadenza. Interessante è il fatto che Lutero giudichi lo stato delle università del suo tempo come un punto di non-ritorno, una disgregazione portata a livelli estremi e non superabili. Questo dipende dal fatto che Aristotele rappresenta per Lutero l antitesi a Cristo; non è perciò possibile procedere oltre nel senso di una corruzione ancora maggiore. Aristotele quindi non è uno dei tanti nemici di Cristo. Morto e cieco sono anche in questo caso aggettivi che vanno considerati sinonimi del successivo pagano . | 10 | Po.12 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 96 | luge, yrthum, blindheytt, lesterung, regirn, Christenheyt, Bisschoff, kloster, hohe-schule, todt, blind, heyd, Christus, leren | 47, 210 | Kurzlich, es ist nitt muglich, das grossere lugenn, grewlicher yrthum, schrecklicher blindheytt, vorstockter lesterung ymer mehr komen mugen, als itzt schon regirn ynn der Christenheyt, durch Bisschoff, kloster und hohen schulen, bisz das auch der todte, blinde heyd Aristoteles die Christen leret und regirt mehr denn Christus selbst. | In breve, non è possibile che si manifestino mai più una menzogna più grande, una deviazione più orribile, una cecità più terribile, una bestemmia più ostinata di quelle che regnano oggi nella cristianità attraverso vescovi, conventi e università, al punto che perfino il morto e cieco pagano Aristotele è maestro e re dei cristiani più dello stesso Cristo. | |
10 I 2,99,20-100,1 | Adventspostille. Evangelium am 2. Adventssonntag. Luk. 21, 25-36 | Un recente articolo di Klaus Lämmel (Luthers Verhältnis zu Astronomie und Astrologie (nach Äußerungen in Tischreden und Briefen), in: Lutheriana - Zum 500. Geburtstag Martin Luthers von den Mitarbeitern der Weimarer Ausgabe, a cura di G. HAMMER e K. H. Zür Mühlen, Köln-Wien 1984, pp.299-312) precisa l importanza delle comete per Lutero. A fronte di un atteggiamento in generale sospettoso nei confronti dell astrologia e dell astronomia, Lutero, scrive Lämmel, tende ad attribuire ad alcuni fenomeni celesti, in particolare le comete e le eclissi, un valore simbolico: essi sono segni mandati da Dio in previsione di disgrazie imminenti. In questa sua convinzione Lutero non poteva che appoggiarsi che al testo biblico, in questo caso Lc 21,25 ( vi saranno segni nel sole, nelle luna e nelle stelle ), per il quale negli ultimi tempi la venuta di Cristo giudice sarà preceduta da fenomeni celesti straordinari. La condanna di Aristotele ha quindi ancora una volta motivazioni di carattere teologico; ancora una volta inoltre Lutero attribuisce alla Bibbia il valore di testo scientifico. | 10 | Po.12 | 1522 | Meteor. I,7 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 100 | laufft, hymel, ewickeyt, auffrichten, tzeychen, heyde, Comet, naturlich, gott, schaffen, bedeutten, ungluck, blindeleytter, buch, hymelischer-tzeychen, natur, gelerte, narr, wellt | 47, 154 | Die laufft des hymels sind von ewickeyt drauff gericht, das sie fur diszem tag solten solche tzeychen machen. Die heyden schreyben, der Comet erstehe auch naturlich, aber gott schafft keinen, der nit bedeutt eyn gewisz ungluck. Alszo auch der blindeleytter Aristot. hatt eyn eygen buch geschrieben von den hymelischen tzeychen, gibt sie alle der natur, und macht, das sie nit tzeychen seyn; dem folgen unszer gelerten, und macht eyn narr die wellt voll narren. | Il corso dei cieli è stato architettato dall eternità perché esso manifestasse in questo giorno questi segni celesti. I pagani scrivono che la cometa ha anche un origine naturale, ma Dio non ne crea una che non significhi una sventura certa. Anche Aristotele, cieco che guida ciechi, ha dedicato uno dei suoi libri ai segni celesti, ma li attribuisce tutti alla natura e non reputa che siano segni. I nostri dotti seguono Aristotele; e così un solo pazzo rende il mondo pieno di pazzi. |
10 I 2,100,18-101,2 | Luthers Adventspostille (1525) | Il commento verte su Lc 21,25 ( vi sarano segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti ). I segni nelle stelle sono identificati da Lutero con le stelle cadenti, sulla scorta di Mt 24,29 ( gli astri cadranno dal cielo ). Lutero qui anticipa ciò che dirà, con maggior copia di particolari, quattro anni dopo, cfr. WA 21,21,24-22,3. Secondo Lutero le stelle cadenti non sono indagabili come fenomeno naturale, ma vanno prese come un segno divino. | 10 | Po.12 | 1522 | Meteor. I,7 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 101 | stern, fallen, hymel, tzeychen, teglich, hohe-schule, narrentreyber, naturlich, unnutz, herausmachen | 48, 155 | Und ynn den sternen. Das ist, wie Mat. 24. sagt, die sterne werden fallen von hymel; das tzeychen lest sich teglich sehen, unnd ich weysz nit, obs vor tzeytten auch szo offt geschehen sey. Aristoteles, der hohen schulen narrentreyber, macht auch naturlich unnutze ding heraus. |
E nelle stelle. Ciò significa, come dice il capitolo 24 di Matteo, che le stelle cadranno dal cielo; e questo segno si può constatare ogni giorno e io non so se in passato si sia verificato così spesso come ora. Aristotele, la folle guida delle università, ne deduce una serie di conclusioni inutili sul piano naturale. |
10 I 2,104,3-8 | Luthers Adventspostille (1525) | Gli eventi naturali di grande portata non possono essere compresi con la ragione naturale, ma solo accettati come segni premonitori inviati dalla volontà divina. Così Lutero interpreta Lc 21,25 ( e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti ). Anche gli uragani e i maremoti, dunque, così come il vento, le stelle cadenti, le comete, le eclissi, sono segni della divinità. La ragione invece (sul significato di fraw Hulde o frau Holle nel senso di ragione , cfr. WA 10 I 1,326s. nota 3) si appella al suo Aristotele per spiegare tutto naturalisticamente. | 10 | Po.12 | 1522 | Meteor. I,13; II,4-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 104 | fraw-hulde, heydnische-kunst, hohe-schule, maul, auffwerffen, wind, sehen, wasser-rausschen, hören, leren, naturlich, gottis-wort, tzeychen, voracht, klug, gotze, Evangelium, glewben, wasserbrauszen | 156 | Hie wirt fraw hulde die heydnische kunst ynn den hohen schulen sitzen unnd das maul auffwerffen, und sagen: Hastu nicht mehr wind gesehen odder wasser rausschen gehört? leret doch mein Aristot., wie es naturlich tzugehe etc. Die lassen wir faren, wissen wol, das gottis wort und tzeychen mussen voracht werden von den klugen gotzen, du aber hallt dich an das Evangeli, das leret dich glewben, das alle grosse wind und wasserbrauszen tzeychen sind. | E qui la signora Ragione , la scienza pagana, si siederà nelle cattedre universitarie, storcerà la bocca e dirà: Hai mai visto il vento o sentito il fragore dell acqua? Ma il mio Aristotele insegna come ciò avviene per cause naturali eccetera . Lasciamoli pure andare per la loro strada. Noi sappiamo bene che la parola di Dio e questi segni dovranno essere trascurati dai sapienti idolatri, ma tu attieniti al vangelo, che ti insegna a credere che tutti gli uragani e i maremoti sono segni. |
10 I 2,116,10-13 | Adventspostille. Evangelium am 2. Adventssonntag. Luk. 21, 25-36 | Lutero contesta l uso della terminologia aristotelica in ambito teologico - in questo caso escatologico (il passo verte su Lc 21,33: il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno ). Non si può spiegare la fine del mondo, dice Lutero, affermando che la terra rimarrà se stessa quanto alla sostanza, ma cambierà radicalmente quanto alle sue qualità, alla forma. Certo, terra e cielo resteranno, ma saranno totalmente trasformati dal fuoco purificatore (cfr. ad es. 1Cor. 15,51s.). Non si può comunque ammettere - è il parere di Lutero - che in materie riguardanti la rivelazione ci si lasci condurre dal cieco Aristotele. | 10 | Po.12 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 116 | hymel, erde, blind, heyde, Christus, auszlegen, weszen, gestalt, ettwas, bemühen, vergehen, verstehen | 49, 334 | Es haben auch ettlich sich bemühet, wye hymel und erden vorgehen sollen, nemen den blinden heyden Aristot. zu hulff, der musz yhn Christus wort auszlegen, und sagen, das hymel unnd erden nicht nach dem weszen, szondern nach der gestalt vergehen werden, wissen viel was sie sagen. Wenn sie es alszo vorstunden, das hymel und erden werden ettwas seyn, szo were es wol recht, aber lasz die blinden faren. | Alcuni poi si sono affaticati a spiegare in che modo il cielo e la terra dovranno passare. Prendono come aiuto il cieco pagano Aristotele, il quale ha il compito di spiegare a loro le parole di Cristo, e affermano che il cielo e la terra non passeranno secondo la sostanza, ma secondo la forma: essi sanno bene ciò che dicono... Se con ciò intendessero che dei cieli e della terra rimarrà comunque qualcosa, questo sarebbe certamente giusto, ma lasciamo pure che i ciechi vadano per la loro strada. | |
10 II,191,6-8 | Contra Henricum Regem Angliae | Questo testo luterano costituisce una risposta all'Asserzione sui sette sacramenti che il re d'Inghilterra, Enrico VIII, gli aveva rivolto per confutare i suoi scritti, in particolare la Cattività babilonese della Chiesa. Lutero esordisce con il consueto artificio: impugnando in prima persona le armi di chi lo sfida. Di qui il ricorso al metodo aristotelico (Aristotele infatti è definito Thomistarum deus), e la decisione di esporre prima il tema in generale e poi nei particolari, secondo i canoni della dialettica del filosofo greco. | 280 | 1522 | Top. I,14,105b,30-37 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 191 | res, thomistarum-deus, generaliter, specialiter, causa, disputare | 7, 63, 324 | Veniamus autem nunc ad rem ipsam et more Aristotelis, qui Thomistarum deus est, primo generaliter, deinde specialiter de causis istis disputemus. | E ora affrontiamo l'argomento vero e proprio; facciamolo secondo quanto insegna Aristotele, il dio dei tomisti: trattiamo di queste cause prima in generale, poi entrando nei dettagli. | |
10 II,196,21-25 | Contra Henricum Regem Angliae | L argomento che Lutero intende contestare a Enrico d Inghilterra è quello, enunciato poche righe sopra, secondo cui Indulgentiae non sunt imposturae, quia Leo X. est bonus vir. Lutero non perde l occasione per mettere i suoi interlocutori (a Enrico egli associa infatti tutti i tomisti) in contraddizione con il loro (eorum) Aristotele, per il quale l uomo buono è altra cosa dal buon cittadino e dal buon principe. Con questo Lutero dimostra di avere anche qualche nozione della Politica aristotelica, un testo che cita con discreta frequenza. | 280 | 1522 | Pol. III,4,1277a,20-23; Eth. Nic. V,2,1130b,29s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 196 | argutia, vir, civis, princeps, stupidus, crassus, truncus, tractare, bonus, capere, litera, disputare | 149 | Nam si hoc loco argutiam illam tractem, quod aliud sit esse bonum virum, aliud bonum civem et aliud bonum principem, ut Aristoteles eorum docet, frustra tractavero coram tam stupidis et crassis truncis, quanto minus caperent, si secundum divinas literas de hac re disputarem. | Infatti se qui mi mettessi a discutere quella famosa sottile distinzione insegnata dal loro Aristotele secondo la quale una cosa è essere un uomo buono, un'altra cosa un buon cittadino e un'altra ancora un buon sovrano, dal momento che parlo a teste di legno così stupide e ottuse, butterò le mie parole al vento; ma se trattassi di questo argomento secondo quanto insegna la divina scrittura, ne capirebbero ancor meno. | |
10 II,211,14-20 | Contra Henricum Regem Angliae | Lutero contesta l affermazione di Enrico VIII secondo cui Missa est idem quod consecrare seu proferre verba consectrationis. Il verbo consacrare , osserva Lutero, potrebbe essere sostituito da un altro verbo qualsiasi indicante un azione che si svolge durante la messa, anche starnutire , se al prete capita incidentalmente di farlo. Di qui l accusa rivolta ad Enrico di sostituire arbitrariamente termini e di essere un mero inventore di parole e di cose che non hanno nessun riscontro nella realtà. Accusa per il vero ingiustificata, perché è Lutero a proporre una sostanziale equivalenza di tutte le azioni compiute durante la Messa, mentre Enrico afferma giusto il contrario: che una di queste azioni - il consacrare - è essenziale al concetto di Messa, le altre sono accidentali. Interessante qui però è soprattutto quel iuxta suum Aristotelem, con cui Lutero accusa Enrico di ripetere un operazione intellettuale tipica di Aristotele stesso. Uno dei maggiori difetti di Aristotele per Lutero è proprio l uso di concetti non fondati nella realtà e sostanzialmente interscambiabili tra di loro. Significativo in questo contesto l uso del termine inventor. | 280 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 211 | consecrare, verbum, res, inventor, vocabulum, placitum, missa, stare, cadere, placitum | 315 | Nam si consecrare est Missa, potest etiam clamare, cantare, thurificare, cereolos incendere, calicem mundare, hostiam levare, forte et sternutare et excreare et quid non possit hac Henricissima prudentia Missa dici? Quin concedimus novo isti verborum et rerum inventori, ut caput asini vel porci missam vocet. Quid enim refert quodvis dici illis, quibus vocabula et res stantque caduntque ad placitum iuxta suum Aristotelem. | Infatti se la Messa è consacrare, possono essere chiamati Messa anche il proclamare, il cantare e poi agitare il turibolo, accendere i ceri, pulire il calice, alzare l'ostia e magari starnutire e scatarrare a gran voce; e cosa non potrebbe - secondo l'"enricissima" saggezza - essere chiamato Messa? Anzi, concediamo a questa specie di nuovo inventore di parole e cose di chiamare Messa anche la testa dell'asino e del porco. Infatti, che importanza ha che sia detta una cosa piuttosto che un'altra per coloro per i quali le parole e le cose sono mantenute o eliminate per puro arbitrio, in conformità al loro Aristotele? | ||
10 II,317,18-24 | Wesseli epistola adversus M. Engelbertum Leydensem. Luthers Vorrede | I libri aristotelici (il contesto non permette di chiarire se ci si riferisce alle opere di Aristotele o anche dei teologi e filosofi che a lui si ispirano) anziché essere gabellati per cristiani dovrebbero - è il parere di Lutero - essere giudicati come le peggiori fonti di eresia. La confusio a cui il termine di questo brano di Lutero accenna è l esito inevitabile di una teologia che fa ricorso ad Aristotele. A parte gli echi biblici del termine (a partire dall episodio della Torre di Babele, Gn 11), la confusio degli aristotelici è il loro dividersi in tante scuole sempre in lotta tra loro ed è anche l autoconfutazione a cui questa filosofia pagana è ormai visibilmente (iam) condannata. A proposito degli entusiastici giudizi di Lutero su Johannes Rucherat von Wesel, cfr. E. KLEINEIDAM, Universitas Studii Erffordensis: überblick über der Geschichte der Universität Erfurt, Leipzig, 4 voll; II. 1460-1521, 1969, pp.105-108; ma cfr. anche WA 6,184,24s. | 762 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 317 | hereticus, confusio, christianissimus, causa, bellum, sanguis, vivere, metus, iudaeus, opprimere, impius, inquisitio, liber, finis | 301 | Miror autem, quae infoelicitas obstiterit, quo minus in publico Christianissimus hic author versetur, nisi in caussa fuerit, quod sine bello et sanguine uixerit, qua vna re mihi dissimilis est, aut metus iudaeorum nostrorum eum oppresserit, qui suis impijs inquisitionibus in hoc nati videntur, ut optimos quosque libros faciant hereticos, quo suos Aristotelicos et plus quam hereticos nobis statuant Christianos, quorum finis deo uindice iam desinit in confusionem. | Mi domando con stupore quale caso sfortunato abbia potuto impedire che questo autore cristianissimo sia circolato di più tra il pubblico; se non che questo fu causa del suo vivere senza lotte e senza conseguenze personali (l'unica cosa in cui non mi assomiglia) o che il timore dei nostri giudei lo abbia schiacciato, loro che con le loro sacrileghe inquisizioni sembrano essere nati per dichiarare eretici i libri migliori in assoluto e per inculcarci come cristiani i loro libri aristotelici e più che eretici. Ma Dio mi è testimone che il loro imminente destino è di essere ridotti alla confusione. | ||
10 II,329,14-16 | Epistola gratulatoria super inuntione et editione lucubrationum Ioannis Tauleri ord. praedicatorum, Vuesseli Phrisij Groningensis et Ioannis Gocchii Mechliniensis | Interessante e raro accenno con cui Lutero riflette sulle cause che lo hanno spinto a divenire antiaristotelico. La motivazione religiosa qui non viene spiegata a chiare lettere, ma Aristotele nuoce alla salvezza (salus) dei cristiani per la sua radicale incompatibilità con il messaggio cristiano. Con questo Lutero giustifica alcuni eccessi polemici propri delle sue stesse opere degli anni immediatamente precedenti. Mitigarsi delle critiche luterane ad Aristotele? Non pare il caso, visto che Aristotele qui è definito hircus caprarum. Già nel 1518 Lutero aveva definito hircus Aristotele ( Iterum olet (sc. Eck) suum hircum Aristotelem vel hircocervum potius , WA 1,291,17), ma in questo caso il gioco di parole con hircocervum non è accennato. Forse Lutero vuole continuare la metafora iniziata con l espressione cornu erexi. | 256 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 329 | cornu, hircus, capra, salus, professio, cupidus, fraternus, ventilare, erigere, audax, mordax, auricula | 50 | Hic cornu erexi et fraternae salutis sicut meae cupidus uentilaui adversus Hircum istum caprarum, audacius forsan et mordacius, quam uel tenerent auriculae, uel decerent meam professionem. | A questo punto sono partito a testa bassa, desideroso della mia salvezza come di quella dei fratelli, all attacco contro questo caprone tra le capre, forse con temerarietà e spirito di polemica maggiore di quanto possano sopportare le orecchie o di quanto convenga alla mia condizione religiosa. | ||
10 III,92,19-93,7 | Vier schöne Sermone durch D. M. Luther zu Borna gepredigt (Joh. 20,21ff.) | Operando una semplificazione (tralasciando cioè le virtù teologali), Lutero attribuisce tout court a san Tommaso la dottrina delle virtù etiche di Aristotele, che per lui si riassume nel passo dell Etica Nicomachea in cui Aristotele sostiene che la virtù si impara con l esercizio. La semplificazione è doppia, perché neppure per Aristotele la virtù si identifica del tutto con la virtù etica, dal momento che la virtù che realizza pienamente l uomo è quella dianoetica. Lutero vuole comunque sottolineare la modalità pelagiana che presiede all acquisizione della virtù: una sequela di atti buoni ripetuti meccanicamente non vale a rendere buono l uomo che li compie. L esempio del suonatore d arpa rivela la capacità di Lutero di volgarizzare concetti e testi filosofici: il riferimento è evidentemente Eth. Nic. II,1,1103a,34, ma anziché nominare la cetra, strumento musicale estraneo alla cultura del suo uditorio, egli preferisce parlare dell arpa. | 685 | Pr. 204 | 1522 | Eth. Nic. II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 92 | irren, Thomas, ubung, virtuosus, harpssen-spyler, narr, tugend, lieb, keuscheit, demut, gleyszner, teuffel, merter, Christus, glaube, hertz, zuvorsicht, trawen, gesetz, from, erfullen, tugentsam | no | Do irret Thomas mit den seinen, Das ist mit dem Aristoteli, die do sagen, durch ubung wirt einer virtuosus, wie ein harpssen spyler durch lange ubung wirt ein gut harpssen spyler, so meinen die narren, die tugende, lieb, keuscheit, demut durch ubung zu erlangen, es ist nit war, gleyszner und des teuffels merterer werden drausz. Wie dann wirt mann keusch, lieblich, demütig, tugentsam, etc. Der do glaubt ist from, das ist wer glaubt, das Christus vor yn hat gnug than; wenn das hertz so zuvorsicht und trawen hat und glauben, so erfullets das gesetz, wer hat das erlangt? der glaube. Derhalben haben sie geirret, als ich hab gesagt, Aristoteles und Thomas, das durch ubung tugentsam einer solt werden. | E qui erra Tommaso con i suoi, cioè con Aristotele, che affermano che uno può diventare virtuoso attraverso l esercizio, così come un suonatore d arpa dopo un lungo esercizio può diventare un buon suonatore d arpa. E così questi pazzi pensano di ottenere le virtù - amore, castità, umiltà - con l esercizio. Ma ciò non si verifica e con questo esercizio essi diventano ipocriti e martiri del diavolo. Come dunque si diventa casto, capace di amare, umile, virtuoso eccetera? Chi crede è giusto (vale a dire: chi crede che Cristo ha fatto prima di lui ciò che è necessario); quando il cuore è così pieno di speranza, fiducia e fede, allora viene adempiuta la legge. Perciò, come ho detto prima, Aristotele e Tommaso hanno sbagliato ad affermare che uno può diventare virtuoso attraverso l esercizio. |
10 III,127,13-128,2 | Sermon von der Sünde, Gerechtigkeit und Urteil | E la filosofia in quanto tale, e quindi (solo in un secondo momento) Aristotele come suo più illustre esponente, ad essere condannata da Lutero. Egli infatti esclude in via di principio che la filosofia possa dire qualsiasi cosa di sensato intorno a ciò che costituisce la vera salvezza e, di conseguenza, anche di ciò che porta l uomo alla rovina, cioè il peccato di non credere. Non è la filosofia che salverà il mondo dalla punizione che incombe su di esso. | 336 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 128 | hailig-gaist, straffen, welt, sünd, Christus, glauben, werck, selig, frumb, gott, eer-ehre, unglauben, scharpfsinnig, Philosophus, schreiben | no | Darumb wirt der hailig gaist straffen die welt umb der sünd willen, welche allain die ist, das man in Christum nit glaubt und ain andern weg sücht durch aigen werck selig oder frumb züwerden und gott nit die eer geben etc. Von diser sünd des unglaubens hat noch nye kein mensch gezschrieben, weder Aristotiles noch kein scharpfsinniger Philosophus haben nicht darumb gewist. | E perciò lo Spirito Santo punirà il mondo a causa del peccato, che consiste solo in questo, nel non credere in Cristo e nel cercare un altra strada per diventare santi o giusti e non dare onore a Dio e via dicendo. Nessuno ha ancora scritto su questo peccato, la mancanza di fede, e né Aristotele né alcun altro sottile filosofo ha conosciuto questo tipo di problemi. | ||
10 III,353,13-25 | Ein Sermon zu S. Michael, getan zu Erfurt auf den Tag der elftausend Jungfrauen, vom Glauben und Werken. Matth. 25,1ff. | LUTERO STA PARAFRASANDO Lc 11,21ss., in cui si parla dell uomo forte che viene soppiantato dalla sua carica e dal possesso dei suoi beni da un uomo più forte di lui. Questo passo viene letto in riferimento a quanto avvenuto ad Erfurt. La città in cui Lutero aveva studiato aveva in larga parte aderito alla nuova predicazione. Ma c erano anche delle sacche di resistenza, soprattutto in università. Probabilmente Lutero sta parlando proprio di Bartholomäus Arnoldi von Usingen, il suo vecchio maestro della facoltà delle arti. Lutero mostra un certo rispetto nei suoi confronti (non abituale nei suoi scritti polemici), parla in generale di personaggi con cui egli ha avuto rapporti in università, sceglie una terminologia che si riferisce alle tipiche esercitazioni universitarie con termini tecnici. Arnoldi da parte sua era stato predicatore nella Marienkirche contro il Pfaffensturm, l agitazione violenta del 1521 (v. Remigius Bäumer, Bartholomäus von Usingen OESA (ca. 1464-1532), in E. ISERLOH (a cura di), Katholische Theologen der Reformationszeit, Münster 1985, pp. 27-37). A favore di questa ipotesi depongono anche i riferimenti ad Aristotele (è un filosofo quello con cui Lutero parla?) Lutero inoltre cita solo i titoli che gli sono stati conferiti ad Erfurt, il che potrebbe indirettamente confermare che egli sta parlando di un suo maestro. | 251 | 1522 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 353 | teuffel, regirn, hohe-schule, fryd, euangelion, gnade, doctor, dappeln, tzurnen, tobe, zabeln, magister, exercitium, copulatum, summa, labirinthus, auszrichten, queste-quaestio, hell, auslöschen, baccalaurius, schule, buch, verstehen, Plato, Averrois, ritter | no | Der teuffel hatt lang regirt in hochen schulen, do ist es als ihm fryd gewesen, So aber das heilig euangelion aus gottes genaden kommen ist und greifft unsern doctoribus in die wol, dappelt sy an, so tzurnen sy, toben und zabeln, do ist keyn frid mehr. Ia sprechen sy: wir seindt Doctores und magistri nostri freylich ia, wen es mit iren exercitijs, copulatis, summis und der gleichenn labrinthis wer auszgericht, wen sy mit iren questen die hell möchten auslöschen und mit iren distinx den himel auffschliesen, wer wol etwas. Wen es mit titel auszgericht ist, so bynn ich auch eyn baccalaurij hye worden und darnach Magister und widerumb baccalaurij. Ich bin auch mit ihn in die schule gangen, ich weysz wol und byn des gewis, das sy auch ir eygen bucher nit verstend. Es gilt hie nit Aristoteles, Plato, Averrois, fast hynder sich, stroen ritter. | Il diavolo ha regnato a lungo nelle università e perciò tutto è rimasto in pace. Ma poiché il santo Vangelo è venuto per grazia di Dio e incalza i nostri dottori e li afferra, questi si arrabbiano, smaniano e fremono e non si danno pace. Anzi, dicono: noi siamo dottori e maestri nostri . E certamente, se si risolvesse tutto con i loro esercizi, i riassunti, le summe, e altri labirinti di questo tipo, se potessero spegnere l inferno e aprire il cielo, allora sì sarebbe un bel risultato. Ma se si risolve con i titoli, anch io in questa città sono divenuto baccelliere e poi maestro e poi nuovamente baccelliere. Io sono anche andato con loro all università. Lo so bene, e ne sono proprio certo, che essi non capiscono nemmeno i loro libri. E qui Aristotele, Platone, Averroè non hanno alcun valore, nessuno assolutamente, sono cavalieri di paglia. | ||
11,106,29-33 | Ein Sermon auf den vierten Sonntag nach Ostern. Joh 16, 5-14 (Nachschriften Rörers) | I libri di Aristotele a cui si fa riferimento non sono le opere in cui il filosofo parla del giudizio nel senso di proposizione, ma le opere morali, in particolar modo l Etica Nicomachea. Il giudizio a cui Lutero si riferisce, infatti, è quello sulla bontà delle opere umane, come Lutero stesso precisa. In questo passo ritorna dunque la critica al concetto aristotelico di virtù etica, concetto incompatibile, secondo Lutero, con l azione della grazia divina. | 335 | 1523 | Eth. Nic. II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 106 | iudicium, creatura, praeceptum, opus, bene-facere, Christus, ascendere, caelum, salvator, mundus, liber, iudicare, spiritus | no | Cum scio Christum, qui coelum ascendit, esse salvatorem, tum iudicium ferre possum de omnibus creaturis, et vivere iuxta praecepta etc. mundus aliter (et Aristoteles scripsit de hoc libros) iudicat, cum opera facit, credit se bene facere, sed spiritus dicit haec omnia nihil esse. | Una volta che io so che Cristo, asceso al cielo, è il salvatore, allora posso giudicare su tutte le creature, vivere secondo i precetti eccetera. Il mondo invece ha altri criteri di giudizio (Aristotele ha scritto libri su questo argomento): poiché compie le opere, crede di agire bene, ma lo Spirito Santo dice che tutte queste cose non sono nulla. | |
11,205,30-38 | Predigten des Jahres 1523 (Nachschriften Rörers) - Matth. 9, 18ff. | L andamento piuttosto sconnesso del brano dipende dal fatto che queste sono trascrizioni dell opera di Lutero per mano del suo discepolo Georg Rörer; vergate parte in latino e parte in tedesco, più simili ad appunti sparsi che a una esposizione, per quanto sintetica. L episodio evangelico commentato è quello della emorroissa (Mt 9,20-22). L emorragia è identificata con la legge, termine che va preso nel significato ampio, anche nel senso di legge morale. Aristotele, come magnus philosophus (un riconoscimento significativo, e tanto più per essere espresso in un contesto assai critico) è simile ai medici che non fanno che peggiorare la malattia. La filosofia può al massimo avere la funzione negativa di indicare quale è la legge che deve reprimere il male, ma non di rendere buono il cuore umano. Perciò i filosofi antichi non possono che essere tutti damnati. Non c è spazio, nell orizzonte di Lutero, per la categoria del naturaliter christianus. | Pr. 356 | 1523 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 205 | peccatum, sanguis, gentes, magnus, philosophus, mos, ordo, ratio, medicus, cohercere, damnatus, peccatum, adficere, straffen, doctor, ratio, mulier, dispensare, oboedire, frum, gesetz, gladius, malum, suspendere, cor, mundus-agg., papa, iuvenis, iuvencula, cenobium, cohercere | no | Sanguinis profluvium sunt peccata, gentes adhuc sumus adfecti, illo tempore fuerunt magni philosophi, ut Aristoteles, descripserunt morum ordines, den sunden zu weren und straffen. Hi doctores qui concludunt ex ratione, sunt medici et peius faciunt, mulier quicquid habet, dispensat, obedit eis. Ie mer sie ler hort, ie erger es wirt, leut frum machen, musz man nicht gesetzen an sahen, gladius potest cohercere a malo, ut qui suspenduntur etc. sed non possunt cor facere mundum, ideo isti damnati sunt doctores, ut papa quoque hodie, et includunt iuvenes et iuvenculas in cenobia et legibus cohercent. | L'emorragia sono i peccati, i gentili. Noi ne siamo ancor più contaminati. A quel tempo ci furono grandi filosofi, come Aristotele, che elencarono regole di comportamento, per proibire e punire le colpe. Questi dottori, che si basano su argomentazioni razionali, sono i medici che peggiorano la malattia; la donna spende tutto ciò che ha, obbedisce loro. Quanto più essa segue i loro insegnamenti, tanto più sta male: se si vuole rendere giusto il popolo, non lo si può fare con l'osservanza delle leggi. La spada può solo essere una coercizione contro il male, affinché coloro che sono trattenuti eccetera. I filosofi però non possono rendere puro il cuore, e perciò questi dottori sono dannati, come lo è anche il papa oggi, e rinchiudono ragazzi e fanciulle nei conventi e reprimono con le leggi. | ||
11,286,11-18 | Ad Gasparis Schatzgeyri Minoritae plicas responsio per J. Briesmannum pro Lutherano libello de votis monasticis. M. Lutheri ad Briesmannum epistola de eodem | Questo passo fa parte della prefazione scritta da Lutero per l opera del suo amico Briesmann (proprio in quell anno nominato predicatore evangelico di Königsberg da Alberto di Prussia), che intendeva prendere le difese del De votis monasticis di Lutero, attaccato dal frate minore Gaspare Schatzgeyri. E molto interessante il fatto che Lutero consigli anche ad altri di seguire il procedimento che gli è abituale quando ha a che fare con interlocutori di matrice aristotelica. Lutero infatti invita Briesmann ad attaccare l avversario sul suo stesso campo, dimostrandogli che la sua pretesa scienza aristotelica non rispetta nemmeno i dettami della filosofia di Aristotele. La chiave di tutto il passo sta nel verbo contradicere: chi si appoggia alla filosofia aristotelica non può che esprimere posizioni prive di senso (ed è significativo il fatto che qui Schatzgeyri venga definito caecus, aggettivo che Lutero riserva abitualmente proprio ad Aristotele) e non può che cadere in un vespaio di contraddizioni generate dalla sua stessa filosofia. | 101 | 1523 | Top. I,5,101b,37-102b,26 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 286 | monstrum, temeritas, caecus, accidens-commune, accidens-proprium, latinitas, contradicere, taedium, pergere, cepisse, indagator, capere, Porphyrius, memoria, revocare, nausea, illatinitas, frangere, stolidissime | no | Oro autem te, mi Brisman, ne vincaris tedio tot monstris stolidae temeritatis: perge sicut cepisti, et ostende caeco isti Indagatori, si capere possit, etiam ex ipso Aristotele suo aliud esse communia et propria dicere. Vel Porphyrium ei in memoriam revoca, qui accidens commune et proprium tam diversum facit. Ego sane fateor me victum tedio et nausea legendo: adeo non solum latinitas seu potius illatinitas verum et ipsa hominis rudissima temeritas me fregit, qui nullo versu non stolidissime sibi ipsi contradicit. | Ti prego, caro Briesmann, di non lasciarti sopraffare da tutti questi deliri, frutto di sconsideratezza idiota: continua come hai cominciato e dimostra a questo cieco speculatore, sempre che sia in grado di capire, che anche per il suo caro Aristotele predicare ciò che è comune e predicare ciò che è proprio sono due cose diverse. E richiamagli alla memoria anche Porfirio, per il quale l'accidente comune e l'accidente proprio sono due cose del tutto diverse. Per quanto riguarda me, devo confessare che leggendo sono stato oppresso dalla noia e dalla nausea: mi ha ridotto in tali condizioni non solo la latinità (anzi, meglio, l'illatinità) ma soprattutto la prepotenza e la smisurata ignoranza di quest'uomo. E pensare che non c'è una riga in cui non contraddice se stesso con affermazioni da perfetto idiota! | |
11,298,13-17 | Adversus armatum virum Cokleum | Cocleo è ritenuto così sprovveduto da Lutero da non sapere neppure qual è l argomento di cui si parla, la materia subiecta, come la definisce Lutero con un termine che a suo giudizio è schiettamente aristotelico. Da notare l invenzione del verbo aristotelire, che significa esprimersi in modo aristotelico . In questo modo Lutero identifica il linguaggio del suo interlocutore come un gergo per iniziati privo di attinenza con la realtà e nello stesso tempo lascia capire che, se volesse, potrebbe battere Cocleo anche sul terreno della sua stessa competenza aristotelica. | 128 | 1523 | Rhet. I,3,1358b,1? | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 298 | aristotelire, iustificatio, insulsus, stolidus, materia-subiecta, testudo, fides, spiritus-sanctus, gratia, baptismus, Christus, charitas, Cochlaeus, indignatio, risus, cogitantia, argumentum, vis | no | Non ergo sola fides iustificat, iustificat enim Spiritussanctus et Gratia iustificat et Baptismus iustificat et Christus iustificat et Charitas etc. I nunc, Luthere, et nega Cocleum esse armatum virum. Tu, Nisene, forte vel dirumperis indignatione vel fatiscis risu. At interim tuo imperio ego tempus perdo cum insulsa ista et stolida testudine, quae adversus me scribens non tantum saltem habuit cogitantiae, ut argumenti vim seu (ut cum testudine aristotelissem) materiam subiectam praevideret, ut sciret, quid contra quid scriberet. | Infatti non giustifica solo la fede, ma anche lo Spirito Santo e la grazia giustificano, il Battesimo giustifica, Cristo giustifica, la carità, eccetera . Adesso va', Lutero, e nega che Cocleo è un uomo armato. Tu, Niseno, probabilmente scoppi per l'indignazione o ti scompisci dalle risate. Io però intanto perdo tempo per tuo ordine con questa testuggine stupida e beota, che scrivendo contro di me non ha avuto neppure il minimo di furbizia di mettere in preventivo la validità dell'argomento o (per aristotelizzare con questa testuggine) la materia soggetta, così da sapere di cosa stava parlando e contro quali opinioni argomentava. | |
11,305,12-18 | Adversus armatum virum Cokleum | La facile ironia di Lutero, che ha buon gioco nel tratteggiare in modo caricaturale le obiezioni di Cocleo, non può non trattare anche di Aristotele, qui definito dio degli scolastici, al quale solo spetta fornire i criteri anche per l'interpretazione della Bibbia. | 128 | 1523 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 305 | deus, testudinaceus, dialectica, scriptura, sonare, sentire, ratio, ecclesia, auctoritas, affirmative, arguere, testudo, Aristoteles-deus-noster, gratia, sentimentum, plenitudo, potestas, decernere | no | Nam si verum est, quod uno loco scriptura aliud sonat et aliud sentit, ubique de ea dicendum est, ut aliud sonet et aliud sentiat, cum nulla sit ratio, cur alicubi et non ubique, nisi forte hic nova Testudinaceae Ecclesiae dialectica ab autoritate affirmative sic arguatur: Nos testudines Aristotelis dei nostri gratia et sentimento nobis reservamus de plenitudine potestatis ius decernendi, ubi scriptura aliud sonat et aliud sentit. Ergo scriptura, ubi testudines volunt, aliud sonat et aliud sentit. | Infatti se è vero che in uno stesso passo la Scrittura ha un significato letterale diverso dal significato autentico, deve valere per tutta la Scrittura che i due significati siano divergenti, visto che non c'è alcuna ragione perché divergano solo in qualche passo e non dappertutto, a meno che a questo punto la nuova dialettica della Chiesa delle Testuggini stabilisca positivamente d'autorità: Noi Testuggini, per grazia e benevolenza di Aristotele dio nostro, riserviamo a noi stessi con pienezza di poteri il diritto di stabilire i passi in cui la Scrittura ha un significato letterale diverso da quello reale. Pertanto, nei casi in cui le Testuggini acconsentano a ciò, la Scrittura ha un significato letterale diverso da quello reale. | ||
12,360,8-14 | (Erste) Epistel S. Petri gepredigt und auszgelegt. Erste Bearbeitung | In questo passo Lutero mette in diretta connessione la proibizione della lettura della bibbia nei confronti dei fedeli laici con la diffusione dell esegesi basata sulla filosofia e sulla terminologia aristotelica. E dunque il buon senso popolare, l interpretazione che va diritta alla lettera che, nei piani di Lutero, potrebbe scalzare Aristotele dalla posizione che egli usurpa. Al fondo di queste affermazioni sta la convinzione da una parte che la filosofia aristotelica è un ammasso di complicazioni inutili e lontane dal buon senso comune, dall altra che tra Aristotele e il testo sacro può sussistere solo un rapporto di reciproca esclusione. | 563 | Pr. 367 | 1523 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 360 | teuffel, griff, schrifft, leye, pfaffe, Bibel, waschen, predigen, lesen, hören, studieren, straffen, ubir-winden | 200 | Denn da hat der teuffel eynen hübschen griff troffen, das er die leut von der schrifft risse, und also gedacht: wenn ich mache, das die leyen die schrifft nicht lesen, will ich darnach die pfaffen von der Bibel ynn Aristotelem bringen, das sie waschen was sie wollen, so so müssen die leyen hören was sie yhn predigen, sonst, wenn die leyen die schrifft lesen, müsten die pfaffen auch studieren, das sie nicht gestrafft und ubir wunden wurden. | E in questo modo il diavolo ha fatto proprio un bel colpo, strappando il popolo dalla sacra scrittura e pensando così: Se io riesco a far sì che i laici non leggano la scrittura, voglio anche portare i preti dalla Bibbia ad Aristotele e farli cianciare pure come vogliono, così che in questo modo i laici siano costretti ad ascoltare ciò che essi predicano. Altrimenti, se i laici leggessero la scrittura, anche i preti dovrebbero mettersi a studiarla per non venire criticati o sopraffatti dal popolo . | |
12,362,10-13 | (Erste) Epistel S. Petri gepredigt und auszgelegt. Erste Bearbeitung | Il commento verte su 1 Pt 3,15: Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi e in particolare sull espressione redde rationem usata nella Vulgata. Secondo Lutero non si deve pensare che la ragione di cui qui si parla sia quella di Aristotele, la ragione naturale, perché essa è del tutto inadeguata a svolgere anche una funzione sussidiaria nei confronti della fede. La polemica luterana comunque non è gratuita. L interpetazione di questo passo neotestamentario nel senso della ragione umana era comune nel medioevo: cfr. ad esempio Anselmo, Cur Deus homo, l.1 c.1 o Tommaso d Aquino, S. th. II-II,q.2,art.10. | 128 | Pr. 367 | 1523 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 362 | Sophist, text, vernunfft, naturlich-liecht, ketzer, rationem-reddere, S.-Peter, menschlich, verkeren, ubirwinden | 56, 201 | Aber den text haben die Sophisten auch verkeret, das man soll mit der vernunfft und aus naturlichen liecht Aristotele die ketzer ubirwinden, darumb das hie ym latinischen stehet "Rationem reddere", als meynet S. Peter, man soll es mit menschlicher vernunfft thun. | Ma i sofisti hanno anche distorto il testo interpretandolo nel senso che si debba aver ragione degli eretici con la ragione e il sostegno della luce naturale di Aristotele. Essi perciò ritengono che l espressione rendere ragione , che si trova nel testo latino, vada interpretata come se san Pietro pensasse che bisogna farlo avvalendosi della ragione umana. | |
12,414,20-29 | Sermon am 1. Sonntag nach Epiphaniä (11. Januar - Luk. 2,42-52) - (Predigten des Jahren 1523) | Lutero fa qui riferimento a Ugolino da Orvieto? Il filosofo e teologo agostiniano ritiene che Dio fece conoscere ad Aristotele la sua esistenza ed alcuni dei suoi attributi con un illuminazione speciale (Prologo alle Sentenze, III, a. 2) D altra parte Adolar Zumkeller ha dimostrato che Ugolino da Orvieto è con buona probabilità una delle fonti della critica aristotelica di Lutero, (ZUMKELLER, Die Augustinertheologen Simon Fidati von Cascia und Hugolin von Orvieto und Martin Luthers Kritik an Aristoteles, Archiv für Reformationsgeschichte , 54 (1963), pp.15-37. In ogni caso, qui la teoria dell illuminazione di Dio come intelletto agente, dottrina peraltro comune in ambito agostiniano, viene del tutto rifiutata da Lutero. | 431 | 1523 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 414 | Thomas, heylig, lere, heydnisch, kunst, liecht-der-natur, hübsch, tafel, Christus, wort, Son, scheynen, schön, leuchten, gleyssen, liecht, gleychnis, Christenheit, hohe-schule, treiben, Doctor, prediger, grob | 56, 321, 326 | Bisher haben wyr dreyerley lere gehabt. Zum ersten ist das die gröbste, das S. Thomas (ist er anders heylig) gelert hat, die kompt aus der heydnischen lere und kunst, die das grosse liecht der natur, Aristoteles geschrieben hat, davon sagen sie also, das er sey wie ein hübsche liechte tafel und Christus wort sey wie die Son, und gleich als die son auff ein solche tafel scheynet, das sie deste schöner leuchtet und gleysset, also scheynet auch das göttliche liecht auff das liecht der natur und erleuchtet es. Mit dieser hubschen gleychnis haben sie die heydnische lere auch in die Christenheit bracht, das haben die hohen schulen allein geleret und getrieben, daraus hat man Doctores und prediger gemacht. | Finora abbiamo avuto tre tipi di dottrina. In primo luogo la più nociva, insegnata da san Tommaso (che è santo per tutt altri motivi), dottrina che proviene dall insegnamento e dalla scienza pagana, di cui è autore la grande luce della natura, Aristotele. A questo proposito essi dicono che Aristotele è come una bella e chiara superficie e che la parola di Cristo è come il sole; e come quando il sole splende su una superficie di questo genere avviene che essa sia molto più luminosa e splendente, così anche la luce divina dà splendore alla luce della natura e la illumina. E così, con questo bel paragone, essi hanno introdotto le dottrine pagane nella cristianità, le università non hanno insegnato e praticato altro che questo e su questa base sono stati formati dottori e predicatori. | ||
12,445,9-18 | Sermon und Eingang in das erste Buch Mose (15. März) - (Predigten des Jahren 1523) | E curioso che Lutero, parlando della creazione del mondo, accomuni Platone e Aristotele sotto il medesimo denominatore delle idee. Il termine è giustificato nel caso di Platone: il demiurgo infatti nel produrre il mondo (produrre, non comunque creare) prende a modello le idee. Ma nel caso di Aristotele il termine è doppiamente ingiustificato; da una parte per la serrata critica a cui egli sottopone le idee platoniche, dall altra per la sua concezione del mondo eterno (cfr. anche WA 24,25,12-26,3, in cui in un contesto analogo Lutero parla di idee in riferimento a Platone e di atomi per Aristotele). Sembra quasi che a Lutero dispiaccia criticare la filosofia di Platone senza colpire con questo giudizio negativo anche il pensiero aristotelico. Egli comunque si schiera nettamente a favore del concetto di creazione nel tempo e non ab aeterno. Anzi, la creazione temporale avviene in un lungo periodo, all inizio del quale si ha la creazione del cielo e della terra privi di ogni determinazione e forma. In questo caso non è difficile sorprendere nella Genesi stessa la fonte delle affermazioni luterane. Tra il testo sacro e le opinioni dei filosofi, dunque, si deve seguire il primo, anche quando si tratta di temi con una rilevanza di carattere scientifico . Il conflitto tra filosofia e teologia si risolve sempre a favore della teologia. | 519 | 1523 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 445 | Got, schaffen, hymel, erde, almechtig, welt, zeyt, kind, ungeschaffen, wuest, leer, gestalt, form, arguieren, Plato, ydea, creatur, gering, wachssen | no | Was ist aber das, das er sagt "Got schuff hymel und erden, und die erden was wust und leer"? Das ist das ich vor gesagt hab, das der almechtig Got nit hat dy welt auff ein haw geschaffen, sonder die zeyt darzu genommen und ist damit umbgangen, eben wie er yetzund ein kind macht, hat zum ersten das geringst gemacht, hymel und erden, also das es noch ist ungeschaffen gewesen, wuest und leer, da niemant auffgewesen ist, und nichts darauff gewachssen nichts geschickt und gestalt noch yn ein form gebracht. Hie sol man nit arguieren, wie Plato unnd Aristoteles thun mit yhren ydeis, sonder also, das da erd sey gewesen, wie er es selbs nent, und die erst creatur. Also auch der hymel. |
Cosa significano dunque queste parole: Dio creò il cielo e la terra, e la terra era deserta e vuota? . E ciò che ho detto prima: Dio onnipotente non ha creato il mondo in un batter d occhio, ma ha impiegato tempo e ha trattato la terra proprio come egli fa al giorno d oggi per dare forma a un bimbo. Per primo ha creato ciò che è più umile, il cielo e la terra, in modo tale che tutto era ancora incompleto, deserto e vuoto perché non c era nulla, non era cresciuto nulla e niente era stato disposto, formato e portato a compimento. Qui dunque non si devono tirare le conclusioni a cui giungono Platone e Aristotele con le loro idee, ma concludere che la terra era fatta nel modo che Dio stesso descrive e che essa era la prima creatura; e lo stesso vale per il cielo. |
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12,445,34-37 | Sermon und Eingang in das erste Buch Mose (15. März) - (Predigten des Jahren 1523) | Questo brano corrisponde al già esaminato WA 12,445,9-18: è un altra trascrizione della medesima predica. I concetti dunque sono gli stessi, espressi più sinteticamente ma anche con maggior chiarezza, come ad esempio là dove si dice che Dio non ha creato il mondo in un singolo momento, ma nel tempo. Ritorna il giudizio su Platone e Aristotele a proposito delle idee: è quindi del tutto probabile che sia stato proprio Lutero ad esprimere una condanna così indeterminata e in larga parte ingiustificata nel confronti di Aristotele. | 519 | 1523 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 445 | Zceit, stund, creatur, deus, tempus, creare, momentum, Moses, terra, Plato, opinio, idea, narrenbergk, impietas, anhaben | no | Zceit, stund und creatur haben angehaben, deus in tempore creavit, non in momento. Primum fecit quod minimum erat. Sic hic Moses nihil erat in terra etc. Platonis et Aristotelis opinio de ideis dimittenda est. Es ist narrenbergk, impietas est etc. | Il tempo, l ora e la creatura sono iniziati. Dio ha creato nel tempo, non in un unico istante. Ha fatto prima ciò che è più umile. E così infatti dice Mosè in questo passo: sulla terra non c era nulla eccetera. La concezione platonica e aristotelica delle idee dev essere rifiutata: sono cose da pazzi, blasfeme eccetera. | ||
12,588,18-24 | Sermon am Tage der heiligen Dreifaltigkeit (31. Mai) - (Predigten des Jahren 1523) | L affermazione aristotelica di Eth. Nic. I,13,1102b,15s., secondo cui la ragione spinge sempre l uomo alle cose migliori viene assunta da Lutero come simbolo della ragione umana in quanto tale. Così in questo passo, in cui si parla di Nicodemo. Poco sopra (WA 12,588,13-15) Lutero aveva affermato esplicitamente che Nicodemo è l emblema della ragione e della libertà del volere. Ma quest uomo non riesce a capire neppure le più elementari affermazioni di Cristo, quelle che si riferiscono alla condizione terrena. Lutero qui si riferisce alla risposta data da Cristo a Nicodemo: Se vi ho parlato di cose delle terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? (Gv 3,12). Ma qui sta il punto: la ragione secondo Lutero (o perlomeno secondo il Lutero di questi anni) è inabile anche a comprendere le realtà che Dio le ha sottomesso. | 319 | 1523 | Eth. Nic. I,13,1102b,15s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 588 | Nicodemus, Christus, umb-geen, versteen, irdisch, blindt, vernunfft, sehen, wissen, schlappen, natur, Philosophi, Ratio, deprecari, optimum, streben, toten, geschefft, erheben | no | Dann hie der Nicodemus ye lenger er mit Christo umb geet, ye weniger er in versteet, unnd seind dannocht irdische ding, das ist, da er mit umb geen sol, unnd wie er getödt musz sein, also blindt ist die vernunfft, das sy nit sehen kan und wissen gottes geschefft, auch die ding, damit sy zu schaffen haben sol, das ist ein schlappen geben der natur, die die Philosophi so hoch erhoben haben sprechend Ratio deprecatur ad optimum . Die vernunfft strebt allzeyt nach dem besten . | E a questo punto, quanto più Nicodemo si intrattiene con Cristo, tanto meno lo capisce; e pensare che sono cose terrene quelle su cui s intrattiene, per spiegargli in quale modo Cristo dev essere ucciso. Ma la ragione è così cieca da non poter vedere e capire l opera di Dio nemmeno nelle cose con le quali essa ha a che fare. Questa è una sconfitta inferta alla natura, che i filosofi hanno così elevato da affermare ratio deprecatur ad optimum : la ragione tende sempre alle cose migliori . | |
14,104,8-13 | Predigten über das erste Buch Mose, gehalten 1523 und 1524 | La forma della stesura di questi sermoni sulla Genesi è molto concisa; l'estensore è preoccupato più che altro di sottolineare alcuni concetti senza curare troppo i passaggi tra l'uno e l'altro. Il significato in questo caso però è chiarissimo. La ragione va messa da parte per far spazio alla fede. Da notare però che questa affermazione, consueta al Lutero teologo, qui è inserita in un contesto scientifico, di filosofia naturale. Lutero ritiene che anche in questo campo l'uso della ragione naturale sia indebito e che occorra affidarsi alle parole della scrittura. A sostegno di questa sua affermazione rispolvera gli argomenti de potentia Dei absoluta tipici della sua formazione occamistica, anche se Lutero, rispetto ad Occam, attribuisce a questi argomenti uno spettro di azione molto più ampio. In questo caso assumono il ruolo di argomenti ipotetici, ma sufficienti, dal punto di vista di Lutero, a far cadere la spiegazione aristotelica della gravità. | 518 | Pr. 374 | 1523-1524 | De caelo IV,1,308a,29-31 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 104 | ratio, caelum, levis, gravis, ascendere, claudere, credere, stultus, philosophi, fabula, nubes | no | Moses dicit nobis claudendam rationem nostram, tantum credendum. Philosophi ergo stulti fuerunt. Ita de celo dicendum. Unde celum habeat? Aristoteles levis creatura ascendit, celum est leve . Fabulae sunt. Deus posset facere quod celum grave esset et nubes sunt graves etc. | Mosè ci dice che si deve mettere da parte la nostra ragione e credere solamente. Per questo i filosofi sono stati stupidi. E questo è il procedimento da seguire anche per quanto riguarda il cielo. Come considerare il cielo? Aristotele: La creatura più leggera tende verso l'alto, dunque il cielo è leggero . Balle: Dio potrebbe far sì che il cielo fosse denso e le nuvole pesanti. |
14,104,30-34 | Predigten über das erste Buch Mose, gehalten 1523 und 1524 | E' un'altra versione della stessa predica contenuta in WA 14,104,8-13; le differenze riguardano per lo più la forma dell'espressione. A quanto già detto questa versione aggiunge che Aristotele, in molti argomenti, nugatus est: probabilmente sia nel senso di parlare per scherzo , sia nel senso - coerente con altri passi luterani, v. ad es. WA 59,413,21-22 - di prendersi gioco di chi si accinge a interpretare la sua filosofia. Chiarissima invece la posizione di Lutero per quanto riguarda le scienze naturali: Non potest hoc (e hoc in questo caso si riferisce all'esempio del cielo e della teoria aristotelica del luogo naturale) cognosci nisi sola fide. | 518 | Pr. 374 | 1523-1524 | De caelo IV,1,308a,29-31 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 104 | vornufft, coelum, licht, feste, nugari, leve, fides, credere, sentire, sursum, ferre, cognoscere | no | Man musz dy vornufft zcuthun, inquit Moses, credendum est. Sic de coelo est sentiendum: wehr hat ihm das licht gegeben, die feste etc.? Nugatus est varia Aristoteles, levia feruntur sursum, inquit etc. Non potest hoc cognosci nisi sola fide. | Bisogna buttare via la ragione, ha detto Mosè, e invece credere. Bisogna far così per quanto riguarda il cielo, ad esempio: chi gli ha dato la luce, la consistenza, eccetera? Su tanti argomenti Aristotele ha parlato per scherzo: ha detto che i corpi più leggeri sono portati verso l'alto, eccetera. Ma queste sono cose che non possono essere conosciute se non con la sola fede. |
14,122,8-13 | Predigten über das erste Buch Mose, gehalten 1523 und 1524 | Ad Adamo, rileva Lutero, il precetto di non mangiare dall'albero della conoscenza, del bene e del male, perché Adamo avesse bisogno di precetti. In quanto già giustificato, non aveva bisogno di esserlo mediante un precetto, che gli fu dato solo, annota altrove Lutero a proposito dello stesso passo biblico (Gen 2,16-17, in WA 14,122,19) ut sciret se habere deum . Adamo, che era giusto, violò l'unico precetto che gli era stato dato; Lutero ne trae una conferma alla sua immagine del rapporto tra la legge e l'uomo. Nessuna legge può rendere migliore l'uomo e chi, come Aristotele, ha creduto di migliorare l'uomo con le leggi, è andato del tutto fuori misura. In che senso qui Lutero dice che il tentativo di Aristotele è quello di iuvare homines legibus? Più che a un ambito giuridico e politico probabilmente qui ci si riferisce all'etica, e non solo perché la trascrizione di queste prediche non è opera di Lutero. Lutero non considera mai il concetto di legge positiva (perché, visto il contesto, di legge naturale qui non sembra il caso di parlare) riferito ad Aristotele. Probabilmente qui ci si riferisce al concetto aristotelico di giustizia in generale, inteso come conformità alla legge. Per quanto riguarda il apporto tra lex (in senso biblico) e il concetto aristotelico di giustizia, cfr. WA 2,489,21-35 e 2,493,3-14. Da notare infine l'appellativo stultus, rivolto da Lutero ad Aristotele. | 518 | Pr. 378 | 1523-1524 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 122 | praeceptum, lex-humana, lex-divina, stultus, creare, imago, facere, uti, iudicare, conari, iuvare | no | Adam non indigebat praeceptis, quia creatus erat ad imaginem dei. Sed ideo datum ei praeceptum, ut non per id fiat melior, sed praeceptum melius fit per hominem. Eximo humanas leges, de divinis loquor. Docemur quomodo faciendae et utendae leges .2. Deus hac re iudicat stultos esse hoc qui conati sunt iuvare homines legibus, ut Aristoteles fecit. | Adamo non aveva bisogno di precetti, perché era stato creato ad immagine di Dio. Il precetto gli fu dato non perché egli attraverso di esso diventasse migliore, ma perché il precetto fosse perfezionato per mezzo dell'uomo. Tralascio le leggi umane, qui sto parlando delle leggi divine: ci viene insegnato in che modo vanno messe in pratica e come dobbiamo usare delle leggi .2. Con il contenuto di questo passo Dio ci dice che sono stolti coloro che hanno tentato di fare il bene dell'uomo attraverso le leggi, come fece Aristotele. | |
14,203,5-8 | Predigten über das erste Buch Mose, gehalten 1523 und 1524 | Lutero è alle prese con Gen 9,13, in cui si parla del segno dell arcobaleno mandato da Dio dopo il diluvio universale. Non si tratta di un segno puramente naturale, come ha voluto far credere Aristotele: è un segno divino. Per Lutero la distinzione tra spiegazione naturale e spiegazione teologica è molto labile, al punto che spesso - e in particolare in questo caso - la seconda ha il meglio sulla prima, come l espressione res divinae sta ad indicare. L esito è la sconfessione di Aristotele in un campo, quello della scienza naturale, in cui il filosofo era riconosciuto come una delle maggiori autorità. Va notato inoltre che Lutero all inizio parla genericamente di filosofi pagani, ma è ad Aristotele che sta pensando, come le altre testimonianze sul tema dell'arcobaleno (WA 42,364,26; 42,365,6) dimostrano. Anche in questo caso l identificazione tra Aristotele e la ragione naturale è totale, come l ultima frase citata sta a dimostrare. | 518 | Pr. 391 | 1523-1524 | Meteor. III,4 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 203 | arcus, signum, ponere, philosophi, perscrutare, iris, trackten, sol, niti, ratio, res-divinae | no | Signum est: Posui arcum meum etc. Philosophi gentiles perscrutati sunt, quid Iris sit und haben fast getrackt, warumb es sey, quod adversus solem sit. Et Aristoteles nititur indicare in Methe: etc. Ita ratio loquitur de rebus divinis. | Questo è il segno: Ho posto il mio arco... . I filosofi pagani hanno indagato a fondo sulla natura dell arcobaleno e si sono assai sforzati di spiegare il perché della sua esistenza, che dipenderebbe dal fatto che l arcobaleno è posto dirimpetto al sole. Anche Aristotele cerca di dare una spiegazione nei Meteorologica ecc. Così la ragione parla delle cose divine. |
14,212,24-27 | Predigten über das erste Buch Mose, gehalten 1523 und 1524 | A partire dalla descrizione dell'undicesimo capitolo della Genesi, Lutero descrive l'ampia e feconda pianura di Sennaar, in cui sarebbe dovuta sorgere la torre di Babele. A conforto delle asserzioni bibliche cita anche un passo di Aristotele, secondo il quale la città, per la sua grandezza e per il gran numero di territori coltivabili al suo interno, si poteva definire una regione cinta da mura. E' una delle rare volte in cui Aristotele viene presentato come concorde con le Scritture. Va detto però che si tratta anche di una notazione di carattere erudito, piuttosto marginale rispetto al contenuto di questo capitolo della Genesi. | 518 | Pr. 394 | 1523-1524 | Pol. III,3,1276a,28 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 212 | Babylon, campus, ager, urbs, regio, Sinear, locus, rex, agere, Nymroth, Semiramis, latus, frumentum, cingere, murus | no | Sinear fuit campus, in quo sita fuit Babylon, electissimus locus ad urbem, cum qua postea multi reges rem egerunt. Nymroth primus Semiramis successit. Lata fuit et ager maximus, in quo sat frumenti habuerunt. Aristoteles regionem cinctam muris vocat. | Sennaar era la pianura in cui era situata Babilonia, un luogo adattissimo per una città, con il quale in seguito molti re intrattennero rapporti. Il primo re fu Nimrod, l'ultimo Semiramide. Era ampia, con amplissimi territori coltivabili, che davano agli abitanti abbondanza di frumento. Aristotele la chiama regione circondata da mura . |
14,212,36-38 | Predigten über das erste Buch Mose, gehalten 1523 und 1524 | Vale quanto detto a proposito di WA 14,212,27, con l'unica differenza che Babilonia viene definita provincia anziché regio. Anche in questo caso Aristotele viene riconosciuto come un'auctoritas, ma solo per una marginale notazione di tipo geografico. | 518 | Pr. 394 | 1523-1524 | Pol. III,3,1276a,28 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 212 | Babylon, ager, civitas, provincia, murus, situs, commendare, historia, continere, civis, obsidere, cingere | no | Situm Babylonis multum commendant historiae, quae tantum agrorum intus, hoc est intra muros contineat, unde etiam cives obsessi victitare possent. Aristoteles non civitatem, sed provinciam muris cinctam putat fuisse. | Le storie raccontano grandi cose del luogo in cui sorgeva Babilonia. All'interno, nella cerchia delle mura, c'era un'estensione così vasta di campi coltivabili, che i cittadini ne potevano trarre sostentamento perfino quando erano assediati. Aristotele ritiene che non si trattasse di una città, ma di una provincia circondata da mura. |
14,573,18-574,4 | Deuteronomion Mosi cum annotationibus | Il dedicarsi ad Aristotele è letto da Lutero in questo passo - che fa parte del commento al secondo capitolo del Deuteronomio - come una punizione divina per aver abbandonato o trascurato la sacra scrittura. Si noti la pregnanza del verbo conspurcare, relativo all'uso della filosofia aristotelica in un contesto teologico. | 523 | 1525 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 574 | lac, mel, paradisus, scriptura, commentum, conspurcare, gentilis, laborare, Adam, conspurcare, iudaeus | no | Terra lacte et melle fluens i.e. paradisus noster scriptura est, ideo ut in ea laboremus et sicut Adam in paradiso. Verum nos conspurcamus eam humanis commentis. Ideo proiecit nos in Aristotelem, sicut Iudaei iam a vera scriptura ceciderunt coeperuntque studere gentilia. | La terra in cui scorrono latte e miele, il nostro paradiso, è la Scrittura, al punto che noi ci soffermiamo su di essa e siamo come Adamo in paradiso. Ma d'altra parte noi la imbrattiamo con commenti che sono opera dell'uomo. E così Dio ci ha lasciato nelle mani di Aristotele, così come i Giudei, che ormai si erano allontanati dalla vera scrittura e avevano cominciato a interessarsi alle opere pagane. | ||
15,50,19-24 | An die Ratherren aller Städte deutsches Lands, dasz sie christliche Schulen aufrichten und erhalten sollen | In un contesto diverso di quello dello scritto Alla nobiltà cristiana di origine tedesca (WA 6,457,35-450,30), Lutero torna ad affrontare il problema dell organizzazione degli studi. La diagnosi della situazione rimane però la stessa: un lamento per il generale abbandono degli studi e per il predominio di Aristotele nelle università. Identico rimane anche il giudizio sul filosofo greco, che viene condannato per tutta la sua produzione. Anzi, rispetto allo scritto del 1520 qui Lutero non indica nemmeno se ci siano alcuni libri di Aristotele degni di essere conservati. Ritorna qui inoltre il tema della punizione divina. Dio, per punire gli uomini che si sono allontanati da lui, confonde le loro menti con la diabolica dottrina aristotelica. | 676 | 1524 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 50 | geschehen, undanckbarkeyt, bezalen, wolthat, buch, gelert, behallten, heylige-schrifft, schedlich, Byblia, bedencken, angehen, unzelich | no | Darynn ist uns auch recht geschehen und hat Gott unser undanckbarkeyt recht wol bezalet, das wyr nicht bedachten seyne wolthat und vorrat schafften, da es zeyt war und wol kundten, damit wyr gutte bücher und gelerte leut hetten behallten, liessen es so faren, alls gienge es uns nicht an: Thet er auch widerumb und lies an stat der heyligen schrifft und gutter bücher den Aristotelem komen mit unzelichen schedlichen büchern, die uns nür ymer weytter von der Byblien fureten. | Abbiamo avuto il fatto nostro e Dio ha ben ripagato la nostra ingratitudine perché non abbiamo prestato attenzione alla sua benevolenza e non abbiamo fatto una riserva quando c era il tempo e la possibilità, così da avere a disposizione buoni libri e persone dotte. Abbiamo invece trattato tutto come se non ce ne importasse nulla: Egli così ci ha trattati allo stesso modo e, al posto della sacra scrittura e dei buoni libri, ci ha lasciato nelle mani Aristotele e una quantità innumerevole di libri nefasti, che ci hanno allontanato sempre più dalla Bibbia. | ||
15,114,26-30 | Wider das blind und toll Verdammnisz der siebenzehn Artikel von der elenden schändlichen Universität zu Ingolstadt ausgangen. Martinus Luther. Item der Wiener Artikel wider Paulum Speratum sammt seiner Antwort | L articolo luterano condannato dai maestri dell università di Ingolstadt, di cui si parla in questo passo, dice che la giustizia di Dio è quella secondo cui egli ci prende e ci rende giusti senza alcuna considerazione delle nostre opere. Lutero al proposito invoca un giudizio che tenga conto non solo della lettera, ma anche delle intenzioni dell autore. Egli ne approfitta per denunciare la doppiezza dei suoi interlocutori; con l eretico Lutero si tiene conto anche delle sfumature, mentre agli autori scolastici e soprattutto ad Aristotele viene perdonato tutto in nome della buona intenzione. | 300 | 1524 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 114 | artickel, güter-verstand, scholasterey, loben, Calikut, ubel | no | Warum nemen sie aber disen artickel nicht auch an umb des güten verstands willen? so doch ynn yhrer scholasterey und Aristotele keyn ding so ubel lautt, das sie nicht loben, wo sie yhm nür eynen güten verstand geben mügen, ob sie yhn gleich zu Calikut holen müsten. | Ma perché essi non accettano questo articolo anche per la sua buona intenzione? D altra parte non c è cosa in tutto il loro scolasticume e in Aristotele che suoni così male da non essere lodata da loro; qui essi vorrebbero sempre attribuirgli una buona intenzione, anche se dovrebbero mandarlo su due piedi a quel paese. | ||
15,119,21-26 | Wider das blind und toll Verdammnisz der siebenzehn Artikel von der elenden schändlichen Universität zu Ingolstadt ausgangen. Martinus Luther. Item der Wiener Artikel wider Paulum Speratum sammt seiner Antwort | Nell articolo a cui in queste righe si fa riferimento, si sostiene che nessuno nella chiesa è tenuto ad osservare precetti che non siano stati comandati personalmente da Dio. Il tema è tipico di Lutero: l autorità è basata solo sulla Scrittura e non sulla tradizione della chiesa. Singolare la nota di Lutero a margine delle critiche mosse dai suoi avversari, secondo i quali in questo modo molte istituzioni della chiesa quali la verginità consacrata, il matrimonio, il digiuno, vengono minate alla base perché Dio non le avrebbe esplicitamente prescritte. Lutero osserva che in effetti Dio non ha prescritto nessuna di queste cose, neppure nel quinto libro della Fisica. La notazione è ovviamente ironica e vuole prendere di mira la contaminazione aristotelica nella chiesa, diffusa al punto che, agli occhi di Lutero, i testi aristotelici vengono considerati ispirati da Dio. Secondo i curatori dell edizione di Weimar (cfr. WA 15,119,nota 1) il senso sarebbe: specialmente là dove voi scolastici vi siete dati da fare per cercare i comandamenti di Dio, è più difficile trovare ciò che cercate . Qui non si parlerebbe del quinto libro della Fisica in riferimento a precise dottrine, ma perché esso contiene alcune pagine tra le più famose di Aristotele. L interpretazione appare però piuttosto macchinosa; altri sono i libri della Fisica familiari a Lutero. Solo in due casi (cfr. WA 31 I,440,7 e 40 II,488,36) Lutero si riferisce con certezza al quinto libro, ma in entrambi lo fa per richiamare il principio, del tutto marginale rispetto al contenuto del libro, secondo cui ciò che si ottiene con la forza non ha valore (Phys. V,6,230a,29-31). Resta aperta anche l ipotesi che Lutero si sia sbagliato. Non è da escludere che egli volesse citare un libro inesistente per prendere in giro i suoi avversari. Cfr. WA 30 III,498,34, in cui egli cita il quinto libro delle favole di Esopo e il decimo della Fisica. Forse Lutero ha fatto confusione, volendosi appellare a questi due testi inesistenti? | 300 | 1524 | Phys. V | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 119 | artickel, Junckfrawschafft, zeytliche-güter, vasten, bösze, gebieten, bösz, sagen, gott | no | Ingolstad. Diser artickel ist dem nechsten hievor gleych bösz, denn daraus volget, das niemand Junckfrawschafft halten soll, niemand zeytlich güter übergeben sol, niemand vasten, Denn Got hat diese ding nyndert geboten* * a lato: Sonderlich ynn quinto physicorum hat er nichts davon gesagt. |
Ingolstadt. Questo articolo è tanto erroneo quanto il seguente, perché ne consegue che nessuno può conservare la verginità, nessuno deve disprezzare i beni temporali, nessuno deve digiunare, perché Dio non ha mai comandato di fare queste cose.* * In particolare nel quinto libro della Fisica egli non ha detto niente al riguardo. |
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15,364,1-4 | Der 127. Psalm ausgelegt an die Christen zu Riga in Liefland | Queste sono le prime parole del commento luterano al salmo 126: Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori . Lutero si premura subito di specificare che in questo caso non è della costruzione materiale che si sta parlando, ma dell amministrazione della casa. Il concetto tedesco di Haushalt, osserva Lutero, coincide con quello aristotelico di economia e anche gli esempi che Lutero porta alla fine del passo coincidono in sostanza con le principali attività dell economia domestica così come viene tratteggiata da Aristotele. E probabile dunque che quando Lutero scrive questo brano abbia a disposizione il testo aristotelico o perlomeno conservi in memoria le sue linee fondamentali così come vengono tratteggiate da Aristotele nel primo libro dell opera. | 622 | 1524 | Oecon. I | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 364 | haus, bawen, holtz, steyn, wend, dach, kamer, gemach, haushallten, oeconomia, weyb, kind, knecht, magd, viel, futter, auffrichten, deutsch | no | Erstlich müssen wir wissen, das "haus bawen" heyst hie nicht alleyne holtz und steyne auff richten, das man wende und dach, kamern und gemach habe, Sondern viel mehr alles, was ynn eyn haus gehört, das wyr auff deutsch sagen haushallten , gleych wie Aristoteles schreybt Oeconomia , das ist von haushallten, dazu weyb und kind, knecht und magd, vieh und futter gehört. | In primo luogo dobbiamo sapere che qui costruire la casa non significa soltanto mettere in piedi legno e sassi così da ottenere pareti e tetto, stanze e camere, ma in misura molto maggiore tutto ciò che appartiene a una casa, quello che noi in tedesco diciamo Haushalt. E proprio in questo senso Aristotele ha scritto un trattato di economia , nel senso dell amministrazione della casa, a cui fanno capo moglie e figli, servo e serva, bestiame e nutrimento. | |
15,631,18-23 | Ein Sermon am 11. Sonntag nach dem Pfingsttag (Trinitatis), dain die gröszten Hauptstück eines christlichen Lebens beschlossen sind | Lutero sta commentando il diciassettesimo capitolo degli Atti degli Apostoli, in cui si descrive la città di Atene vista da Paolo prima del discorso all Areopago. Questo offre a Lutero la possibilità di una lunga digressione non priva di aspetti interessanti su stoicismo ed epicureismo. Lo stile, proprio delle trascrizioni delle prediche, è estremamente conciso. Per questo motivo è difficile capire a cosa si riferisca l inciso, a prima vista del tutto fuori tema, su Platone e Aristotele. A chi si riferiscono i comparativi sapientior e stultior? Sembrerebbe trattarsi di una paragone di Lutero tra i due filosofi e gli epicurei. Ma in tal caso i due giudizi sarebbero in stridente contraddizione con quanto Lutero afferma in tutta la sua opera, soprattutto nei riguardi di Platone. Siamo in presenza di una iniziale rivalutazione di Aristotele? In questo caso, però, le righe immediatamente successive consentono di dare il giusto peso alle affermazioni di Lutero. Se un filosofo può essere valutato come superiore a un altro (e in questo caso l affermazione di Aristotele come massimo tra i filosofi non sarebbe una novità per Lutero), in ogni caso ci manteniamo sempre nei confini della ragione umana: e Dio con l esempio di Atene, dipinta da san Paolo negli Atti come una città di intellettuali dediti a vani discorsi, vuole proprio mostrare la pochezza della ragione, pur nella sua espressione storicamente più compiuta. | Pr. 476 | 1524 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 631 | Stoici, Epicurei, adfectus, Plato, mors, ratio, sentire, truncus, lapis, homo, timere, sapiens, stultus, summa, ostendere, civitas, textus, Athenae, efficere | no | Stoici hoc assequi volebant, ne sentirent adfectus in corde, et volebant ex hominibus truncos et lapides facere, ut nemo timeret mortem. Hi omnino contrarii erant Epicureis. Aristoteles est multo sapientior et Plato stultior. Summa summarum: Deus satis ostendit hac civitate, quid ratio humana sit. Si non intelligere possumus, videamus hunc textum. Si posset ratio quid efficere, certe Athenis effecisset. | L obiettivo degli stoici era di non lasciarsi influenzare dalle passioni dell animo. Volevano che gli uomini diventassero come tronchi o pietre, perché nessuno avesse paura della morte. Gli epicurei erano contrari a loro in tutto. Aristotele è molto più saggio, Platone più stupido. Conclusione definitiva: Dio ci dimostra fino in fondo, con questa città, cosa sia la ragione umana. Se non possiamo capire, leggiamo questo testo. Se la ragione potesse fare qualcosa di buono, di certo l avrebbe fatto ad Atene. | ||
16,261,5-7 | Predigten über das zweite Buch Mose. (25. Mai 1525) | Aristotele porta la rovina perché quello che dovrebbe essere un rappresentante, il sommo, dell'umana ragione, viene usato per spiegare le cose che competono a Dio e alla parola di Dio. Viene confermata ancora una volta l'equazione, indiscutibile per Lutero, tra Aristotele e ratio. | 520 | Pr. 521 | 1525 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 261 | incommodum, ratio, verbum-Dei, sequi, Christus, mors, propitius, verbum-dei, pulcher, agere | no | Videmus, quid incommodi secutum sit ex Aristotele. Pertinet ad Christum, ut scias, quomodo fugias mortem, propitium deum habeas etc. huc pertinet solum dei verbum. Ratio quam pulchra sit, nihil agat in verbum dei. | Vediamo bene che razza di guai sia venuta da Aristotele. E' proprio di Cristo, lo dico perché tu lo sappia, che tu sfugga la morte, che abbia Dio propizio eccetera. E' proprio solo della parola di Dio. Per quanto affascinante sia la ragione, è meglio che non interferisca in nulla con la parola di Dio. | |
16,598,12-18 | Predigten über das zweite Buch Mose | Il passo verte su Es. 25,18-22, in cui la Bibbia parla del cherubino che adornava l'arca dell'alleanza. Una figura che per Lutero significa la parola esterna senza la quale non si può comunicare la fede. La polemica, esplicita, è diretta contro Müntzer e il suo rifiuto di ogni mediazione esterna, Bibbia compresa, in nome dell'illuminazione interiore dello Spirito Santo. Il riferimento ad Aristotele, di non chiarissima interpretazione, pare invece riguardare il tema della vita contemplativa che caratterizza il sapiente. L'otium che è proprio del filosofo viene qui paragonato all'illuminazione müntzeriana e rifiutato da Lutero. Non nella contemplazione viene comunicata la facoltà di comprendere le cose spirituali, ma nell'ascolto delle Scritture. | 520 | Pr. 557 | 1526 | Metaph. I,2 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 598 | auditio, intelligere, scire, otium, externus, verbum, seductio, cor, spiritus, lectio, auditio, dulcis, nuncius, pati, Christus, resurgere, gratia, accipere, persuadere | no | Nota est seductio Muntzeriana, quae iussit in abditum locum abire et offerre cor vacuum deo, quo facto spiritus veniret etc. Ego certe sic non accepi, quod dedit deus, accepi autem lectione scripturarum et ea auditione, qua nonnunquam audivi dulcissimum nuncium nempe per Christum pro me passum, resurrexisse etc. Inde accepi gratiam haec ipsa intelligendi. Illi nostri certe quae sciunt, non acceperunt ex Aristotele aut otio illo, tamen aliis persuadere volunt haec externa esse nihil. | La seduzione di Müntzer è nota. Comanda di andarsene in un luogo nascosto e offrire un cuore vuoto a Dio: in virtù di questo fatto verrebbe lo Spirito Santo e via dicendo. Certo io non ho ricevuto in questo modo ciò che Dio mi ha dato, ma l'ho ricevuto dalla lettura delle Scritture e dal quel tipo di ascolto, con cui tante volte ho sentito il dolcissimo annuncio, e cioè che Cristo ha sofferto per me, è risorto eccetera. Da questo ho ricevuto la grazia di comprendere queste cose. Certo è che anche certi nostri conoscenti, non hanno ricevuto le cose che sanno da Aristotele o da quel suo famoso ozio, e tuttavia vogliono convincere gli altri che la realtà esterna non conta nulla. |
17 I,55,22-28 | Predigten des Jahres 1525 (Ps.11) | La predica è un commento al salmo 10, in cui, al versetto 2, si parla di empi , che tendono l'arco, aggiustano la freccia sulla corda per colpire nel buio i retti di cuore . Per Lutero si sta parlando del papa, che usa le parole della scrittura per suggerire contenuti che con la scrittura stessa non hanno nulla a che fare. A volte succede addirittura di peggio: che questo tentativo venga perpetrato senza riferimento alla Scrittura, ma citando direttamente filosofi pagani come Aristotele. E' quanto avviene, scrive Lutero, ad opera delle università. Da notare il fatto che l opera citata per esemplificare la corruzione portata da Aristotele è l Etica Nicomachea. | 520 | 577 | 1525 | Eth. Nic. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 55 | verbum, seducere, stultus, Petrus, papa, cogitare, oculus, obedientia, deus, prior, petra, Christus, recidere, geist, excelsissimus, hohe-schule | no | Ita papa: Tu es Petrus . Nemo cogitavit, an verum esset. Sicut de oboedientia. Nemo aperuit oculos et cogitavit: num loquitur de oboedientia dei vel prioris? ita nemo: potest papa esse haec petra, quae est Christus? Ita de Christo recidimus. Et hoc peius, quando sine verbo seducamur, ut fuit Aristoteles cum suo ethicorum. Hic loquitur de excelsissimis geistern, qui habent spiritum, pabst und hohen schul, furen Aristotelem. Quid nobis cum istis stultis? | E così il papa: Tu sei Pietro . Nessuno si è posto la domanda se sia vero. Lo stesso vale per l'obbedienza. Nessuno ha aperto gli occhi e pensato: ma qui parla dell'obbedienza a Dio o al priore? E nessuno ha pensato: ma questa pietra è proprio il papa? Così veniamo strappati da Cristo. E peggio ancora, quando veniamo sedotti senza il Verbo, come avvenne con Aristotele e la sua Etica. Il salmo parla di spiriti eccelsi, che posseggono lo Spirito: e il papa e le università citano Aristotele. Cosa abbiamo a che fare con questi stupidi? |
17 I,282,34-38 | Predigten des Jahres 1525 (Joh. 3,1 ff.) | La citazione evangelica tratta dal colloquio di Gesù con Nicodemo (Gv. 3,8), rafforzata dal salmo 134,7, serve per contraddire quanto afferma Aristotele nei Meteorologica circa l'origine dei venti. Questo passo da una parte testimonia la conoscenza del testo aristotelico propria di Lutero, dall'altra dimostra che Lutero non accetta l'autorità Aristotele neppure nell'ambito delle scienze naturali. Interessante soprattutto il fatto che, mentre lo sconfinamento "dal basso verso l'alto" della scienza e della filosofia nel recinto della teologi, è sempre negato da Lutero, non è vero il contrario. Lo dimostra il passo citato: Aristotele ha torto quando sostiene la provenienza dei venti dalla terra, perché la Scrittura afferma che l'uomo non sa da dove proviene il vento. In questo caso la lettera del Vangelo viene interpretata come fonte scientifica. | 520 | Pr. 609 | 1525 | Meteor. I,13; II,4-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 282 | ventus, terra, aristotelici, exemplum, prudens, spiritus, incipere, cessare, stultus, sentire, oculus, scire, educere, thesaurus | no | Spiritus ubi vult . Terrenum exemplum, audio spiritum, nemo tam prudens, qui posset dicere: hic incepit, nec, ubi cessat: quando praesens est, audimus. Aristotelici ex terra dicunt venire. Stulti homines etc. Hoc videmus et sentimus prae oculis, et tamen non scimus, ubi incipiat, qui educit ventus de thesauris ps. | Lo spirito soffia dove vuole . Esempio terreno. Io sento lo spirito, ma nessuno è tanto sapiente da poter dire: viene da qui né da dire quando non c'è più: quando è presente, lo percepiamo. Gli aristotelici dicono che i venti vengono dalla terra. Sono stupidi. Vediamo e sentiamo ciò che capita davanti ai nostri occhi, eppure non sappiamo dove abbia origine. Dice il salmo: Dalle sue riserve libera i venti . |
17 I, 363,4-7 | Warnung vor falschen propheten | La predica riguarda Mt 7,15: Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci . Questi lupi, secondo Lutero, sono in primo luogo i teologi cattolici. La loro astuzia consiste proprio nel presentarsi adorni non di opere ma della sacra scrittura, però il contenuto delle loro dottrine è il nemico di Cristo, il pagano Aristotele. Lutero identifica con l'aristotelismo l essenza stessa delle dottrine dei suoi avversari. | 587 | 1525 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 363 | gentilis, opus, externus, praedicare, sentire, intelligere, ornare, scriptura, horen, doctus, seducere | no | Si praedicarent contra Christum, possemus sentire, sed tamen non intelleximus, quia Aristotelem praedicarunt gentilem, Sed non ornant se externis operibus, sed scriptura, qua deus nos ornavit, da mussen wir horen, quod sint docti: si non facerent, non possent seducere. | Se predicassero contro Cristo, potremmo accorgercene, ma tuttavia non l abbiamo capito perché hanno predicato il pagano Aristotele. Essi però non si adornano di opere esteriori, ma della Scrittura, con cui Dio ci ha adornati. E noi dobbiamo sentire che sono dotti: se non lo facessero non potrebbero sedurci. | ||
17 I,363,17-21 | Warnung vor falschen propheten | Il contenuto coincide con quello di WA 17 I, 363,4-7, esaminato più sopra. Aristotele è visto da Lutero come lo strumento per eccellenza della penetrazione dell irreligiosità nel mondo cristiano. In questo senso chi fa uso dei suoi insegnamenti nell università è come i falsi profeti del vangelo di Matteo, che si presentano sotto vesti d agnello ma in realtà sono lupi. La ragione naturale dunque - e Aristotele come suo massimo rappresentante - ha per Lutero un potere di seduzione che tende a distogliere l uomo dalla verità di Cristo. | 587 | 1525 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 363 | wolff, heute-haut, spiesse, zene, predigen, gifft, schrift, hohe-schule, weltlich-recht, keyserlich-recht, Gott, Christenheyt, kennen | no | Denn er spricht ja nicht: die zu euch komen ynn wolffs heuten odder mit spiessen und zenen, sie predigen keyn gifft offentlich odder on schrift, sonst möcht man sie kennen, wie sie denn etwan Aristotelem auff den hohen schulen geprediget haben, das weltlich odder keyserlich recht, do sie sagten, es were keyn Gott ynn der Christenheyt. | Cristo infatti non dice: Chi viene a voi in veste di leone , o con lance e denti. Essi non predicano apertamente nulla di velenoso, né tralasciano di citare le scritture, altrimenti li si potrebbe riconoscere. Allo stesso modo nelle università hanno predicato Aristotele e il diritto civile o imperiale, attraverso i quali hanno affermato che non c è alcun Dio nella cristianità. | ||
17 I, 496,16-497,2 | Predigten des Jahren 1525 | In questa predica, in cui Lutero commenta il racconto evangelico della natività di Cristo (Lc 2,1ss.), emerge la contrapposizione tra Aristotele e Cristo. Mentre la dottrina di Aristotele viene ammessa ed esaltata, osserva Lutero, la parola di Dio viene abbandonata in una mangiatoia. L antitesi sussiste in particolare tra la doctrina di Aristotele e il verbum di Dio, tra la parola umana e il verbo che si fa carne. | Pr. 640 | 1525 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 497 | verbum, honor, raum, exoriri, Christus, verbum, doctrina, deus, krippen, hinderweisen | no | Iam verbum exortum est, quis honor ei datur? man stosts hin auss, man wil im khein raum lassen, quare? quia Christi verbum. Aristotelis doctrina admissa, dei verbum weist man hinder in die krippen. | Ora che il verbo è apparso, quale onore gli viene tributato? Lo si esilia, non gli si vuole lasciare alcun rifugio. Perché? Perché è la parola di Cristo. La dottrina di Aristotele è accettata, la parola di Dio viene relegata nella mangiatoia. | ||
17 II,209,17-20 | Fastenpostille (Eph. 5,1-10) | Lutero è alle prese con Ef 5,3-4 Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o di cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità, cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! . San Paolo dunque condanna l eutrapelia , intendendo questo termine come scurrilità, trivialità e non nel senso più positivo di amenità, facezia . Di conseguenza anche la valutazione di Lutero cambia rispetto a WA 1,494,23: qui prevale la condanna dell eutrapelia. I termini usati da Lutero, quasi tutti positivi (schertz, schimpfflich, frölich, höfflich, freundlich, lachen, lüstig, geselschafft, wolleben), rivelano però un atteggiamento di fondo non ostile alla scurrilità. D altra parte la lettura delle Tischreden conferma che Lutero stesso era incline a questo genere di conversazione. E interessante notare che questo richiamo ad Aristotele nasce da una coincidenza terminologica: sia san Paolo che Aristotele parlano di eutrapelia. Un caso simile si manifesta con il concetto di epieikeia (cfr. ad es. WA 44,704,15-29). | 216 | Po. 55 | 1525 | Eth. Nic. IV,8,1127b,32-1128b,9 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 209 | schertz, schimpfflich, frölich, wort, höfflich, freundlich, rede, lachen, lüstig, geselschafft, wolleben, heyde, tugent, eutrapelia | no | Schertz , das sind schimpffliche und fröliche wort, die man itzt höfflich und freundliche rede nennet, da durch man die leut lachen, lüstig und frölich macht, wie das ynn geselschafften und wolleben geschicht. Solchs haben die Heyden fur eyne tugent gezelet, wie sie denn auch Aristot. Eutrapelia nennet. | Scurrilità : sono parole scherzose e allegre, che ora si possono definire come discorsi simpatici e amichevoli, che fanno ridere, divertire e stare allegra la gente, come avviene quando si passa insieme il tempo libero. I pagani l hanno enumerata tra le virtù e infatti anche Aristotele la chiama eutrapelia. |
17 II,429,19-24 | Roths Festpostille (Joh. 6,44-51) | Lutero tende ad ignorare la presenza di una dottrina della grazia nei suoi interlocutori cattolici: più che disegnare un quadro delle loro posizioni, egli ne traccia una caricatura. Uno degli esiti di questo atteggiamento è che in questo modo egli ha la possibilità di identificare la loro dottrina della giustificazione con la teoria delle virtù morali di Aristotele. E quanto avviene in questo passo in cui Lutero sta piegando Gv 6,44: Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell ultimo giorno . La realizzazione della moralità è pensabile solo per un intervento della grazia divina e non in conseguenza di uno sforzo umano. Lutero si rifà ai due passi dell Etica Nicomachea da lui più frequentemente citati (ma solo in poche occasioni citati insieme): Eth. Nic. I,13,1102b,15-20 e II,1,1103a,32-1103b,16. Questo passo è un ulteriore riprova che anche in un periodo in cui la rivalutazione di Aristotele è già avviata (siamo nel 1527), Lutero continua a condannare la teoria dell acquisizione delle virtù morali attraverso l esercizio e la concezione della ragione come inesorabilmente tesa alle realtà più elevate. | 219 | Po. 142 | 1527 | Eth. Nic. I,13,1102b,15-20; II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 429 | theologe, schullerer, leren, würcken, fromm, schande, hoher-meister, underweysen, vernunfft, streben, beste, gütte, Christus, vatter, züvorkommen, verderben | no | Wo bleiben hie unnsere Theologen und Schullerer, die uns geleret haben, das wir durch vil würcken sollen fromm werden? Hie wirt zü schanden der hohe Meister Aristoteles, der unns underweyset hat, die vernunfft streb zum besten unnd stehe alltzeit nach dem gütten, Christus aber sprycht hie nein, Sondern, so der vatter nicht züvorkompt, und zeuhet uns, so müssen wir ewyg verderben. | E a questo proposito, dove sono i nostri teologi e professori universitari, i quali ci hanno insegnato che dobbiamo diventare giusti attraverso un lungo esercizio? Qui fallisce il grande maestro Aristotele, che ci ha insegnato che la ragione è tesa a ciò che è migliore ed è sempre inclinata al bene. Cristo invece qui ci dice che non è così: se prima non viene il Padre e non ci attira, per noi la dannazione eterna è inevitabile. |
18,658,8-9 | De servo arbitrio | L'esempio dei filosofi presocratici, tratto dal primo libro della Metafisica, serve a Lutero per parlare di coloro che, come dice poco sopra, sono sostenitori della dottrina del libero arbitrio. Lutero dichiara di poter confutare le loro dottrine, e poco importa se essi continueranno anche contro la loro stessa coscienza a sostenere le teorie errate. In questo modo Lutero può conseguire un duplice risultato. Da una parte, basandosi su un Aristotele, accettato, una volta tanto, almeno come storico della filosofia, può presentare i filosofi come una classe di persone più attaccata alle proprie teorie che alla realtà dei fatti. Dall'altra può gettare un'ombra sui suoi avversari contemporanei. | 38 | 1525 | Metaph. I,3,983b,4-984a,19 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 658 | philosophi, primum-principium, recitare, graecus, caedere, convinco, negare, manifeste | 74 | Sic et Philosophi graecorum fecerunt, ne ullus alteri videretur caedere, etiam manifeste convictus: caeperunt negare prima principia, ut Aristoteles recitat. | In questo modo si sono comportati anche i filosofi greci: nessuno voleva dare l'impressione di dare ragione a un altro, anche se era chiaramente confutato. E così iniziarono a negare l'esistenza dei primi principi, come testimonia Aristotele. | |
18,706,22s. | De servo arbitrio | La critica di Lutero si scaglia sulla concezione di Dio che Aristotele espone in Metafisica XI,7. Un Dio, che, proprio per essere perfetto, non deve occuparsi di ciò che imperfetto è in massimo grado, cioè l'uomo e le realtà terrene in genere. Questa concezione, ravvisa Lutero, è incompatibile con il cristianesimo. Ma c'è di più: il vizio di fondo di un simile ragionamento sta nel fatto che dipende da fondamenti esclusivamente razionali. E la ragione non può, secondo Lutero, che arrivare a un concetto di Dio molto imperfetto e nettamente contrario alla fede cristiana. Con il termineDiatriba Lutero si riferisce al De libero arbitrio Diatribe sive Collatio di Erasmo. | 38 | 1525 | Metaph. XII,7,1072b,23; XII,9,1074b,16-22; M. Mor. II,15,1212b,37-1213b,7 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 706 | Deus, dormire, ratio, iudicare, pingere, sinere, bonitas, correptio, uti, abuti, diatribe | 77 | Talem Deum nobis et Aristoteles pingit, qui dormiat scilicet et sinat sua bonitate et correptione uti et abuti quoslibet. Nec Ratio aliter de ipso potest iudicare, quam hic Diatribe facit. | Anche Aristotele raffigura un tale tipo di divinità: che cioè dorme e permette che chiunque usi e abusi della sua bontà e della sua correzione. E d altra parte la ragione non può giudicare di queste cose, in modo diverso da quanto fa qui la Diatriba. | |
18,729,19-21 | De servo arbitrio | La ragione ha un'idea di Dio costruita con i propri mezzi, e quindi non lo può dipingere superiore alle proprie stesse possibilità. Codice di Giustiniano e quinto libro dell'Etica (in cui come ricorda Aristotele stesso, si tratta di "indagare intorno alla giustizia e all'ingiustizia" V,1,1129a,1) sono dal punto di vista di Lutero espressioni somme della ragione umana in fatto di giustizia: ma assolutamente inadatte a definire la sostanza della giustizia divina. Mentre per Lutero la giustizia divina è altra cosa dal concetto di giustizia aristotelico. | 38 | 1525 | Eth. Nic. V | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 729 | deus, dignari, caro, gloria, credere, iustus, bonus, codex, Iustinianus, diatribe | no | Non dignatur Deum caro gloria tanta, ut credat iustum esse et bonum, dum supra et ultra dicit et facit, quam definivit Codex Iustiniani vel quintus liber Ethicorum Aristotelis. | La carne non giudica Dio degno di tanto onore, da crederlo giusto e buono, mentre egli parla e opera al di sopra e al di là di quanto possano definire il codice di Giustiniano e il quinto libro dell'Etica Nicomachea di Aristotele. | |
18,752,20-29 | De servo arbitrio | Gv. 3,27 era un versetto del Vangelo già esposto da Erasmo nella Diatriba per affermare che tale espressione di Giovanni Battista non contraddiceva l'esistenza del libero arbitrio. Lutero risponde ironicamente. Forse che l'uomo di cui parla il Battista è un puro nulla che diventa un qualcosa per puro dono del cielo? Certo che no, si risponde Lutero, e non serviva un Erasmo per ricordarlo: qui si parla della grazia, non della natura. Aristotele è chiamato in causa perché il suo infinito, al pari del caos di Platone e del vuoto di Leucippo viene considerato un sinonimo di "nulla". Pur nella fugacità del riferimento, Lutero qui sottintende una cosa esatta (almeno nei confronti di Aristotele, molto meno per Platone): l'infinito è paragonabile a un nulla perché per Aristotele non esiste in atto. | 38 | 1525 | Phys. III,6,206a,14-17; 21-26; 206b,12-16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 752 | cahos, vacuum, infinitum, Plato, Leucippus, nihil, aliquid, accipere, spiritus, donum, natura, oculus, naris, auris, os, manus, mens, voluntas, ratio, homo | 83 | Sic illud Ioh. 3: Non potest homo quicquam accipere, nisi fuerit ei datum e coelo. Iohannes loquitur de homine, qui utique aliquid iam erat, et hunc negat accipere quicquam, scilicet spiritum cum donis, de hoc enim loquebatur, non de natura. Nec enim opus illi fuit magistra Diatribe quam illum doceret, hominem habere iam oculos, nares, aures, os, manus, mentem, voluntatem, rationem et omnia quae sunt in homine. Nisi Diatribe credit Baptistam tam furiosum fuisse, ut cum hominem nominarit, cahos Platonis aut vacuum Leucippi aut infinitum Aristotelis aut aliud quoddam nihil cogitarit, quod dono e coelo aliquid demum fieret. | E così quel versetto del terzo capitolo di Giovanni: "L'uomo non può ricevere nulla che non gli sia stato dato dal cielo". Giovanni Battista parla di un uomo che senz'altro già era un qualcosa e nega che costui possa ricevere un qualcosa, cioè lo Spirito con i suoi doni: infatti egli parlava di questo, non della natura. E non aveva bisogno che ci fosse una Diatriba come maestra per insegnargli che l'uomo possiede già gli occhi, il naso, le orecchie, la bocca, le mani, la mente, la volontà, la ragione e tutte le cose che sono proprie dell'uomo. A meno che la Diatriba creda che il Battista fosse tanto pazzo da aver pensato, quando aveva detto la parola "uomo", al caos di Platone, al vuoto di Leucippo o all'infinito di Aristotele o a un qualche altro nulla che per un dono del cielo diventasse finalmente qualcosa. | |
18,785,7-9 | De servo arbitrio | Il primum ens aristotelico non può patire, perché per essenza atto. Per questo motivo non può che rivolgere il suo pensiero a ciò che è più perfetto, cioè a se stesso, tralasciando la realtà corruttibile. Il contrario, secondo Lutero, del Dio cristiano, che fa proprie le miserie e i dolori degli uomini. Sullo sfondo di questa precisazione c'è il problema dell "ingiustizia di Dio": spiegabile secondo Lutero solo con la logica della croce (Dio opera sub contraria specie) e non con la ragione naturale. | 38 | 1525 | Metaph. XII,7,1072b,23 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 785 | primum-ens, liberare, miseria, res, videre, molestissime, malum, iniuria | 78 | Deinde Aristoteles suum illud primum ens, ut liberet a miseria, sentit ipsum nihil rerum videre nisi se solum, quod ei molestissimus esse putat tot mala, tot iniurias videre. | E poi Aristotele, per non vincolare il suo "ente primo" alla sofferenza, lo concepisce come un ente che non vede alcuna realtà, tranne se stesso, poiché ritiene che gli sarebbe spiacevolissimo il vedere tanti mali e tante ingiustizie. | |
19,405,20-23 | Der Prophet Habakuk ausgelegt | La città di Babilonia è uno dei rari argomenti in cui Sacra scrittura e Aristotele non sono in contraddizione agli occhi di Lutero. Ed ogni volta che Lutero incontra il nome di questa città (o anche senza diretti riferimenti al testo biblico, come in questo caso in cui Lutero sta commentando Ab 2,9) cita la Politica aristotelica a sostegno del testo sacro. Dunque anche notazioni apparentemente marginali come questa confermano in negativo la natura essenzialmente teologica della critica luterana ad Aristotele: là dove testo sacro e opere di Aristotele non sono in contraddizione, non c è ragione di criticare il filosofo. | 266 | 1526 | Pol. III,3,1276a,28 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 405 | Babylon, gross, trefflich, ungleublich, stad, land, rinckmauer, fassen | 160 | Noch sagt man von dieser Babylon viel grösser ding, wilch ein trefflich, ungleublich ding es sey gewest, das Aristoteles sagt, es were nicht eine stad sondern ein gantz land ynn die rinckmauren gefasset. | Inoltre di questa Babilonia si dicono cose ancor più grandi; si dice che si trattasse di qualcosa di meraviglioso, di incredibile. Aristotele al proposito dice che non era una città ma un intera regione circondata da mura. | |
19,639,15-22 | Ob Kriegsleute auch in seligem Stande sein können | Fabeln, favole: ecco cosa si può trattenere di Aristotele. Non un sapere filosofico razionalmente fondato, ma una raccolta di massime moraleggianti e di storielle edificanti, come questa delle mosche fastidiose e del povero mendicante. E allora Aristotele può essere anche definito sapiente, dotto (glerten), perché i contenuti da lui esposti possono essere armonizzati con la fede cristiana. Comunque Lutero evita di citare l autore e l opera ai suoi interlocutori. E infine da notare che il contenuto della favola è grosso modo quello riportato dalla Retorica di Aristotele, ma che la favola stessa è attribuita da Aristotele e da Plutarco (An seni gerenda sit resp. 12,1-2) ad Esopo, un autore di cui Lutero ha grandissima stima: probabilmente quindi è ad Esopo che Lutero sta pensando mentre Aristotele è considerato un semplice testimone di questa favola di Esopo. I personaggi di cui parla il testo aristotelico, inoltre, sono una volpe e un riccio, mentre qui si parla di un mendicante e di un passante. | 393 | 1526 | Rhet. II,20,1393b,23-32 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 639 | glerte, gleichnis, bettler, wund, fliege, fabel, angst, plagen, stechen, saugen, barmhertzig, helffen, schreien, sprechen, vol, satt, hungerig, verstehen | no | Also haben die glerten auch eine gleichnis von eym bettler, der vol wunden war und sassen viel fliegen drynnen die yhn sogen und stochen. Da kam ein barmhertziger mensch, wolt yhm helffen und geucht die fliegen alle von yhm. Er schrey aber und sprach: Ach, was machstu da? Diese fliegen waren schier vol und satt, das sie mir nicht mehr so angst thetten. Nu komen die hungerigen fliegen an yhre stat und werden mich viel ubeler plagen. Verstehestu diese fabeln? |
I dotti raccontano anche l esempio di un mendicante, che era pieno di piaghe: molte mosche gli ronzavano intorno, lo pungevano e gli succhiavano il sangue. Arrivò allora un uomo misericordioso che, volendogli far del bene, scacciò tutte le mosche lontano da lui. Ma quello si mise a piangere e disse: Ma cosa hai fatto? Queste mosche erano ormai pasciute e sazie, tanto che non mi tormentavano più. Adesso al loro posto arriveranno mosche fameliche e mi assaliranno con un aggressività molto più grande . Comprendi queste favole? |
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20,20,9-21,1 | Annotationes in Ecclesiasten 1532 | Lutero sta commentando Qo 1,7: "Tutti i fiumi vanno al mare, eppure il mare non è mai pieno: raggiunta la loro meta, i fiumi riprendono la loro marcia". Conformemente alle conoscenze bibliche del tempo, Lutero è convinto che l'autore sia Salomone, mentre si tratta di una finzione letteraria: l'autore è vissuto settecento anni dopo Salomone, nella seconda metà del III sec. a.C. La notazione più interessante di questo passo, che testimonia la conoscenza da parte di Lutero dei Meteorologica di Aristotele, è la caratterizzazione di philosophicum che Lutero attribuisce all'argomento. Siamo infatti nell'ambito della filosofia naturale di matrice aristotelica, all'interno della quale però il testo sacro esercita una sua funzione. La parola di Salomone secondo Lutero pesa di più di quella di Aristotele anche in un argomento scientifico. Il vanissimi in riferimento agli uomini introduce al significato morale di questa divagazione scientifica: vanissimi perché non imparano dall'armonia e dalla continuità dell'universo a rimanere nell'ambito di ciò che è stato a loro dato come compito da Dio, ma per amore di vanità vogliono sempre andare al di fuori degli argini fissati. | 172 | 1526 | Meteor. I,13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 20 | mare, flumen, philosophicus, ventus, vanus, replere, disputare, fons, invenire, Solomon, aqua, vanissimus, homo, mirabilis, regnum, aer, sol, assidue, cessare, flumen, intrare | no | Item omnia flumina vadunt ad mare, mare non repletur . Hoc quoque est philosophicum. Aristoteles disputat, unde fontes, venti unde, sed nusquam invenitur, quod hic Solomon dicit, quod aquae veniant ex mari et impleant mare. Quamvis homines sint vanissimi, tamen mirabile regnum. Aer movetur ut sol assidue et non cessat, sic flumina: intrant mare et mare non repletur. | E così tutti i fiumi sfociano nel mare, ma il mare non si riempie . Anche questo è un argomento filosofico. Aristotele tratta la questione dell origine delle sorgenti e dei venti, ma in nessun passo della sua opera si trova ciò che qui dice Salomone, cioè che le acque vengono dal mare per sfociare poi di nuovo nel mare. Sebbene gli uomini siano del tutto superficiali, questo regno è degno d ammirazione. L aria è soggetta a un movimento continuo e ininterrotto, così come il sole: e allo stesso modo i fiumi vanno al mare e il mare non si riempie. | |
20,20,26-35 | Annotationes in Ecclesiasten | Un'altra stesura del brano già commentato in WA 20,20,10. Anche il procedimento è lo stesso. Invano Aristotele e i filosofi si affaticano per stabilire quale sia la causa dei venti e dei fiumi. Sta scritto tutto nella Bibbia, che ha anche autorità di testo scientifico. | 172 | 1532 | Meteor. I,13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 20 | flumen, mare, ventus, fons, origo, principium, terra, redundare, locus, redire, effluere, investigare, sudare, invenire, Salomon, implere, aqua, occultus, meatus, scaturire, erumpere, philosophi, fingere, scaturire, sententia, gurges, fluere, refluere | no | Omnia flumina intrant mare et mare non redundat. Flumina ad locum, unde maneant, redeunt, ut inde rursus effluant. Disputat Aristoteles, unde veniant fontes et venti, et valde in eo investigando sudat et cum illo multi alii, sed nusquam invenitur, quod Salomon hic dicit, omnia flumina venire ex mari et rursus implere mare, mare ponens aquarum omnium ac fluminum originem et principium, ex quo per occultos meatus scaturiant et erumpant, cum tamen plerique Philosophorum singulis fere fluminibus suas origines sub terra esse fingant, unde scaturiant, Sed vera est Salomonis sententia, videlicet omnium et fontium et fluminum gurgites ex mare fluere et refluere. |
Tutti i fiumi sfociano nel mare, ma il mare non si riempie. I fiumi ritornano al luogo da cui sono venuti per sgorgare di lì un'altra volta. Aristotele istituisce una trattazione sull'origine delle sorgenti e dei venti, e si affatica a fondo nell'approfondimento del problema, e con lui molti altri, ma in nessun libro si trova ciò che qui dice Salomone, e cioè che tutti i fiumi vengono dal mare e di nuovo riempiono il mare, ponendo così il mare come origine e causa di tutte le acque e di tutti i fiumi, dal quale essi attraverso moti nascosti scaturiscono e zampillano. La maggior parte dei filosofi invece immagina che i singoli fiumi abbiano la loro origine sotto terra e che di qui zampillino. Invece ha ragione Salomone: le correnti di tutti i fiumi e di tutte le sorgenti fluiscono e rifluiscono dal mare. |
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20,70,19-33 | Annotationes in Ecclesiasten | Lutero sta commentando Qoelet 3,19. "Infatti tutti hanno un solo soffio vitale e all'uomo non sarà dato di più che alla bestia, poiché tutto è vanità, tutto va a finire in un solo luogo, tutte le cose sono fatte di polvere e ritornano in polvere". Lutero è soprattutto preoccupato di spiegare che questo passo non vuole alludere a una presunta mortalità dell'anima umana, perché qui si parla "de rebus sub sole" (WA 20,70,22-23). L'espressione, richiamata anche alla fine del passo sopra riportato, si riferisce al versetto 16: "ho anche notato che sotto il sole al posto del diritto c'è l'iniquità..." ecc.). Il mondo non può giudicare altrimenti, e con il mondo anche i filosofi, che del mondo sub sole, del mondo privo della grazia, sono espressione. Con Aristotele Lutero ha gioco facile: può ripetere ciò che anche altre volte dice (cfr. es. WA 6,458,7; 59,413,15) a proposito del filosofo, da Lutero visto come oppositore dell'immortalità dell'anima ma soprattutto criticato per l'ambiguità e la reticenza. Diverso il caso di Platone: Lutero non nega che abbia sostenuto l'immortalità dell'anima, ma ritiene anche che non si tratti di farina del suo sacco. Sono solo audita, afferma Lutero, che Platone riferisce senza crederci. Altrove Lutero spiegherà dove e come Platone ha udito queste dottrine: in Egitto (cfr. WA 42,4,16), dove venne a conoscenza alcune dottrine ebraiche. Lutero fa propria così la lunga tradizione medievale secondo cui Platone conobbe il monoteismo ebraico. Diverso però l'atteggiamento di Lutero: mentre tradizionalmente questa interpretazione serviva a sancire un platonismo conciliabile con il cristianesimo, a Lutero serve invece per dimostrare che in queste dottrine Platone non mette nulla di proprio, e quindi per escludere del tutto l immagine di un filosofo naturaliter christianus. | 172 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 70 | anima, immortalitas, fabula, callide, referre, Plato, ratio, sol, frigide, disputare, agere, cavere, disserere, exprimere, sentire, auditus, sententia, humanus, convincere | no | Philosophi de animae immortalitate disputarunt quidem sed ita frigide, ut meras fabulas egisse videantur, potissimum vero Aristoteles sic de anima disputat, ut diligenter et callide caverit ubique, ne alicubi dissereret de eius immortalitate, neque voluit exprimere, quid sentiret. Plato retulit potius audita quam suam sententiam. Neque enim potest ulla ratione humana convinci eius immortalitas, quia res est extra solem credere animam esse immortalem. | I filosofi hanno trattato sì dell'immortalità dell'anima, ma con una freddezza tale da dare l'impressione che per loro si trattasse di favole. Soprattutto Aristotele discute dell'anima in questo modo. Ha cioè evitato con sistematicità e astuzia di metterne in questione la immortalità in alcun punto della propria opera e non ha voluto dire chiaramente ciò che pensava. Platone, più che esporre un pensiero proprio, racconta cose imparate da altri. Ma d'altra parte non c'è ragione umana che possa venir convinta dell'immortalità dell'anima; credere nell'immortalità dell'anima è qualcosa che spetta a ciò che non sta sotto il sole. | ||
20,90,16-91,1 | Annotationes in Ecclesiasten | Lutero sta commentando Qo 5,2: Dalle molte preoccupazioni vengono i sogni . Un versetto che è un invito a nozze per Lutero: gli offre la possibilità di condannare l attivismo delle opere e insieme l astrattezza dei filosofi. Il termine somnium si incontra spesso quando Lutero parla di Aristotele e dei suoi seguaci, ad esempio in WA 1,528,34 (somnia aristotelica); 5,270,39; 9,170,2. E un termine scelto con cura da Lutero per evidenziare l incapacità della filosofia di far presa sul mondo reale, di tradursi in strumento conoscitivo efficace. Da notare il fatto che anche Platone è accomunato ad Aristotele in questo giudizio negativo. | 172 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 90 | disputare, der-sach-helffen, somnium, Plato, verbum, deus, sollicitudo, corporalis, ansehen, tempus | no | Sic quando multum disputatis et wolt der sach helffen, wenn mans recht ansihet, sunt somnia. Ut Aristoteles, Plato et nostris temporibus, sunt verba, audiatur tandem, dicimus, deus. Sic isti habent nihil quam somnia, quia habent sollicitudines corporales. | E così capita quando vi intrattenete a lungo in dispute e volete darvi da fare per tante cose: se vogliamo guardare bene, si tratta di sogni. Come Aristotele, Platone e altri, nostri contemporanei: pure parole. Di grazia, diciamo: si ascolti cosa dice Dio. Così invece costoro non hanno altro che sogni, perché sono pieni di preoccupazioni mondane. | ||
20,120,1-6 | Annotationes in Ecclesiasten | La prima delle due frasi riecheggia il versetto 6,10 del Qoelet. Per ogni uomo è stato stabilito un nome significa che per ogni uomo è stato fissato un destino contro il quale non bisogna lottare, perché sarebbe combattere contro uno più forte . Unico esito di questo affannarsi per cambiare le cose è solo un diluvio di parole. Aristotele e Platone sono presi ad esempio da Lutero proprio per significare questo uso del linguaggio che proviene da un affaticarsi senza meta e senza scopo al quale non corrisponde alcun significato (è vanus, come indica un aggettivo ricorrente in questo libro della Bibbia). Questa critica viene sviluppata altrove (ad esempio in WA 59,426,17-19) da Lutero anche sul piano filosofico: le speculazioni filosofiche sono insensate e non consentono un adeguato approccio alla realtà. Anche nella politica, dunque, un campo d azione che è proprio della ragione umana, la ragione stessa non riesce a conseguire risultati. | 172 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 120 | cogitatio, Caesar, Papa, succedere, nomen, definitus, dimensum, angustia, verbum, reden, ethnicus, vanissimus, Plato, merus, verbum, pugnare, fortis | no | Vide cogitationes Caesaris, Papae: non succedunt, quia nomen eorum est definitum nomen. Ipsi excedunt dimensum, ergo pugnant contra fortiorem ipsis. Quid inde? Angustia. Verba sunt plurima es wirt nicht mer draus, den das man da von rede. Ethnici vanissimi, Plato und Aristoteles talia scripserunt, sunt mera verba. |
Vedi quanto avviene con i piani di Cesare o del papa: non danno frutti, perché il loro nome è un nome prestabilito. Vogliono andare oltre la misura, combattendo contro uno più forte di loro: cosa ne guadagnano? Sventure. Le parole sono troppe : da queste cose non possono che derivare pure parole. I pagani sono del tutto inconsistenti. Platone e Aristotele hanno scritto cose del genere: parole inutili. |
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20,119,37-120,23 | Annotationes in Ecclesiasten | L uomo, cristiano o pagano, deve sottostare a un destino già prefissato. Il tentativo di mutare il corso delle cose sortisce solo un effetto, quello di creare parole a cui non corrisponde alcuna realtà. E un problema questo che riguarda direttamente la filosofia, qui considerata soprattutto sotto il profilo politico. Secondo Lutero la filosofia non si costituisce come sapere che arricchisce la conoscenza, ma come un sapere post factum, costretto sempre a inseguire il corso delle cose che non si lasciano ridurre a schemi mentali. Si tratta di una critica che quindi colpisce la filosofia da due versanti: da una parte negando validità conoscitiva ai suoi concetti (mera verba), dall altra negandole ogni possibilità di mutare la realtà. Questo secondo versante ricorda da vicino le obiezioni che Lutero muove alla concezione aristotelica secondo la quale la virtù si ottiene con l esercizio (cfr., tra i tanti passi al riguardo, WA 1,84,19; 2,424,35; 4,3,32; 8,607,34). Solo se l uomo è reso giusto dalla grazia può diventare buono o può incidere nella realtà anche politica; senza la grazia, in forza della sola saggezza pagana, i suoi sforzi sono inevitabilmente condannati a non lasciare traccia nel mondo se non quella, appunto, di un mero parlarsi addosso. | 172 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 120 | lex, nomen, certus, officium, efficere, verbum, Plato, administrare, respublica, mos, civilis, consilium, sapiens, consulere, succedere, post-factum, agere, niti, fluvium, navigare, efficere, prudenter, consulere, multiplicare, reden, scribere, merus, sequi, videre, iuvare | no | Cum ergo videas omnia esse certa lege constituta et nomen et officium tuum nec tamen eo contentus contra agis ac niteris, contra fluvium navigas neque quicquam efficies, utcunque multa prudenter et consuleris et feceris, nisi quod multiplicabis verba, Es wird nicht mehr daraus denn das man davon rede. Sic multa scripsit Plato, multa item Aristoteles de administranda Republica et civilis moribus etc. Sed sunt mera verba et manent verba, ad quae nihil sequitur. Postea cum viderent non succedere, cupierunt aliis et novis consiliis et legibus iuvare res et dicunt: Utinam sic egissemus, scilicet post factum sapientes. | Sei conscio che tutte le cose sono fissate e stabilite da una legge, compreso il tuo nome e il tuo compito, e tuttavia, ancora insoddisfatto, tenti di darti da fare per cambiare le cose. Ma così navighi contro corrente e, per quanto tu decida e agisca con saggezza, non ottieni alcun risultato se non quello di moltiplicare le parole. Da queste cose non possono che derivare pure parole. Platone e Aristotele, ad esempio, hanno scritto molto sull amministrazione dello stato e sul comportamento dei cittadini e via dicendo. Ma si tratta di pure parole che rimangono tali e alle quali non segue nulla. Dopo infatti, vedendo che non si realizzavano, hanno cercato di migliorare la situazione con nuove norme e leggi. E dicono: Se avessimo agito in questo modo! : sanno tutto, ma sempre troppo tardi. | ||
20,194,1-5 | Annotationes in Ecclesiasten | Il versetto del Qoelet a cui Lutero si riferisce è 12,3: quando tremeranno i custodi della casa . L'autore biblico invita l'uomo a restare nel timore di Dio prima che sopraggiunga la vecchiaia, descritta con alcune immagini tra cui appunto quella dei custodi della casa. I custodi in agitazione sono metafore della mano tremante. E qui a Lutero sovviene un passo del De anima in cui Aristotele descrive la mano come organo per eccellenza, mentre il riferimento all unità organica del corpo è di De motu animalium 8, anche se l Index aristotelicus del Bonitz non segnala l uso del termine mikrokovsmo" in alcuna opera aristotelica. | 172 | 1532 | De an. III,8,432a,1s., De motu anim. 8-9 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 194 | senectus, pictura, commovere, assuescere, manus, from, timor, tutor, corpus, membrum, mikrokosmus, puer, officium, servire | no | Quando commovebuntur . Sunt picturae senectutis: assuesce et sis from, ut sis in timore dei, ante quam fias puer. Manus sunt tutores corporis, ut Aristoteles, nullum membrum tam multiplicis offitii ut manus omnibus membris, servit manus una alteri, alias quodque habet suum officium. Corpus nostrum est domus, mikrokosmus etc. | "Quando saranno in agitazione". Sono descrizioni della vecchiaia: abituati e sii giusto, abbi timore di Dio, prima di entrare nella giovinezza. Le mani sono i custodi del corpo, come dice Aristotele, nessuna parte del corpo svolge un numero così grande di funzioni come la mano nei confronti delle altre parti, una mano viene in aiuto all'altra, mentre negli altri casi ogni organo ha solo la propria funzione. Il nostro corpo è come una casa, un microcosmo e via dicendo. | |
20,194,17-24 | Annotationes in Ecclesiasten | E' lo stesso versetto commentato in WA 20,194,3. Si parla sempre della vecchiaia, dei custodi in agitazione paragonati alle mani tremanti di un anziano. In questo caso la citazione del De anima è esplicita, con la definizione di mano come organum organorum. A questo accenno ad Aristotele se ne aggiunge anche un altro del De motu animalium in cui la mano viene definita custode del corpo. | 172 | 1532 | De an. III,8,432a,1s.; De motu anim. 8-9 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 194 | domus, senectus, custos, manus, organum, rex, officium, membrum, politia, oeconomia, caput, descriptio, pictura, adsuescere, ferre, malum, timor, deus, trepidare, tutor, multiplex, servire | no | Quando custodes domus trepidabunt. Descriptiones sunt et picturae senectutis, vult dicere: Adsuesce ferre mala, vivas in timore Dei, ante quam custodes domus trepident, id est, priusquam manus tremant. Manus enim sunt tutores corporis, ut Aristoteles quoque manum vocat organum organorum: Quia multiplicis officii est, omnibus reliquis membris servit, cum alia membra singula sua habeant officia. Est autem corpus nostrum domus quaedam, in qua invenire est politiam et oeconomiam, cuius politiae rex caput est, custodes manus etc. |
"Quando i custodi della casa saranno in agitazione". Sono descrizioni e immagini della vecchiaia. L'autore vuol dire: abituati a sopportare i mali, vivi nel timore di Dio, prima che i custodi della casa siano in agitazione, cioè prima che le tue mani tremino. Le mani infatti sono i custodi del corpo, e così anche Aristotele chiama la mano strumento degli strumenti, perché è in grado di svolgere una grande quantità di funzioni, viene in aiuto di tutte le altre parti del corpo, mentre le altre parti hanno ciascuna una singola funzione specifica. Il nostro corpo è come una casa, nella quale si può distinguere una forma di governo e di amministrazione. Re di questo stato è la testa, mentre le mani sono i custodi. |
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20,199,13-19 | Annotationes in Ecclesiasten | Lutero sta commentando Qo 12,10, in cui l'autore del testo biblico sta lodando Qoelet per la sua saggezza nello scrivere e nel trasmettere la verità. Una riprova del fatto che si è capito bene, infatti, argomenta Lutero, sta proprio nella capacità di trasmettere il vero, di insegnare. E a sostegno di questa affermazione cita Aristotele, che nella Metafisica spiega che l'insegnamento è proprio di chi possiede scienza, non semplicemente esperienza pratica. In questo caso - ma quasi sempre in quest'opera - il ricorrere ad Aristotele è usato da Lutero per rafforzare le proprie argomentazioni, e quindi il filosofo viene implicitamente avvalorato come auctoritas. Siamo nel 1532, in piena rivalutazione di Aristotele. Da notare soprattutto il fatto che Lutero in questo passo parla anche di coloro che per mascherare la propria ignoranza si esprimono in modo volutamente oscuro. Probabilmente qualche anno prima non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione per condannare l'oscurità di Aristotele, che veniva bollata da Lutero proprio come un segno caratteristico della sua ignoranza (v. ad es. WA 59,418,21s.: "sed voluit ludere philosophus ignarus, ut, quoquo modo acciperetur, certe dixisse videretur"). | 172 | 1532 | Metaph. I,1,981b,7 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 199 | verbum, sermo, veritas, obscuritas, intelligere, docere, scire, studere, prodesse, dignus, salutaris, acceptatio, recte, involvere, imitator | no | Quaesivit verba accepta et recte scripsit sermonem veritatis. Id est: Studuit, ut prodesset dignis et salutaribus verbis, seu ut Paulus loquitur: quae sunt verba omni acceptatione digna et conscripsit recte verba veritatis. Non involvit obscuritate, sicut solent illi imitatores, qui cum non recte intelligant, neque recte docent. Signum enim scientis est posse recte docere, ait Aristoteles. |
Cercò parole ben accette e espose in modo adeguato il contenuto della verità. Cioè: cercò di portare conforto con parole autorevoli e apportatrici di salvezza, o, come dice Paolo, parole sicure e degne di essere accettate da tutti e le parole scritte da lui espressero in modo adeguato la verità. Non la avvolse con discorsi poco chiari, come sono soliti fare quegli imitatori che non possono insegnare bene proprio perché non hanno capito bene. Infatti Aristotele dice che una caratteristica del sapiente è di saper insegnare bene. |
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20,424,3-6 | Predigten des Jahres 1526 (Joh 3,1-15) | Per la traduzione di questo brano, steso in forma di appunti in latino e tedesco, ci si è basati su WA 20,424,19-27, un altra trascrizione della stessa predica, ma molto più completa (vedi ad esempio sed ut in regulam fast, ut dicas: ibi incepit, ibi desinet , due preposizioni prive della rispettiva reggente, che in WA 20,424,21 è kanstu nicht tun che pertanto è stata integrata nella traduzione). Lutero si appoggia all autorità scritturale per sancire l inconoscibilità di un fenomeno atmosferico quale il vento. La notazione non è marginale. Anche in un settore come quello delle scienze naturali che è stato sottoposto da Dio alla ragione umana e che è constatabile dai sensi (cfr. WA 20,424 passim), l uomo non può raggiungere conclusioni certe. La parola di Cristo ( Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va ) è - agli occhi di Lutero - un autorevole conferma di questa deficienza. A maggior ragione dunque nelle cose spirituali, che non sono indagabili dai sensi, la ragione umana è impotente. | 320 | 1526 | Meteor. I,13, 2-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 424 | horen, sonitus, fassen, hochgelart, docere, vis, ventus, expertus, sonus, audire, producere | no | Illud horestu per sonitum, sed ut in regulam fast, ut dicas: ibi incepit, ibi desinet, die hochgelarten, Ut Aristoteles docuerunt vim venti. Qui producit ventos ps. der hasts getroffen. Nemo unquam expertus, ubi ventus inceperit, tantum sonus auditur. | Tu sei in grado di percepire il vento per il suo fruscio; ma capire fino in fondo, così da poter dire dove comincia e dove arriva a destinazione, di questo non sei capace. I più grandi saggi, come Aristotele, hanno tentato di spiegare la potenza del vento. Ma chi ha colto nel segno è stato il salmo: Colui che fa scaturire i venti... . Nessuno mai ha visto il luogo in cui ha origine il vento: se ne percepisce solo il suono. | |
20,424,19-27 | Predigten des Jahres 1526 (Joh 3,1-15) | Il contenuto di questo passo corrisponde a quello di WA 20,424,3-6, esaminato sopra (si tratta di un edizione della stessa predica basata su un altra trascrizione). L inizio del terzo capitolo del vangelo di Giovanni dà modo a Lutero di contestare la teoria aistotelica sull origine dei venti. Cristo paragona chi è nato da Dio al vento, di cui non si conoscono l origine, la natura e la destinazione. La parola di Cristo è sufficiente a Lutero per condannare ogni tentativo di spiegazione scientifica di questo fenomeno e anche la citazione di Sal 134,7 è da lui interpretata come una conferma dell impossibilità di un indagine scientifica al riguardo. | 320 | 1526 | Meteor. I,13; II,4-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 424 | wind, leiblich, creatur, hauchen, blasen, fassen, anheben, auffhören, hohe-schule, aus-messen, hohe-höhl, loch, David, ventus, thesaurus, heimlicher-ort | no | Er ist gleich wie ein wind, der da ein leibliche creatur ist, den horistu hauchen und blasen, aber das du yhn soltest ynn regel fassen, wo er anhebt odder auffhöret, wo yhn er gehet, kanstu nicht thun. Wie wol es unsere hohen schule auch haben wollen aus messen, und Aristoteles gesaget hat Es sind hohe löcher, dar aus der wind kome und widder hinneyn gehe . Aber David hats troffen Psalm 135. Qui producit ventos de thesauris suis . Der die winde komen lessit von seinem heimlichen ort . | L uomo spirituale è come un vento (che pure è una creatura materiale!). Lo senti sussurrare e soffiare: ma riuscire a capire bene dove comincia, dove finisce o in quale direzione va, di questo proprio non sei capace, quantunque le nostre università abbiano anche tentato di misurarlo e Aristotele abbia detto che esistono degli anfratti cavernosi dai quali il vento proviene e ai quali fa ritorno. Ma nel salmo 135 Davide coglie nel segno, quando dice: Qui producit ventos de thesauris suis , Egli, che fa sprigionare i venti dal suo luogo segreto . | |
20,546,25-29 | Predigten des Jahres 1526 (Matth. 21,1) | Rimproveri di Lutero al termine di una predica a Wittenberg nel 1526. La gente, afferma Lutero, non si interessa del Vangelo, trascura la messa, ma in compenso si riempie le case di libri profani che non servono per nulla alla salvezza. Due i dati significativi: da una parte la notazione, di segno genericamente negativo ma non accompagnata da particolari condanne, della presenza a Wittenberg di testi di Platone e Aristotele, filosofi citati ironicamente al plurale da Lutero. Da un altra parte l accenno a un opera di spiegazione da parte dello stesso Lutero (praelegimus). Probabilmente Lutero qui si riferisce all attività universitaria di Wittenberg come il verbo tecnico praelegere fa supporre. | Pr. 711 | 1526 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 546 | liber, Aristoteles-pl., obruere, Platones, praelegere, tractare, lingua-germanica, lingua-latina, lingua-greca, lingua-hebraica, gloriari, concio, Christus, legere, excusare, domus, officium, excusare | no | Libenter serviremus vobis, obruti omnino, tractatur in linguis germanica et latina, greca, hebraica, omnes domus plenae libris. Ego non possum gloriari, quod semel audivi in concione una de Christo et eius officio. Semper legimus Aristoteles, Platones. Vos habetis copiose, et nos copiose praelegimus, ut simus excusati. | Preferiremmo essere vostri servi nel totale nascondimento, e invece si discute nelle lingue tedesca, latina, greca ed ebraica, tutte le case sono piene di libri. Io non posso certo gloriarmi di aver sentito parlare una sola volta in alcuna predica di Cristo e della sua missione. Leggiamo sempre gli Aristoteli e i Platoni. Voi ne avete in grande quantità e noi li spieghiamo altrettanto copiosamente, per essere scusati. | ||
20,612,21-613,5 | Vorlesung über den 1. Johannesbrief | Platone e Aristotele vengono accomunati nel giudizio di Lutero ma qui è di Aristotele e della sua concezione di Dio che si parla: è chiaro fin dall inizio, quando Lutero accenna al fatto che Dio non si cura di noi. Esplicito il riferimento alla Metafisica (e fuorviante invece quanto afferma a pag.613 l edizione di Weimar, che osserva che i libri Meteorologici sono solo quattro, fraintendendo l abbreviazione Meth.): il dio aristotelico non patisce i dolori degli uomini. Tutti gli sforzi di Aristotele hanno l unico risultato di creare una divinità che non si interessa agli uomini. La sapienza umana, quando si tratta di Dio, è tenebra. E anzi, Lutero sottolinea che è più vantaggioso il punto di partenza del senso comune (quello del popolo greco, secondo cui Dio punisce i malvagi) che quello dell astrazione filosofica, che porta a delineare un Dio che non ha nulla a che fare con l uomo. Implicita, sullo sfondo, la negazione del valore conoscitivo della filosofia in materia teologica. | 343 | 1527 | Metaph. XII,7 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 612 | Plato, graeci, cura, Deus, cogitatio, videre, tenebra, sapientia, adsequi, efficere, terra, habere, frolich, metiri, concludere, caro, gut-tag, vulgus, natio, philosophi, straffen, malus | no | Inspice Graecos: Plato, Aristoteles quid effecerunt, adsecuti sunt? quod deo non simus curae. 12. Meth. si deus omnia videret in terris, nunquam haberet ein frolichen mut. Ita metitur deum secundum cogitationes nostras, ergo concludit deum neminem videre quam seipsum, et caro habet gut tag. Num haec non est tenebra? et habita pro maxima sapientia. Vulgus Graecorum et omnium nationum fuit ergo sapientius ipsis philosophis, dixit deum straffen malos etc. | Considera i Greci: Platone e Aristotele cos hanno ottenuto da tutti i loro sforzi? Per loro, noi non siamo oggetto di attenzione da parte di Dio. Vedi il dodicesimo libro della Metafisica: se Dio vedesse tutto ciò che avviene sulla terra, non potrebbe mai essere felice. Così egli misura Dio con il metro della nostra sapienza umana, e non può che concludere che Dio non vede nessuno al di fuori di se stesso, e così la carne se la spassa. Forse che questa non è tenebra? Però è considerata come la più grande sapienza. Il popolo greco e di tutte le altre nazioni è stato più saggio di questi filosofi, perché pensava che Dio punisce i reprobi e via dicendo. | |
20,612,23-613,21 | Vorlesung über den 1. Johannesbrief | Il contenuto è lo stesso di WA 20,612,22. La specificazione da parte di Lutero che il dio aristotelico tantum est beatus in consideratione sui è probabilmente un richiamo a Metafisica XII,7,1072b,22s., in cui Aristotele sostiene che, più che la stessa capacità di conoscenza, è il possesso ciò che di più divino ha l'intelligenza divina. | 343 | 1527 | Metaph. XII,7,1072b,22s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 612 | Plato, deus, beatus, tenebrae, sapientia, graecus, philosophus, efficere, res-humanae, curare, inspicere, argomentari, consideratio, sapientissimus, admirari | no | Inspice grecos philosophos Platonem, Aristotelem et alios. Quid effecerunt quam ut tandem statuerunt Deum humana non curare? Si enim alia extra se posita inspiceret deum (sic argomentantur), non poßet esse Beatus: quare tantum est beatus in consideratione sui aliis omnibus rebus posthabitis. Hae an non sunt tenebrae in hominibus sapientissimis? Atqui has ipsi tenebras et ipsi et alii tamquam summam sapientiam sunt admirati. | Considera i filosofi greci, Platone, Aristotele e gli altri. Che cosa hanno fatto di buono dunque, oltre ad appurare che Dio non si occupa delle vicende umane? Infatti se Dio guardasse alle cose al di fuori di sé (queste sono le loro argomentazioni) non potrebbe essere felice, dal momento che è beato proprio in quanto rivolto a se stesso, tralasciando tutte le altre cose. Forse che queste non sono tenebre, in questi uomini "sapientissimi"? Eppure costoro ed altri le hanno considerate con ammirazione come espressione della più alta saggezza. | |
20,612,37-613,28 | Vorlesung über den 1. Johannesbrief | Anche in questo caso il contenuto è lo stesso di WA 20,612,22. Delle tre versioni di questo brano della Vorlesung über den 1. Johannesbrief, questa è la più concisa, ma anche quella che meglio chiarisce le intenzioni di Lutero: dimostrare che non solo la filosofia non avvicina a Dio, ma che quanto più intensamente è approfondita, tanto più allontana da un giusto concetto della divinità. | 343 | 1527 | Metaph. XII,7,1072b,14s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 612 | Deus, animus, pacatus, subtilis, concludere, videre, agere, respicere, homo | no | Aristoteles sic concludit: Si Deus videret omnia, quae hic aguntur, nunquam esset pacato animo, ideo non respicit nostra. sed quanto homines sunt subtiliores, tanto minus de Deo habent. | Questa è la conclusione di Aristotele: se Dio vedesse tutto ciò che capita qui, il suo spirito non potrebbe mai essere sereno. Per questo non si occupa delle nostre vicende. Quanto più gli uomini ragionano con sottigliezze, tanto meno sanno cosa sia Dio. | |
20,679,21-680,1 | Vorlesung über den 1. Johannesbrief | Il versetto della prima lettera di Giovanni preso in considerazione da Lutero è 2,21: Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna viene dalla verità . Il problema che sorge a questo punto è: perché Giovanni scrive, se i cristiani suoi interlocutori sono già perfetti nella scienza? Risposta di Lutero: perché essi desiderano partecipare ancora in maggior grado della verità di Cristo. Ed è qui che entra in ballo Aristotele. Con una delle rare citazioni del De generatione et corruptione riscontrabili nella sua opera, Lutero afferma che, mentre in natura gli habitus realizzati comportano una cessazione del movimento nella quiete dell'atto, in campo spirituale la cosa è diversa: più l'anima si perfeziona, più vuole attingere alla fonte della sua perfezione. Intenzione di Lutero è di contrapporre la staticità della concezione aristotelica al dinamismo della teologia cristiana, la natura (esplicitamente citata) alla grazia. | 343 | 1527 | De gener. et corr. I,7,324b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 680 | veritas, habitus, natura, motus, scribere, satiare, audire, perfectus, cessare | no | Quare ergo scribit? Quia aliqui in turba Christi, illi nunquam satiantur et non satis habentes etiam libenter audiunt, ut perfectiores sint. Sciatis die veritas in Christo, sic ego facio. Habitibus existentis in natura cessat motus, hie nicht. | Ma perché allora Giovanni scrive queste cose? Perché alcuni nel popolo di Cristo non sono mai sazi e non avendo a sufficienza, desiderano ascoltare ancora per essere più perfetti. Conoscete la verità in Cristo, così come faccio io. In natura, quando gli habitus sono giunti alla loro realizzazione, l'attività cessa, qui invece no. | |
21,21,24-22,3 | Stephan Roths Winterpostille - Evangelium am Andern Sonntage des Advents (Luk. 21,25-33) | Le stelle cadenti sono uno dei fenomeni atmosferici che assumono in Lutero una funzione simbolica. Lo dimostra la sua esegesi di questo passo evangelico, Lc 21,25 ( vi sarano segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti ). I segni nelle stelle vanno identificati da Lutero nelle stelle cadenti. Questo tipo di stelle non sorge, come ritiene Aristotele, dalla condensazione di vapori terrestri. Di esse sappiamo solo che l ultimo giorno dovranno cadere sulla terra, e di conseguenza Lutero costruisce una rudimentale teoria scientifica per spiegare che tutti i mutamenti che vediamo in questi corpi celesti sono finalizzati alla caduta finale. Ma è inutile volere approfondire con la sola ragione naturale il senso di questi fenomeni. Non a caso Lutero collega la spiegazione aristotelica delle stelle cadenti con quella del vento e cita l episodio di Gesù e Nicodemo. Le parole di Gv 3,8 ( Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito ) sono interpretate nel senso di una sconfessione della conoscenza naturale. Cfr., sempre su Nicodemo, WA 47,22,19-23,2; 17 I,282, 34-38; 12,588,18-24. Il termine usato da Lutero parla chiaro: queste realtà sono unerforschlich, sottratte al dominio dell indagine puramente razionale. | 773 | Po.168 | 1528 | Meteor. I,7 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 21 | zeichen, stern, hymel, fallen, vergebens, fliegen, ort, einsetzen, aussprützen, speychel, erde, buch, schreiben, natürliche-vernunfft, ausgründen, nass, dürr, dempff, hynauss-steigen, form, gestalt, Cometen, schwantz, erforschen, unerforschlich, Gott, wind, anfang, ursach, Christus, Nicodemus, blesen, hauchen, Jüngster-tag, dencken | no | Das dritte zeichen ist, das die sterne vom hymel fallen sollen, das sehen wir nu auch offt und sonderlich ytzt daher zu unsern zeiten, das ich nicht weys, ab sie vorhyn auch so offt sind gefallen. Nu solt yhr nicht dencken, das sie so vergebens dahyn fallen werden, Neyn, sondern man sihet sie wol fliegen, so das sie sich zuzeiten auch an eim andern ort widder einsetzen und zuzeiten auch aussprützen, wie einer ein speychel von sich wirfft, so dasz es gantz auff die erden felt. Davon hat Aristoteles ein gantz buch geschrieben und mit natürlicher vernunfft ausgründen wollen, von wanne solch sterne fallen herkome, und saget, das es kome von den nassen odder dürren dempffen, die von der erden hynauss steigen, da werde denn eine form odder gestalt eins sterns draus, die fallen denn herab, wie er auch von dem Cometen, das ist, von dem Stern mit dem schwantz gesagt hat. Solche ding hat er wollen erforschen, die doch unerforschlich sind und allein Gotte bekand, Wie er auch des windes anfang und ursach hat wollen ausgründen, So doch Christus spricht zu Nicodemo: "Der wind bleset, wo er wil, und du hörest sein hauchen wol, aber du weist nicht, von wanne er kömpt und wo hyn er feret". Drumb so las mans bleiben, das solch stern fallen der zeichen eines sey, die vor dem Jüngsten tage sollen erscheinen, Es weys kein mensch, wie das zugehet. | Il terzo segno è che le stelle dovranno cadere dal cielo. E un segno che vediamo spesso e specialmente in questi ultimi tempi, al punto che io non so se in passato cadevano con tale frequenza. Ma non dovete pensare che esse debbano cadere senza alcun motivo. No: le si vede volare in modo tale che a volte esse si ristabiliscono in un altro posto e a volte anche cadono, come fa uno che sputi davanti a sé, in modo che cadano esattamente sulla terra. Aristotele ha scritto un intero libro su questo argomento e ha voluto dimostrare con argomenti di ragione naturale l origine di queste stelle cadenti; dice che esse provengono da esalazioni umide o secche che fuoriescono dalla terra. Da questi vapori deriva una forma o figura di una stella, che poi cade. Anche a proposito delle comete, cioè delle stelle che hanno una coda, dice le stesse cose. Egli però ha voluto indagare su realtà che non sono aperte alla nostra ricerca e che solo Dio ha conosciuto. Aristotele ha voluto fornire anche un analoga spiegazione dell origine e della provenienza del vento. Ma Cristo dice a Nicodemo: Il vento soffia dove vuole, e tu percepisci il suo spirare, ma non sai né da dove mai venga né dove porti . Dunque si tenga per fermo che queste stelle cadenti sono uno dei segni che appariranno prima del giorno del giudizio universale, ma nessuno sa come questo deve accadere. |
21,510,30-38 | Kaspar Crucigers Sommerpostille - Epistel am Sonntag Trinitatis (Röm. 11,33-36) | Nello scritto Alla nobiltà cristiana di origine tedesca (WA 6,458,7) Lutero definisce il miglior libro di Aristotele il De anima. A ventiquattro anni di distanza cambia idea, identificando nella Metafisica la migliore delle opere aristoteliche. Un giudizio che può stupire, soprattutto perché in più occasioni Lutero critica la teologia aristotelica del dodicesimo libro della Metafisica, che è proprio il libro di cui egli parla in questo brano. Non è da escludere che Lutero intenda affermare che la Metafisica è l opera universalmente considerata migliore di Aristotele. La citazione omerica contenuta nel capitolo 10 (Iliade II,204) è considerata da Lutero una delle più autorevoli testimonianze del mondo pagano in favore del monoteismo. Lutero ammette che Dio ha messo nell anima l idea di un governo divino delle cose umane, anche se si tratta pur sempre di un idea inadeguata e che solo la fede può fondare adeguatamente. | 688 | Po.249 | 1544 | Metaph. XII,10,1076a,4 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 510 | stück, erkentnis, Gott, wissen, Heide, vernunfft, vernunfftig, ursache, schliessen, bestes-Buch, Spruch, Poet, weise, Homerus, Herr, Haus, Hausherr, Fraw, gesind, regieren, gebieten, Regiment, Regent | no | Es ist noch ein klein stück von dem erkentnis, so man von Gott haben sol, so man nicht mehr davon weis, denn auch die Heiden aus irer vernunfft ersehen und aus solchen vernunfftigen ursachen schliessen, Wie auch der heide Aristoteles solches schleusst in seinem besten Buch aus dem Spruch ires weisesten Poeten Homeri, Es könne kein gut Regiment sein, darin mehr denn ein Herr ist, Als wo in einem Hause mehr denn ein Hausherr oder Fraw das gesind regieren und gebieten wil, Darumb musse in jedem Regiment allein ein Herr und Regent sein. | C è ancora una piccola parte di questa conoscenza che si deve avere su Dio, per cui non se ne sa di più di quello che anche i pagani con la loro ragione vedono o possono concludere a partire da cause razionali di questo genere. Anche il pagano Aristotele nel suo miglior libro trae conclusioni di questo tipo a partire dai versi del loro poeta più saggio, Omero: Non può essere un buon governo quello in cui comandi più di un signore . E ciò che avviene quando in una casa c è più di un padrone o di una padrona che vogliono governare e comandare la servitù. Per questo Aristotele ritiene necessario che in ogni istituzione ci sia un unico signore e governante. |
23,91,10-12 | Dasz diese Wort Christi Das ist mein Leib , noch fest stehen wider die Schwärmgeister | L ironia di Lutero tocca non di rado il tasto del paradosso. In questo caso gli obiettivi della sua polemica sono Zwingli ed Ecolampadio con le rispettive teorie sull eucarestia. Interpretando la frase questo è il mio corpo , argomenta Lutero, Zwingli sostituisce il verbo è con significa , mentre Ecolampadio sostituisce il predicato il mio corpo con un segno del mio corpo . Di qui il gustoso esempio del cuculo e della capinera. Aristotele in questo caso è citato in qualità di assertore della dottrina dell eternità del mondo, il che non è certo una novità per Lutero (cfr., tra i tanti passi al riguardo, WA 1,355,6; 9,61,21; 59,410,14). Una novità è invece che Lutero citi Plinio il Vecchio (autore da lui ben conosciuto, cfr. WA 42,403,4-8) a fianco di Aristotele come sostenitore dell eternità del mondo. Lutero qui si rifà probabilmente a Historia naturalis II,1. Degna di nota anche l affermazione secondo cui tutti i pagani si sarebbero fatti sostenitori dell eternità del mondo. Lutero stesso però dimostra in altre occasioni di conoscere bene altre dottrine pagane di segno diverso, come il mito platonico del demiurgo: cfr. WA 12,445,9-18; 39 II,8,29-33; ma anche WA 24,25,12-26,3, in cui il mito platonico viene condannato, e WA 42,408,19-38, in cui Lutero ritiene che Platone non abbia trattato sul serio di queste cose, ma solo al fine di svillaneggiare gli altri filosofi. | 679 | 1527 | De caelo I,10-II,1 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 91 | trefflich, leucken, gott, hymel, erde, schaffen, Plinius, heide, welt, ewig, kommen, Mose, nase, anfang, text, kuckuc, fressen, grase-mucken, fedder, heissen, kunst, lotter-bube, können | no | Und ist für war ein treffliche sache, gleich als wenn ich zuvir leucket, Das Gott hymel und erden geschaffen hette, und spreche mit Aristoteles und Plinius sampt andern Heiden, Die welt were von ewig her. Es keme aber einer und hielt mir Mosen fur die Nasen Gene. 1. Am anfang schuff Gott hymel und erden , woltich den text also machen: Gott der solt so viel heissen als kuckuc , Schuff aber so viel als fras , hymel und erden so viel als die grase mucken mit feddern und mit allem . Das Mose wort nach des Luthers text also lautet: Am anfang fras der kuckuc die grasmücke mit feddern und mit allem , Und muste nicht heissen: Am anfange schuff Gott hymel und erden . Treffliche kunst were das, welche auch die lotter buben wol kündten. | E questa è veramente una cosa meravigliosa. E proprio come se io in un primo momento negassi che Dio abbia creato il cielo e la terra e dicessi con Aristotele, Plinio e con tutti gli altri pagani che il mondo esiste dall eternità. Ma poniamo che venga qui uno che mi sventolasse davanti al naso il primo capitolo della Genesi di Mosè In principio Dio creò il cielo e la terra e che io volessi rendere così il testo: Dio dovrebbe significare lo stesso che il cuculo , creò invece avrebbe il significato di si pappò e cielo e terra quello di la capinera con le penne e tutto il resto . Secondo il testo di Lutero la parola di Mosè allora suonerebbe così: In principio il cuculo si pappò la capinera con le penne e tutto il resto e non dovrebbe più significare: In principio Dio creò il cielo e la terra . Proprio un arte meravigliosa sarebbe questa, di cui sono esperti anche i perdigiorno. | |
23,486,1-3 | Der Prophet Sacharia ausgelegt | Nelle righe precedenti Lutero si lamenta che non si trovino più predicatori che vogliano spiegare le cose più semplici della fede, dal Padre nostro ai dieci comandamenti, ma che prevale la tendenza ad affrontare i libri più difficili della Bibbia, proponendo interpretazioni astruse al popolo, che rimane così privato dell essenziale. Predicatori di questo genere fanno venire in mente a Lutero coloro che (sotto il papato) usavano Aristotele come materiale omiletico. | 654 | 1527 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 486 | wesscher, nütz, volck, geistlicher-recht, predigen | no | Ich weis nicht, wie viel solche wesscher nützer fur dem armen volck sind denn die vorzeiten von Aristotel und geistlichem recht predigten. | Io non so se chiaccheroni sfaccendati di questo genere siano molto più utili al nostro povero popolo di coloro che tempo fa predicavano su Aristotele e sul diritto canonico. | ||
24,25,12-26,3 | Über das erste Buch Mose. Predigten | Il commento a Gen 1,2 è occasione per la condanna di Platone e Aristotele (con due aggettivi, stulta ed impi, scelti non a caso). Meno chiaro è a quale teoria Lutero qui si riferisca: parla genericamente di idee per Platone e di atomi per Aristotele. Per quanto riguarda Platone, non è improbabile che Lutero si riferisca alla dottrina della creazione del mondo sensibile. Il demiurgo platonico infatti plasma la materia informe avendo le Idee come modello. Ancor più oscuro il richiamo agli atomi per Aristotele: forse i quattro elementi? In realtà il riferimento ad Aristotele è quanto meno fuori luogo, visto che per il filosofo greco il mondo sussiste ab aeterno, e quindi il termine di paragone con la Genesi viene a mancare del tutto. Ma forse in questo caso Lutero intendeva semplicemente dire che dottrine come la creazione del mondo non sono spiegabili con la ragione filosofica. Da notare la seconda parte del brano: Lutero qui delinea, partendo ancora una volta dalla Bibbia, il suo concetto di materia, contrapponendolo soprattutto a quello aristotelico, in quanto alla materia viene attribuito un certo livello ontologico anche prescindendo dalla forma che le viene imposta (cfr. anche WA 59,422,10-21). | 518 | Pr. 727 | 1527 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 25 | terra, Plato, idea, atomus, stultus, impius, informis, coelum, aliquid, nihil, inanis, vacuus, vilissimus, describere, simpliciter, accipere, decorare, foetus, uterum, puer, fumus | no | Terra autem erat inanis et vacua. Terra quae vilissima est, primum describitur. Dimittenda est Platonis et Aristotelis opinio de Ideis et Atomis, stulta enim est et impia. Coelum et terram simpliciter accipe, sed nondum decorata. Informis erat terra, sicut foetus in utero: est puer et tamen nondum est puer. Sicut fumus est aliquid et est nihil. |
La terra era informe e deserta. La terra, che è la cosa di minor valore, viene descritta per prima. Bisogna respingere le teorie di Platone e di Aristotele sulle idee e gli atomi, sono stupide e sacrileghe. Intendi cielo e terra semplicemente, ma la terra non era ancora adorna. Informe era la terra, come un feto nell'utero, che è un bimbo ma nello stesso tempo non è ancora un bimbo. E così il fumo è qualcosa ed insieme nulla. |
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24,25,31-26,11 | Über das erste Buch Mose. Predigten | Lutero difende l interpretazione letterale della Bibbia di fronte ai filosofi che vogliono indagare sull origine del mondo, mettendo a repentaglio l ipotesi della creazione. Questa predica riprende i concetti di un altra, tenuta quattro anni prima (cfr. WA 12,445,9-18), sempre riguardante questo capitolo della Genesi. Sia in quest ultima predica sia in WA 24,25,12-26,3 (versione latina del brano qui esaminato) compare il termine idea , che si riferisce a Platone, non ad Aristotele. Anche in questo caso Lutero sembra prendere posizione a favore di una materia nuda preesistente ad ogni forma (al proposito cfr. WA 59,422,10-21), che avrebbe caratterizzato la creazione ancora informe. Questa era probabilmente la teoria filosofica che meglio si adattava a Gn 1,2: la terra era informe e deserta . | 518 | Pr. 727 | 1527 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 25 | dencken, Philosophi, Plato, idea, hymel, erde, erst, creatur, einfeltig, rechtschaffen, nennen | no | Hie sol man aber nicht dencken, wie die Philosophi, Plato und Aristoteles gethan haben mit yhren Ideis, sondern auffs einfeltigest, also da rechtschaffen hymel und erden gewest sey, wie ers selbs nennet, und die erste Creatur, aber der beyde keines geschickt sey gewesen, wie es seyn solte. | A questo punto non bisogna speculare, come i filosofi Platone e Aristotele hanno fatto con le loro idee, ma interpretare nel modo più semplice possibile e cioè che il cielo e la terra erano formati proprio nel modo descritto da Mosè e che erano le prime creature; ma nessuno dei due aveva la conformazione che in seguito avrebbe dovuto assumere. | |
24,36,5-37,6 | Über das erste Buch Mose. Predigten | Aver conosciuto il verbo di Dio significa per Lutero possedere una chiave di lettura di tutti i fenomeni, anche di quelli che normalmente ricadono sotto il dominio dell osservazione scientifica. Perciò sono da qualificare come stulti i Presocratici, che hanno dato una risposta materialistica al problema dell origine di tutte le cose. Ma Lutero, con l esempio solo apparentemente banale dell'erba, va oltre: dichiara che è la stessa esperienza a dichiarare il proprio scacco e a invocare il Verbo per la spiegazione dei fenomeni naturali, non senza prima aver chiuso gli occhi della ragione. Lutero può così addirittura affermare che l errore nella teoria aristotelica della luce dipende dal fatto che Aristotele non ha conosciuto Cristo. Da notare infine che qui, e non per la prima volta (cfr. ad es. WA 20,612,21-613,5) l esperienza quotidiana e il senso comune vengono contrapposti da Lutero alla filosofia a tutto svantaggio di quest ultima. | 518 | Pr. 727 | 1527 | De caelo IV,1,308a,29-31 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 37 | ignis, terra, aqua, sanguis, oriri, verbum, experiri, herba, oculus, ratio, levis, stultus, nubes, gravis, aer, error, philosophi, verbum-Dei, ineptissime, nugari, videre, materia, claudere, apprehendere, verbum, fides, rationem-reddere, sursum, ferre, lux, superior, causa | no | Stulti Philosophi dixerunt, alii omnia ex igne, alii omnia ex terra, alii omnia ex aqua, alii omnia ex sanguine orta esse. Cum omnia sint vere ex verbo Dei et verbo Dei agantur, ineptissime nugati sunt. Nam ut quottidie experimur et videmus, parata tota terra, non tamen cognoscere possumus, ex qua materia aut unde veniat herba. Claudendi sunt oculi rationis et fide apprehendendum verbum. Eodem errore voluerunt rationem reddere, quare lux sursum feratur, quia inquit Aristoteles levia sursum feruntur , scilicet quasi non nubes illae subobscurae graviores sint nostro aere, et tamen illo superiores. Erroris caussa est, quia hoc verbum ignoraverunt. |
Da stupidi, i filosofi affermarono che tutto deriva dal fuoco, o dalla terra, o dall acqua, altri ancora dal sangue. Ma poiché tutte le cose provengono realmente dal Verbo di Dio e sono tenute in vita dal Verbo di Dio, essi hanno scritto solo baggianate, e del tutto a sproposito. Infatti noi facciamo esperienza e vediamo ogni giorno che, preparato per bene un intero appezzamento di terra, non siamo lo stesso in grado di capire di cosa sia fatta e da dove venga l erba. Bisogna chiudere gli occhi della ragione ed imparare il Verbo per mezzo della fede. I filosofi hanno fatto lo stesso errore quando hanno voluto spiegare il fatto che la luce si diffonde verso l alto con le parole di Aristotele: le cose leggere si muovono verso l alto , quasi che le nuvole piuttosto scure non siano più pesanti dell aria che ci circonda: esse, tuttavia, stanno sopra l aria. La causa di questo errore è che essi non hanno conosciuto il Verbo. |
24,37,16-20 | Über das erste Buch Mose. Predigten | Le cose del mondo non hanno alcuna potenzialità insita, ma tutte le loro capacità sono conferite loro dall arbitrio di Dio. Questo il concetto che Lutero sviluppa commentando Gn 1,1-13. Nelle righe immediatamente precedenti (WA 24,36,22-37,16) Lutero ha spiegato che se la terra il primo giorno della creazione è informe e vuota e solo il terzo giorno si popola di specie vegetali, ciò dipende dal fatto che essa non possiede in se stessa la capacità di dare nutrimento e far crescere le piante. Che il cielo sia più leggero della terra, dunque, dipende solo dalla libertà creatrice di Dio, una libertà di cui l uomo non possiede il segreto. Non ha quindi senso l affermazione del De caelo secondo cui ciò che è leggero tende verso l alto, come l esempio delle nuvole sta a dimostrare. Lutero non contesta tanto la singola proposizione aristotelica, ma la possibilità stessa di leggi naturali. La frase che conclude il brano è esplicita al riguardo: anche nelle cose naturali non c è Verstehen senza Gleuben. | 518 | Pr. 727 | 1527 | De caelo IV,1,308a,29-31 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 37 | Gott, hymel, schwer, erde, wolcke, schweben, lufft, leicht, gehen, oben, verstehen, gleuben | no | Denn Gott künd wol machen, das er schwerer were widder die erde, wie die wolcken oben schweben, die doch schwerer sind widder die lufft, Das es nichts ist, das Aristoteles sagt: Was leicht ist, das gehet oben. Der ding kanstu keines verstehen, es sey denn das du gleubest. | Dio potrebbe far sì che il cielo fosse più pesante della terra, così come accade con le nubi che si librano in alto pur essendo più pesanti dell aria. Perciò non ha nessun valore l affermazione di Aristotele secondo cui ciò che è leggero tende verso l alto. Non puoi capire una sola delle cose del mondo se non hai la fede. |
24,229,28-30 | Über das erste Buch Mose. Predigten | Lutero doveva essere stato molto impressionato dal fatto che Aristotele nella Politica parla di Babilonia come di una regione cinta di mura. Ogni volta che commenta l'undicesimo capitolo della Genesi fa esplicita menzione di questa notazione di Aristotele. Sono almeno cinque infatti (WA 14,212,24-27; 14,212,36-38; 19,405,20-23; 24,229,28-30; 42,403,4-8) i passi in cui Lutero riprende questa notazione aristotelica. | 518 | Pr. 737 | 1527 | Pol. III,3,1276a,28 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 229 | Babylon, stad, land, umbringen | no | Es sagt auch Aristoteles, es sey nicht eine Stad, sondern ein land mit mauren umbringt. | Anche Aristotele dice che Babilonia non era una città, ma una regione circondata da mura. |
25,34,1-5 | Vorlesung über die Briefe an Titus und Philemon | Logica, Retorica, Poetica i libri di Aristotele (per Logica si intende l'Organon) che Aristotele intendeva salvare nel 1520. (Cfr. WA 6,458,26). A distanza di sette anni, ma in un clima molto diverso, il novero si allarga. Anche la Politica è un libro scritto bene. Una valutazione positiva in cui Lutero accomuna anche Platone (sempre in ambito politico) ma limitata dalle considerazioni che a Lutero sono suggerite dalla citazione che san Paolo fa del poeta cretese Epimenide (VI sec. a.C.) nella sua lettera a Tito. Paolo cita il verso: I Cretesi sono sempre bugiardi, male bestie, ventri pigri e al proposito commenta: questa testimonianza è vera (Tt 1,12s.). Come può essere vera la parola di un pagano? Lutero si rifà alla teoria degli spolia, inaugurata da Ambrogio e Agostino: i pagani, quando dicono il vero, rubano qualcosa che non appartiene loro, ma a Cristo. Perciò è giusto fare uso con discernimento di questi testi riappropriandosi come bottino di guerra di ciò che è proprio dei cristiani, fermo restando che formare le coscienze spetta solo a Cristo. | 726 | 1527 | Pol. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 34 | testimonium, confirmatio, versus, poeta, gentilis, spolium, aufferre, res-spirituales, kunst, Plato, politica, Plinius, describere, opus, docere, conscientia, Christus, magister, suscipere | no | Testimonium . Est confirmatio. Iste versus etiam scriptus a poeta gentili. Sunt spolia, quae possumus istis aufferre. Sed ad spiritualia applicare gehort ein kunst zu. Plato, Aristoteles Politica bene scripserunt, Plinius descripsit opera etc. sed docere conscientias non suscipe gentilem, sed ad hoc solus servit Christus magister noster. | Testimonianza . E la conferma. Eppure questo verso è stato scritto da un poeta pagano. Sono bottini di guerra, che noi a nostra volta possiamo portare via a loro. Ma per applicare queste parole alle realtà spirituali ci vuole un arte. Platone, Aristotele hanno scritto una buona Politica, Plinio descrisse le opere e via dicendo. Ma per formare le coscienze non si può fare affidamento su un pagano, a questo scopo è adatto solo Cristo, nostro maestro. | |
25,59,3-8 | Vorlesung über die Briefe an Titus und Philemon | Lenitas, humanitas, mansuetudo: tre parole con cui, alcune righe più sopra, Lutero traduce ejpieivkeia. Si tratta probabilmente del termine aristotelico che più piace a Lutero, specialmente a partire da questi anni, e forse perché lo trova citato anche nei testi sacri, come in questo caso nella lettera di Paolo a Tito, in cui l apostolo invita l'amico ad essere mansueto. Lutero nomina anche un versetto degli Atti degli Apostoli (24,4). Ma forse è soprattutto l'ideale dell humanitas melantoniana che qui fa breccia su Lutero e che permette di ricuperare addirittura capitoli dell Etica Nicomachea, un testo a proposito del quale dieci anni prima affermava Tota fere Aristotelis Ethica pessima est gratiae inimica (WA 1,226,10). In questo fere però sta la coerenza di Lutero. Le tesi che Lutero condanna, a partire dalla dottrina dell habitus applicata alla moralità dell uomo, continuano ad essere bandite. | 726 | 1527 | Eth. Nic. V,4-5; V,10,1137b,13-28 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 59 | epiikis, modestus, illustris, graeci, latini, vocabulum, vox, aequitas, casus, lex, legislator, divisio, rigor, moralis, persona, Tertullus, mollire, impossibilis, species, generalis | no | Cepimus tractare hoc vocabulum Epiikis, modestos. Vox satis apud Graecos illustris sed non ita apud latinos. Exemplum proposui ex Actis, ubi Tertullus Ut audias nos . Iuristae Equitatem, quando propter casum intervenientem molliunt rigorem legis. Eth. 5 Aristoteles: legislator quando fert legem, facit divisionem: illa est impossibilis, quia moralia versantur circa personam. Est ergo solum species generalis legis. | Incominciamo a trattare di questa parola: Epiikis, mansueti. Un termine importante per i Greci ma non altrettanto per i latini. Ne ho appena proposto un esempio tratto dagli Atti degli Apostoli, quando Tertullo dice perché tu mi dia ascolto . I giuristi parlano di equità, quando per una circostanza imprevista si addolcisce il rigore della legge. Dice Aristotele nel quinto libro dell'Etica che quando il legislatore presenta una legge, fa una divisione: ma questa è impossibile da applicare perché i principi morali riguardano la persona. L'equità perciò consiste solo in un'applicazione particolare di una legge generale. | |
25,204,22-23 | Vorlesung über Jesaia | Non solo vero, ma addirittura verissimum quanto dice Aristotele nel quarto libro dell'Etica Nicomachea, e cioè che il male distrugge se stesso. Indubbiamente il clima a Wittenberg nei confronti di Aristotele si è fatto più tollerante, ma non va sottaciuto che Lutero preferisce non nominare apertamente Aristotele in questo contesto in cui il filosofo viene lodato. E l'affermazione aristotelica viene espressa quasi come si trattasse di un proverbio, un espressione di saggezza comune (quod dicitur). | 306 | 1527-1529 | Eth. Nic. IV,5,1126a,12 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 204 | malum, verum, destruere, durare, impius | no | Non enim possunt durare impii et est verissimum, quod dicitur: Malum destruit seipsum. | Gli infedeli non possono resistere nel tempo ed è verissimo ciò che si dice: il male distrugge se stesso. | |
25,219,12-16 | Vorlesung über Jesaia | Lutero sta commentando Is 34,13-15, in cui si parla del giudizio di Dio sugli Edomiti: in pratica un lungo elenco di animali selvatici che abiteranno sulle macerie dopo la distruzione di questo popolo. L'interpretazione di Lutero è chiara: si parla di coloro che si allontanano dalla purezza del verbo, in primo luogo dei filosofi. Interessante l'elenco, particolarmente per la presenza di Averroè, un filosofo citato non molto spesso da Lutero. | 306 | 1527 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 219 | lamia, strix, Averrois, schola, Thomas, Scotus, verbum, populus, iudaicus, discere, generaliter, puritas, excidere | no | Hae sunt merae Lamiae et Striges. Idem populo Iudaico accidit et nobis quoque, cum pro Christo et Paulo Averroim et Aristotelem in scholis disceremus, quos secuti sunt Thomas et Scotus. Est igitur hic locus generaliter accipiendus de omnibus, qui exciderunt a puritate verbi. | Queste sono solo civette e barbagianni. Le stesse cose sono accadute al popolo ebreo e anche a noi, che nelle università studiavamo Averroè e Aristotele e i loro seguaci Tommaso e Scoto anziché Cristo e Paolo. Questo passo si deve riferire in generale a coloro che si sono allontanati dalla purezza del Verbo. | ||
25,336,34-38 | Vorlesung über Jesaia | Il versetto di Isaia commentato da Lutero è 53,11 et noticia sui servus meus multos iustificabit . La salvezza, spiega Lutero, consiste nella conoscenza di Cristo, una cosa che i Sofisti non sono in grado di comprendere. Il termine sofisti , come si è visto, (cfr. ad es. WA 4,538,3; 6,29,17; 7,667,26) indica per Lutero gli esponenti della filosofia e della teologia scolastica in generale. Per questo Lutero ha buon gioco nel citare il De anima. Il loro Aristotele ritiene che la conoscenza intellettiva richieda in precedenza la sensitiva? Una cosa analoga avviene con il vangelo: la fede che è, come dice Isaia, una forma di conoscenza spirituale, richiede prima il passaggio sensibile attraverso il veicolo dell'udito, dell'ascolto della parola. | 306 | 1527-1529 | De an. III,8,432a,4-11 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 336 | Euangelion, cognitio-intellectiva, cognitio-sensitiva, audire, verbum, vehiculum, deferre, iusticia, donum, credere | no | Euangelion igitur est ceu vehiculum quoddam, per quod ad nos defertur Christus cum iusticia sua et omnibus donis suis. Sicut Aristoteles quoque dicit cognitionem intellectivam requirere ante sensitivam. Necesse igitur est prius audiri verbum, quam credere illud possimus et iustificemur. | E infatti il vangelo è come una specie di veicolo attraverso il quale ci viene dato Cristo con la sua giustizia e con tutti i suoi doni. E infatti anche Aristotele dice che la conoscenza intellettiva richiede in precedenza la sensitiva. E' necessario pertanto prima udire la parola, perché possiamo poi credervi ed essere giustificati. | |
25,441,14-18 | Predigten über das 3. und 4. Buch Mose | Lutero sta commentando Nm 11,31-33; Dio, alle prese con il popolo ebraico, il quale rimpiange la schiavitù dell Egitto, manda le quaglie e sfama il popolo ma subito dopo lo punisce con una pestilenza dagli effetti devastanti. Lutero parafrasa questo passo biblico nel senso della condanna di chi si avvicina al vangelo solo per desiderio di conoscenza e non con l intenzione di cambiare vita. E qui entra in campo Aristotele, visto da Lutero proprio come il simbolo della conoscenza astratta, che non ha a che fare con l esistenza. Anche un passo in cui il filosofo viene citato così sporadicamente, dunque, testimonia il rifiuto luterano della conoscenza filosofica in senso teoretico. Questo rifiuto però ha due facce. Aristotele viene tratteggiato da una parte come causa di vana curiositas, dall altra come un filosofo lontano dalla realtà della vita, le cui speculazioni rimangono irrimediabilmente astratte. | 521 | Pr. 788 | 1527-1528 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 441 | satur, gehorn, euangelium, praedicatio, scire, doctrina, leben, richten, discere, vivere, sentire | no | Qui statim saturi fiunt, non gehorn ad Euangelium, putant talem praedicationem ut Aristoteles. Scire war das end da von. Non erat talis doctrina, da mit einer sein leben darnach kund richten. Sic putant Euangelium talem doctrinam quae discenda, ut sciatur. Sed vult non solum sciri haec doctrina, sed vivi et sentiri. | Coloro che sono subito sazi non appartengono al Vangelo, hanno un concetto di questa predicazione come potrebbe averlo Aristotele. Tutto termina solo con il sapere. Ma una dottrina del genere non era cosa tale da indirizzare verso di essa la propria vita. E così essi ritengono che il Vangelo sia una dottrina di questo genere, che va imparata per amor di conoscenza. Questa dottrina invece non vuole solo essere conosciuta, ma essere vissuta e sperimentata. | |
26,38,10-13 | Vorlesung über den 1. Timotheusbrief 1528 | Lutero sta criticando Zwingli, per il quale homo est pro nobis passus, non filius dei (WA 26,38,1). Lutero allora, per criticare la cristologia zwingliana, usa le Confutazioni sofistiche di Aristotele. L'esempio dell'etiope è un tipico caso di paralogismo, cioè un caso in cui si sostiene che un qualsiasi predicato appartiene allo stesso modo a un oggetto e a una sua determinazione. E' l'errore in cui, secondo Lutero, cade Zwingli, e infatti la conclusione di Lutero, alcune righe più sotto (38,16s.), è: vere dicitur: filius dei crucifigitur, non quo ad naturam divinam sed personam . Lutero dunque ritorna ad Aristotele spinto anche dalla necessità di ribattere ai suoi oppositori interni, e usando un'opera, le Confutazioni sofistiche, che nell'intero corso dell'opera cita solo poche volte. Va detto però che egli non rinnega mai la logica aristotelica (cfr. WA 6,458,27) come strumento concettuale dotato di una sua validità intrinseca. E poi da rimarcare il fatto che qui Aristotele è chiamato in causa nel corso di una disputa squisitamente teologica. L'atteggiamento di fondo però non è cambiato: non è intenzione di Lutero dimostrare razionalmente il dogma, ma evidenziare le incongruenze interne del discorso dei suoi avversari. | 723 | 1528 | Soph. el. 5,167a,11 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 38 | vocabulum, aethiopus, dens, albus, modus-loquendi, pars, totus, percutere, filius, rex, crus, spectare | no | Servandum est etc., quando partis vocabulum attribuitur toti. Aethiopius est albus, quia habet dentes albos. Ille: percussit filium regis, non, quia in crure est percussus. In rebus omnibus spectandus modus loquendi. | Occorre anche tener presente i casi in cui un predicato che si riferisce a una parte viene attribuito al tutto. L'etiope è bianco, perché ha i denti bianchi. E lui: ha bastonato il figlio del re: anzi, no, perché ha bastonato la gamba. In tutte le cose bisogna usare un modo di esprimersi corretto. | |
26,108,10-15 | Vorlesung über den 1. Timotheusbrief 1528 | Il tema, lo scatenarsi di contese motivate dal proliferare di opinioni, è usuale in Lutero. Diversi però gli accenti rispetto ad analoghe citazioni di anni prima (WA 1,509,14; 5,371,36; 7,738,38). le sette non sono più solo in campo cattolico, ma anche nelle nuove chiese che contestano Lutero. Il riferimento agli anabattisti, con il loro rifiuto delle istituzioni quali il matrimonio e le cariche pubbliche, è evidente. Significativo il fatto che tra le opiniones Lutero abbia inserito anche Agostino: solo per necessità di allitterazione? | 723 | 1528 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 108 | Augustinus, anabaptista, opinio, pugnae, sapientia, iustitia, vocabulum, matrimonium, magistratus, res, verlieren | no | Aristoteles, Augustinus, Anabaptistae, ibi multae opiniones; tum sequuntur pugnae; hic est sapientia: Si es in matrimonio, magistratu, ibi non est iusticia. Opiniones machen, das sie debet rem verlieren; amissa re manet frigida; tantum vocabula manent, tum sequitur pugna. Amissa re manet vocabulum, manente vocabulo pugna manet. | Aristotele, Agostino, Anabattisti: quando ci sono molti punti di vista, allora si scatenano le lotte. Qui sta la sapienza: se sei sposato o hai una carica pubblica non puoi essere giusto . I punti di vista fanno sì che la sapienza debba smarrire il suo oggetto; e una volta perso l'oggetto la sapienza è fredda; rimangono solo parole e poi, necessariamente, le lotte. Smarrito l'oggetto della sapienza rimangono solo i concetti, e quando rimangono solo i concetti, la contesa è infinita. | ||
26,530,12-16 | Von Priester Ehe des würdigen herrn Licentiaten Steffan Klingebeil. Vorrede Martini Luther | Grido di vittoria di Lutero: a dieci anni dal suo inizio, la nuova dottrina è riuscita a scalzare Aristotele dalle scuole e dai pulpiti. L affermazione luterana è sicuramente vera nel secondo caso, molto meno per quanto riguarda le università, visto che proprio in questi anni prende le mosse la riforma dell università di Wittenberg ad opera di Melantone, una riforma che farà rientrare, e con un ruolo di primissimo piano, Aristotele nell ordinamento accademico. E comunque da sottolineare che in questo passo, che fa parte di un elenco dei meriti che Lutero rivendica a se stesso in ordine alla riforma della Chiesa, egli ponga la cacciata di Aristotele al primo posto. La diatriba sulle indulgenze o la stesura del catechismo, per fare due esempi, seguono al secondo e al quarto posto: un segno eloquente dell importanza che Lutero attribuiva alla questione. Nella traduzione, infine, si è supposto Magister sottinteso prima di sententiarum, sulla scorta dell edizione di Walch (Dr. Martin Luthers Sämmtliche Schriften, a cura di J. G. WALCH, 23 voll., St. Louis 1880-1910, (2a ed.); XIV,284). In questo caso Lutero alluderebbe al fatto che in università non si commentano più le Sentenze di Pietro Lombardo. | 584 | 1528 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 530 | papist, buch, jagen, schrifft, heide, summist, sophist, magister-sententiarum, Cantzel, schule, regiern, leren, concilium | no | Erstlich hab ich die Papisten ynn die bücher gejagt, und sonderlich ynn die schrifft, und den heiden Aristotelem und die Summisten sampt den Sophisten mit yhrem Sententiarum von platz getrieben, das sie widder auff der Cantzel noch ynn schulen so regiern und leren, wie sie zuvor gethan haben, Welchs ich acht, das kein Concilium hette vermocht. | In primo luogo io ho dato la caccia ai Papisti nei libri, in particolar modo nella Scrittura, e ho scalzato dal loro trono il pagano Aristotele, gli autori delle Summae e con loro i sofisti con il loro maestro delle Sentenze. Adesso non regnano e non insegnano più come hanno fatto in passato né dal pulpito né nelle Università. Una cosa questa, credo, che nessun Concilio sarebbe stato in grado di fare. | ||
27,272,35-273,14 | Predigten des Jahres 1528 (Matth. 5,20ss.) | Il motivo della condanna dei teologi scolastici è legato all'interpretazione di Mt 5,20: Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli . Perdonare ai nemici, dice Lutero, è interpretato da loro come un consilium evangelico. In realtà per chi non perdona ai nemici Cristo, secondo Lutero, minaccia la morte eterna. L'influsso negativo di Aristotele consiste dunque nell'introdurre distinzioni che snaturano il messaggio del vangelo. Ma il motivo profondo di questo snaturamento è il non voler riconoscere nulla al di fuori di quanto prescrive la ragione. | Pr. 871 | 1528 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 273 | schola, discipulus, ratio, dictare, assequi | no | Haec assequi non potuerunt nec hodie possunt scholae et omnes Aristotelis discipuli qui nihil nisi quod ratio dictat, assequuntur. | Le università e tutti i discepoli di Aristotele - che non capiscono nulla al di fuori di quanto detta loro la ragione - non hanno potuto e neppure oggi possono capire queste cose. | ||
27,286,9-13 | Predigten des Jahres 1528 (Matth. 7,15ss.) | Non si parla dei teologi cattolici avversari di Lutero, ma degli Schwärmer, a cui viene rimproverato di essere stati in passato fedeli discepoli di Aristotele mentre, dopo aver conosciuto Lutero, sono diventati come coloro di cui parla l'evangelista Matteo nel versetto (7,15) commentato da Lutero: falsi profeti che vengono in veste di pecore ma che dentro sono lupi rapaci . | Pr. 873 | 1528 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 286 | papatus, praedicare, Sententiae, scriptura, vestitus, ornare, salvare | no | Nam vestitus quo ornamur, est scriptura, das furen sie. Hactenus in papatu Aristotelem predicarunt et per eum volunt salvari. Iam cum urgentur per nos, ut legant scripturam et praedicent, Iam Aristotelem, Sententiarum lassens bleiben et scripturam praedicant. | Il vestito di cui ci adorniamo è la scrittura? E loro la mettono in campo. Fino ad oggi sotto il papato hanno predicato Aristotele pensando di salvare l'anima attraverso di lui. Messi alle strette da noi perché leggano le scritture e predichino, buttano via Aristotele e i libri delle Sentenze e predicano la Scrittura. | ||
27,374,7-375,2 | Predigten des Jahres 1528 (Matth. 9,1ss.) | L edizione di Weimar annota che il secondo fur va interpretato come hinder, e che errori del genere sono frequenti nel manoscritto di Georg Rörer in cui è trascritta questa predica di Lutero. Il paragone è chiaro: prima di aver incontrato la fede, l uomo è come un paralitico che non è padrone dei suoi atti. Così, per quanto riguarda le facoltà spirituali, l uomo compie solo azioni che vanno contro la sua stessa volontà e che gli si ritorcono contro. Un paragone analogo è sviluppato in WA 37,178,30-35, passo appartenente a una predica del 1533 (che come questa si basa su Mt 9,1), in cui è chiarito anche il riferimento all Etica Nicomachea. | Pr. 887 | 1528 | Eth. Nic. I,13,1102b,15-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 375 | homo, fides, paralyticus, facere, velle, schlahen | no | Hominem ante fidem potes paralyticum dicere, qui libenter multa facere vellet, sed quanto plus vult eo minus. Aristoteles etc. wen er fur sich wil schlahen, schlecht er fur sich. | L uomo che non ha ancora la fede può essere definito come un paralitico, che vorrebbe compiere molte azioni secondo il suo intento, ma quanto più lo vuole, tanto meno lo può. Vedi Aristotele eccetera. Quando vuole estendere l arto, lo ritrae. | |
28,43,17-19 | Wochenpredigten über Joh. 16-20 (16,1) | E importante rilevare come anche in questi anni negli scritti e nella predicazione di Lutero continui a ripresentarsi la contrapposizione tra Aristotele e Cristo, senz altri intermediari. Nella mente di Lutero Aristotele è simbolo di un modo di pensare che è semplicemente alternativo al cristianesimo e la sua penetrazione nei gangli vitali della chiesa - in questo caso nella predicazione - è visto da Lutero come uno degli stratagemmi più sottili del papato. | 333 | Pr. 967 | 1528-1529 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 43 | predig, Christus, ius-canonicum, docere, filius-dei, papa, admittere | no | Man kan alle predig leiden, praeterquam de Christo filio dei. Papa admitteret, ut doceremus Aristotelem, Ius Canonicum. | Possono essere sopportati tutti i tipi di prediche, tranne quelle che parlano di Cristo figlio di Dio. Il Papa sarebbe d accordo se insegnassimo Aristotele o il diritto canonico. | |
29,237,1-4 | Predigten des Jahres 1529 (Historia passionis tota) | Usando il procedimento che gli è abituale, Lutero contrappone Aristotele ai suoi avversari personali aristotelici , in questo caso ai monaci, considerati in generale. L'istituzione monastica, afferma Lutero, è un controsenso, perché innaturale. Non è stato forse Aristotele a dire (qui riecheggiano sia le definizioni della Politica sia il dibattito sull'amicizia di Eth. Nic., IX) che l'uomo è un animale politico e a gettare un'ombra di sospetto su chi vive in solitudine, dichiarando che questo stato è proprio degli dei come delle bestie? Così secondo Lutero una volta ancora si chiarisce che la chiesa cattolica, che sbandiera Aristotele, ne fa un uso improprio e va contro gli insegnamenti del filosofo. Significativo però il fatto che Aristotele non sia citato espressamente, forse perché qui si tratta di una predica e non di una lezione universitaria. | Pr. 1028 | 1529 | Eth. Nic. IX,9,1169b,18; Pol. I,2,1253a,2; 27-29 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 237 | solus, solitarius, monachus, deus, vita, bestia, magistratus, civilis, Judas, adesse, diabolus, angelus, animal-civile, servire, diligere, instituere, solus | no | Deus non creavit, ut homines soli sint, sed instituit magistratum, ut homo homini serviat et Iudas fiut Monachus, si adfuisset ei homo etc. Dixerunt ipsi: homo qui libenter solitarius, aut deus aut bestia, aut diabolus aut angelus, quia est animal civile homo, ut aliis serviat et diligat. | Dio non ha creato gli uomini perché siano soli, ma diede vita alle istituzioni civili perché l'uomo sia di aiuto all'altro uomo. Giuda fu un monaco: se gli fosse stato vicino qualcuno... Essi stessi hanno detto: l'uomo che sta volentieri da solo o è un dio o è una bestia, o un diavolo o un angelo, perché l'uomo è un animale socievole, fatto per servire e amare gli altri. | |
29,237,20-23 | Predigten des Jahres 1529 (Historia passionis tota) | Si tratta di un'altra trascrizione del brano citato in precedenza (WA 29,237,1-4), che fa parte di una predica del 1529, rispetto al quale questo passo è divergente in alcune sfumature. Chi ha realizzato il manoscritto, forse tralasciando per errore alcune parole di Lutero, ha scritto che la vita monastica è senz'altro bestialis, facendo capire bene a quale delle alternative prospettate da Aristotele sia più incline Lutero. Da notare che anche in questa trascrizione il nome di Aristotele è assente, il che avvalora l'ipotesi che Lutero nel tenere l omelia abbia genericamente parlato di filosofi . | Pr. 1028 | 1529 | Eth. Nic. IX,9,1169b,18; Pol. I,2,1253a,2; 27-29 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 237 | Judas, monch, solitarius, bestialis, demoniacus, divinus, civilis, vita, philosophi, tradere, inserviens | no | Judas ist auch eyn monch gewest. Solitaria est vita bestialis, demoniaca aut plane divina, quia philosophi tradiderunt vitam hominis esse civilem, omnibus hominibus inservientem. | Anche Giuda è stato un monaco. La vita solitaria è bestiale, certamente o demoniaca o divina e infatti i filosofi hanno testimoniato che la vita degli uomini è una vita in società, da spendere al servizio di tutti gli uomini. | |
29,295,16-296,1 | Predigten des Jahres 1529 (Historia, vis et usus resurrectionis) | Non è certo che in questo passo Lutero si riferisca ad Aristotele. Questa ipotesi sarebbe però rafforzata se Metaph. significasse, come sembra probabile, Metaphisica e non metaphorice, così come invece viene reso da WA. Ma anche in questo caso, vista l estrema stringatezza dell affermazione, è quanto mai difficile capire a quale libro della Metafisica si faccia riferimento. | Pr. 1034 | 1529 | Metaph.? | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 295 | metaphorice, philosophus, persona, publicus, privatus, werd-sein | no | Metaphorice philosophus. Non facit ex persona ista publicam, sed privatam, tum Christus ist nicht so viel werd. | Il filosofo parla per metafore. Quando Cristo dice io non rende questa persona pubblica ma privata, ma allora Cristo non ha un gran valore. | |
29,559,21-24 | Predigten des Jahres 1529 (Matth. 22,34ss.) | Aristotele è citato per primo tra i sapienti di questo mondo. Ma il comandamento dell amore, secondo Lutero, dà all uomo una sapienza più grande di quella di Aristotele. Lutero parla metaforicamente o intende dire che il cristiano può conoscere la realtà anche materiale e terrestre più a fondo di un pagano? Di certo c è in queste parole un ridimensionamento del valore conoscitivo della filosofia, compromessa, come la ragione umana, dal peccato originale. | Pr. 1073 | 1529 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 559 | amare, deus, Christus, doctrina, aller-welt-kunst, lex, propheta, comprehendere, sapiens, homo, mundus, Plato, ignorare | no | Quis enim ignorat, quid Amare deum etc. sit? Et dicit Christus hanc doctrinam non solum aller welt kunst, Sed quod ultra illam nihil in lege et prophetis comprehendatur. Qui itaque eam tenet, est sapientior omnibus hominibus et mundi sapientibus, Aristotele, Platone, etc. | Chi non sa che cosa sia Amare Dio con tutto il cuore, con tutta l anima e con tutta la mente ? Cristo dice che questo insegnamento non solo è il più grande in assoluto, ma che al di fuori di esso non si comprende nulla della legge e dei profeti. Chi lo possiede ne sa di più di tutti gli uomini e di tutti i sapienti del mondo, Aristotele, Platone e via dicendo. | ||
30 I,6,30-32 | Katechismuspredigten | Lutero recupera un precetto dell'Etica Nicomachea, in questa predica in cui sta commentando il quarto comandamento: Onora il padre e la madre . Aristotele non è nominato, ma in compenso è chiaro, visto l'accenno agli dei, che si tratta di una frase proveniente dal mondo pagano. Il riferimento ai maestri però nel testo aristotelico non c'è, e non è un'assenza casuale. Lutero forse pensa al proverbio tedesco Gott, Eltern, Lehrern gnugsamb ehr kan man erzeygen nimmermehr (cfr. Karl Friedrich Wilhelm WANDER, Deutsches Sprichwörter-Lexicon. Ein Hausschatz für das deutsche Volk, Kettwig 1987 (1a ed. Leipzig 1867), vol.2, pag.18, n.371). La confusione tra il proverbio popolare e il detto aristotelico è significativa; il senso delle due espressioni è certamente analogo, ma l'importante è notare che Aristotele per Lutero viene qui rivalutato come una fonte di saggezza paragonabile al buon senso popolare. L'Aristotele lodato qui da Lutero ( bene dicitur ) non è certo un filosofo. | 366 | 1528 | Eth. Nic. VIII,14,1163b,15-18; 22s.; IX,1,1164b,2-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 6 | deus, parens, praeceptor, vergelten, perire, diligentia, cura, conservare | no | Uno anno 600 periisses, si parentum diligentia et cura non conservasset te. Ideo bene dicitur: Diis, parentibus et praeceptoribus kan man nymer mher gleichs vergelten. | In un solo anno saresti morto seicento volte, se l'attenzione e la sollecitudine dei genitori non ti avessero tenuto in vita. A ragione allora si dice: agli dei, ai genitori e ai maestri non si può mai ricambiare a sufficienza. | |
30 I,151,7-10 | Deudsch Cathechismus (Der Große Katechismus) | Il contenuto è lo stesso di WA 30 I,6,30-32 e se weise leute per indicare Aristotele è espressione piuttosto generica, si tratta nondimeno di una delle valutazioni più generose di Lutero nei confronti del filosofo. Ma è anche significativa di quale Aristotele sia preso qui in considerazione: uno dei saggi dell'antichità dal quale si possono ricavare alcuni isolati insegnamenti di vita pratica, sempre a sostegno di quanto insegna la fede (non a caso questa citazione si ritrova nel Catechismo maggiore a proposito del quarto comandamento). | 364 | 1529 | Eth. Nic. VIII,14,1163b,15-18; 22s.; IX,1,1164b,2-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 151 | deus, parens, magister, weise, vergelten, Gott, eltern, schulmeister, recht, gratia, rependere, dancken | no | Darümb ist recht und wol gesagt von alten weisen leuten: deo, parentibus et magistris non potest satis gratiae rependi, Das ist: Gotte, den eltern und schulmeistern kan man nimmer gnugsam dancken noch vergelten. | Alcuni saggi antichi hanno detto una cosa giusta e saggia al proposito: deo, parentibus et magistris non potest satis gratiae rependi , che significa: a Dio, ai genitori e ai maestri non si può mai essere grati o ricambiare a sufficienza. | |
30 II,579,28-31 | Eine Predigt, dasz man Kinder zur Schulen halten solle | Nel testo aristotelico, come si è già sottolineato a proposito di WA 30,151,8, il riferimento ai maestri non c'è, si parla solo degli dei e dei genitori. Anche in questo caso Lutero forse pensa al proverbio tedesco Gott, Eltern, Lehrern gnugsamb ehr kan man erzeygen nimmermehr (WANDER, Deutsches Sprichwörter-Lexicon..., cit., vol.2, pag.18, n.371), al punto da attribuire ad Aristotele una valutazione che aristotelica non è. Evidentemente la reminescenza del testo aristotelico doveva essere piuttosto generica. | 675 | 1530 | Eth. Nic. VIII,14,1163b,15-18; 22s.; IX,1,1164b,2-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 579 | schulmeister, magister, lohnen, bezalen, leren, knabe, heide, trewlich, zeuchen, vleissig, frum, geld, sagen | 163 | Das sage ich kürtzlich: Einen vleissigen frumen Schulmeister odder Magister odder wer es ist, der knaben trewlich zeucht und leret, dem kan man nimer mehr gnug lohnen und mit keinem gelde bezalen, wie auch der Heide Aristoteles sagt. | In poche parole: per un volonteroso e pio maestro di scuola, professore o come lo si voglia chiamare, che educa e insegna con passione ai ragazzi, non c'è mai ricompensa adeguata né moneta che lo paghi, come dice anche il pagano Aristotele. | |
30 II,635,15-28 | Sendbrief vom Dolmetschen | Questo lungo brano, modellato sull'eloquenza paolina di 2 Cor 11,22ss., è interessante anche per l'anno in cui è stato scritto: il 1530. In un periodo cioè in cui la valutazione di Aristotele in ambiente luterano si era fatta più mitigata, Lutero continua a contrapporre ai papisti che gli contestavano la sua traduzione della Lettera ai Romani, i propri titoli accademici e la sua personale interpretazione di Aristotele. Ripercorre così con una manciata di sostantivi tutti i suoi incarichi di insegnamento e le attività di studio. Si definisce filosofo e dialettico, ma non risparmia l'ironia quando dice di passare dalle cose di minore importanza ( Und das ich herunter kome ), tra le quali elenca lo studio della Bibbia e la preghiera, alla dialettica e alla filosofia. Insomma: anche nel 1530 la condanna dell'Aristotele cristianizzante rimane immutata in Lutero, così come rimane, almeno nelle intenzioni, la volontà di proporre una nuova intepretazione del filosofo. | 161 | 1530 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 635 | doctor, gelert, prediger, theologus, disputator, philosophi, dialecticus, legens, dolmetzschen, proemium, capittel, kunst, heylige-schrifft, verstehen, erziehen, schreiben, psalm, prophet, biten, dialectica, philosophia, prellen, erfaren, jugent, tief, weit | 2, 271 | Sie sind doctores? Ich auch. Sie sind gelert? Ich auch. Sie sind Prediger? Ich auch. Sie sind Theologi? Ich auch. Sie sind Disputatores? Ich auch. Sie sind Philosophi? Ich auch. Sie sind Dialectici? Ich auch. Sie sind Legenten? Ich auch. Sie schreiben bücher? Ich auch. Und wil weiter rhümen: Ich kan Psalmen und Propheten auszlegen, Das künnen sie nicht. Ich kan dolmetzschen, Das künnen sie nicht. Ich kan die heiligen schrifft lesen, Das künnen sie nicht. Ich kan biten, Das künnen sie nicht. Und das ich herunter kome, Ich kan yhr eygen Dialectica und Philosophia bas, denn sie selbs allesampt. Und weisz dazu fur war, das yhr keiner yhren Aristotelem verstehet. Unnd ist einer unter yn allen, der ein proemium odder capittel ym aristotele recht verstehet, so wil ich lassen prellen. Ich rede ytzt nicht zuvil, denn ich bin durch yhre kunst alle erzogen und erfaren von jugent auff, weisz fast wol wie tieff und weit sie ist. |
Essi sono dottori? Anch'io. Sono eruditi? Anch'io. Sono predicatori? Anch'io. Sono teologi? Anch'io. Tengono dispute? Anch'io. Sono filosofi? Anch'io. Sono dialettici? Anch'io. Sono professori universitari? Anch'io. Scrivono libri? Anch'io. Voglio gloriarmi ancora. Io so spiegare i salmi e i profeti, loro no. Io so tradurre, loro no. Io so insegnare la Sacra scrittura, loro no. Io so pregare, loro no. E, tralasciando le cose di minore importanza, della loro cara dialettica e filosofia io ne so più di tutti loro. Ancora: sono assolutamente certo che tra di loro nessuno capisce il loro Aristotele. E se ce n'è uno tra tutti che interpreta correttamente un solo proemio o capitolo di Aristotele, sono pronto a farmi bastonare. Non sto andando oltre il segno: fin dalla giovinezza sono cresciuto imparando la loro sapienza e posso dire di conoscerla in lungo e in largo. |
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30 II,658,29-33 | Rhapsodia seu concepta in librum de loco iustificationis cum aliis obiter additis | Non si tratta di una semplice variazione sul tema della critica luterana al concetto di habitus morale. In questo scritto del 1530 Lutero introduce una significativa diversione: nell'ambito civile, mondano, nella città dell'uomo la giustizia aristotelica ha una sua validità. E' un recupero parziale del testo aristotelico, anche se la sua inconciliabilità con la fede viene proprio per questo rimarcata ancor più nettamente: Sed in regno Christi contra: Actus ex habitibus . Lutero probabilmente non vuole affermare che la giustizia in senso cristiano è un habitus: verrebbe a mancare uno dei presupposti fondamentali della sua teologia, la iustitia aliena, (cfr. ad es. WA 56,158,11-14), ma afferma che solo dopo aver conseguito la fede, concepita come qualcosa di compiuto in sé, l'uomo è in grado di compiere opere buone, ma solo per ipsam, attraverso la fede. | 357 | 1530 | Eth. Nic. II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 658 | philosophia, principium, moralis, iustus, efficere, cytharisari, civilis, regnum, habitus, iustitia, actus, opus, fides, saepe, miscere, Caesar, parare | no | Philosophiam miscuerunt Theologiae assumpto isto principio morali: saepe iusta faciendo efficimur iusti, Saepe cytharisando etc. Et hoc est verum in civili, Caesaris regno: Iusticia habitus, paratur ex actibus. Sed in regno Christi contra: Actus ex habitibus, Quia fides sine operibus ante opera paratur, parata autem fide parantur opera per ipsam. | Hanno mescolato la filosofia con la teologia, dopo aver messo a base della morale questo principio: che compiendo con frequenza opere buone diventiamo buoni, che suonando spesso la cetra diventiamo citaredi, eccetera. Questo è vero nel regno civile, di Cesare: la giustizia è un modo di essere che si acquista attraverso gli atti. Nel regno di Cristo è il contrario: sono gli atti che vengono dagli habitus. La fede infatti è acquistata senza opere e prima delle opere, e una volta acquistata la fede, acquistiamo anche le opere per mezzo di essa. | |
30 III,152,32-153,14 | Das Marburger Gespräch und die Marburger Artikel | Il brano è tratto dal resoconto dei colloqui di Marburgo stilato da Johannes Brenz, amico intimo di Lutero e riformatore del Württemberg. Brenz non si pone certo problemi di equidistanza tra i due contendenti che si sfidavano a colpi di sottigliezze per confutare ciascuno la dottrina eucaristica dell'altro: è dalla parte di Lutero. Ma riferisce anche con precisione su questo dibattito intorno alla natura del corpo glorioso di Cristo. All'argomentazione aristotelica di Zwingli per il quale un corpo non può trovarsi in più luoghi Lutero risponde altrettanto aristotelicamente chiamando in causa lo status di quel particolare corpo che è il mondo. Brenz cita la Fisica, ed è verosimile che Lutero nel corso del dibattito abbia richiamato anche il quarto libro di quest'opera, ma il riferimento aristotelico più probabile è il primo libro del De caelo. Lutero infine taglia la testa al toro di una discussione che rischiava di divenire troppo scolastica . Da una parte ricorda l'esempio citato dell'ultima sfera celeste, dall'altra afferma che dal punto di vista della potentia Dei absoluta (intesa in un senso molto ampio) Dio può conservare un corpo senza luogo. Ancora una volta la teologia è clavis universalis che permette di dirimere problemi squisitamente scientifici. Da notare infine che Lutero dichiara di non volersi sottrarre a una discussione puramente filosofica (o matematica, nel senso della geometria intesa come scienza dei numeri spazializzati). Come sua abitudine, non perde occasione per ricordare la sua competenza in fatto di filosofia aristotelica. | 452 | 1529 | De caelo I,9,278b,22-29; 279a,6-18 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 153 | corpus, panis, locus, deus, natura, omnipotens, conservare, actus, mundus, sphaera, mathematicus, articulus, coelum, locatum, adesse, vere, Zuinglius, auferre, obiectio, refellere, gru, hiscere, conservare, tempus, aristotelici, pronunciare, argumentum, detrectare | no | Postea ab adversariis obiectus est articulus fidei: ascendit in coelum. Si, inquiunt, Christus secundum corpus in coelo est, qui potest in pane adesse? Quando unum corpus non potest esse in diversis locis? Haec Lutherus depellens, ait, corpus Christi in pane adesse, non sicut locatum in loco, sed eo modo, quem deus novit. Praesens tamen vere adesse. Ad haec Zuinglius: Si corpus non est in loco, non erit corpus. Aufer locum, inquit, et abstuleris naturam corporis. Illam Zuinglii obiectionem Lutherus egregie refellebat, ut adversarii ne gruv quidem contra hiscere auderent. Dicebat autem Lutherus: eum esse omnipotentem et posse conservare corpus sine loco, nec posse solum, verum etiam actu facere. Mundus enim, inquit, corporum omnium maximum est, et tamen iuxta physicorum quoque sententia in nullo loco est, quando extra mundum nec sit locus nec tempus, et aristotelici pronuncient, ultimam sphaeram non esse in loco. Adiiciebat Lutherus: Disputationem de locis et eorum naturis esse mathematicam, theologiam seu potius omnipotentiam dei esse super omnem mathematicam, proinde se nolle in hac arena et in argumento theologico ad divinam omnipotentiam pertinente de locis mathematicis disputare, quamquam eam disputationem alias privatim detrectare nollet. | Poi gli avversari gli rinfacciarono l'articolo di fede dell'ascensione. Se, dicevano, Cristo è in cielo con il corpo, può essere presente con il corpo anche nel pane, quando si sa che un solo corpo non può essere presente in diversi luoghi? Per respingere queste obiezioni Lutero disse che il corpo di Cristo è presente nel pane non come qualcosa di collocato in un luogo, ma in un modo che solo Dio conosce, e che tuttavia esso era veramente presente. A ciò ribatteva Zwingli: se il corpo non si trova in un luogo, non sarà veramente un corpo. Togli il luogo, disse, e avrai eliminato la natura del corpo. A questa obiezione di Zwingli Lutero rispondeva egregiamente, in modo tale che gli avversari non osavano più aprir bocca. Diceva Lutero che Dio è onnipotente e che può conservare un corpo senza luogo, e non solo in potenza, ma anche in atto. Il mondo infatti, diceva, è il più grande di tutti i corpi, e tuttavia, come dice la Fisica, non si trova in nessun luogo, visto che al di fuori del mondo non c'è né luogo né tempo e anche gli aristotelici hanno stabilito che l'ultima sfera non è situata in un luogo. Lutero aggiungeva che la questione sui luoghi e la loro natura è matematica, ma che la teologia, o meglio l'onnipotenza di Dio, è superiore a ogni matematica. Egli quindi egli avrebbe preferito non dibattere di problemi di matematica in una simile arena e a proposito di un argomento teologico che ha a che fare con l'onnipotenza divina, anche se non si sarebbe certamente sottratto a una discussione su questo argomento, da tenersi altrove e in privato. | |
30 III,497,30-31; 37-39 | Exemplum theologiae et doctrinae papisticae | In quest'opera Lutero chiosa un sermone di Hermann Rab, definito nel titolo teologo papistico . L'esegesi è tutta in chiave ironica quando non apertamente satirica. In questo caso Lutero rimprovera ai papisti di aver inventato una distinzione inesistente in Aristotele, quasi che il filosofo potesse capire qualcosa sulle realtà spirituali: un'ipotesi che Lutero intende negare decisamente. In realtà la tripartizione è genuinamente aristotelica, anche se per spiritualia Aristotele intendeva i beni dell'anima, soprattutto le virtù e non i beni spirituali nel senso teologico di Lutero. | 628 | 1531 | Pol. VII,1,1323a,25s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 497 | bonum, temporalis, corporalis, spiritualis, distinctio, magister, papatus, invenire | 150, 302 | Tria enim sunt bona secundum Aristote.(5) septimo Politicorum, scilicet Temporalia, Corporalia et Spiritualia. 5) Aristoteles hic accipitur pro Magistris nostris eximiis in Papatu, qui istam distintionem invenerunt. Quia Aristote. valde novit, quid sint bona spiritualia. |
Infatti secondo il settimo libro della Politica di Aristotele(5) i tipi di beni sono tre: temporali, corporali e spirituali. (5) Per Aristotele qui si intendono i nostri esimi maestri del papato che hanno inventato questa distinzione. Infatti Aristotele sa proprio bene cosa siano i beni spirituali... |
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30 III,498,11-15; 28-35 | Exemplum theologiae et doctrinae papisticae | Ironia pesante di Lutero nei confronti di Rab. Il riferimento a un presunto decimo libro della Fisica (oltre che a un altrettanto inesistente quinto libro delle favole di Esopo) è ironico e vuole fare il verso ai teologi che, dal punto di vista di Lutero, pretendono di giustificare qualsiasi verità religiosa con l'appoggio del pagano Aristotele. | 628 | 1531 | Phys. X! | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 498 | puella, exemplum, beatus, virgo, Maria, virginitas, votum, spernere, regnum, mundus, saeculum, offerre, anima, corpus, vivere, deus, gratus, spetialiter, monialis, abbatissa, diversorium, monasterium, asinus, confessor, praedicator, praesepe, chorus, pannus, cappa, lectio, religiosus, ops, luxus, Esopus | 303 | Et quia praesens puella exemplo(10) beate Virginis (que primo virginitatis votum emisit) spernens regnum mundi et omnem ornatum saeculi(11) offert se anima et corpore aeternaliter vivere Deo, imo, quod est Deo gratissimum(12), Virginitatem, Nam Deus Spetialiter virgines sibi eligit, hic et in futuro(13). 10) (Exemplo) Quia fuit Monialis Et Joseph fuit eius Abbatissa. Et diversorium fuit eius Monasterium. Et asinus fuit eius Confessor et Praedicator. Et praesepe fuit chorus, Panni fuerunt cappa et reliqua de eadem lectione. 11) Sicut patet in religiosis etiam regum opibus et luxu superbientibus. 12) Ut patet 10. Libro Physicorum Et Esopi Lib.5. 13) Apostolos non sic elegit spetialiter. |
E infatti la presente fanciulla su esempio(10) della beata Vergine (che per prima fece voto di verginità) disprezzando il regno mondano e ogni attrattiva del secolo presente(11), si offre anima e corpo per vivere eternamente per Dio, anzi, cosa graditissima a Dio(12), offre la sua verginità. Infatti Dio sceglie per sé con un atto di predilezione le vergini, ora e in futuro(13). 10) (Su esempio) Infatti essa fu monaca e Giuseppe fu la sua badessa, l'albergo di Betlemme il suo monastero, l'asino suo confessore e predicatore, la mangiatoia fu il coro, i panni furono la cappa e tutto il resto della presente interpretazione. 11) Cosa evidente anche nei religiosi che si insuperbiscono con ricchezze da re e nella lussuria. 12) Come si ricava dal decimo libro della Fisica e dal quinto libro di Esopo. 13) Neanche verso gli apostoli manifestò una tale predilezione. |
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30 III,500,13-24 | Exemplum theologiae et doctrinae papisticae | Lutero critica quelli che considera essere i tratti salienti dei teologi cattolici. In primo luogo il fare sfoggio di cultura a partire da un Aristotele citato in modo inesatto e interpretato scorrettamente: un desiderio di gloria che non è fine a se stesso, ma che nasconderebbe l'odio verso Cristo. Perché infatti considerare magister gentilis un titolo onorifico, se ciò significa dimenticare i presupposti fondamentali della fede? Sono tutte tematiche tipiche di Lutero, che in un testo della tarda maturità non vengono minimamente smentite. In particolare Lutero continua a ritenere che citare Aristotele a sostegno di proposizioni di fede sia farne un uso improprio e fuorviante. | 628 | 1531 | Pol. VII,1,1323a,25s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 500 | bonum, corporalis, temporalis, spiritualis, magistralis, doctor, theologia, allegare, false, scientia, citare, gloriari, magister-gentilis, ignorantia, exemplum, papisticus, intelligere, ostentare, copia, Christus, apostolus, propheta, doctoralissimus, magnificus, heidnisscher-meister, gloriari, discipulus, cognoscere, promovere, ignorantia, ecclesia, seminare, intelligere | 150, 211, 189, 225, 272, 287 | Illud vero maxime est Magistrale et doctorale, Quod Aristotelem dicit septimo Politicorum tria bona asserere: Temporalia, Corporalia, Spiritualia. Et hoc ipsum enim pertinet ad exemplum Theologiae Papisticae, quod ex Aristotele vel false allegato vel nunquam intellecto ostentare solent copiam scientiae suae, tantum ut Christi, Apostolorum et Prophetarum nomen absque synagogis faciant. Nam is fuit tum inter Papistas doctoralissimus, qui frequenter Aristotelem et nunquam Christum, Apostolos vel Prophetas citare posset, magnifico scilicet titulo: Magister Gentilis, der Heidnissche Meister, tanti Theologi gloriati scilicet, quod essent discipuli gentilis hominis, qui nihil de Deo et Christo cognovit. Et satis foeliciter promoverunt. Nam eandem ignorantiam Dei et Christi perfecte didicerunt ex Aristotele et per Ecclesiam totam seminaverunt. | Questo poi è proprio un connotato tipico da maestro e dottore, il fatto di dire che Aristotele nel settimo libro della Politica riconosce tre tipi di beni: temporali, corporali e spirituali. Anche questa è una tipica dimostrazione di teologia papistica, ostentare in gran quantità le proprie conoscenze traendo spunto da un Aristotele da una parte citato in modo scorretto e dall'altra mai capito. E ciò all'unico fine di tener lontano il nome di Cristo, degli apostoli e dei profeti dalle assemblee. Infatti tra i papisti un tempo era accademicissimo solo chi era in grado di citare spesso Aristotele e mai Cristo, gli apostoli e i profeti. E lo citavano con un titolo quanto mai onorifico: magister gentilis, il maestro pagano. Teologi così importanti si vantavano cioè di essere discepoli di un pagano, che non sapeva nulla di Dio e di Cristo. Essi furono promossi doctores senza particolari problemi. Infatti da Aristotele hanno imparato a perfezione la stessa ignoranza di Dio e di Cristo, che poi hanno seminato in tutta la Chiesa. | |
31 I,201,13-15 | Der 82. Psalm ausgelegt | Lutero sta spiegando che la virtù della giustizia è poco diffusa, e perciò tanto più preziosa e gli sovviene una frase dell'Etica Nicomachea che conferma questa sua asserzione. Evidentemente però si tratta di una citazione a memoria. Aristotele infatti parla di stella della sera e stella del mattino, non di sole e luna. Non è poi improbabile che Lutero abbia in mente un versetto del libro della Sapienza (Sap 7,29): essa (la sapienza) in realtà è più bella del sole e supera ogni costellazione di astri . Da notare che qui Aristotele è citato in senso positivo, a conferma di quanto si sta dicendo, ma anche che Lutero non fa il nome del filosofo, quasi rifacendosi a una generica fonte di saggezza antica. Inoltre in questo contesto si sta parlando della giustizia come virtù civile, non della giustizia divina che salva il peccatore. | 611 | 1530 | Eth. Nic. V,1,1129b,27-29 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 201 | gerechtigkeit, tugent, sonn, mond, morgenstern, heide, sagen, schön | 138 | Darumb sagen auch die Heiden, das gerechtigkeit sey ein solche schöne tugent, das weder sonn noch mon noch morgenstern so schon sein mügen. | E perciò anche i pagani dicono che la giustizia è una virtù talmente splendente che né il sole né la luna né la stella del mattino possono essere così luminosi. | |
31 I,313,3-9 | Die ersten 25 Psalmen auf der Koburg ausgelegt | Il commento verte su Sal 14,5 chi presta denaro senza fare usura, e non accetta doni contro l innocente . Lutero stigmatizza l usura e annota che questa pratica era molto diffusa nel mondo ebraico ma lo è anche tra i suoi contemporanei. Con queste parole si conclude il commento al salmo 14 e si passa al quindicesimo, che è interpretato da Lutero in riferimento alla persona di Gesù Cristo. Così si spiega la notazione finale con il riferimento ad Aristotele: da questo punto de testo in poi non si parla più di virtù e vizi in qualche modo comprensibili anche dalla ragione umana. Le opere che Lutero va ad esaminare sono quelle della fede, che rimangono impermeabili a qualsiasi tentativo di approfondimento filosofico; nella caso della fede infatti non si dà conoscenza che non sia preceduta dal vedere le opere di Dio. | 597 | 1530 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 313 | munus, innocens, grosses-haus, iudex, richten, zeugen, corrumpirn, peccatum, iudaeus, reich, adel, praeceptum, guter, werck, philosophi, populus, peccare, ansehen | no | Nec accipit munera contra innocentem . Da sticht er die grossen hausen, die iudices, die richten oder zeugen konnen und lassen sich corrumpirn. Fuit autem commune peccatum in illo populo et Iudaei maxime in his tribus posterioribus peccarunt, wie es denn noch unter den reichen und dem adel gehet. Pertinet autem haec ad nonum et decimum praeceptum, das sie durch practiken einander umb die guter bracht haben. Die werck solt man nu ansehen, quae nec Aristoteles nec ullus philosophus vidit. | E non accetta doni contro l innocente . In questo modo Davide fa riferimento ai grandi signori, ai giudici, che possono giudicare o testimoniare e si fanno corrompere. Questo infatti era un peccato comune nel popolo e i Giudei peccarono soprattutto violando questi ultimi tre precetti, proprio come accade al giorno d oggi tra i ricchi e i nobili. Tutto ciò in ogni caso rientra sotto il nono e il decimo comandamento ed essi con i loro maneggi li hanno violati entrambi per amore della ricchezza. Ora invece devono essere considerate le opere che né Aristotele né alcun filosofo ha mai visto. | ||
31 I,354,32-355,2 | Die ersten 25 Psalmen auf der Koburg ausgelegt | Lutero sta commentando Sal 21,3 Deus meus, clamabo per diem et non respondebis . Di fronte alle sofferenze di Cristo dovrebbe essere chiaro, dice Lutero, che Aristotele non ha alcun valore. Questo non significa che le sue opere non debbano essere lette. Lutero non propugna un rifiuto aprioristico della filosofia, ma una lettura dei suoi testi indirizzata alla critica e all abbattimento sistematico delle sue pseudo-verità. | 597 | 1530 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 355 | peccatum, leiden, lernen, teuffel, lesen, doctrina, verfolgen, namen | no | Das hat er pro nostris peccatis et propter nostra peccata gelitten: das solten wir lernen, so mussen wir des teuffels namen den Aristotelem dafur lesen und die doctrinam dazu auch auffs ergst verfolgen. | Ecco quello che Cristo ha sofferto per i nostri peccati e a causa dei nostri peccati; è ciò che dovremmo imparare - per il diavolo! - e leggere Aristotele a questo fine e anche perseguitare nel modo più deciso possibile la sua dottrina. | ||
31 I,440,7-8 | Der 147. Psalm, Lauda Jerusalem | Lutero sta commentando Sal.147,14: Egli ha messo pace nei tuoi confini e ti sazia con fior di frumento e mette in evidenza che lo stato di pace tra i componenti di una regione o di uno stato è la più solida e la più sicura di tutte le difese, mentre la violenza è fonte di incertezza e di continue sopraffazioni. Per questo cita Aristotele (in una pagina molto ricca di citazioni classiche, da Terenzio a Catone il Censore, oltre che di detti popolari) per il quale i moti violenti sono innaturali. Aristotele è qui considerato da Lutero come una fonte di saggezza pratica, tanto più se il passo aristotelico a cui ci si riferisce è (come indicato in WA 63,46) Phys. V,6,230a,29-31. In questo caso una massima aristotelica espressa in un contesto fisico (nel senso aristotelico del termine: in questo capitolo della Fisica si esamina il carattere del moto in riferimento alla quiete) verrebbe invece usata per esprimere una valutazione di ordine morale. Ma sembra più probabile che, più che alla Fisica, Lutero si voglia riferire a passi come Rhet. II,20,1393b,23-32 (la favola della volpe e del riccio indirizzata ai cittadini di Samo perché non depongano con la violenza il tiranno), già citati da lui in altri contesti. Il proverbio tedesco qui citato da Lutero (v. anche WA 30 II,711) sembrerebbe confermare quest ultima ipotesi. Ma cfr. anche quanto Aristotele dice in Pol. III,10,1281a,12-39 e V,12,1315b,11-39 a proposito della breve durata delle tirannidi. | 626 | 1532 | Phys. V,6,230a,29-31(?); Rhet. II,20,1393b,23-32; Pol. III,10,1281a,12-39; V,12,1315b,11-39 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 440 | gewalt, erhalten, wehre, böse, kommen | 164 | Und Aristoteles: Was mit gewalt erhalten wird, das hat die wehre nicht. Ursache: Man spricht, Es ward nie keiner so böse, Es kam noch ein böser über jn. | E Aristotele: tutto ciò che viene ottenuto con la violenza, non ha durata. La causa? Un detto comune: non c è mai stato un uomo così cattivo al quale non sia succeduto uno più cattivo ancora. | |
31 I,189,8-10 | Vorlesung über Jesaia | Citazione aristotelica tratta dal quarto libro dell'Etica Nicomachea, ma Aristotele (come in un altro resoconto delle lezioni luterane su Isaia presentato in WA 25,204,23) non è nominato. Il versetto di Isaia commentato da Lutero è 30,15: in silencio et spe nostra fortitudo . | 306 | 1527-1530 | Eth. Nic. IV,5,1126a,12 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 189 | malum, vincere, philosophi, expectatio, caro, longus, mors, vacillare, credere, paciencia, malicia | no | Sed illa expectacio cum videatur carni longa et quasi mors, semper vacillat caro. Sed crede. Paciencia vincet maliciam. Et philosophi dicunt: Malum vincit seipsum. | Ma alla carne questa attesa sembra lunga, quasi una morte: e perciò essa è sempre sul punto di cedere. Ma tu sii credente. La pazienza vincerà la malizia, anche i filosofi dicono che il male distrugge se stesso. | |
31 II,219,31-220,4 | Vorlesung über Jesaia | Lutero sta commentando Is 34,13-15, in cui si parla del giudizio di Dio sugli Edomiti e, come si è visto in WA 25,219,12-16, il versetto Vi si sono radunati anche gli sparvieri, uno in cerca dell'altro, nessuno si farà attendere viene interpretato con riferimento all'attuale situazione della Chiesa. Aristotele, Scoto e gli altri (nella citata versione delle Lezioni su Isaia sono riportati anche Averroè e Tommaso) sono considerati come le belve che si succedono l'una all'altra per dilaniare le anime. | 306 | 1527-1530 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 220 | milvus, lupus, rapax, fera, monstrum, error, liberum-arbitrium, Scotus, lacerare, anima, solitudo, tempus, deficere, Christus, demon, baptismus, eucharistia, trudere, papatus | no | Illuc congregati sunt Milvi i.e. illorum doctores sunt lupi rapaces, lacerantes animas eorum in solitudine. Ille locus applicandus ad nostrum tempus. Deficientibus a Christo omnia monstra, ferae et demones nos seducunt, error errorem sequitur, uti hodie videmus primo de baptismo, deinde de eujcaristiva, deinde de libero arbitrio, ita ut alius error errorem trudat. Sicut alia fera alteri occurrunt, sicut sub Papatu hactenus Aristoteles, Scotus etc. occurrerunt invicem. | Vi si sono radunati anche gli sparvieri . I loro dottori, cioè, sono lupi rapaci, che nella solitudine dilaniano le loro anime. Questo versetto va applicato al nostro tempo. Una volta che ci si allontana da Cristo, tutti i mostri, le belve e i demoni ci attirano a sé, l errore segue all errore, come vediamo accadere oggi: prima con il battesimo, poi con l eucarestia, poi con il libero arbitrio, così che ogni errore implichi un nuovo errore. E così una belva si succede all altra, così come sotto il papato Aristotele, Scoto e compagnia si succedevano l uno all altro. | ||
31 II,268,37-269,12 | Vorlesung über Jesaia | Ergo caro non infimas hominis partes significat, sed superiores . (WA 31 II,269,14s.). Questa la conclusione di Lutero, enunciata poche righe dopo il brano citato, in netta contrapposizione all opinione di Girolamo citata all inizio. In effetti il versetto 40,6s. ( Ogni uomo (omnis caro) è come l erba e tutta la sua gloria è come il fiore del campo. Secca l erba, il fiore appassisce quando il soffio del Signore spira su di essi ) suggerisce a Lutero una delle più chiare enunciazioni del rapporto fede-ragione di tutta la sua opera. Con questo passo dell Etica Nicomachea Aristotele vuole indicare la capacità della parte razionale dell anima di tenere a freno e guidare la parte inferiore. Questa condizione, che per i cristiani è propria dello stato originario prima del peccato di Adamo, secondo Lutero è stata del tutto compromessa a causa del peccato originale. Per questo motivo egli è costretto a negare che la ragione possa qualcosa nei confronti di Dio e se, come afferma san Paolo, l uomo ha una scintilla di conoscenza divina, questa in definitiva non può che ritorcersi contro Dio per cercare ciò che è suo (cioè proprio dell uomo). E questo è anche il motivo per cui Lutero deve dissentire da Girolamo, per il quale caro significa solo la parte inferiore dell anima non più pacificamente soggetta alla ragione: caro invece deve significare anche l anima razionale, perché tutto l uomo è stato corrotto dal peccato. Quindi ecco l'ambito di azione della ragione umana: quae sua sunt, la realtà mondana. Una realtà che si definisce in negativo, come tutto ciò che per la ragione non implica un rapporto con Dio . Al proposito cfr. anche l articolo di Theodor dieter, Amor hominis - Amor crucis. Zu Luthers Aristoteleskritik in der probatio zur 28. These der Heidelberger Disputation , Neue Zeitschrift für systematische Theologie und Religionsphilosophie , 29 (1987), pp.241-258. | 306 | 1527-1530 | Eth. Nic. I,13,1102b,15s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 269 | Hyeronimus, infima-pars, pars-superior, caro, deus, foenum, homo, rationalis, deprecari, optimum, cognitio, scintilla, quaerere, politicus, militaris, educatio, spiritualis, idolum, suum, ratio, verus, inimicitia, bonum, suum, monachus, concludere, orare, cultus, divinus, cuculla, probus, colere | no | Caro . Hieronimus dicit Carnem infimas partes hominis. Tria sunt vocabula: caro, fenum, populus. Tu scito carnem nihil aliud esse quam totum hominem racionalem. Sie sagen alszo: Racio deprecatur ad optima. Hoc verum est: ea, quae ad nos pertinent, sed quo ad deum est inimicitia adversus deum. Ro.8. Nihil est boni in nobis. Habet quidem aliquam dei cognicionem caro, ut Ro. 1. habetur, sed illa est obscurata, ut non vere cognoscat deum. Deprecatur ergo ad optima, scilicet sua, quaerit, quae sua sunt, non dei. Monachus hic concludit: Deus est orandus. Hic lucet scintilla divini cultus, sed mox concludit: ergo ego induam cucullam, ut probus fiam et deum colam. Haec scintilla nos deducit a deo, et tum ita racio sua quaerit, deprecatur ad optima in suis propriis, quoad deum ad pessima deprecatur. In rebus politicis, in re militari gerenda, in educacione filiorum valet aliquid racio, sed in spiritualibus plane est aversa et est quoddam idolum. | Carne . Girolamo dice che carne significa le parti inferiori dell uomo. Tre sono le parole: carne, erba, popolo. Tu però sappi che carne non è altro se non tutto l uomo razionale. Essi dicono: la ragione aspira alle cose migliori. E questo è vero per le cose che hanno a che fare con noi, ma per ciò che riguarda Dio la ragione è ripugnanza di Dio. Vedi l ottavo capitolo della lettera ai Romani: non c è nulla di buono in noi. La carne ha sì una qualche conoscenza di Dio, come Paolo ipotizza nel primo capitolo della Lettera ai Romani, ma è una conoscenza resa opaca, così che essa non possa veramente conoscere Dio. La carne perciò aspira alle cose migliori, cioè a ciò che è suo, cerca ciò che è suo, non ciò che è di Dio. Un monaco a questo punto direbbe: bisogna pregare Dio! , ed ecco, scocca una scintilla dell adorazione di Dio. Egli però subito dopo concluderebbe: vestirò la cappa, per diventare buono e adorare Dio . Questa scintilla ci allontana da Dio e così la ragione cerca ciò che è suo. Essa aspira sì alle cose migliori ma nell ambito di ciò che le appartiene, mentre per quanto riguarda Dio aspira alle cose peggiori. In politica, nell'arte militare, nell educazione dei figli la ragione serve a qualcosa, ma nelle realtà spirituali è proprio il contrario: è un idolo. | |
31 II,315,5-8 | Vorlesung über Jesaia | Quando torna sulla contrapposizione Aristotele/Cristo Lutero trova sempre le espressioni più pesanti per caratterizzare la dottrina aristotelica. In questo caso gli insegnamenti di Aristotele vengono definiti monstra e la caduta di interesse verso Cristo nelle scuole e nei monasteri viene meccanicamente correlata alla contemporanea ascesa di Aristotele, che anzi ne sarebbe la causa. Da questo punto di vista, nulla è cambiato in Lutero rispetto alla fine del decennio precedente e ai primi anni Venti. Da notare infine l ironico accenno ai professori universitari, che non sarebbero in grado di insegnare non tanto Aristotele, ma neppure storielle da quattro soldi (per l espressione usata da Lutero, cfr. WA 51,29,28). | 306 | 1527-1530 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 315 | monasterium, schola, vilipendere, monstrum, negligere, legere, Marcolvum, stupescere, wert-sein | no | Sed nostro tempore a tot monasteriis et scolis vilipenditur, ut stupendum sit, negligimus illum et legimus monstra quaedam Aristotelis. Sie syndt nicht werdt, das sy Marcolvum leszen. | Ma nel nostro tempo Cristo è schernito da tanti monasteri e università, è una cosa che fa indignare. Ci dimentichiamo di lui e facciamo lezione sui mostruosi insegnamenti di Aristotele. Ma essi non sono nemmeno capaci di far lezione su Marcolfo. | ||
31 II,380,35-381,1 | Vorlesung über Jesaia | Das ist war . Un riconoscimento che Lutero attribuisce molto di rado ad Aristotele. In effetti questa sentenza tratta dall'Etica Nicomachea ha evidentemente colpito Lutero, che nell'ambito delle stesse lezioni la usa anche per commentare Is. 30,15 (come si è visto in WA 25,204,23 e 31 II,189,10). Qui invece siamo al capitolo 47, in cui Isaia descrive la caduta di Babilonia (versetto 13: ti sei stancata dei molti consiglieri ). Naturalmente Lutero non perde l'occasione per paragonare la rovina di Babilonia alla caduta, a suo giudizio già in atto, del papato. Non sfugga infine che la citazione aristotelica è introdotta da una proposizione che inizia con le parole gnoma generalis: siamo nell'ambito della saggezza popolare e Aristotele è una delle fonti di questa saggezza, una fonte di singole verità pratiche. | 306 | 1527-1530 | Eth. Nic. IV,5,1126a,12 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 380 | gnoma, regnum, consilium, studium, malum, destruere, wahr, perdere, hora, perdicio, consilium, optimus, perniciosus | no | Generalis gnoma de omnibus regnis perdendis: veniente hora perdicionis omnia consilia et studia prius optima fiunt perniciosissima. Ita dicit Aristoteles: Malum destruit seipsum. Das ist war. | Una sentenza universale, che si adatta a tutti i regni destinati ad andare in rovina: quando si appressa l'ora della rovina tutti i programmi e i progetti che prima sembravano ottimi diventano esiziali. Così dice Aristotele: il male distrugge se stesso. Ed è vero. | |
31 II,590,4-6 | Vorlesung über das Hohelied | Lutero sta esponendo il contenuto dei tre libri che, come si riteneva a quel tempo, erano stati scritti dal re Salomone: Proverbi, Ecclesiaste e Cantico dei Cantici. All analisi di quest ultimo è dedicata quest'opera. Lutero paragona così l'Ecclesiaste alla Politica di Aristotele, anche se il manoscritto che ci è pervenuto traccia una riga sopra il testo qui compreso tra parentesi. Un'altra trascrizione delle stesse lezioni (WA 31 II,590,24-28) contribuisce a chiarire il paragone definendo politicus l'Ecclesiaste, e spiegando che questo libro Magistratum maxime docet, ut scilicet timeat Deum is, qui aliis praeest, et strenue faciat ea, quae prae manibus sunt . Ma che l'accostamento tra il testo sacro e la Politica di Aristotele rimanga estrinseco, lo precisa una nota a margine del primo manoscritto, in cui si precisa che Discrimen ergo est inter Solomonis Cohelet et Aristotelis Politica , nel senso, precisato da Lutero stesso (cfr. WA 31 II,590,21-23), che l'argomento è trattato non al modo dei filosofi pagani, ma ubique aspersa graviore doctrina de fide et timore Dei, quam Gentes non viderunt . | 291 | 1530-1531 | Pol. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 590 | politicum, timere, Deus, manus, Cohelet, conscribere, politia | no | 2. Cohelet, quem nos de politicis dicere [vocare possemus, quemadmodum Aristoteles librum de politia conscripsit], de timendo deo et faciendo, quod coram manibus. | Il secondo libro è il Qoelet, e noi potremmo definirlo un libro che parla di cose politiche (allo stesso modo in cui Aristotele scrisse un libro sullo stato), del timore di Dio e di ciò che si può concretamente fare. | |
31 II,737,8-10 | Vorlesung über das Hohelied | La preoccupazione per un sistema scolastico efficiente non è nuova in Lutero (cfr. WA 6,457,30-35), ma in questi anni di organizzazione della nuova chiesa si fa ancora più pressante. Per questo nel giro di tre anni, dal 1528 al 1530, Lutero richiama esplicitamente tre volte questo passo dell Etica Nicomachea; e poco importa se Aristotele non cita anche i maestri, ma solo dei e genitori. Probabilmente anche in questo caso Lutero aveva in mente il detto popolare Gott, Eltern, Lehrern gnugsamb ehr kan man erzeygen nimmermehr di cui si è parlato in precedenza a proposito di WA 30 I,6,30-32. | 291 | 1530-1531 | Eth. Nic. VIII,14,1163b,15-18; 22s.; IX,1,1164b,2-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 737 | schola, deus, parens, praeceptor, instituere, gut | no | Ubi scholae bene institutae, est maximum donum. Aristoteles: diis, parentibus. Ein guter praeceptor, parens, kunnen viel guts thun. | Avere scuole che funzionano bene, questo è il più grande dei doni. Dice Aristotele: agli dei e ai genitori... Un buon maestro, un buon genitore, possono fare un gran bene. | |
32,241,13-18 | Predigten des Jahres 1530 (Matth. 11,2ff.) | Lutero prende le distanze dai padri della Chiesa, rei a suo giudizio di aver insegnato la propria opinione piuttosto che Cristo. Il tono generale del brano appare però iperbolico: non abbiamo alcuna testimonianza di questa reticenza di Lutero nel nominare Cristo piuttosto che Aristotele. Il riferimento al quarto libro della Fisica, un libro che Lutero cita molto di rado nel corso della sua opera, viene probabilmente chiarito in WA 32,241,33-34, ma già da questo contesto si chiarisce che Lutero lo ritiene un testo poco significativo non solo in confronto agli insegnamenti di Cristo, ma anche in se stesso, per gli effettivi contenuti di conoscenza che esso può offrire. | Pr. 1136 | 1530 | Phys. IV,6-9 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 241 | opinio, patres, contio, weibisch, Christus, docere, ansehen, papa, Hyeronimus, patres, legere, nominare | no | Non est Christus docendus ex propria opinione, quanquam habet ein gros ansehen: habent pro se papam, S. Hyeronimum et alios sanctos patres. Certe nullus ex eis qui Christum praedicat. Et olim tam multa legeram in eis, ut cum venirem in contionem, putarem weibisch sein, si nominarem Christum Iesum, sed 4 phisice Aristoteles etc. | Non bisogna insegnare Cristo a partire dalla propria opinione, anche se gode di una grande fama. Essi hanno dalla loro parte il papa, san Girolamo e altri santi padri, ma è certo che nessuno di costoro predica Cristo. Anch io un tempo avevo letto tante di quelle cose nei loro libri che, se avessi dovuto parlare in pubblico, avrei reputato una cosa da donnette il nominare Cristo Gesù piuttosto che il quarto libro della Fisica di Aristotele e cose del genere. | |
32,241,29-34 | Predigten des Jahres 1530 (Matth. 11,2ff.) | Questo passo presenta un ambiguità riguardante il termine leher, usato due volte. Apparentemente è un sostantivo in caso femminile con significato analogo all attuale Lehre: insegnamento,dottrina. Per questa ipotesi propende anche Bonfatti, secondo il quale il senso corretto dell ultima frase è in definitiva: quel sapere, quella dottrina non sono nulla se non vi è la dottrina di Cristo . Si può ipotizzare però che il primo dei due leher sia un neutro con il significato di vuoto. L ipotesi, meno giustificata sul piano grammaticale, trova una sua giustificazione nell altra trascrizione di questo passo di predica luterana, presentata in WA 32,241,13-18. Lutero prende in giro Aristotele e i suoi seguaci. La Fisica viene preferita a Cristo? Se si osserva bene, dice Lutero, si vedrà che quest opera che riscuote tanto successo è piena di sconcertanti ovvietà, come ad esempio l affermazione che il vuoto non esiste. Un affermazione peraltro che nel campo delle cose teologiche è da ritenersi falsa. In WA 32,241,13-18 Lutero poi parla del quarto libro della Fisica, proprio quello in cui è contenuta la trattazione sul vuoto. (Cfr. anche WA 42,408,19-38). | Pr. 1136 | 1530 | Phys. IV,6-9; e in particolare IV,9,217b,20-27 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 241 | Hieronymus, Ciprianus, Origenes, scheyn, praedicare, Christus, pudere, salvator, liber, scheyn, kunst, leher, nichts, lehre | no | Hieronymus, Ciprianus, Origenes et omnes non praedicavit Christum. Ego olim puduissem dicere Christum esse salvatorem, sed hoc videbitur aliquid: Aristoteles, liber Phisicorum, das hat einen scheyn. Summa illa kunst, leher ist nichts, wen die leher de Christo nicht do ist. | Gerolamo, Cipriano, Origene e tutti gli altri non hanno predicato Cristo. Io una volta mi sarei vergognato di dire che Cristo è il salvatore, ma ecco invece cosa avrà valore: Aristotele, il (quarto) libro della Fisica, questo è degno di gloria. Il loro insegnamento più profondo è che il vuoto è nulla, ma ciò che sappiamo intorno a Cristo è tutt altra cosa. | |
34 I,473,24-27 | Predigten des Jahres 1531 (Über die christliche Gerechtigkeit) | La trascrizione probabilmente non rende giustizia alle parole di Lutero ed appare assai imprecisa. Il senso generale però è chiaro. Lutero critica la teoria cattolica della giustificazione per la quale non può darsi la simultanea presenza di grazia e peccato, mentre il suo concetto di giustificazione fa di questa compresenza un punto cardinale. Aristotele viene chiamato in causa perché la sua dottrina della giustizia (ma questa affermazione vale anche in riferimento alla teoria della virtù etica in generale) afferma che la giustizia è presente nell uomo come una forma, come una disposizione costante e stabilmente posseduta: non però in corpore , come è scritto in questo passo, ma nell anima. | Pr. 1240 | 1531 | Eth. Nic. II,1,1103a,33-b,2; V | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 473 | papist, verdammen, ignorare, doctrina, zusammen-reimen, iusticia, peccatum, versari, uffgericht, willen, decalogus, negligere, halden, formalis, corpus | no | Alszo thuen die Papisten, die verdammens et tamen ignorant hanc doctrinam. Sie kunnens nicht zusammen reymen: Iusticiam Christi et peccata nostra, saltem versantur iusticiam esse eyn uffgerichten wyllen, quae versatur circa decalogum, et hunc Christum negligunt und haldens myt dem Aristotele, quod iusticia formalis sit habens in corpore. | Così fanno i papisti, i quali condannano e tuttavia ignorano un simile insegnamento. Non riescono a mettere insieme le due cose: la giustizia di Cristo e i nostri peccati: quanto meno, essi ne trattano come se la giustizia sia un volere retto in materia di decalogo. Ma così tralasciano questo Cristo e stanno dalla parte di Aristotele, per il quale la giustizia si trova nel corpo come una forma posseduta stabilmente. | |
34 II,148,7-11 | Predigten des Jahres 1531 (Mark. 7,31ff.) | In questa predica Lutero sta invitando i fedeli a tenersi lontano dalla turba delle sette degli Schwärmer, che evidentemente riscuotevano molte simpatie tra la gente. Solo isolandosi dalla folla e sedendosi ai piedi di Cristo si può imparare la fede, ammonisce Lutero. E fornisce un esempio autobiografico che è vero solo in parte, perché il contatto con esponenti della filosofia e della teologia a lui precedente è stato costante in tutta la formazione di Lutero, anche se qui egli vuole più che altro accennare all'aspetto esistenziale dell'esperienza religiosa, che non può derivare dai libri. | Pr. 1269 | 1531 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 148 | doctrina, predicatio, liber, scholastici, Thomas, Scotus, turba, absondern, audire, Maria(Magdalena), pes, discere, fides | no | Meam doctrinam et predicationem non potui assequi in omnibus libris, in Aristotele, apud Scholasticos, Thomam, Scotum, donec wurde abgesondert a turba et ipsum solum audivi. Cum hoc facerem et illum tantum audirem und setzt mich mit Maria ad pedes, tum didici, quid Christus, et doctus fidem. | Le cose che insegno e che predico non sono riuscito a trovarle nei libri di ogni genere, in Aristotele, negli scolastici, in Tommaso, in Scoto, finché sono stato separato dalla folla e ho sentito solo lui. Quando ho fatto questo, sentendo lui solo e sedendomi ai suoi piedi con Maria, allora solo ho imparato che cosa sia Cristo e mi è stata insegnata la fede. | ||
34 II,166,13-16 | Predigten des Jahres 1531 (Luk. 10,23ff.) | Il passo evangelico commentato da Lutero è Lc 10,23: Beati gli occhi che vedranno ciò che voi vedete . Lutero spiega che i profeti desiderarono il Messia, ma che quando Cristo venne al mondo le genti non lo riconobbero e anzi lo perseguitarono. Allo stesso modo, dice Lutero, sotto il papato tutti si lamentavano di come andavano le cose, a causa una struttura ecclesiastica tutta fondata su Aristotele, ma una volta che le cose sono cambiate nessuno ha voluto riconoscere la positività della nuova predicazione. | Pr.1271 | 1531 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 166 | clamare, praedicare, purgatorius, ablas, sanctus, unzifer, confessio, lex, gravare, klagen, audire | no | Prius omnes clamabant, cum praedicaretur de purgatorio, ablas, Sanctis, des selbigen unzifers sine numero, gravati confessione, lege, omnes klagten, quisque libenter audisset aliud quam hoc ex Aristotele. | Un tempo protestavano tutti, quando le prediche parlavano di purgatorio, indulgenza, santi e di uno sciame di innumerevoli insetti di questo genere, schiacciati dal peso della confessione e della legge; tutti si lamentavano e chiunque avrebbe preferito sentire qualsiasi altra cosa che non fosse questa congerie aristotelica. | ||
36,428,5-9 | Etliche schöne Predigten aus der 1. Epistel S. Johannis Von der Liebe, gedruckt 1533 (1 Joh. 4,16) | Questa breve digressione sulle api, tratta dalle Ricerche sugli animali di Aristotele, testimonia la buona conoscenza del testo aristotelico da parte di Lutero, anche se va registrato che la fonte non è citata se non con un generico dicitur. La cosa più interessante è l uso teologico che Lutero fa di questo passo aristotelico. Infatti, come il fuco non è aggressivo, così anche Dio, conclude Lutero, non ha in sé il male o l ira, ma solo la bontà, anche se tutti i mali che ci capitano nella vita sono come pungiglioni attraverso i quali egli difende la sua maestà ( ut suam maiestatem verteidigen ). In questo caso però Aristotele non è considerato come filosofo, ma come fonte di conoscenze sul mondo naturale. | 344 | Pr. 1366 | 1532 | Hist. anim. V,22,553b,5-7 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 428 | apis, stachel, rex, stimulus, thier, ira, verteidigen, verwaren, stock | no | Omnes apes habent stachel, dicitur, praeter regem ipsarum, qui non habet stimulum, est ein thierlein sine omni ira. Sed aliae tamen habent, ut Regem verteidigen und den stock verwaren, in quo sunt. | Tutte le api, si racconta, hanno il pungiglione, all infuori del loro re, che non ce l ha ed è un animaletto privo di qualsiasi aggressività. Le altre invece ce l hanno, e serve per proteggere il re e custodire l alveare in cui abitano. |
36,428,26-33 | Etliche schöne Predigten aus der 1. Epistel S. Johannis Von der Liebe, gedruckt 1533 (1 Joh. 4,16) | Ecco un altra versione del brano presentato in WA 36,428,5-8. Il senso è lo stesso, solo Lutero offre una descrizione più particolareggiata dell inermità del fuco, contrapposta all aggressività e alla pericolosità delle api. Anche in questo caso, anziché citare espressamente Aristotele, si citano die natürlichen Meister, un espressione che fa capire bene quale sia l angolazione sotto la quale Aristotele viene qui considerato. | 344 | Pr. 1366 | 1533 | Hist. anim. V,22,553b,5-7 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 428 | natürlicher-Meister, thier, Bienlin, König, stachel, stock, zorn, leid, erfaren, beschrieben, hawen, stechen, leben, verwaren, humel, könig, blos, frembd, humel | no | Denn also sagen auch die natürlichen Meister, so der thier natur erfaren und beschrieben haben, von dem Bienlin, das der König unter jnen gar keine stachel habe, so doch alle andere im stock umb sich hawen und stechen, lassen auch jr leben darüber, Aber er allein ist on zorn, und ob er wol für sich niemand leid thut noch thun kan, noch mus er umb sich haben, die da stechen können und jn verwaren, Denn solt er so gar blos daher faren, so würden jn die frembden bienen odder humeln tödten. | Questo infatti è ciò che a proposito delle api dicono anche i maestri di scienze naturali, i quali hanno osservato e descritto la natura degli animali. Essi dicono che il re delle api non ha alcun pungiglione, mentre tutte le altre api che lo attorniano nell alveare sono combattive e pungono e perdono anche la vita per questo scopo. Solo il re non è aggressivo e sebbene egli non faccia né possa fare alcun male per conto proprio, deve avere attorno a sé quelle che siano in grado di pungere e di proteggerlo. Se il re andasse in giro solo, così indifeso, le api nemiche o i bombi potrebbero ucciderlo. |
36,621,2-5 | Predigten des Jahres 1532 (das 15. Capitel der 1. Epistel S. Pauli an die Corinther) (1 Kor. 15,33f.) | La theologia crucis di Lutero implica che tutto ciò che per il mondo è sapienza, agli occhi del cristiano sia stoltezza e viceversa. I grandi di questo mondo ironizzano sulla risurrezione? I loro discorsi non hanno alcun valore, valgono molto di più le farneticazioni di un mendicante qualsiasi. Aristotele anche in questo caso è visto come l esponente di punta della saggezza mondana antitetica al cristianesimo. | 388 | Pr. 1381 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 621 | reden, geschwetz, glerte, spottisch, Christus, resurgere, imperator, intelligens, Grecia, sapiens, amechtig, schebicht, betler | no | Wens erst gered hoc geschwetz unter die glerten, die kunnens erst spottisch ausstreichen: Christus resurrexit. Paulus dicit de resurrectione mortuorum. Quid feilt den grossen Imperatoribus, intelligentibus, Aristoteli, Greciae sapientibus? Si isti loquuntur, Num credam eim amechtigen, schebichten betler. | Quando si comincia a parlare di ciò tra i dotti, costoro sono ben capaci di ironiche sottolineature: Cristo è risorto. Paolo parla della risurrezione dei morti. Cosa manca ai grandi imperatori, agli intelligenti, ad Aristotele, ai sapienti della Grecia? Se costoro parlano, io piuttosto presterò fede a un mendicante straccione. | |
36,621,8-10 | Predigten des Jahres 1532 (das 15. Capitel der 1. Epistel S. Pauli an die Corinther) (1 Kor. 15,33f.) | La contrapposizione intorno a cui è incentrato questo breve passo è quella tra i due sostantivi verbum e geschwetz. Di fronte alla parola di Dio ogni parola umana è mera chiacchiera; ed è cosa folle il solo attardarsi ad ascoltare questi discorsi. Tutto ciò che Aristotele dice è quindi follia di fronte a Cristo. | 388 | Pr. 1381 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 621 | warnen, audire, kehren, gelten, verbum-dei, geschwetz, princeps, auris, thorheit | no | Sed tu wirst gewarnet per Paulum, ut audiens dich nicht dran kerst, last dir mher gelten verbum dei quam omnium hominum geschwetz. Nihil leit dran, obs Aristoteles, principes etc. Et iam nostris auribus est ein thorheit loqui de istis. | Ma da Paolo tu vieni avvertito di non stupirti granché se ascolti queste cose. Per te valga più la parola di Dio che la chiacchiera universale. Non importa se Aristotele, i principi, eccetera. Per le nostre orecchie è già stoltezza sentir parlare di queste cose. | |
36,623,2-4 | Predigten des Jahres 1532 (das 15. Capitel der 1. Epistel S. Pauli an die Corinther) (1 Kor. 15,33f.) | Si parla della resurrezione di Cristo: un tema che secondo Lutero mette fuori gioco qualsiasi sapienza pagana. Per cui non ha nessun senso accampare nel corso di un discorso teologico auctoritates che hanno sì una loro validità, ma esclusivamente al di fuori della teologia. | 388 | Pr.1381 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 623 | Caesar, civis, credere, abicere, Abel, Abraham, Paulus, gleuben | no | Quid curo, quid credant Cives, Caesar, Aristoteles crediderit? Sed hoc ab abiectis. Id dictum ad Abele, Abraham, Paulo, den gleube ich. | Che m'importa di ciò a cui credono i cittadini, di ciò in cui hanno creduto Cesare e Aristotele? Ma queste sono obiezioni mosse da gente spregevole. Questo articolo di fede è stato pronunciato da Abele, da Abramo, da Paolo: ecco a chi credo io. | |
36,643,16-644,2 | Predigten des Jahres 1532 (das 15. Capitel der 1. Epistel S. Pauli an die Corinther) (1 Kor. 15,36f.) | La frammentarietà della reportatio è tale da non rendere possibile una traduzione chiara. Il senso però appare univoco. I pagani non conoscono l aldilà e quindi per loro la morte è solo una corruzione del corpo, con la morte finisce tutto. Aver paura della morte, insegnano gli epicurei, è proprio degli uomini poco saggi. Lutero ritorna sul topos dell Aristotele miscredente e ateo, che non ammette una sorte futura per le anime. | 388 | Pr. 1383 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 644 | gentes, mortuus, geseet, stincken, sterben, epicuraeus, adel, kerl | no | Gentes non dicunt, quando homines mortui, quod dicitur: geseet. Aristoteles: gestuncken, gestorben, Hohen weisen, Epicuraei, 1 vom Adel: Weinstu, ein kerl. | I pagani non dicono, quando gli uomini sono morti, ciò che si suol dire: Ha reso l anima . Aristotele: si è putrefatto , è morto . I grandi saggi, gli epicurei, qualcuno della nobiltà: se piangi, sei uno sciocco. | |
37,103,4-6 | Predigten des Jahres 1533 (Luk. 6,36ff.) | C è un lieve spostamento di accento tra l episodio raccontato da Aristotele nell Etica Nicomachea e la ripresa di Lutero. Aristotele infatti cita questo espsodio come un esempio del fatto che l impetuosità è più scusabile di altri vizi, e quindi è sì in qualche modo inevitabile, o comunque molto difficile, che lo stesso vizio non si ripeta di generazione in generazione, ma questo è anche un motivo che rende meno grave e più scusabile il vizio stesso. Lutero invece usa lo stesso esempio per condannare l'ingratitudine dei figli e sancire l'inevitabilità della punizione, che sarà attuata dai figli dei figli. Il racconto di Lutero inoltre è più drammatico della scarna esemplificazione aristotelica. Ad esempio nel testo aristotelico si dice che il figlio trascina il padre ma non che lo trascina per i capelli. Sul tema del rapporto genitori/figli Lutero cita spesso Aristotele (cfr. ad esempio WA 30 I,6,31 e 31 II,737,8-10). | Pr. 1410 | 1533 | Eth. Nic. VII,6,1149b,11-13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 103 | gentilis, ziehen, vater, har, schwelle, pater, son, auffhoren, schleifen, gratus, geschehen, treiben, arg | no | Aristoteles dicit de gentili quodam, der zoge seinen vater bey den haren bis an die schwelle. Ibi dixit pater: Son, hore auff, denn hie her schleifft ich meinen vater auch. Si non sunt grati, geschicht ihn eben so, wie sie es getrieben haben, oder etwas ergers. | Aristotele racconta di un pagano che tirò suo padre per i capelli fin sulla soglia. Ma giunti a quel punto il padre disse: Basta, figlio mio, perché anch io trascinai fin qui mio padre . Se non sono grati, anche a loro capiteranno le stesse cose che hanno fatto, o anche di peggio. | |
37,178,30-35 | Predigten des Jahres 1533 (Matth. 9,1ff.) | Il commento verte su Mt 9,1-8. La guarigione miracolosa del paralitico dà l opportunità a Lutero di fare una citazione dotta. Nell Etica Nicomachea, infatti, annota Lutero, si dice che il paralitico è colui che, quando cerca di dirigere in un certo senso i suoi arti, consegue il rilsultato opposto. Un immagine molto efficace per descrivere i peccatori, ma anche i falsi giusti, che conseguono il risultato opposto di quello che si sono proposti con le loro azioni e le loro pratiche pie. L esempio è ripreso con una certa libertà da Lutero: nell Etica infatti si parla di un tentativo di muovere gli arti a destra e a sinistra, non di avanzare e ritrarre il braccio e il piede. Inoltre quest uomo ferox e non probe educatus è in realtà l incontinente. | Pr. 1429 | 1533 | Eth. Nic. I,13,1102b,15-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 178 | gichtbruchtig, figura, peccator, vita, adducere, brachium, pes, extendere, paralyticus, homo, ferox, probe, educare, placare, thun, furnemen, helffen, opus, hand, zuruckschlagen, zagen, lang, groß | no | Der gichtbruchtig est figura peccatoris. Sic est vita, quod, quando volunt adducere brachium vel pedem, tunc a se extendunt. Hinc Aristoteles in Aethicis comparat paralyticum homini feroci, non probe educato. Sic nos sumus paralytici, quando putamus nos placaturos deum, Jhe mehr wir thun und furnhemen uns zu helffen operibus nostris, jhe weiter wir mit der hand zuruckschlagen, und wird das zagen nur jhe lenger jehe grosser. | Il paralitico è l immagine del peccatore. Così è la vita, poiché, quando vogliono avvicinare a sé un braccio o un piede, lo allontanano. Per questo Aristotele nell Etica paragona il paralitico a un uomo bestiale, non educato bene. E così anche noi siamo paralitici, quando pensiamo che placheremo Dio. Quanto più facciamo e intendiamo aiutarci con le nostre opere, tanto più ci ributtiamo indietro con la nostra mano e tanto più durevole e maggiore sarà l inquietudine. | |
37,501,37-502,2 | Predigten des Jahres 1534 (Matth. 7,21ff.) | Lutero sta commentando Mt 7,21ss., in cui Cristo parla del Giudizio universale e dice che molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni e compiuto molti miracoli nel tuo nome? . Lutero si pone qui la domanda su cosa distingue questo genere di miracoli, permessi da Dio ma ispirati dal demonio, dai miracoli veri e propri, e conclude dicendo che sono numerosi i segni che provano che tali miracoli non provengono da Dio. Altrettanto certo, però, è che chi avrebbe dovuto vigilare non l'ha fatto. E' il caso dei vescovi (ai quali in quegli anni era affidata la supervisione delle università), che hanno permesso che al posto del Vangelo e della Bibbia si insegnasse Aristotele, mentre i giuristi governavano la cristianità come se si fosse trattato di un regno civile disciplinabile per mezzo di leggi. | Pr. 1498 | 1534 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 502 | Evangelium, Bibel, Episcopus, legere, iurista, lex, gelart, banck, christianitas, regere | no | Ibi Episcopi solten gelart gewesen, quia Evangelium und Bibel unter banck et Aristoteles legebatur et Iuristae Christianitatem per leges rexerunt. | Allora i vescovi dovevano essere stati saggi, perché il Vangelo e la Bibbia erano trascurati mentre si faceva lezione su Aristotele e i giuristi spadroneggiarono sulla cristianità con le loro regole. | ||
37,579,3s. | Predigten des Jahres 1534 (Matth. 18,21ff.) | A quali anni si riferisce Lutero? Se si confronta il contenuto di queste righe con quello, analogo anche nei termini usati (cfr. WA 32,241,13-18), di una predica di quattro anni prima, si dovrebbe dedurre che qui Lutero parli del periodo della permanenza in monastero (a partire dal 1505), ipotesi confermata anche dal raffronto con un'altra predica successiva di un anno, cfr. WA 41,268,2-3. Nel periodo successivo, infatti (sicuramente almeno dal 1512) la sua posizione nei riguardi della filosofia era molto più disincantata. Purtroppo questo passo non è riferibile agli anni 1501-1505 e non permette di capire se in quegli anni l'atteggiamento dello studente universitario Martin Lutero nei confronti di Aristotele fosse positivo. Queste osservazioni di Lutero spiegano infine la sua riluttanza nel citare esplicitamente Aristotele nelle sue prediche. | Pr. 1513 | 1534 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 579 | weibisch, praedicator, prediger, iuvenis, klingen, Iesus, vocare | no | Iuvenis cogitabam weibisch klingen, quando praedicator Iesum vocabat, sed Aristoteles faceret gros prediger. | Da giovane pensavo che suonasse come una cosa da donnette, quando un predicatore nominava Gesù, ma che fosse la conoscenza di Aristotele a fare il bravo predicatore. | ||
38,231,19-23 | Von der Winkelmesse und Pfaffenweihe | Oltre che nelle università e nella teologia scolastica, Aristotele faceva sentire il suo influsso sulla predicazione. Non a caso Lutero lo cita per primo in questo lungo elenco che si conclude con le anatre blu e il latte di gallina, come il primo e il più grave dei corpi estranei della predicazione ecclesiale. Un concetto analogo, quasi negli stessi termini, è espresso in WA 34 II,166,13-16, che riporta un passo di una predica di tre anni prima. | 770 | 1533 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 231 | predigen, Thomas, scholaster, blaue-ente, hühner-milch, unzifer, heidnisch, buch, decret, heilig, orden, decret, erzelen, unzifer | 226 | Einer predigt aus Aristotele und den Heidnisschen büchern, Der ander aus dem Decret, Ein ander bracht fragen aus Sanct Thomas und Scholastern, Ein ander predigt von den Heiligen, Ein ander von seinem heiligen Orden, Ein ander von blaw enten, Ein ander von hühner milch, Wer kann es alles erzelen, das unzifer? | Uno prende spunto per le sue prediche da Aristotele e dai libri dei pagani, uno dalle Decretali, uno mette in campo questioni tratte da san Tommaso e dagli altri scolastici, uno predica sui santi, un altro sul suo santo Ordine, un altro sulle anatre blu e un altro ancora sul latte di gallina. Ma chi lo può contare, questo sciame di insetti? | ||
38,470,15-19 | Annotationes in aliquot capita Matthaei | Lutero cita in vari altri luoghi, tra cui WA 30 I,6,30-32 e 31 II,737,8-10, queste righe dell'Etica Nicomachea. Ma è dubbio che Aristotele avrebbe sottoscritto l'affermazione luterana secondo cui la ragione hanc virtutem (cioè la devozione verso i genitori) post Dei cultum summam esse dictet . Lutero pone questa frase al centro del sistema etico di Aristotele, mentre la sua stessa posizione nel testo aristotelico, all'interno cioè del dibattito su un'altra virtù, quella dell'amicizia, le attribuisce un'importanza molto più marginale. Come già si è osservato a proposito della chiamata in causa dei praeceptores, non citati nel testo aristotelico, anche questa considerazione di Lutero chiarisce di quale Aristotele si sta parlando: un Aristotele morale , dispensatore di precetti isolati dal contesto in cui questi sono sorti e volti a dare appoggio dall'esterno alle proposizioni della fede cristiana, salvo poi venir confutati quando contraddicono ad essa. | 458 | 1538 | Eth. Nic. VIII,14,1163b,15-18; 22s.; IX,1,1164b,2-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 470 | pietas, parens, colere, gratitudo, exhibere, ratio-naturalis, virtus, cultus, deus, summus, dictare, testari, praeceptor, reddere, aequivalens | no | Nam quae potest esse in mundo maior pietas, quam parentes colere et gratitudinem illis exhibere? cum etiam ratio naturalis hanc virtutem post Dei cultum summam esse dictet, ut Aristot. testatur: Diis, parentibus, praeceptoribus, non potest reddi aequivalens. | E quale devozione al mondo può essere più grande di quella di chi onora i genitori e dimostra loro la propria gratitudine? Anche la ragione naturale definisce questa virtù come la più alta dopo il culto di Dio, come testimonia la frase di Aristotele: agli dei, ai genitori, ai maestri non si può mai ricambiare a sufficienza. | |
39 I,61,5-13 | Die Doktorpromotion von Hieronymus Weller und Nikolaus Medler | La ragione e le sue leggi sono, secondo Lutero, pericolose, potenziali fonti di errori. Per questo occorre rivalutare una virtù aristotelica quale l equità, che ha proprio il senso di correttivo nell applicazione di una regola generale a determinati casi particolari. Un correttivo che Lutero loda proprio perché sancisce la costituzionale inferiorità della ragione, imperfetta e piena di errori, rispetto alla teologia. Una ragione che accetta l ejpieivkeia come virtù non può pretendere di essere infallibile. Lutero riscopre così questa dottrina aristotelica, che nasce (così come l esempio dei regoli di Lesbo, citato in Eth. Nic. V,10,1137b,29-32) nell ampio, ma limitato ambito della teoria della giustizia, e la eleva a regola generale della ragione umana. | 759 | 1535 | Eth. Nic. II,6; V,4-5; V,10,1137a,31-1138a,3; Phys. IV,11,220a,10-21 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 61 | ratio, lex-rationis, theologia, periculum, vicium, legislator, philosophus, remedium, bonus, perfectus, epiikia, aequitas, regula-Lesbia, punctum-physicum, medium-non-indivisibile, arbitrium, bonus, vir, vivere, docere, agere, morbidus, summus, ius, iniusticia | no | Nam quicquid extra Theologiam docetur aut vivitur, secundum rationem seu leges rationis agitur. At ratio et leges verius sunt plenae periculis, cum nullae sint usque aut unquam tam bonae et perfectae inventae, in quibus non haereant multa vicia, ita ut et ipsi legislatores et philosophi quidam remedia ceu morbidarum legum constituerint, quae vocant epiikias, aequitates, Lesbias regulas, puncta physica, medium non indivisibile seu in lato arbitrium boni viri. Quia verum illud est: summum ius summa iniusticia. | Infatti qualsiasi cosa venga insegnata o vissuta al di fuori della teologia, viene effettuata secondo ragione, cioè secondo le leggi della ragione. Ma ragione e leggi sono senza dubbio piene di pericoli e mai finora ne sono state trovate di così adeguate e perfette, da non presentare un gran numero di difetti; al punto che gli stessi legislatori e filosofi hanno proposto correttivi attraverso leggi più morbide, che chiamano epiikias, casi di equità, regoli di Lesbo, punti fisici, medio non indivisibile o in senso lato arbitrio dell'uomo buono. Ed proprio vero il detto secondo cui la massima applicazione della legge produce la massima ingiustizia. | |
39 I,69,16-19 | Die Disputation über Daniel 4,24 | Digressioni metafisiche e grammaticali per spiegare che la persona viene prima delle sue opere, e perciò che prima l'uomo deve venire reso giusto e solo poi è in grado di compiere buone opere: la nuova scolastica sta nascendo, e Aristotele rientra a pieno titolo nelle università protestanti come base del nuovo sapere. In questo caso ci si rifà soprattutto alla teoria, esposta nella Metafisica e poi diventata comune nella Scolastica, della necessaria priorità dell'atto primo rispetto all'atto secondo e quindi dell'anima rispetto alle sue operazioni. Resta da spiegare però come può la giustizia comunicarsi dall'atto primo (l'anima, la vita) all'atto secondo (le opere), senza che la giustizia stessa sia intesa come una qualitas realmente presente nell'anima, la qual cosa è inconcepibile per Lutero. E' interessante inoltre il fatto che qui il pensiero di Aristotele sia usato per convalidare la proposizione espressa tante volte da Lutero (anche se qui non è richiamata esplicitamente) proprio in opposizione ad Aristotele: Non enim, ut errat Aristoteles, iusta faciendo iusti efficimur, sed iusti facti operamur iusta (WA 2,424,35). | 149 | 1535 | Metaph. IX,8,1049b,25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 69 | persona, opus, actus-primus, actus-secundus, grammatica, nominativus, appositum, adverbium, fateri, desiderare | no | Persona est prior opere. Aristoteles id fatetur, quod ante actum secundum necessario presupponatur actus primus, sicut in grammatica opus est primo nominativo, post desideratur appositum cum adverbiis. | La persona viene prima dell'operazione. Aristotele ammette che prima dell'atto secondo sia presupposto di necessità un atto primo, così come in grammatica è necessario che in prima posizione ci sia un nominativo e che poi si ricerchino gli aggettivi con gli avverbi. | |
39 I,96,18-19 | Die Disputation de iustificatione | Il peccato originale nella concezione luterana equivale a un totale annullamento delle energie dell'anima in ordine a Dio. Da questo punto di vista il peccato viene considerato habitus in senso analogico, nel senso di necessariamente inerente all'anima anche dopo la giustificazione (Dio non imputa il peccato, che però continua a sussistere). L'affermazione secondo cui Aristotele avrebbe definito habitus il peccato originale dimostra però il fatto che il linguaggio aristotelico è stato assimilato, ma anche che non altrettanto si può dire della forma mentis aristotelica. Il senso dell'h{xi" aristotelica designa infatti proprio l'atto del possedere e coincide con la categoria dell'avere (v. Categorie IV), e Aristotele stesso nella Metafisica (X,4,1055b,12-13) definisce l'abito come possesso di una forma e, in quanto tale, contrario alla privazione. Come si può allora intendere il peccato come un avere, un possedere costantemente qualcosa, attribuendo cioè al peccato e al male una realtà ontologica (che è qualcosa di molto diverso dalla semplice privazione del bene )? | 355 | 1536 | Eth. Nic. II,1,1103b,21-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 96 | peccatum, reatum-innatum, habitus, intelligere, vocare | no | Aristoteles, si intellexisset reatum innatum peccatum, habitum id vocasset. | Se Aristotele avesse potuto capire che il peccato è una colpa innata, l'avrebbe definito un abito. | |
39 I,118,1-5 | Die Disputation de iustificatione | Non le passioni sono soggette alla valutazione etica, ma il vizio e la virtù. Questo insegnamento dell'Etica Nicomachea è rigettato da Lutero in nome della sua concezione della concupiscentia, che è frutto del peccato originale ed è da intendersi non solo come disposizione operante al peccato, ma come peccato attuale vero e proprio. Anche in questo caso è evidente che la rivalutazione di Aristotele si arresta sempre sulla soglia della teologia. | 355 | 1536 | Eth. Nic. II,4,1105b,28s.; 31s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 118 | passio, vituperare, laudare, concupiscentia, indifferens, adiaphoron, prodesse, damnare, obesse | no | Quemadmodum Aristoteles dicit passiones, quae sunt in nobis, neque vituperare neque laudare nos, ita secundum illum est concupiscentia secundum illos quaedam passio indifferens, sive (ut vocant), ajdiavforon, quae non non damnat, quae neque prodest, neque obest. | E così come Aristotele afferma che noi non biasimiamo né lodiamo le passioni che sono dentro di noi, allo stesso modo secondo lui e secondo gli scolastici la concupiscenza è un tipo di passione indifferente, o (come la chiamano), ajdiavforon, che non condanna l'uomo, né gli vale per la salvezza, né l'ostacola. | |
39 I,119,2-11 | Die Disputation de iustificatione | Lutero si oppone alla concezione cattolica secondo cui l uomo purificato dal battesimo ha in sé la capacità di compiere opere buone, sotto l aspetto non solo esteriore ma anche sostanziale. Scorretta invece appare la spiegazione, secondo cui questa capacità riguarderebbe solo l osservanza dei comandamenti e non la piena conformità con l intenzione di Dio che comanda di rispettare i comandamenti stessi. In questo senso Lutero trova un alleato in Aristotele, anche se non è chiaro a quale passo si riferiscano le sue parole. Un passo dal significato analogo è Eth. Nic. II,4,1105a,26-1105b,9 in cui Aristotele spiega che per compiere un azione virtuosa non è sufficiente che l azione stessa sia di una determinata qualità, ma anche che chi la compie abbia la giusta disposizione d animo. | 355 | 1536 | Eth. Nic. II,4,1105a,26-1105b,9? | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 119 | papista, forma, baptismus, ratio, mandatum, deus, implere, substantia, status-facti, opus, praecipere, disputare | no | Hinc dicunt papistae in hanc formam: Homo post baptismum habet rationem, secundum quam potest implere mandatum Dei, secundum substantiam status facti: Hoc est, faciunt opera, quae mandata volunt, sed non faciunt secundum mandatum praecipientis, sicut et Aristoteles disputat. | Partendo da queste premesse i papisti obiettano così a questa formula: l uomo dopo il battesimo possiede la ragione, in forza della quale può realizzare il comandamento divino secondo la sua sostanza fattuale; vale a dire che gli uomini compiono le opere che sono richieste dai comandamenti, ma non fanno ciò secondo il comandamento di chi ha stabilito queste cose, come dice anche Aristotele. | |
39 I,121,34-122,1 | Die Disputation de iustificatione | Come già in precedenza (cfr. il commento a WA 39 I,96,18-19) Lutero mette in campo la h{xi" aristotelica per designare il peccato originale: una scelta molto problematica ma anche indicativa dell uso che a Wittenberg si faceva della filosofia di Aristotele. Qui invece è il caso di osservare come l atteggiamento selettivo nei confronti dell etica aristotelica si fa sentire anche a proposito della teoria della virtù, intesa come giusto mezzo tra un eccesso e un difetto nel soddisfacimento delle passioni. Ma le passioni per Lutero sono frutto della concupiscenza originata dal peccato di Adamo: si può perciò comprendere come gli sia impossibile accettare che dalla mediazione di due passioni di segno contrario e attraverso un lungo esercizio possa derivare, ancorché una disposizione costante, un solo atto moralmente buono. | 355 | 1536 | Eth. Nic. II,1,1103b,18-21; II,6,1106a,28ss.; II,6,1106b,14-16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 121 | ingenitus, malum, actus, habitus, peccatum-originale, peccatum-actuale, contradicere, passio, virtus, mediocris, philosophi, radix, peccatum, intelligere | no | Ingenitum malum facit actus malos. Id est habitus, id est peccatum originale radix est actualium. Sed contradicit Aristoteles: Passiones fiunt mediocres virtutes. Nam philosophi peccata intelligunt passiones esse. | Un male innato rende cattivi gli atti. Esso, cioè, è un abito, il che significa che il peccato originale è la radice dei peccati attuali. Aristotele invece dice tutt'altro: che le passioni moderandosi diventano virtù. Infatti i filosofi interpretano i peccati come passioni. | |
39 I,126,6-8 | Die Disputation de iustificatione | Questo brano è un'appendice alla trentaseiesima tesi della disputa, di cui fa parte WA 39 I,118,1-5, commentato più sopra. Questo legame aiuta a spiegare la sintetica citazione di Aristotele che conclude il passo. Questa citazione non si riferisce alla Politica, com'è secondo il Personenregister dell'edizione di Weimar (cfr. WA 59,46), ma ancora una volta all'Etica Nicomachea. Come sopra Lutero aveva criticato Aristotele perché il filosofo definisce la passione come indifferente (ajdiavforon) rispetto alla virtù e al vizio, così ora rimarca lo stesso concetto da un punto di vista lievemente diverso, affermando cioè che una stessa passione per Aristotele può diventare sia una virtù, sia un vizio. E' un'affermazione inconcepibile per Lutero, visto che per lui le passioni, che sono frutto della concupiscenza, equivalgono a peccati attuali. | 355 | 1536 | Eth. Nic. II,1,1103b,18-21; II,6,1106b,14-16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 126 | peccatum-originis, privatio, iusticia, motus, lex, anima, passio, virtus, vitium, reluctare, spiritus-sanctus, repellere, agens, fieri | no | Peccatum originis non est tantum privatio iusticiae, sed motus reluctans spiritui sancto, repellens legem, motus agens animae contra legem Dei. Aristoteles dicit: Passio eadem, et virtus et vitium fit. | Il peccato d'origine non è solo la privazione della giustizia, ma un moto di resistenza contro lo Spirito Santo, di rigetto della legge, moto attivo dell'anima contro la legge di Dio. Aristotele dice: la stessa passione diventa sia un vizio sia una virtù. | |
39 I,175,3-10 | Die Disputation de homine | E' la definizione aristotelica di anima quella che Lutero ha presente in tutta la disputa De homine. Lo si capisce dalla prima tesi, in cui si richiama la connotazione razionale dell'uomo nella classica formula della Politica aristotelica. Ma anche nella seconda si avvertono echi delle tesi filosofiche della Disputa di Heidelberg del 1518, in cui Lutero criticava Aristotele per non aver saputo indicare con chiarezza la differenza tra l'anima dell'uomo e quella degli animali (cfr. WA 59,412,1-5; 414,1-5). Lo stesso vale per il richiamo all'anima mortale della terza tesi, oggetto di una lunga trattazione ad Heidelberg (WA 59,411,15-420,3), volta appunto a dimostrare che Aristotele, pur esprimendosi ambiguamente, nega l'immortalità dell'anima. Infine, l'aver definito nella quarta tesi l'anima optimum et divinum quiddam è un chiaro richiamo all'opinione di Plutarco e Lorenzo Valla citata sempre ad Heidelberg: Tertio omnes philosophi ut Plutarchus (teste Laurentio) recitant, quod Aristoteles divinum quidem quiddam asserit esse animam et particeps immortalitatis. Sed mortalem tamen asseruit . (WA 59,412,10-12, la citazione di Valla è tratta dalle Dialecticae Disputationes I,9). A distanza di diciott'anni il tono è cambiato, ma la posizione nei confronti della psicologia aristotelica è rimasta la stessa: per Aristotele l'anima è mortale, egli non coglie dell'anima che quel poco che consente la ragione umana: come dice poche righe più sotto 11. Ideo si comparetur Philosophia seu ratio ipsa ad Theologiam, apparebit nos de homine paene nihil scire . | 292 | 1536 | De an. II,2,413a,31-414a,1; Pol. I,2,1253a,9s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 175 | philosophia, homo, definire, animal, rationalis, sensibilis, corporeus, mortalis, res, caput, divinum-quoddam, disputare, proprie, improprie, scire, definitio, huius-vitae-homo, verus | no | 1. Philosophia, sapientia humana, definit hominem esse animal rationale, sensitivum, corporeum. 2. Neque disputare nunc necesse est, an proprie vel improprie homo vocetur animal. 3. Sed hoc sciendum est, quod haec definitio tum mortalem et huius vitae hominem definit. 4. Et sane verum est, quod ratio omnium rerum res et caput et prae ceteris rebus huius vitae optimum et divinum quiddam sit. |
1. La filosofia, che è sapienza umana, definisce l'uomo come un animale dotato di ragione, senso e corpo. 2. E non è necessario ora stare a discutere se l'uomo sia chiamato animale in senso proprio o improprio. 3. Ma questo sì bisogna sapere, che questa definizione definisce l'uomo mortale e di questa vita. 4. Ed è certamente vero che la ragione di tutte le cose è qualcosa che sta a capo e che viene prima di tutte le altre cose di questa vita e che è un che di ottimo e di divino. |
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39 I,175,32-37 | Die Disputation de homine | Già il definire causa formale l'anima spiega chiaramente che è ancora ad Aristotele che Lutero delega il ruolo di esponente per eccellenza della ragione umana. E qui torna in causa la disputa di Heidelberg. Sia la definizione di anima, citata esattamente con gli stessi termini del 1518 (actus primus corporis vivere potentis, nel '18 sottintende anche primus), sia il ritratto di Aristotele come ingannatore richiamano la Disputa di Heidelberg. Diceva infatti Lutero ad Heidelberg: Patet, quod hinc non ponitur animae immortalitas, alioqui non tota anima esset immortalis, sed possibilis, nec compositum ex utroque; sed voluit ludere philosophus ignarus, ut, quoquo modo acciperetur, certe dixisse videretur (WA 59,418,19-22). La disonestà di Aristotele sta nell'affermare in apparenza l'immortalità dell'anima, ma, nascondendosi sotto espressioni ambigue, nel pensare esattamente il contrario. | 292 | 1536 | De an. II,1,412a,19-21; 27s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 175 | causa-formalis, anima, convenire, philosophi, actus-primus, posse, vita, corpus, lector, auditor, illudere, cognoscere, Deus, spes, fons | no | 15. De formali vero causa, quam vocant animam, nunquam convenit, nunquam conveniet inter Philosophos. 16. Nam Aristoteles quod eam definit actum primum corporis vivere potentis, etiam illudere voluit lectores et auditores. 17.Nec spes est, hominem in hac praecipua parte sese posse cognoscere quid sit, donec in fonte ipso, qui Deus est, sese viderit. |
15. E a proposito di quella causa formale che chiamano anima i filosofi non si sono mai accordati e non si accorderanno mai. 16. Infatti Aristotele, che la definisce atto primo di un corpo che può vivere, d'altra parte lo fece con il proposito di prendere in giro chi l'avrebbe insegnato ed imparato. 17. E non c'è speranza che l'uomo possa conoscersi in questa sua essenziale dimensione, finché non si veda nella fonte stessa, che è Dio. |
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39 I,176,24-25 | Die Disputation de homine | Item si riferisce a quanto detto poco sopra a proposito di coloro che negano che le facoltà naturali siano state distrutte dal peccato originale: impie philosophantur contra Theologiam (WA 39 I,176,21). E lo stesso va detto nei confronti di chi sostiene questa tesi aristotelica che va contro i medesimi presupposti teologici. Con l'aggravante che Aristotele, che non ha conosciuto la rivelazione, non ha per Lutero la minima autorità in campo teologico. L'antropologia teologica e l'antropologia filosofica prendono due strade del tutto diverse che portano a risultati opposti. | 292 | 1536 | Eth. Nic. I,13,1102b,15s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 176 | ratio, deprecari, optimum, homo, theologicus, scire, inducere | no | 28. Item, qui Aristotelem (nihil de Theologico homine scientem) inducunt, quod ratio deprecetur ad optima. | 28. Lo stesso bisogna dire a proposito di coloro che mettono in campo Aristotele (che non sa nulla dell uomo teologico), per sostenere che la ragione inciti l uomo alle cose migliori. | |
39 I,179,29-34 | Die Disputation de homine | Probabilmente c'è un errore di trascrizione: il primum movens è immobile, non mobile. E' del motore immobile che si sta parlando, come chiarisce soprattutto l'esempio della culla, ripreso poi più volte da Lutero (cfr. WA 10 I 1,567,22-568,3). Per Lutero è una contraddizione che il motore immobile sia principio di movimento di un mondo che non ha creato e di cui non si interessa per nulla, visto che deve vedere solo ciò che è perfetto, cioè se stesso. Nella prospettiva di Lutero, ciò si risolve in una condanna per l'uomo abbandonato da Dio: Sic condemnat nos Aristoteles . La critica di questa dottrina aristotelica è costante in Lutero a partire dal 1522, data a cui risale la sua prima testimonianza in proposito (WA 10 I 1,567,22-568,3). E' soprattutto la noncuranza divina nei confronti dell'uomo ad essere criticata da Lutero, anche se probabilmente il motivo più profondo di questo rifiuto è la non accettazione del fatto che un pagano possa affermare qualcosa di conclusivo su Dio, tanto è vero che nelle righe immediatamente seguenti Lutero loda il Liber XXIV Philosophorum dello pseudo-Ermete Trismegisto, in realtà un anonimo neoplatonico tardomedievale (come ha scoperto Theobald BEER, Der fröhliche Wechsel und Streit - Grundzüge der Theologie Martin Luthers, Einsiedeln 1980, pp.531-539), che Lutero loda per la sua concezione di Dio, anche se è chiaro che omnia surripuit ex Joannis evangelio . Con le sole forze della ragione umana, è la conclusione, non si può capire nulla dell'uomo, ma al massimo si possono raccontare fantasie, come il verbo somniare indica. | 292 | 1536 | Metaph. XII,7,1072a,19-1073a,13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 179 | homo, primum-mobile, movens, cooperari, fieri, somniare, ancilla, cunae, philosophi, Deus, philosophia, scire, interior, agere, puer, movere, intueri, condemnare, philosophi, creator, homo, gleba, terra | no | Nos dicimus, quod philosophia nihil omnino sciat de homine. Aristoteles facit primum mobile vel movens. Concludit inde omnia interiore cooperante primo movente fieri, et ita somniat, quod primum movens sic agat, ut ancilla, quae cunas pueri movet, se tamen intuetur. Sic condemnat nos Aristoteles. In summa, philosophi nihil sciunt de creatore Deo et homine de gleba terrae facto. | Noi diciamo che la filosofia non sa assolutamente nulla sull'uomo. Aristotele parla di un primo ente, insieme mobile e principio di movimento, e ne trae la conclusione che tutte le cose divengono grazie all'attiva e interna partecipazione del primo movente; egli inoltre si immagina che il primo ente, che è principio di movimento, agisca come una serva che dondola la culla di un bimbo, ma guardando a se stessa. Così ci condanna Aristotele. In definitiva, i filosofi non sanno nulla di Dio creatore e dell'uomo fatto di terra. | |
39 I,282,7-14 | Die Zirkulardisputation de veste nuptiali | Haec valent in foro philosophico et mundo, sed non sic fit apud Deum : questa precisazione, se si eccettua il tono generale del brano, piuttosto moderato, è l'unica diversità che contraddistingue la critica di questi anni al concetto di virtù aristotelica rispetto a quella formulata da Lutero intorno agli anni Venti. Ma più che di differenza occorrerebbe parlare di un corollario, o ancora meglio di un'esplicazione già presente in nuce anni prima. Lutero cioè ora riconosce con maggior consapevolezza che le regole aristoteliche valgono per l'uomo terreno e in questo ambito intramondano hanno una loro validità. Ma giusto e buono in senso proprio e non solo esteriore l'uomo lo può diventare solo grazie all'intervento di Dio. | 747 | 1537 | Eth. Nic. II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 282 | opus, persona, cytharisari, cytharedus, iustitia, bonus, forum-philosophicum, operari, fides, operari, iustus, sanctus, pius, Christus, misericordia | no | Iam est quaestio non de opere, quod fit a persona, sed de ipsa persona, unde illa fiat, certe non, ut Aristoteles respondet: Cytharizando fit bonus cytharaedus, item bene operando fit bonus, iuste faciendo fit iustus. Haec valent in foro philosophico et mundo, sed non sic fit apud Deum. Nam hic iustus non fit iuste agendo, sed iustus factus iuste et bene operatur et est et manet persona iusta, sancta et pia per solam fidem in Christum, antequam iuste, pie et bene operatur per misericordiam Dei. | Ormai la questione non verte più sull'opera che viene fatta dalla persona, ma sulla persona stessa e sulla sua consistenza. Ma la risposta non sarà certo quella di Aristotele per il quale suonando la cetra si diventa buoni citaredi, facendo il bene si diventa buoni e, ancora, compiendo atti di giustizia si diventa giusti. Queste cose valgono nel foro dei filosofi e nel mondo, ma davanti a Dio le cose stanno diversamente. Infatti quest'uomo giusto non diventa tale compiendo azioni giuste, ma solo una volta reso giusto può operare la giustizia e il bene ed essere (e rimanere) una persona giusta, santa e pia, solo grazie alla fede in Cristo che lo raggiunge prima che egli possa operare con giustizia, rettitudine e bontà grazie alla misericordia di Dio. | |
39 I,282,23-27 | Die Zirkulardisputation de veste nuptiali | Il contenuto è lo stesso di WA 39 I,282,7-14: si tratta di un'altra trascrizione della stessa disputa. Anziché parlare di foro filosofico qui però Lutero parla di foro fisico : una versione attestata da molti manoscritti, (cfr. WA 39 I,282, nota alla riga 10). Il senso generale non cambia, se per foro fisico si intende la realtà delle cose del mondo, nel senso cioè per cui fisica è la scienza che studia le cause del divenire. | 747 | 1537 | Eth. Nic. II,1,1103a,32-1103b,16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 282 | opus, persona, fieri, cytharisari, cytharedus, iustitia, bonus, forum-physicum, operari, fides, iustus, mundus, deus | no | Hinc oritur questio, non de opere, quod fit a persona, sed de ipsa persona, unde ipsa illa fiant. Respondeo non ut Aristoteles: Cytharisando fit bonus cytharedus, bene operando fit bonus, iuste faciendo fit iustus. Haec enim valent in foro physico et mundo, sed non apud Deum. | A questo punto sorge una questione che non riguarda l'opera compiuta dalla persona ma la persona stessa e l'origine di tutte queste azioni. Ma io non rispondo come Aristotele, per il quale suonando la cetra si diventa bravi citaredi, compiendo azioni buone si diventa buoni, perseverando in atti giusti si diventa giusti. Queste cose infatti valgono nel foro fisico e nel mondo, ma non davanti a Dio. | |
39 I,535,24-26 | Die dritte Disputation gegen die Antinomer | Lutero rinfaccia ai propri oppositori (gli antinomisti, cioè coloro sostenevano la radicale superiorità del vangelo sulla legge e sull Antico Testamento) la citazione di Demodoco a proposito dei Milesi, tratta dal settimo libro dell Etica Nicomachea. E però evidente che si tratta di una citazione a memoria, piuttosto imprecisa. Rispetto ad altre occasioni (cfr. WA 8,93,30; 8,547,36, o come in 8,464,37: Unde quod apud eorum Aristotelem dicit Demodocus: "Milesii insipientes quidem non sunt, faciunt tamen ea, quae faciunt insipientes" ) manca il nome di Demodoco e anziché di Milesi si parla erroneamente di Ateniesi. | 29 | 1538 | Eth. Nic. VII,9,1151a,8-10 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 535 | antinomi, Atheniensis, stultus, dicere, stultum, facere | no | Itaque idem fere de nostris Antinomis possum dicere, quod ille de Atheniensibus: Stulti quidem non sunt, inquit, sed stulta faciunt. | E tuttavia posso dire dei nostri antinomisti quasi la stessa cosa che diceva quel famoso personaggio a proposito degli ateniesi: Non è che siano stupidi, ma si comportano proprio come fanno gli stupidi . | |
39 II,8,9-13 | Die Disputation de sententia: Verbum caro factum est (Joh. 1,14) | L'obiezione a cui Lutero risponde parla di filosofi che hanno attribuito a Dio una potenza somma. Di quali filosofi sta parlando Lutero? Non ci sono elementi per una risposta, ma certo non si sta parlando di Aristotele, per il quale non si parla neppure di creazione, né di Platone, per il quale Dio ha sì fatto il cielo (cfr. Sofista 265C, Filebo 28C), ma non possiede un'infinita potenza. Platone resta un gradino sopra Aristotele, che si conferma il più irreligioso dei filosofi, quello le cui teorie sono più incompatibili con il cristianesimo. | 317 | 1539 | De caelo I,10-II,1 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 8 | Deus, potentia, infinitus, verbum, caro, creatio, conditor, Plato, caelum, tribuere, fieri, summa, philosophi, philosophia | no | Argumentum primum. Si philosophia tribuit Deum infinitam potentiam, videtur ei etiam tribuere hoc, quod verbum posset fieri caro. Sed philosophia tribuit Deo summam potentiam. Ergo tribuit etiam ei, quod verbum caro factum est. R. Omnes philosophi, neque Aristoteles, hanc rem ita disputant de creatione, nec Plato, qui dicit quidem, Deum esse conditorem caeli, sed infinitam potentiam ei non tribuit. |
Primo argomento. Se la filosofia ha attribuito a Dio una potenza infinita, deve attribuirgli anche che il verbo possa farsi carne. Ma la filosofia ha attribuito una potenza somma a Dio. Perciò gli ha anche attribuito che il verbo si sia fatto carne. R. Tutti i filosofi propongono questo tipo di considerazioni a proposito della creazione, ma non Aristotele, e neppure Platone per il quale Dio è sì colui che ha fatto il cielo, ma non gli viene certo attribuita una potenza infinita. |
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39 II,8,29-33 | Die Disputation de sententia: Verbum caro factum est (Joh. 1,14) | Nel brano commentato più sopra (WA 39 II,8,9-13) - si tratta di un altra trascrizione della stessa disputa - si afferma che per Platone Dio non ha una potenza infinita, mentre qui a proposito dello stesso demiurgo si afferma erroneamente che esso ha una potenza infinita. In questo caso però si tratta dalla posizione del problema, non della risposta di Lutero, e quindi non c è contraddizione con quanto riportato sopra. Per quanto riguarda Aristotele, comunque, non è possibile alcuna ambiguità: lo stesso Platone, che si è limitato ad affermare l esistenza di un demiurgo che fa il mondo a partire da una materia preesistente, gli è superiore. Viene confermata l'immagine di un Aristotele irreligioso . | 317 | 1539 | De caelo I,10-II,1 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 8 | Deus, potentia-infinita, admittere, verbum, humanitas, philosophi, Plato, conditor, mundus, gubernare, philosophia, tribuere, maior, infinitus | no | Quicunque admittit Deo infinitam potentiam, ille videtur tribuere verbo humanitatem. Sed philosophia admittit. Ergo omnes philosophi tribuunt Deo potentiam infinitam, ut Plato credit, Deum esse conditorem mundi. In hoc Aristotele maior. Concedunt Deo gubernanti infinitam potentiam, id est, mundum infinitum. | Chi ammette che Dio possiede una potenza infinita, deve attribuire anche l umanità al verbo. Ma la filosofia lo ammette. E così tutti i filosofi attribuiscono a Dio una potenza infinita: così Platone, che crede che Dio abbia fatto il mondo. In questo Platone è superiore ad Aristotele. Essi concedono al Dio che regge il mondo una potenza infinita, dunque ammettono un mondo infinito. | |
39 II,103,8-11 | Die Disputation de divinitate et de humanitate Christi | Lutero sta cercando di rispondere all obiezione secondo cui verbo non può essere detto di una persona (obiezione seguendo la quale si giunge ad affermare che allora Cristo, il verbo di Dio, non è persona). Lutero distingue tra significati diversi di verbum richiamandosi, caso unico in tutta la sua opera, alla definizione di verbo che Aristotele dà nel trattato Sull espressione. Nella caratterizzazione di Aristotele, infine, Lutero punta il dito ancora una volta sul suo paganesimo che gli avrebbe impedito - pena il non restare coerente con la sua propria definizione di verbum - di riconoscere Cristo come verbo di Dio. | 123 | 1540 | De interpr. 2,16a,20-3,16b,26 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 103 | verbum, Christus, divinus, substantia, persona, sonus, vox, divinitas, philosophice, theologice, filius, deus, zulassen, plenus | no | Christus est verbum divinum. Ergo est divinitas, id est, ipsa substantia et persona. Philosophice heist verbum sonus aut vox, sed theologice loquendo verbum significat filium Dei. Das hette Aristoteles nicht zugelassen, verbum significare plenum Deum. | Cristo è il verbo divino. Egli perciò è divinità, cioè pienamente sostanza e persona. Verbo dal punto di vista filosofico significa suono o voce, ma parlando teologicamente verbo significa il figlio di Dio. Aristotele non avrebbe certamente ammesso che verbo significhi la pienezza di Dio. | |
39 II,10-17 | Die Disputation de divinitate et de humanitate Christi | Negli ultimi anni, come era avvenuto agli albori della produzione luterana, Aristotele viene usato anche nelle dispute teologiche. Ma quale Aristotele viene usato e qual è il suo ruolo in ordine alla teologia? A Lutero interessa il filosofo che ha saputo proporre un forte armamentario concettuale di base, tale da sostenere con le sue argomentazioni le proposizioni ufficiali della nuova Chiesa. Quello di Aristotele perciò è un apporto dall'esterno . Ovviamente non si chiede al filosofo pagano di sostenere con la sua autorità le formulazioni della fede, ma di fornire gli strumenti tecnici per l'argomentazione. E' questo l'aspetto della filosofia aristotelica che Lutero ha sempre apprezzato, anche negli anni della polemica più dura (cfr. WA 6,458,26). Quanto al contenuto della frase attribuita ad Aristotele, è difficile trovare un riferimento preciso nelle opere (An. post. 18,81,b3? De caelo III,1,299,a16?). Lutero probabilmente si riferisce al dibattito sugli universali, che per Aristotele non sono sostanze e non indicano mai qualcosa di concreto e determinato, ma sempre dei generi, delle nature , mai delle persone , cioè degli individui determinati. | 123 | 1540 | Metaph. VII,13-16? | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 108 | homo, humanitas, Christus, persona, natura, abstractum, concretum, significare, concedere, modus, falsus, humanus, sonare | no | XII. Argumentum Homo et humanitas significant idem. Ergo recte dicitur: Christus est humanitas. Responsio: Illa non conceditur, sed illa: Ergo Christus est homo, quia est hoc concretum significans personaliter, sed abstractum significat modum naturae vel naturaliter, sicut igitur falsum est: Christus est humana natura, id est, humanitas, sic Christus est humanitas. Aristoteles dicit: Abstracta sonant naturam, concreta personam. |
XII argomento Uomo e umanità significano la stessa cosa. Perciò a ragione si dice: Cristo è la sua umanità. Risposta: non è ammessa questa conclusione, ma l'altra: perciò Cristo è uomo , poiché egli è questo concreto che significa la persona, l'astratto invece significa il modo della natura o la natura. E così allo stesso modo è falso dire: Cristo è la sua natura umana, cioè umanità, perciò Cristo è la sua umanità. Aristotele dice: i termini astratti significano la natura, i concreti la persona. |
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39 II,112,11-21 | Die Disputation de divinitate et de humanitate Christi | Per Aristotele non può esserci proporzione tra finito e infinito, perché quest'ultimo esiste solo in potenza, cioè come materia, mentre ciò che è finito, determinato, lo è in virtù della forma. Lutero invece parte dalla considerazione sulle due nature di Cristo, per cui vi è unità di finito e infinito: una cosa del genere non avrebbe mai potuto, argomenta Lutero, essere accettata da Aristotele. D'altra parte l'aver introdotto la risposta con Est philosophicum argumentum significa che questo argomento, probante o meno, non vale in linea di principio per quanto riguarda le realtà divine. | 123 | 1540 | Phys. III,3-8; e in particolare III,5,204a,20-22 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 112 | Deus, homo, philosophicus, argumentum, proportio, creatura, creator, finitum, infinitum, unitas, propositio, praedicare, audire, legere, christianus, concedere | no | Non potest idem praedicari de Deo et homine. Ergo etc. R. Est philosophicum argumentum. Nulla est proportio creaturae et creatoris, finiti et infiniti. Nos tamen non tantum facimus proportionem, sed unitatem finiti et infiniti. Aristoteles, si hoc audisset vel legisset, nunquam factus esset christianus, quia ipse non concessisset illam propositionem, quod eadem proportio sit finiti et infiniti. |
Non si può predicare la stessa cosa di Dio e dell uomo. E perciò eccetera. R. E un argomento filosofico. Non c è alcuna proporzione tra creatura e creatore, tra il finito e l'infinito. Ma noi non vogliamo tanto stabilire una proporzione, ma l unità di finito e infinito. Se Aristotele avesse udito o letto queste cose, non si sarebbe mai fatto cristiano, perché non avrebbe accettato la proposizione secondo cui ci sia una stessa proporzione tra il finito e l'infinito. |
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39 II,118,27-119,3 | Die Disputation de divinitate et de humanitate Christi | Come ricorda anche in altre occasioni (cfr. WA 59,413,3-7), Lutero ritiene che Aristotele abbia negato l'immortalità dell'anima a partire dalla sua concezione di anima come forma del corpo. In questo senso, essendo l'uomo un composto di materia e forma, come tutti i composti esso è destinato a corruzione. Ma questo secondo Lutero è inammissibile, in quanto nello stato originario gli elementi che formavano l'uomo avevano un'armonia intrinseca che non era intaccata dalla corruzione. | 123 | 1540 | Phys. I,7,190b,17-24; De an. II,2,414a,11-28 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 118 | corruptio, natura-humana, elementum, lapsus-Adae, mors, harmonia, creatus, causa, mors, perpetuus | no | Aristoteles non intellexit corruptionem humanae naturae, ergo tribuit elementis, quod sumus obnoxii, sicut fit in caeteris rebus creatis. Sed lapsus Adae est causa mortis. Erat enim Adam ex elementis compositus, ad vitam aeternam conditus. Si non fuisset lapsus, fuisset perpetua harmonia elementorum et nulla corruptio. | Aristotele non ha capito cosa sia la corruzione della natura umana. Infatti attribuì agli elementi il fatto che noi siamo soggetti alla corruzione, così come accade a tutte le altre realtà create. Ma la causa della morte è la caduta di Adamo! Adamo infatti era composto da elementi ma destinato alla vita eterna. Se non avesse peccato, l'armonia degli elementi sarebbe stata perpetua e non si sarebbe verificata alcuna corruzione. | |
39 II,255,5-14 | Die Promotionsdisputation von Erasmus Alberus | Dopo aver ricordato che per Aristotele l'infinito da una parte è inconoscibile e dall'altra non esiste in atto, Lutero commenta e approva ( visus est recte dicere ) dicendo che si tratta di due conclusioni inevitabili per chi affronti il problema alla luce della ragione. Questa affermazione ne implica un'altra speculare e implicita: la teologia può affermare ciò che alla ragione sfugge. Ma Lutero qui va oltre: per lui infatti Aristotele non solo si limita a conclusioni puramente razionali e umane, ma non ne trae neppure le debite conseguenze. Per Lutero infatti se si nega l'infinito in atto non si può ammettere l'esistenza di Dio; una concezione di divinità finita, come è il motore immobile aristotelico, è inconcepibile per Lutero. Da queste premesse deriva un'osservazione sullo stile aristotelico, definito frigidus quando il filosofo tratta di tematiche religiose. Lutero accusa Aristotele di mascherare il suo vero pensiero a proposito di Dio, e prova ne è la condotta morale del filosofo, giudicata dissoluta ed epicurea da Lutero. Un ultimo appunto viene mosso ad Aristotele. Egli ammette, osserva Lutero, una qualche forma di infinito, ovvero l'infinito in potenza. Ma anche questo spiraglio di verità viene eliminato dalla successiva identificazione dell'infinito con l'eternità del mondo, una dottrina che per Lutero è inconciliabile con l'esistenza di un Dio creatore. | 18 | 1543 | Phys. III,3-8; e in particolare III,6,207a,25s.; III,5,204a,21s.; III,6,206a,9-25; De caelo II,1,283b,26-30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 255 | aeternum, infinitum, ignotus, incomprehensibilis, ratio, Deus, religio, Epicurus, potentia, mundus, recte, dicere, consequentia, frigide, disputare, cutis, existere, nolle, sequi, perfectus, concedere, aeternitas, confundere | no | 30. Sensit et Aristoteles, aeternum seu infinitum, in quantum eiusmodi, esse ignotum et incomprehensibile. 31. Imo affirmat infinitum seu aeternum, in quantum huiusmodi, existere non posse, et secundum rationem visus est recte dicere. 32. Sed consequentiam non vidit, vel potius videre noluit, scilicet quod apud rationem ex hoc sequitur, Deum non esse, nec esse posse. 33. Ideo tam frigide ubique de religione disputat, et in cute perfectus est Epicurus. 34. Concedit tamen, infinitum potentia esse et cognosci posse, etsi iterum hic mundi aeternitas eum confudit. |
30. Anche Aristotele ha ritenuto che l'eterno - o infinito - sia in quanto tale inconoscibile e incomprensibile. 31. Di più: egli afferma che l'infinito o eterno, in quanto tale non può esistere: e dal punto di vista della ragione questa è un'affermazione corretta. 32. Egli però non vide - o meglio: non volle vedere - la conseguenza di queste affermazioni e cioè che basandosi solo sulla ragione ne deriva che Dio non esiste e non può esistere. 33. Ecco perché egli si esprime dappertutto con tanta freddezza a proposito della religione ed è proprio un perfetto Epicuro. 34. E tuttavia ammette che l'infinito in potenza possa esistere ed essere conosciuto, anche se una volta ancora finì per confonderlo con l'eternità del mondo. |
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39 II,255,29-31 | Die Promotionsdisputation von Erasmus Alberus | E difficile capìire cosa intenda dire Lutero quando afferma che per Aristotele esista sia un infinito in atto sia un infinito in potenza. La prima delle due ipotesi non è quasi nemmeno presa in considerazione dal filosofo, che nella Fisica la accenna solo per negarla. Va rilevata però la consonanza di questo passo con una nota marginale a Biel degli anni 1516-1517 (WA 59,37,44-38,2). Anche in quel contesto Lutero afferma che per Aristotele esistono entrambi i tipi di infinito. Forse, sulla falsariga di quanto tenta di fare con il concetto di moto nella predica del Natale 1514 (WA1,28,10-22), Lutero vuole evidenziare l intima contraddittorietà del concetto aristotelico di infinito. | 18 | 1543 | Phys. III,3-8; e in particolare III,5,204a,22-28; III,6,206a,9-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 255 | infinitum, actus, potentia, capere, propositio | no | Aristoteles dicit, infinitum capi dupliciter, infinitum actu et infinitum potentia. Igitur alia propositio loquitur de infinito actu, alia de infinito potentia. | Aristotele afferma che l infinito può essere inteso in due modi: come infinito in atto e come infinito in potenza. E pertanto una delle due proposizioni parla di infinito in atto, l altra di infinito in potenza. | |
40 I,370,8-11 | In epistolam S. Pauli ad Galatas Commentarios ex praelectione D. Martini Lutheri collectus 1535 | Il commento verte su Gal 3,6: Fu così che Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia , un versetto in cui san Paolo cita a sua volta Gn 15,6. Lutero ritiene che si tratti di una splendida definizione della giustizia cristiana, intesa non, come fanno i Sofisti scolastici , come qualitas primo infusa, deinde in membra diffusa (cfr. WA 40 I,370,22s.), ma come giustizia extra nos, appartenente cioè solo a Cristo e imputata all'uomo, che continua a rimanere peccatore. L'espressione ut rem Aristoteles disputat sta poi qui ad indicare che Lutero non si riferisce a un singolo passo della trattazione aristotelica sulla giustizia, ma al concetto generale di virtù come habitus e quindi come qualitas, cfr. Categorie 8,8b,25-9a,15; Metafisica V,20,1022b,10-12. E' evidente che anche in questo caso è la dottrina aristotelica ad essere giudicata incompatibile con il cristianesimo e non solo le sue successive reinterpretazioni. | 229 | 1531 | Eth. Nic. II,6,1106b,36-1107a,2 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 370 | verbum, res, inanis, reputatio, iustitia, formaliter, in-nobis, extra-nos, aestimatio, forma, fides, primitia, apprehendere, exilis, disputare, propter | 136 | Res non sunt inanes. verba quidem exilia quando dico reputatio , - quod pendeat nostra iustitia non formaliter in nobis, ut rem Aristoteles disputat, sed extra nos in estimatione divina et nihil in nobis formae, iustitiae praeter fidei primitias, quod cepi apprehendere illum et propter. | Non sono cose di poco conto, queste. Le parole sono inadeguate. Quando dico imputazione intendo che la nostra giustizia non dipende da una forma presente dentro di noi, così come ne parla Aristotele, ma dalla considerazione divina che è esterna a noi. E non c è alcuna giustizia, alcuna forma in noi all'infuori delle primizie della fede, perché ho cominciato ad appropriarmi di Cristo e della sua salvezza per noi uomini. | |
40 I,370,28-371,17 | In epistolam S. Pauli ad Galatas Commentarios ex praelectione D. Martini Lutheri collectus 1535 | Il contenuto è lo stesso di WA 40 I,370,8-11, anche se come sempre l'edizione a stampa, di cui questo brano fa parte, si diffonde in maggiori particolari rispetto al manoscritto. In questione è l'idea di giustizia aristotelica. La critica che Lutero così frequentemente rivolge ad Aristotele, secondo cui non si diventa giusti facendo opere giuste (cfr. WA 4,3,32; 8,607,34, 10 III,92,19; 56,172,9 e altri), trova qui la sua fondazione. La giustizia infatti non è per Lutero una qualità in noi, ma è esterna a noi, è Cristo. Non c'è dunque alcuna forma, alcun habitus di giustizia nell'uomo, che come ricorda qui Lutero, anche sotto la grazia continua ad essere veramente peccatore. | 229 | 1531 | Eth. Nic. II,6,1106b,36-1107a,2 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 370 | iustitia, res, verbum, disputare, formaliter, extra-nos, gratia, reputatio, forma, fides-imbecillis, primitia, apprehendere, peccatum, Christus, ludere, apprehendere, peccatum, ludicer, serius, exilis | no | Res, quantum ad verba attinet, facilis est (scilicet, iustitiam non esse formaliter in nobis, ut Aristoteles disputat, sed extra nos in sola gratia et reputatione divina, Et nihil formae seu iustitiae in nobis esse praeter illam imbecillem fidem seu primitias fidei, quod coepimus apprehendere Christum, interim tamen vere peccatum in nobis manere); res tamen non est ludicra, sed seria et maxima, quia Christus qui nobis datur et quem fide apprehendimus, non fecit aliquid exile pro nobis neque lusit, sed, ut supra dixit Paulus: Dilexit nos et tradidit Semetipsum pro nobis; Factus est pro nobis maledictum etc. | Se si considerano le parole, la cosa è semplice (e cioè che la giustizia non si trova come forma in noi, com'è secondo Aristotele, ma fuori di noi, solo nella grazia e nella considerazione divina, e che in noi non c'è alcuna forma o giustizia al di fuori di quella fede debole ovvero primizia di fede e per cui cominciamo a fare nostro Cristo, mentre il peccato rimane veramente in noi). Non si tratta di un gioco, ma di una cosa seria e della massima importanza, poiché il Cristo, che ci viene è dato e che facciamo nostro attraverso la fede, non operò cose di poco conto nei nostri riguardi né volle scherzare, come dice Paolo più sopra: Egli ci ha amato ed ha dato se stesso per noi; si è fatto maledizione per noi e via dicendo. | |
40 I,402,6-9 | In epistolam S. Pauli ad Galatas Commentarios ex praelectione D. Martini Lutheri collectus 1535 | Lutero si sofferma alcune righe su Rom. 2,13, in cui san Paolo dice che chi mette in pratica la legge sarà giustificato . E' un'affermazione che secondo Lutero non può essere presa alla lettera: secondo lui le opere per cui si è reputati giusti sono quelle che l'uomo deve ancora compiere, perché prima viene la persona giustificata, poi le opere, che in forza di questa giustificazione diverranno giuste. Il richiamo aristotelico serve per ricordare ancora una volta che nell'ambito politico, nel significato ampio di mondano , le cose stanno diversamente, e la giustizia viene considerata una virtù che si può acquistare con l'esercizio. | 229 | 1531 | Eth. Nic. II,1,1103a,34 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 402 | factor, arbor, fides, Christus, factum, iustus, politicus, cytarizari, politia, saepe | no | Factor ergo est arbor, quae fit per fidem in Christum, post sequentur facta. Et sic factor legis reputatur iustus. Non dicitur ab operibus factis sed ab operibus faciendis. Alterum est politicum. Sepe cytarizando. Ibi verum in politia. | Colui che mette in pratica è l'albero che nasce per la fede in Cristo, le opere vengono dopo. In questo senso chi mette in pratica la legge è reputato giusto. Non viene definito giusto in grazia delle opere che ha compiuto, ma per quelle che deve compiere. L'altro atteggiamento è quello politico: esercitandosi spesso con la cetra... . E' vero per le realtà politiche. | |
40 I,402,23-28 | In epistolam S. Pauli ad Galatas Commentarios ex praelectione D. Martini Lutheri collectus 1535 | Questo brano appartiene a un'altra trascrizione delle Lezioni sulla lettera ai Galati e corrisponde a quello riportato in WA 40 I,402,23-28 e più sopra commentato. Identico quindi il contenuto e identica l'esegesi di Rom 2,13. Come si vede, l'atteggiamento di Lutero verso questo passo aristotelico rimane esattamente lo stesso della sua giovinezza (cfr., a titolo di esempio, WA 1,84,19; 2,42,35; 4,3,32; 8,607,34). | 229 | 1531 | Eth. Nic. II,1,1103a,34 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 402 | factor, opus, fides, Christus, factum, iustus, lex, politicus, citharisari, citharoedus, politia, operari, theologia, christianus, fieri | 134 | Non autem dicitur factor ab operibus factis, sed ab operibus faciendis, Quia Christiani non fiunt iusti operando iusta, sed iam fide in Christum iustificati operantur iusta. Illud alterum politicum est, scilicet ex factis fieri factorem, ubi saepe citharisando, ut ait Aristoteles, fit aliquis citharoedus. Sed in Theologia factor non fit ex operibus legis, Sed oportet prius esse factorem, postea sequuntur facta. | Colui che mette in pratica... : non è definito come tale dalle opere compiute, ma dalle opere che egli deve compiere, poiché i cristiani non diventano giusti perché compiono opere di giustizia, anzi, solo dopo essere stati giustificati per la fede in Cristo, compiono opere di giustizia. L'altro atteggiamento invece è quello politico, quello secondo cui chi mette in pratica è tale per le cose che ha fatto. E così esercitandosi a lungo con la cetra, come dice Aristotele, uno diventa un buon citaredo. Ma in teologia chi mette in pratica non diviene tale per le opere della legge, ma è necessario che prima ci sia chi fa le opere e che poi seguano le opere stesse. | |
40 I,410,11-411,7 | In epistolam S. Pauli ad Galatas Commentarios ex praelectione D. Martini Lutheri collectus 1535 | Il principale motivo di interesse di questo brano sta nel fatto che Lutero prende le difese di Aristotele contrapponendolo agli scolastici, da lui abitualmente definiti sofisti (cfr. ad esempio WA 2,424,35; 4,538,3; 6,29,17; 7,667,26). Non si tratta qui però solo del consueto procedimento secondo cui Lutero dichiarandosi buon interprete di Aristotele rinfaccia ai teologi cattolici di non aver capito il filosofo greco, ma di una precisa contrapposizione. Aristotele, che non pretende di entrare nel merito della teologia e conosce solo la ratio honestatis, è migliore di coloro che mescolano l'umano e il divino. Essi sono come i farisei, mentre Aristotele va considerato come i sadducei, una categoria di persone certo molto meno invisa a Cristo proprio perché, non interessandosi di religione, non la strumentalizzavano a fini ad essa estranei. Buona volontà e retta ragione acquistano così una loro precisa autonomia in campo politico, ma restano rigorosamente escluse dal campo della teologia. Come si vede, la sostanza del pensiero luterano non cambia. La rivalutazione dell'Aristotele politico non implica un'eguale rivalutazione dell'Aristotele metafisico. | 229 | 1531 | Eth. Nic. III,4,1113a,23s.; VI,13,1144b,26-1145a,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 410 | Sadducaeus, civilis, recta-ratio, bona-voluntas, communis, utilitas, philosophus-moralis, sophista, divinitas, honestas, miscere, mereri, hypocrita, maior, divinitas, adficere, monialis, vita, polluere, ratio | 116, 59 | Aristoteles, Sadducaeus, civilis homo vocat hoc rectam rationem, bonam voluntatem, si quaerat communem utilitatem. Non cogitat philosophus moralis, quod velit mereri vitam aeternam. Sic etiam faciunt hypocritae, Sophistae; habent quidem illam maiorem: divinitas est, sed transformant etc.-; quae sic sit adfecta, quae spectat meam monialem vitam, bonam voluntatem. Ibi miscent divinitatem et polluunt etc. Philosophus Aristoteles est melior, qui habet rationem honestatis, non miscet. | Aristotele, Sadduceo, uomo civile, considera la retta ragione e la buona volontà in relazione all'utilità comune. Il filosofo morale non pensa di voler meritare la vita eterna. Invece questo è ciò che fanno gli ipocriti e i sofisti; essi tengono per buona la premessa maggiore: la divinità è , ma la trasformano e via dicendo. E la divinità, una volta resa così snaturata, guarda alla mia vita di monaco - dicono loro - guarda alla mia buona volontà . E così, da profanatori, mescolano il divino con l'umano e via dicendo. Aristotele, da filosofo, è migliore di costoro, il suo metodo riguarda solo la civile convivenza, non mette insieme umano e divino. | |
40 I,410,24-411,23 | In epistolam S. Pauli ad Galatas Commentarios ex praelectione D. Martini Lutheri collectus 1535 | Il contenuto del brano preso in considerazione coincide con quello di WA 40 I,410,11-411,7, esaminato più sopra. Lutero loda una filosofia morale che non ha Dio per oggetto e come causa finale, perché una tale filosofia è perfettamente complementare alla sua teologia. Da questo punto di vista l'essere gentilis di Aristotele non contrasta con il suo essere civiliter bonus. E il dire che Aristotele manet enim intra limites suos è da una parte la maggior lode, dall'altra una delle più precise connotazioni dell'interpretazione luterana di Aristotele. Il problema per Lutero si manifesta nei casi, non pochi per il vero, in cui Aristotele non rimane nei suoi limiti , come avviene spesso proprio nell'Etica. | 229 | 1531 | Eth. Nic. III,4,1113a,23s.; VI,13,1144b,26-1145a,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 411 | natura, philosophia-moralis, theologia, facere, arbor, fructus, bona-voluntas, recta-ratio, operari, obiectum, causa-finalis, Deus, sadduceus, civiliter, homo, bonus, communis, utilitas, respublica, tranquillitas, honestas, legislator, sophista, gentilis, limes, miscere, philosophus, remissio, peccatum, iusticiarius, ratio, res-humanae, res-divinae, imaginari, bona-intentio, opus, polluere, cogitatio, haurire, abuti | no | Quare aliud est facere in natura, aliud in Philosophia, aliud in Theologia. In natura primum oportet esse arborem, deinde fructum. In morali Philosophia facere est: habere bonam voluntatem et rectam rationem operandi; ibique consistunt Philosophi. Hinc in Theologia dicimus moralem Philosophiam non habere in obiecto et causa finali Deum, Quia Aristoteles, Sadducaeus vel homo civiliter bonus vocat hoc rectam rationem et bonam voluntatem, si quaerat communem utilitatem Reipublicae, tranquillitatem et honestatem. altius non assurgit Philosophus vel Legislator, non cogitat per rectat rationem etc. consequi remissionem peccatorum et vitam aeternam, ut Sophista aut Monachus. Ideo Gentilis Philosophus longe melior est tali Iusticiario; manet enim intra limites suos, habens tantum rationem honestatis et tranquillitatis publicae, non miscens humanis divina. Hoc Sophista non facit; imaginatur enim Deum spectare suam bonam intentionem et opera. Ideo miscet divinis humana polluitque nomen Dei et has cogitationes plane haurit ex Philosophia morali, nisi quod ea peius abutitur quam homo Gentilis etc. | Fare in natura significa una cosa, in filosofia un'altra, in teologia un'altra ancora. In natura l'albero viene necessariamente prima dei frutti. In filosofia morale fare significa avere una buona volontà e una retta ragione nell'operare e su questo si fondano i filosofi. Da ciò l'affermazione propria di noi teologi secondo cui la filosofia morale non ha Dio per oggetto e come causa finale. Aristotele infatti, sadduceo e uomo civilmente buono, reputa che si diano retta ragione e buona volontà quando i fini sono l'utilità comune, la tranquillità e il decoro dello stato. Da filosofo e legislatore non si spinge più in là di questo. Non pensa, sulla base della retta ragione e di cose del genere, di ottenere la remissione dei peccati e la vita eterna, come fanno il sofista o il monaco. Perciò il filosofo pagano è di gran lunga migliore di un uomo simile, che nelle opere cerca la giustizia; egli rimane nei suoi limiti, dal momento che possiede solo una ragione che riguarda il decoro e la tranquillità pubblica e non mescola il divino e l'umano. Cosa invece che invece il sofista non fa; egli si immagina che Dio consideri la sua buona intenzione e le sue opere. Così facendo, mescola umano e divino, infanga il nome di Dio e attinge evidentemente tutte queste teorie dalla filosofia morale, con la differenza però che ne fa un uso ben peggiore dell'uomo pagano e via dicendo. | |
40 I,457,21-27 | In epistolam S. Pauli ad Galatas Commentarios ex praelectione D. Martini Lutheri collectus 1535 | Ecco un caso in cui Lutero rilegge in chiave teologica categorie aristoteliche. Si sta parlando di una frase del profeta Daniele: sconta il tuo peccato con l'elemosina (Dn 3,14). Questo versetto biblico, come dice Lutero ai suoi interlocutori, viene usato per confutare la dottrina luterana dell inefficacia delle opere in ordine alla salvezza. Ma ai sofisti si può ribattere che l opera richiede sì, aristotelicamente, retta ragione e buona volontà che si concretizzino in una scelta, ma ragione e volontà sono da intendersi in senso teologico, non morale, e cioè come sinonimi di fede. Poche pagine più sopra (WA 40 I,411,13-15) Lutero aveva affermato che Aristotele vocat hoc rectam rationem et bonam voluntatem, si quaerat communem utilitatem Reipublicae, tranquillitatem et honestatem e che (WA 40 I,411,15-17, ma cfr. anche WA 50,222,3ss.) altius non assurgit Philosophus vel Legislator, non cogitat per rectam rationem etc. consequi remissionem peccatorum et vitam aeternam, ut Sophista aut Monachus , qui invece afferma che in teologia questi concetti sono presenti ben più (multo magis) che in filosofia. Contraddizioni di Lutero? No: uso equivoco dei termini. Recta ratio e bona voluntas significano due cose diverse nei due diversi contesti. L uso di concetti aristotelici nel contesto teologico qui è motivato soprattutto dall intento polemico di Lutero, ma questi concetti conservano ben poco del loro significato originario. | 229 | 1531 | Eth. Nic. III,4,1113a,23s.; III,5,1113b,3-20; VI,13,1144b,26-1145a,6; III,2,1111b,4-1112a,18 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 457 | opus, sacrae-litterae, bona-voluntas, praerequirere, recta-ratio, moralis, theologicus, electio, fides, os, sophista, cogere, concedere, docere, philosophia, theologia | 342 | Nam opus in sacris literis praerequirit etiam bonam voluntatem et rectam rationem, non moralem, sed Theologicam, quae fides est. Hoc modo facile poteris obturare os Sophistis. Nam ipsimet coguntur concedere, quia ita docent ex Aristotele, quod omne opus bonum procedat ex electione. Si hoc verum est in Philosophia, multo magis in Theologia oportet esse ante opus bonam voluntatem et rectam rationem per fidem. | Infatti il concetto di opera nella sacra scrittura presuppone sì la buona volontà e la retta ragione, ma non morali bensì teologiche, cioè la fede. In questo modo potrai chiudere la bocca con facilità ai sofisti. Infatti sono proprio loro che costringono ad ammettere (lo insegnano sulla parola di Aristotele) che ogni atto buono deriva da una scelta. E se questo è vero in filosofia, tanto più per la teologia è necessario che prima dell'atto si diano la buona volontà e la retta ragione attraverso la fede. | |
40 II,297,15-298,1 | Vorlesungen über die Psalmen 2. 51. 45. Psalmus 2 (gedruckt 1546) | La figura retorica dell'antonomasia viene illustrata da Lutero con gli esempi più comuni a sua disposizione. Tra questi c'è anche Aristotele, il Filosofo per eccellenza. Un esempio che però rivela una profonda convinzione che è propria anche di Lutero stesso. Aristotele è per Lutero il Filosofo, l'esempio della ragione umana naturale con le sue caratteristiche positive e i suoi numerosi limiti. Tanto è vero che in più occasioni Lutero lo chiama (talora anche ironicamente) luce della natura (cfr. WA 10 I 1,567,14; 12,362,11; 12,414,23 ecc.). | 600 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 297 | antonomasia, appellativum, nomen-proprium, philosophus, apostolus, propheta, miles, excellentia, generalissimus, gramaticus, contrahere, Paulus, David, bellum-gerere, individuum | no | Et est figura gramatica, Antonomasia, quando appellativum contrahitur et fit proprium, ut cum dicimus: Apostolus hoc dicit, i. e. Paulus; propheta, i.e. David; Sic scribit philosophus, i. e. Aristoteles; Sic gessit bella miles etc. Per excellentiam ita fit nomen commune proprium, ut Ipsum individuum accipiat ipsum nomen generalissimum. | La figura retorica dell'antonomasia si dà quando il significato di un appellativo viene ristretto ed esso diventa un nome proprio, come quando diciamo lo dice l'Apostolo , cioè Paolo; il profeta , cioè Davide; così scrive il Filosofo , cioè Aristotele; così il soldato condusse le sue guerre e via dicendo. L'eccellenza dell'individuo fa sì che il nome comune diventi nome proprio a un tal punto, che l'individuo stesso assume quel nome generalissimo. | ||
40 II,297,30-36 | Vorlesungen über die Psalmen 2. 51. 45. Psalmus 2 (gedruckt 1546) | Il contenuto è lo stesso di WA 40 II,297,15-298,1, commentato in precedenza. Aristotele è per Lutero il filosofo per eccellenza. In questo Lutero dimostra di essere in tutto dipendente dalla sua formazione universitaria: Aristotele è criticato proprio in quanto filosofo, anzi Filosofo. Il fatto che la filosofia sia un sapere limitato e criticabile non implica che Aristotele non ne sia il più degno rappresentante. | 600 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 297 | antonomasia, appellativum, nomen-proprium, transferre, nomen-commune, philosophus, apostolus, propheta, miles, excellentia, Christus, excellentia, individuum, Paulus, David, Georgius-a-Fronsberg, iustus, sapiens, sacerdos, filius-hominis, rex | no | Per antonomasiam autem, quae ex communi nomine facit proprium, postea transfertur ad alias res, et propter excellentiam individui vocatur sic triticum seu frumentum, tanquam electa res. Sic Apostolum intelligimus: Paulum, Prophetam: Davidem, Philosophum: Aristotelem, Militem: Georgium a Fronsberg etc. Nam propter excellentiam saepe ex communi nomine fit proprium. Sic Christus per excellentiam dicitur: iustus, sapiens, sacerdos, Filius hominis, Rex etc. | Grano o frumento nel senso di realtà eletta si dice per antonomasia, la quale di un nome comune fa un nome proprio, e poi lo attribuisce ad altre realtà a causa dell'eccellenza del singolo individuo. E così per Apostolo non intendiamo Paolo, per Profeta Davide, per Filosofo Aristotele, per soldato Giorgio da Fronsberg e via dicendo. Infatti spesso, a causa dell'eccellenza del singolo, da un nome comune si ricava un nome proprio. E così Cristo viene definito per eccellenza giusto, sapiente, sacerdote, Figlio dell'uomo, re e via dicendo. | ||
40 II,369,6-11 | Vorlesungen über die Psalmen 2. 51. 45. Psalmus 51 (gedruckt 1538) | Il commento verte su Sal 50,6 Contro di te, contro te solo ho peccato . Per Lutero qui il salmista sta parlando della tremenda efficacia del peccato originale, che secondo Lutero è in tutto e per tutto assimilabile ai peccati attuali. La ragione umana non può comprendere questo peccato, perché essa si limita ai frutti, alle opere, a quelli che poco più sopra Lutero descrive come civilia peccata (WA 40 II,369,6). Ed è per questo che Aristotele non può insegnare nulla su un simile argomento, non avendo conosciuto né la legge mosaica né il vangelo. | 607 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 369 | peccatum, incognitus, lex, promissio, docere, verbum-divinum, orbis-terrarum, revelare, arguere, intelligere, credere, iustus, peccator | no | Cum ergo hoc peccatum incognitum toto orbi terrarum, necesse revelari per legem et promissionem, quae utraque arguit peccata, quae nos non intelligimus, credimus peccata esse. Das heist verbo divino declarari peccatum et solo verbo divino revelatur. Aristoteles non docet de isto peccato: Tibi soli , Tu solus es iustus et omnes homines peccatores, sed per verbum. | Questo peccato è sconosciuto in tutto il mondo e perciò doveva essere rivelato dalla legge e dalla promessa, ciascuna delle quali denuncia peccati che non comprendiamo o non crediamo essere tali. Questo significa che la parola di Dio rende evidente il peccato: esso esce allo scoperto solo grazie alla parola di Dio. Aristotele non insegna nulla a proposito di questo peccato: Contro te solo : Tu solo sei giusto e tutti gli uomini peccatori. Solo attraverso la parola di Dio lo si conosce. | ||
40 II,389,1-15 | Vorlesungen über die Psalmen 2. 51. 45. Psalmus 51 (gedruckt 1538) | La trascrizione di questo brano di lezione universitaria è particolarmente stringata e probabilmente in alcuni punti inesatta. In particolare ai fini della traduzione si è presupposto un non all interno della proposizione qui sit fucate, in considerazione del fatto che l'edizione a stampa al proposito parla di homines veraces et sine fuco (WA 40 II,389,34). Il versetto commentato da Lutero è Sal 50,8: qui diligis absconditam veritatem . La verità è nascosta e misteriosa perché sono solo la legge e il vangelo che possono portarla a galla. Sorge dunque il problema dei pagani, e non tanto dei traditori e dei menzogneri (come Lutero considera Catilina), ma di coloro che si sono comportati con rettitudine, come Pomponio Attico, Aristide, Socrate, Catone. Essi, dice Lutero, hanno vissuto la verità politica, che consiste nella sincera preoccupazione per i destini dello stato e della convivenza civile. Ma questa verità, che pure è richiesta da Dio, non è integra, non è pura, non ha il potere di rendere giusti davanti a lui. Da notare il fatto che Aristotele non è citato da Lutero tra i pagani che hanno vissuto rettamente, ma, accanto a Cicerone, tra coloro che hanno descritto la verità politica. Non si deve dunque pensare a una rivalutazione dell atteggiamento morale personale di Aristotele, che Lutero in genere considera piuttosto negativamente (cfr. WA 39 II,255,5-14). E d altra parte Lutero stesso lo precisa: Politica praestatur ab hominibus, aut si non, iudicatur et docetur, ut Aristoteles, Cicero . | 607 | 1532 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 389 | veritas, politica, civilis, fucate, Terentius, docere, Aristides, Socrates, Catho, Pomponius, fraus, ratio, humanus, mendacium, respublica, Cicero, mysterium, latitudo, vivere, dicere, cogitare, fallare, vir, schalck, ernst, bonus, fidelis, mercator, betreugen, gott, mundus, ignorare, praestare, intelligere, absconditum, mysterium | no | Ergo veritas accipe pro sua tota latitudine, Non veritatem in verbis, sed omnia, quae in nobis, quae vivimus, dicimus, cogitamus, sunt vera solida, non fallacia, quibus non solum non fallamus mundum, sed nec nos. Politica veritas, quod aliquis vir Civilis, qui sit fucate, re vera ein schalck, qui est malo ingenio, Terentius. Das ist politica, ut sic vivas, ut sentis, ut Pomponius, Aristides, Socrates, Catho, qui das ding mit ernst gemeint, rempublicam, Catilina falso; qui sine fraude prospicere reipublicae, das ist veritas politica Aristotelis. Apud gentes etiam reperiri bonus, fidelis mercator, qui non homines betreugt. Unser herr Gott hat an der veritate nicht gnug; requirit eam, sed tamen non integra. Est altior quam; mundus ignorat, quae est veritas in abscondito . Politica praestatur ab hominibus, aut si non, iudicatur et docetur, ut Aristoteles, Cicero. Et totus mundus quaeritur, quod mundus sit in mendacio et fraude; illam potest ratio humana intelligere, sed hanc non capit, quae est veritas in abscondito, mysterio . | E perciò intendi verità in tutta la sua ampiezza, non la verità delle parole, ma tutto ciò che è in noi, che viviamo, diciamo, pensiamo. Queste sono verità genuine, non ingannatrici, attraverso le quali non solo non traiamo in errore il mondo, ma neppure noi stessi. La verità politica comporta che alcuni uomini civili, che pure sono senza inganno, siano in realtà dei mentitori, gente dalle intenzioni cattive, come dice Terenzio. Questo è la politica, che tu viva il bene dello stato in coerenza con il modo con cui lo concepisci, come hanno fatto Pomponio, Aristide, Socrate, Catone, che hanno preso la vita sul serio, mentre Catilina era menzognero. La verità politica di Aristotele si attua quando c'è chi provvede senza inganno al bene dello stato. Tra i pagani si possono trovare anche uomini buoni, mercanti affidabili che non defraudano la gente. Ma Dio nostro Signore non si accontenta di una simile verità; la esige, ma essa tuttavia non è pura. L'altra verità è più alta. Il mondo ignora cosa sia la verità nascosta . La politica viene esercitata dagli uomini, oppure solo definita e insegnata, come fanno Aristotele e Cicerone, ma intanto tutto il mondo si lamenta che il mondo stesso sia nella menzogna e nell'inganno; quella verità può essere capita dalla ragione umana, ma non questa, che è verità nascosta, misteriosa . | ||
40 II,421,16-422,2 | Vorlesungen über die Psalmen 2. 51. 45. Psalmus 51 (gedruckt 1538) | Ecco una delle rare citazioni luterane dei Magna Moralia. Lutero qui sottolinea, purtroppo molto concisamente, una caratteristica positiva della divinità così come essa viene tratteggiata da Aristotele: la sua attività. Se quindi dire che Dio non dorme per Aristotele significa che il motore immobile è pura attività, Lutero reinterpreta in senso cristiano questa frase attribuendola allo Spirito Santo e ai suoi doni. Questo brano poi è in contraddizione con quanto Lutero afferma in WA 18,706,22s.: Talem Deum nobis et Aristoteles pingit, qui dormiat scilicet et sinat sua bonitate et correptione uti et abuti quoslibet . Va anche osservato che ad Aristotele non si può certo attribuire la seconda parte della frase, quella secondo cui Dio non crea per abbandonare in un secondo momento la sua creatura. | 607 | 1532 | M. Mor. II,15,1212b,39; Metaph. XII,9,1074b,17-19 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 421 | Deus, donum, ille-philosophus, dormire, creare, conservare, abire, donare, relinquere, fortificare, spiritus-sanctus, praesens, operari | no | Deus non abit donatis suis donis et relinquit nos solos. Non fecit et abiit. Dixit ille philosophus: Non vadit dormitum, Sed creare est continuo conservare, fortificare. Sic spiritus sanctus adest praesens et operatur in nobis suum donum. | Una volta che ci ha fatto i suoi doni, Dio non se ne va lasciandoci soli. Non ci creò per poi andarsene. Disse il Filosofo: Dio non si addormenta . Creare significa invece conservare, rinforzare continuamente. E così lo Spirito Santo è vicino e presente e realizza in noi il suo dono. | |
40 II,485,8-12 | Vorlesungen über die Psalmen 2. 51. 45. Psalmus 45 (gedruckt 1533) | La citazione di Aristotele scelta da Lutero non è del tutto appropriata, perché nel passo considerato Aristotele elogia la giustizia come virtù somma, proprio perché regolatrice dei rapporti tra gli uomini in base alla legge. Non c'è traccia in Aristotele, perlomeno nel brano considerato, di pessimismo. A queste considerazioni invece secondo Lutero i pagani sono stati spinti proprio per viam negationis, considerando cioè di quali nefandezze è capace l'uomo abbandonato a se stesso e alle sue sole forze. Si tratta quindi evidentemente di una citazione avulsa dal contesto, che però doveva aver impressionato Lutero, che ne aveva fatto uso anche due anni prima (cfr. WA 31 I,201,13-15). | 606 | 1532 | Eth. Nic. V,1,1129b,27-29 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 485 | turpitudo, voluntas, iustitia, gentes, Hesperus, Lucifer, spiritualis, oculus, cupidus, gloria, divinitas, contemptus, odium, libido, superbia, foedus | no | Sed si haberemus spirituales oculos ut ille, tum videremus, quanta turpitudo, hominem esse aversa voluntate, cupida gloriae, divinitatis, plena contemptus, odii, cupiditatis, libidinis, superbiae. Das sind foedae turpitudines. Ideo etiam gentes dixerunt iusticiam praeclariorem Hespero, Lucifero. | Ma se avessimo occhi spirituali come Cristo, allora ci accorgeremmo quanto grande sia la bassezza umana e che l'uomo ha una volontà contraria a Dio, smaniosa di avere gloria e di diventare come Dio, piena di disprezzo, di odio, di cupidigia, di lussuria, di superbia. Queste sono bassezze infamanti. Per questo i pagani hanno detto che la giustizia è più splendente della stella della sera e della stella del mattino . | |
40 II,485,26-31 | Vorlesungen über die Psalmen 2. 51. 45. Psalmus 45 (gedruckt 1533) | Il contenuto è lo stesso di WA 40 II,485,8-12. Da notare che in nessuno dei due contesti è citato Aristotele. Lutero sottolinea la limitazione della conoscenza che è propria dei pagani: Hae sunt foedae turpitudines, de quibus aliqua ex parte etiam gentes iudicare potuerunt , annota Lutero, nel senso che una vera conoscenza del peccato è possibile solo dopo la rivelazione (cfr. WA 40 II,369,10-11). | 607 | 1532 | Eth. Nic. V,1,1129b,27-29 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 485 | turpitudo, voluntas, gentes, iustitia, Hesperus, Lucifer, pulcher, oculus, spiritualis, homo, blasphemus, cupidus, gloria, divinitas, maiestas, contemptus, libido, superbia, avaricia, foedus, iudicare | no | Sed si haberemus spirituales oculos, videremus, quanta turpitudo esset, hominem esse aversa voluntate a Deo, esse blasphemum, cupidum gloriae divinitatis et maiestatis, plenum contemptu ac odio Dei et proximi, plenum libidine, superbia, avaricia etc. Hae sunt foedae turpitudines, de quibus aliqua ex parte etiam gentes iudicare potuerunt. Ideo dixerunt Iusticiam esse pulchriorem hespero seu lucifero. | Ma se avessimo occhi spirituali, ci accorgeremmo di quanto grave sia la turpitudine e anche che la volontà dell'uomo è contraria a Dio e che l'uomo è blasfemo, bramoso della gloria e della maestà divina, pieno di disprezzo e di odio verso Dio e verso il prossimo, pieno di libidine, di superbia, di avarizia e via dicendo. Queste sono bassezze infamanti, sulle quali, almeno in parte, anche i gentili hanno potuto esprimere il loro giudizio. Per questo essi hanno affermato che la giustizia è più bella della stella della sera e della stella del mattino. | |
40 II,525,39-526,18 | Vorlesungen über die Psalmen 2. 51. 45. Psalmus 45 (gedruckt 1533) | Il concetto che Lutero vuole esprimere non è nuovo; commentando Sal 44,7 ( Il tuo trono, Dio, dura per sempre; è scettro giusto lo scettro del tuo regno ) afferma che questa giustizia si fonda sulla parola di Dio, che sola coglie le cose nella loro essenzialità e quindi può realizzare l'autentica giustizia, mentre la giustizia umana procede sempre per successive approssimazioni e perciò non è mai autentica giustizia. La terminologia matematica allude alla differenza tra il punto matematico, che non ha dimensioni ed è una pura entità ideale, e il punto fisico, che si può considerare una rappresentazione convenzionale del punto matematico, ma che di fatto non è un punto in senso vero e proprio. Associato a questi due termini sta l'altro: indivisibilis, che sta a indicare l'extra nos della grazia, che non diventa la forma dell'agire umano, ma rimane esteriore al salvato, e in sé integra (cfr. WA 8,107,3-4: (Deus) non enim partitur hanc gratiam, sicut dona partitur ). L uso dei termini matematici e geometrici con valenza teologica è stato segnalato da Theobald Beer (Der fröhliche Wechsel..., cit., p.130-133), a cui si rimanda per una trattazione approfondita. La citazione di Aristotele, che non è letterale, si riferisce probabilmente al primo libro dell'Etica Nicomachea (non però di certo a Phys. V,6,230a,29-31, com'è secondo il Personenregister dell'edizione di Weimar, cfr. WA 59,46), là dove il filosofo chiarisce in che senso l'etica sia scienza e quale sia il grado di precisione che ci si può attendere dai suoi procedimenti e dalle sue conclusioni. Anche in questo caso, dunque, viene lodato l'Aristotele politico , il codificatore di un sapere mondano. Ovviamente per Aristotele dire che è proprio dell'uomo colto richiedere in ciascun genere di ricerca tanta esattezza, quanta ne permette la natura dell'argomento (Eth. Nic. I,2,1094b,25s.) non ha il significato scettico che sottolinea invece Lutero. | 607 | 1532 | Eth. Nic. I,3,1094b,11-28; I,7,1098a,25-32, Phys. IV,11,220a,10-21 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 526 | verbum-Dei, sceptrum, purus, punctum-mathematicum, punctum-physicum, indivisibilis, moralia, ius, iureconsultus, circumferentia, centrum, comparare | no | Solus autem Christus in suo regno habet rectum sceptrum. Quare hoc? Quia rex noster habet verbum Dei, quod est purum etiam puncto Mathematico. Scitis autem, quod Aristoteles in Ethicis comparat moralia puncto Physico, et non Mathematico. Iureconsultus, qui ius dicit, non attingit punctum Mathematicum seu indivisibile, satis est attigisse circumferentiam, ut, quanto propior centro, eo melius. | Solo Cristo ha uno scettro di giustizia nel suo regno. E perché? Perché il nostro re ha la parola di Dio, che è pura fino al punto matematico. Voi infatti sapete che Aristotele nella sua Etica paragona la scienza morale al punto fisico e non al punto matematico. Il giureconsulto, che definisce il diritto, non arriva a toccare il punto matematico o indivisibile, è già abbastanza che sia giunto a toccare la circonferenza, cosicché, tanto più si avvicina al centro, tanto meglio. | |
40 II,532,34-37 | Vorlesungen über die Psalmen 2. 51. 45. Psalmus 45 (gedruckt 1533) | Il commento verte ancora su Sal 44,7 ( Il tuo trono, Dio, dura per sempre; è scettro giusto lo scettro del tuo regno ) Lutero ne approfitta per introdurre una distinzione aristotelica sullo stato attuale di realizzazione di questo regno. La santità dell'uomo, egli afferma, è ancora in divenire, in fieri, come affermano gli aristotelici, non già realizzata (in facto esse). Lutero pare particolarmente affezionato alla formula scolastica in facto esse, contrapposta a in fieri, in cui la relazione tra essere e atto è evidente: una formula mutuata molto probabilmente da Arnoldi von Usingen (Cfr. al proposito DIETER, Die philosophischen..., cit., p.166s.). Di questa coppia di espressioni scolastiche Lutero fa uso anche in WA 59,418,2-5, nelle tesi filosofiche della Disputa di Heidelberg: Absolute autem puto dictum, quod alii vocant in facto esse, non in fieri. Sic scientia possibilis in facto esse et absolute non sic habet, quod nunc intelligit, nunc non intelligit ; id enim materiae esse in fieri convenit . | 607 | 1532 | Metaph. IX,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 532 | aristotelici, sanctus, in-fieri, in-facto-esse, moriri, sepelire, novissimus-dies, resurgere, sceptrum, purus | no | Ergo moriamur et sepeliamur et in novissimo die comburamur igni, tum resurgemus puri, sicut sceptrum nostrum est purum. Iam non sumus, sed efficimur et, sicut Aristotelici loquuntur, sumus in fieri sancti, et non in facto esse. | Che noi possiamo morire, dunque, essere sepolti e bruciare nel fuoco nell'ultimo giorno: allora risorgeremo puri, così come è puro il nostro scettro. Non siamo ancora puri, ma lo siamo resi e, come dicono gli aristotelici, siamo santi in divenire, e non già in atto. | |
40 III,33,7-11 | Vorlesung über die Stufenpsalmen (1540) | Per commentare Sal 119,4 ( Frecce acute di un prode, con carboni di ginepro ), Lutero si appella a un altro versetto dei salmi, Sal 17,13, in cui si afferma che davanti alla sua folgore si dissipavano le nubi con grandine e carboni ardenti . Il tutto per spiegare che per carboni l autore biblico intende una fiamma molto luminosa, come si verifica in un fulmine. E a questo proposito che viene chiamato in causa Aristotele. Si tratta di una citazione preziosa, perché potrebbe essere l unica che attesta la conoscenza del De coloribus aristotelico da parte di Lutero, là dove appunto Aristotele tratta della mescolanza di vari colori, per cui il nero e il luminoso danno come risultato il rosso, come avviene nei carboni ardenti. Va detto però che lo stesso esempio si trova anche nei Topici. | 599 | 1532-1533 | De color. II,792a,13-15; Top. V,5,134b,25-34 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 33 | carbo, lohe, liecht, fulgur, flamma, koln, blesen, psalmus, ardere, schwartz | no | Carbones non sunt nostri, sed quasi ist liechte lohe, Ut 18. psalmus: fulgura cum carbonibus . Vocat fulgura, nennt er carbones ab ardere, quod videntur in fulgure merae flammae. Aristoteles distinguit: ut in koln blest et nihil videtur quam flamma. Nos vocamus schwartz. | I carboni non sono quelli che intendiamo noi, ma quasi una fiamma splendente, come dice il salmo 18 folgori con carboni . Egli dice folgori e nomina i carboni perché ardono, visto che nel fulmine non si vedono che fiamme. Aristotele fa una distinzione quando scrive: Come soffia sul carbone e non si vede null altro che fiamma . Noi invece diciamo nero come il carbone. | |
40 III,152,33-153,13 | Vorlesung über die Stufenpsalmen (1540) | Interessante dichiarazione di Lutero, che prende (molto opportunamente) spunto da una citazione del De anima, secondo cui l'attività razionale dell'uomo non potrebbe avere luogo se non ci fossero le immagini, i phantasmata. Lutero già in WA 25,336,34-38 aveva parlato del rapporto che intercorre tra sensazione e conoscenza, paragonando la prima all'ascolto della parola di Dio e la seconda alla fede. In questo contesto, in cui cioè l'aristotelismo non è usato metaforicamente ma in senso proprio, Lutero invece condanna Aristotele, e, come egli nota espressamente, la filosofia e la ragione umana. Verbi quali sentire, videre, comprehendere, experiri devono essere superati in prospettiva cristiana perché l'intellectus fidei non ha alcun rapporto con le normali facoltà conoscitive dell'uomo, tanto meno con un'immaginazione fin troppo improntata dalla sensibilità. Coerente dunque l'atteggiamento luterano di condanna verso questo fondamentale snodo della psicologia aristotelica. | 599 | 1532-1533 | De an. III,8,432a,4-11 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 153 | sapientia, caro, comprehendere, scire, verbum, sentire, videre, philosophia, ratio, intellectus, phantasma, speculari, oculus, removere, diversus, humanus, sapere, audire, experiri | no | Omnis enim sapientia haec in eo est posita, ut ex oculis removeamus, quicquid caro potest compraehendere, et secundum verbum diversum ab eo, quod scimus, sentimus et videmus, statuamus. Proprie igitur est contra Philosophiam et rationem humanam. Necesse est, inquit Aristoteles, habentem intellectum fantasmata speculari. Sed hic diversum fit. Nam Christianum necesse est plane nihil speculari et tamen intellectum habere et sapere, si quidem videt, audit et experitur contraria. | Ogni sapienza di questo tipo è infatti riposta in Lui, così che allontaniamo lo sguardo da qualunque cosa possa essere comprensibile alla carne e decidiamo secondo un criterio diverso da quello con cui conosciamo, sentiamo e vediamo. Questo salmo si oppone quindi propriamente alla filosofia e alla ragione umana. E' necessario, dice Aristotele, che chi ha un intelletto speculi a partire dalle immagini mentali. In questo caso però le cose non stanno affatto così. Infatti è evidente che il cristiano non ha alcun bisogno di speculazioni e tuttavia ha un intelletto ed esercita la sapienza, se gli capita di vedere, udire e provare qualcosa di discordante da essi. | |
40 III,202,10-203,6 | Vorlesung über die Stufenpsalmen (1540) | Lutero si appresta a commentare il salmo 126: Se il Signore non costruisce la casa . Un salmo che gli dà l occasione di aprire una discussione di carattere politico e religioso insieme, proprio perché fonda la possibilità della convivenza umana sull iniziativa di Dio e non sugli sforzi umani. Neppure la politica, uno dei pochi ambiti in cui Lutero riconosceva una certa autonomia al pensiero umano (e infatti Aristotele qui viene lodato per i suoi scritti politici), si mantiene in piedi senza l intervento divino. La scienza politica conosce la causa materiale e formale, cioè gli elementi esteriori, costitutivi dello stato. Non può invece nulla in ordine alla causa finale ed efficiente, cioè a proposito dei fondamenti e del fine della convivenza. A questo si deve l incapacità di tale scienza di incidere veramente sulla storia: l insuccesso pratico, esemplificato ampiamente da Lutero, assume la funzione di confutazione anche teoretica di questi sistemi. Non deve perciò sfuggire la radicalità della critica di Lutero alla possibilità di una scienza politica ed economica (nel senso aristotelico dei termini) realmente autonome. Va notata infine la peculiare lettura luterana del fine dell'etica aristotelica, un fine individuato politicamente nell honestas e nella gloria. Ma se è vero che Aristotele stesso indica la politica come scienza architettonica, alla quale appartiene la conoscenza del bene supremo (Eth. Nic. I,2,1094a,18-29), egli spiega anche che fine della politica è spingere l uomo ad esercitare le parti più alte dell anima (Pol. VII,13,1333a,24-1333b,4), e precisa che nello stato migliore le virtù dell uomo e le virtù del cittadino si identificano (Pol. III,18,1288a,33-1288b,2). E Aristotele stesso, infine, ad affermare nei capp.4 e 5 del primo libro dell Etica Nicomachea che la gloria, come il piacere e la ricchezza, non può essere un fine adeguato per il perfezionamento dell'uomo. | 623 | 1532-1533 | Metaph. V,2,1013a,24-1014a,30; Eth. Nic. I,2,1094a,18-29; II,6,1106b,36-1107b,1; V,2,1130b,30-1131a,1; Pol. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 202 | lex, respublica, domus, successus, causa-materialis, causa-formalis, causa-efficiens, causa-finalis, oeconomia, politia, Cicero, Plato, honestas, gloria, vir-prudens, magistratus, iustitia-distributiva, iustitia-commutativa, administrare, fructus, eventus, docere, destituere, gerere, sons, insons, tractare | no | Ceteri omnes dictant leges et scribunt, quomodo debeat administrari respublica, domus, praescribunt optimas leges, sed successum, fructum et eventum prorsus non docent. Ideo destituuntur in isto successu et nesciunt, unde aut quorsum. Causam materialem et formalem; finalem et efficientem nunquam treffen; nesciunt, unde veniunt oeconomia et politia et quorsum differenda. Aristoteles in Aethicis et politicis, qui tamen optime, Cicero et Plato, de legibus. Efficientem et finalem causam non attingunt. Optima causa finalis honestas, gloria. Efficiens est vir prudens, prudens magistratus, vir et civis bonus. Formalis: Sic gerenda respublica, distinguenda iustitia in distributivam et commutativam etc. Sic debent puniri sontes, defendi insontes etc. Formalis causa satis bene et digne tractata, sed unde accipitur? | Tutti gli altri autori definiscono le leggi, scrivono sul modo in cui si amministrano lo stato e la famiglia, inventano leggi ottime, ma non possono proprio insegnare la riuscita, il frutto e ciò che accadrà in futuro. Perciò falliscono proprio dove dovrebbero riuscire e non sanno spiegare da dove e verso dove va lo stato. Conoscono la causa materiale e la formale, ma non arrivano alla causa formale e la causa efficiente; ignorano che origine abbiano l'economia e la politica e a cosa tenda ciascuna delle due. Aristotele ha scritto pagine egregie nell'Etica e nella Politica, Cicerone e Platone sulle leggi, ma non arrivano alla causa efficiente e alla causa finale. La più alta causa finale è l'onestà o la gloria. La causa efficiente per loro è l'uomo assennato, colui che esercita una carica pubblica con saggezza, il buon uomo e buon cittadino. Ecco la causa formale: così si amministra lo stato, così va distinta la giustizia in distributiva e commutativa eccetera, così si devono punire i malfattori, difendere gli innocenti eccetera. La causa formale è trattata abbastanza bene e adeguatamente, ma da dove viene attinta? | |
40 III,202,27-203,20 | Vorlesung über die Stufenpsalmen (1540) | Il soggetto della prima proposizione è alii scriptores, sive philosophi, sive oratores, dove alii sta per tutti, ad esclusione dell'autore biblico. Il brano corrisponde a WA 40 III,202,10-203,6, esaminato più sopra. Il significato del brano ricorda quanto Lutero stesso afferma nel 1518 a proposito della filosofia nelle tesi filosofiche della Disputa di Heidelberg, là dove afferma che Ideo philosophari extra Christum idem est, quod extra matrimonium fornicari, nusquam enim utitur, sed fruitur homo creatura (WA 59,410,10-12). La fede, cioè, è condizione di possibilità per un adeguato esercizio della scienza politica, perché solo la fede sa quali siano l'origine, il principio animatore e il fine della convivenza civile. Questo non implica la condanna degli autori pagani, ma il riconoscimento di quella che a Lutero sembra un'inevitabile inadeguatezza. | 623 | 1532-1533 | Metaph. V,2,1013a,24-1014a,30; Pol.; Oecon.; Eth. Nic. II,6,1106b,36-1107b,1 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 202 | causa-materialis, causa-formalis, causa-efficiens, causa-finalis, respublica, familia, lex, dictare, praescribere, ratio, successus, politia, oeconomia, Xenophon, Cicero, Plato, honestas, gloria, magistratus, civis, sapiens, prudens, administrare, gubernare, succedere, nosse, scribere, pax, honestum, gloria, vir, Salomon, audire | no | Quanquam enim leges dictant et rationes praescribunt, quibus recte administrari respublica et familia pulchre gubernari possit, tamen non sciunt, unde successus petendus sit, ut illa, quae recte consulta sunt, succedant. Nam materialem et formalem causam solum tum Politiae, tum Oeconomiae norunt, finalem autem et efficientem causam non norunt, hoc est, nesciunt, unde veniant Politia et Oeconomia et a quo conserventur, item quo tendant. Aristoteles igitur in Ethicis et de Republica, item Xenophon, Plato, Cicero et alii, quanquam de Republica praeclare scripserunt, tamen veram efficientem et finalem causam non attingunt. Causam enim finalem optimam et praecipuam putant esse pacem politicam, honestum, gloriam etc. Efficientem autem causam constituunt virum sapientem seu prudentem Magistratum vel, ut ipsi loquuntur, virum et civem bonum. Sed Salomonem audiemus aliter et proprie magis disputantem. | E per quanto essi inventino leggi e prescrivano regole con le quali si possa amministrare bene lo stato e provvedere esemplarmente al sostentamento della famiglia, tuttavia non sanno a chi votarsi per il buon esito, perché le decisioni che hanno preso con saggezza poi si attuino. Il fatto è che essi conoscono solo la causa materiale e formale tanto della politica quanto dell'amministrazione domestica, mentre non conoscono la causa efficiente e la causa finale; insomma, della politica e dell'amministrazione domestica essi ignorano l'origine da cui provengono, il principio che le anima, il fine a cui tendono. Aristotele nell'Etica e nella Politica, e allo stesso modo Senofonte, Platone, Cicerone e altri, per quanto abbiano scritto cose eccellenti sullo stato, non raggiungono la vera causa efficiente e finale. Essi infatti ritengono che la migliore e più importante causa finale sia la pace politica, l'onorabilità, la gloria e via dicendo. Causa efficiente, secondo loro, è l'uomo sapiente o l'uomo di stato assennato o, come dicono loro, l'uomo buono e il buon cittadino. Ma ora sentiremo che Salomone tratta di queste cose in modo ben diverso e più adeguato. | |
40 III,203,20-31 | Vorlesung über die Stufenpsalmen (1540) | Anche questo brano corrisponde a WA 40 III,202,10-203,6 (questa è un'edizione a stampa, mentre l'altro è un manoscritto), esaminato più sopra. E' evidente che è proprio alla concezione aristotelica che si fa riferimento, anche se gli autori nominati sono anche Platone, Senofonte e Cicerone. Il brano sembra ben strutturato ma è in realtà assai ambiguo. Dopo aver correttamente parlato di una giustizia commutativa o correttiva e di una giustizia distributiva, Lutero attribuisce alla giustizia correttiva il compito di regolare i contratti, alla distributiva quello di punire i colpevoli e difendere gli innocenti. In realtà nel quinto libro dell Etica Aristotele attribuisce entrambi i compiti a due diversi tipi di giustizia correttiva, quella che si riferisce alle relazioni sociali volontarie e quella che si riferisce alle involontarie (Eth. Nic. V,2,1131a,1). Alla prima Aristotele demanda appunto il compito di sovrintendere a contratti come la vendita, l acquisto, il prestito, la locazione; e invece che la seconda si occupi di fatti quali il furto, l adulterio, l assassinio, la rapina, la diffamazione (Eth. Nic. V,2,1131a,2-9). La giustizia distributiva infatti non ha nulla a che fare con la punizione del colpevoli e la tutela degli innocenti, ma con la ripartizione degli onori e delle ricchezze e di tutti i beni divisibili tra chi fa parte della cittadinanza. Traspare dalle righe l'ammirazione di Lutero verso la Politica aristotelica: formalem causam recte tenent , hanc causam pulcherrime et optime tractant , anche se la limitazione sopra accennata resta in vigore. La sapienza mondana si ferma cioè alle cause materiale e formale e non attinge mai l'efficiente e la finale; essa può descrivere la forma di governo migliore ma l'attuarla non è in suo potere. | 623 | 1532-1533 | Metaph. V,2,1013a,24-1014a,30; Eth. Nic. V,2,1130b,30-1131a,1 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 203 | philosophi, causa-materialis, causa-formalis, causa-efficiens, causa-finalis, respublica, iusticia-commutativa, iusticia-distributiva, gerere, contractus, successus, consilium, lex, gloria, pax, opulentia, punire, sons, insons, tractare, satis, instituere, sapientissimus, vir, commovere, pulcherrimus, vis, servare, evenire, diversum, eventus | no | Philosophi igitur formalem causam recte tenent, quomodo sit gerenda Respublica, quod alicubi iusticia commutativa, alicubi distributiva sit sequenda, quod secundum hanc puniendi sontes, defendendi insontes sint, secundum illam constituendi contractus etc. Hanc causam pulcherrime et optime tractant, sed haec non satis est; nam cum haec ita instituta sunt, requiritur etiam successus. Videmus sapientissimos viros graviter commoveri, cum pulcherrimis suis consiliis successum deesse vident, Leges enim habent iustissimas et honestissimas et summa vi in id incumbunt, ut Leges illae serventur, Sed in efficienti et finali causa haerent. Quia enim statuunt finem gloriam, pacem, opulentiam, haec autem non semper eveniunt, saepe etiam diversum accidit. Manifestum ergo est, hos eventos non esse causa finalem. | I filosofi hanno un giusto concetto della causa formale, e quindi del modo di amministrare lo stato, del fatto che alcune volte vada applicata la giustizia commutativa, altre volte la distributiva e che seguendo questa si puniscono i malfattori e si tutelano gli innocenti, mentre in base a quella si stipulano i contratti e via dicendo. Questo tipo di causa è studiato da loro molto bene e a fondo, ma esso non è sufficiente; infatti una volta che si è organizzato così lo stato, è necessaria anche la riuscita effettiva. E noi vediamo che uomini sapientissimi sono gravemente messi in crisi dalla mancata riuscita dei loro pur ottimi provvedimenti. Fanno leggi assolutamente giuste e onorevoli e si applicano con tutte le loro forze perché vengano rispettate, ma per quanto riguarda la causa efficiente e la finale non muovono un passo. Stabiliscono infatti come fine la gloria, la pace, il benessere che non sempre si realizzano; anzi, spesso capita proprio il contrario. E' del resto evidente che cose così soggette al caso non possono essere la causa finale. | |
40 III,231,35-232,21 | Vorlesung über die Stufenpsalmen (1540) | Il contenuto è lo stesso di WA 40 II,421,16-422,2; 40 III,231,35-232,21. Lutero sottolinea l immagine di una divinità che non permette che il mondo vada per suo conto senza la sua assistenza divina. Ma probabilmente non è di Aristotele che si parla, anche se in WA 40 II,421,16-422,2 viene citata anche la frase dei Magna Moralia non vadit dormitum . Probabilmente Lutero ha presente questa citazione ma in modo del tutto avulso dal contesto, visto che, com egli stesso afferma più volte (cfr. WA 18,706,22s.) il dio aristotelico si disinteressa del mondo. | 623 | 1532-1533 | M. Mor. II,15,1212b,39 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 232 | philosophus, Deus, coniugium, politia, architectus, navis, nauta, gubernare, curare, permittere, facere, abire, oeconomia, nescire, opinari, agere, permittere | no | Non enim fecit et abiit, dixit quidam Philosophus de Deo, et recte. Neque enim fecit coniugium et politiam Deus, sicut architectus navim, qui, postquam absolvit opus, ab eo discedit et nautae regendam navim committit. Sed adest creaturae suae Deus et gubernat tam Politiam quam Oeconomiam. Hoc nesciunt homines et opinantur Deum non curare, quae agimus, sed permittere ea nobis. | Non creò per poi andarsene , disse un filosofo a proposito di Dio: e giustamente. Dio infatti non istituì il matrimonio e la politica, come fa l'architetto che progetta la nave il quale, una volta terminato il suo lavoro, lo abbandona e lascia la nave alla guida del nocchiero. Dio invece rimane a fianco della sua creatura e conserva sia la scienza politica sia l'amministrazione della famiglia. Ma gli uomini ignorano queste cose e credono che a Dio non interessi ciò che facciamo, ma che anzi egli ci permetta di fare queste cose. | |
40 III,232,1-2 | Vorlesung über die Stufenpsalmen (1540) | Anche in questo caso i due passi di riferimento sono WA 40 II,421,16-422,2; 40 III,232,1-2 e l aggancio ad Aristotele sta in quella frase dei Magna Moralia ( deus non vadit dormitum ), citata nel primo di questi brani, che però nel contesto aristotelico è riferita all inesausta attività del motore immobile, non al suo rapporto con il mondo. In questo passo poi pare che Lutero voglia riferirsi a un filosofo arabo, forse Avicenna. | 623 | 1532-1533 | M. Mor. II,15,1212b,39 ? | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 232 | philosophus, facere, abire, mahometista, arabs, (mundus), (deus) | no | Philosophus: Non enim fecit et abit; Mahometista, Arabs. | Disse un filosofo: Non creò il mondo per abbandonarlo ; un maomettano, un arabo. | |
40,242,9-12 | Vorlesung über die Stufenpsalmen (1540) | Non si tratta del secondo libro dell'Etica Nicomachea, come ritiene Lutero, ma dei Magna Moralia, un'opera che Lutero, in tutta la sua produzione, cita ben poche volte e quasi solo in queste lezioni. La presenza di citazioni errate sta a dimostrare da una parte la minore consuetudine di Lutero con il testo aristotelico, che è tipica degli ultimi anni, dall'altra però anche la vivezza di un patrimonio di sentenze impresse nella memoria e che costituiscono buona parte del suo background culturale. Lutero sta commentando Sal 126,2: Invano vi alzate di buon mattino, tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore: il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno . Una sentenza che, agli occhi dei pagani, secondo Lutero non può che tradursi con la convinzione che le cose sono dominate dalla fortuna e che tutti gli sforzi umani sono inutili. | 623 | 1532-1533 | M. Mor. II,8,1207a,4-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 242 | fortuna, casus, sapiens, stultus, latro, felix, intellectus, dominare, fieri, optimus, homo | no | Concluserunt: fortuna est, quae dominatur in omnibus Rebus; Omnia fiunt casu, quia, quo sapientiores, hoc stultiores; latrones sunt feliciores quam optimi homines. Ubi minor intellectus, ibi maior fortuna, Aristoteles Ethicorum 2. | Essi arrivarono a questa conclusione: è la fortuna che domina in tutte le cose. Tutto avviene a caso perché tanto più uno è sapiente, tanto più è stolto e i delinquenti sono più felici degli uomini migliori. Dove minore è l'intelligenza, lì c'è maggior fortuna, come dice Aristotele nel secondo libro dell'Etica Nicomachea. | |
40 III,242,29-35 | Vorlesung über die Stufenpsalmen (1540) | Il brano corrisponde (questo fa parte dell'edizione a stampa mentre quello del manoscritto) a WA 40,242,9-12 commentato sopra. In più, però, c'è un'interessante precisazione di Lutero sul pensiero aristotelico, che non ammetterebbe un semplice dominio della fortuna sui casi umani. E' una precisazione che dimostra la buona conoscenza del testo (vedi ad esempio, nello stesso capitolo dei Magna Moralia il passo 1207b,13-15) e della dottrina aristotelici da parte di Lutero ed è d'altra parte coerente con il ritratto che Lutero traccia del filosofo, come di colui che ha affermato la massima importanza delle virtù - totalmente dipendenti dagli sforzi umani - in ordine alla felicità dell'uomo. | 623 | 1532-1533 | M. Mor. II,8,1207a,4-6; II,8,1207b,13-15 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 242 | fortuna, respublica, sapiens, stultus, foelicitas, tyrannus, intellectus, sententia, imperum, casus, dominare, fieri, administrare, sequi, vir, summus, citare, sapientia | no | Coacti igitur sunt dicere Fortunam dominari in rebus, Item, casu omnia fieri. Quia quo sapientiores fuerunt, eo fere stultius administrarunt omnia, et maior foelicitas tyrannos saepe secuta est quam summos in Republica viros, sicut ex Aristotele quoque citarunt Ibi maiorem esse fortunam ubi intellectus est minor. Quanquam enim Aristotelis alia sit sententia, verum tamen est, quod summa sapientia evertit summa Imperia. | Perciò essi furono costretti a dire che le cose sono dominate dalla fortuna, e cioè che tutto avviene per caso. C'è quasi una proporzione diretta infatti tra la loro saggezza e il modo dissennato con cui governarono tutto; spesso anzi i tiranni procurarono maggiore prosperità che i più degni esponenti della repubblica, e così essi citarono anche Aristotele: la fortuna è maggiore là dove è minore l'intelligenza . Aristotele in verità non la pensa così, ma è pur vero che è la più grande sapienza quella che manda in rovina i più grandi imperi. | |
40 III,321,15-322,6 | Vorlesung über die Stufenpsalmen (1540) | I due vides sono stati qui considerati errori del manoscritto in luogo di videt, in considerazione anche dell edizione a stampa, riportata in WA 40 III,232,18-20. L edizione di Weimar li considera invece Worte des Menschen an Gott (ibidem). Lutero qui torna sull obiezione che egli più di frequente (cfr. ad es. WA 18,716,22; 39 I,179,30; 43,240,24) muove al Dio aristotelico, il quale non si cura delle cose umane ma si compiace solo della propria perfezione. Secondo Lutero, Aristotele, pur non attribuendo la stoltezza a una siffatta divinità, la priva della sapienza. Un affermazione quest ultima comprensibile nell ottica luterana, ma del tutto ingiustificata in quella aristotelica, secondo cui la conoscenza contemplativa propria del motore immobile è la più alta forma di intelligenza, pensiero di ciò che è di per sé più eccellente. | 625 | 1532-1533 | Metaph. XII,7,1072a,19-1073a,13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 322 | deus, ignarus, videre, intelligere, curare, considerare, stultus, nobilissimum, primus, sapientia, beatitudo, halten, res, homo, contentus, necessitas, impius, florere, pius, conculcare | no | Sic scribit Aristoteles, helt deum ignarum, qui nihil videt, intelligit rerum in terris vel apud homines; non dicit stultum. Est eis nobilissimum et primum, sed quod praeter se nihil intelligat, consideret, curet. Non tribuit ei stulticiam, sed adimit ei sapientiam; sit contentus sua beatitudine in semetipso; non curat res humanas; non nostras necessitates vides, vides rem. Impii florent, pii conculcantur. | Così scrive Aristotele: egli ritiene che Dio non sappia, che non veda e non capisca nulla di ciò che avviene sulla terra tra gli uomini. Non lo chiama stupido, anzi, per loro è il più nobile e il primo tra gli esseri, eppure egli non capisce, non prende in considerazione, non si preoccupa di nulla al di fuori di sé. Aristotele non gli attribuisce la stoltezza, ma lo priva della sapienza e lo considera soddisfatto in se stesso della sua beatitudine, incurante delle cose umane, all'oscuro delle nostre necessità e delle cose. E così gli empi prosperano mentre i giusti vengono calpestati. | |
40 III,322,12-22 | Vorlesung über die Stufenpsalmen (1540) | Più che il contenuto del brano (che ricalca WA 40 III,321,15-322,6 nella critica al motore immobile) sono interessanti la motivazione che a giudizio di Lutero ha spinto Aristotele ad abbracciare questa concezione della divinità e la caratterizzazione psicologica che ne consegue. In primo luogo Lutero attribuisce a un intervento del diavolo l'aver sviato l'uomo dalle nozioni che la ragione gli fornisce a proposito di Dio: onnipotenza, sapienza e bontà. Satana, anzi, le avrebbe usate contro l'uomo stesso, determinando l'idea di un Dio che si disinteressa delle cose umane. In secondo luogo va posto l'accento su una ragione umana costretta (coacti), quasi suo malgrado, a riconoscere questi attributi divini, e che accetta la concezione della divinità di Aristotele per disinteresse verso la religione, causato dal prevalere degli interessi temporali. Di questa caratterizzazione fa parte anche il ritratto di un Aristotele un po' ipocrita, che non ha coraggio di definire apertamente stultus questo Dio ma che non rinuncia ad adimere (sc. Deo) scientiam et constituere ignarum rerum humanarum . Più che esercitare la critica a una concezione filosofica, Lutero in pochi tratti ricostruisce una panoramica dell'umanità decaduta e della sua concezione di Dio. Aristotele dunque è doppiamente messo sotto accusa, per le sue teorie su Dio e per il suo atteggiamento poco chiaro e poco incline alla religione. | 625 | 1532-1533 | Metaph. XII,7,1072a,19-1073a,13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 322 | omnipotentia, sapientia, bonitas, diabolus, Deus, administratio, infirmus, impotens, stultus, ignarus, negocium, delectari, speculatio, principium, cogere, excutere, manus, delabi, sententia, intelligere, videre, considerare, speculatio, scientia, uti | no | Quia enim cogimur Deo tribuere omnipotentiam, sapientiam et bonitatem, arguit diabolus ex concessis principiis contra nos et hoc ipsum, quod cogimur Deo tribuere, iterum quasi de manibus excutit, ut victi rerum praesentium administratione statuamus Deum aut nullum esse aut infirmum ac impotentem esse; sicut Aristoteles in eam fere delabitur sententiam, ut, et si Deum non appellat stultum, tamen ignarum omnium rerum statuat, qui nihil nostrorum negociorum intelligat et videat, nihil consideret praeter seipsum et tantum delectetur in speculatione sui ipsius. Hoc autem et si non stulticiam tribuere, tamen certe est adimere scientiam et constituere ignarum rerum humanarum. Sed quid ad nos talis deus aut quis eius est usus? | Poiché infatti siamo costretti ad attribuire a Dio l onnipotenza, la sapienza e la bontà, il diavolo da questi principi che ci venivano concessi ne trasse conclusioni sfavorevoli a noi e inoltre ci fece quasi sfuggire dalle mani queste stesse cose che siamo costretti ad attribuire a Dio, così che, sopraffatti dalla preoccupazione per le cose presenti riteniamo che Dio non esiste o che è debole e non può nulla. E così Aristotele si lascia quasi andare a questa idea, al punto che, anche se non chiama proprio stupido Dio, tuttavia lo descrive come all oscuro della realtà e tale che non capisca e non veda nessuna delle nostre attività, che non guardi a nulla all infuori di sé e che si compiaccia solo della contemplazione di sé. Se questo non è proprio attribuirgli la stoltezza, perlomeno è privarlo della conoscenza e immaginarlo ignorante della realtà umana. Ma che interesse può avere per noi un Dio come questo e chi ha mai potuto entrare in rapporto con lui? | |
40 III,493,6-8 | Enarratio Psalmi XC (1541) | Il salmo 89 si sofferma a lungo sulla precarietà e fragilità della vita umana, chiedendo alla fine a Dio di manifestare la sua opera per porre rimedio a questa fragilità. E' dunque l'intervento della grazia che può dare una risposta al problema della morte; l'atteggiamento meditativo non serve a nulla. Per Lutero non c'è nulla nella natura che possa essere considerato come preparazione alla grazia se non il peccato. Da questo punto di vista Aristotele ed Epicuro sono sullo stesso piano, anzi, la dottrina epicurea (intesa da Lutero come un puro edonismo) non fornisce alibi al peccatore, mentre Aristotele si pone in qualche modo in concorrenza con la grazia, offrendo rimedi che sono tali solo in apparenza di fronte ai problemi ultimi. Ma è proprio di Aristotele che si sta parlando? E vero che, come suggerisce l apparato critico di WA, le Tusculanae disputationes (I,4ss.) riportano un passo di Aristotele al riguardo, ma è possibile che qui però Lutero voglia riferirsi a Platone e alla celebre definizione del Fedone (81A) della filosofia come melevth qanavtou. Lutero la cita in greco per ben due volte, in WA 9,16; 3,219,32. | 612 | 1534-1535 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 493 | meditatio, mors, remedium, Epicureus, praestare, psalmus, ira, respiraculum | no | Aristoteles etiam dixit meditationem mortis esse remedium. Sed praestat esse Epicureum quam in meditatione mortis esse, si non adsit altera pars salmi, scilicet post iram horribilem spes illa et respiraculum. | Anche Aristotele ha detto che la meditazione della morte è un rimedio. Ma è preferibile essere epicureo piuttosto che essere in meditazione della morte se non si verifica la seconda parte del salmo per il quale dopo l'ira tremenda c'è la speranza e il sollievo. | ||
40 III,493,22-25 | Enarratio Psalmi XC (1541) | Il contenuto è lo stesso di WA 40 III,493,6-8. 33. Non è la prima volta che Aristotele viene accostato da Lutero ad Epicuro (cfr. WA 39 II,255,11s., dove però Lutero individua una continuità tra i due pensatori). Ma probabilmente non è di Aristotele ma di Platone che Lutero intende parlare (cfr. il commento al passo citato). | 612 | 1534-1535 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 493 | meditatio, mors, remedium, tolerabilis, sentire, monachus, aestimare, epicureus, mors, spes, vita, misericordia | no | Aristoteles sentit, sicut Monachi, meditationem mortis esse remedium, quod mortem tolerabiliorem faciat. Sed si recte aestimaverimus, praestat plane Epicureum esse quam mortem meditari, si desit altera pars, scilicet post iram spes illa vitae et misericordiae. | Aristotele insegna, così come fanno i monaci, che la meditazione della morte è un rimedio che rende più sopportabile la morte stessa. Ma a ben vedere, converrebbe molto di più essere epicureo piuttosto che meditare la morte, se manca la seconda parte del salmo, quella secondo cui dopo l'ira c'è la speranza della vita e della misericordia. | ||
40 III,563,11-13 | Enarratio Psalmi XC (1541) | Il commento verte su Sal 89,10: Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti, ma quasi tutti sono fatica, dolore, passano presto e noi ci dileguiamo . Se qualcuno sfugge a questa condizione di dolore e fatica, annota Lutero, è l'eccezione che conferma la regola. E cita così il proverbio aristotelico di Eth. Nic. I,7,1098a,18. Che Lutero si rifaccia proprio ad Aristotele (come spesso capita, non chiamato in causa direttamente) lo testimonia il fatto che le citazioni luterane del primo libro dell'Etica Nicomachea sono moltissime. Lutero inoltre richiama lo stesso proverbio in WA 42,34,8. | 612 | 1534-1535 | Eth. Nic. I,7,1098a,18 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 563 | senectus, molestus, iniucundus, vivere, multitudo, hirundo, ver, facere, proverbium | no | Quodsi fuerunt aliqui, qui senectutem nec aliis molestam nec sibi iniucundam vixerunt, Quid ii sunt ad totam reliquam multitudinem? Neque enim, ut in Proverbio est, Una hirundo ver facit. | E se anche ci sia stato qualcuno che ha vissuto una vecchiaia non fastidiosa per gli altri e non triste per sé, cosa sono costoro di fronte alla massa di tutti gli altri? Infatti, come dice il proverbio, una rondine non fa primavera. | |
40 III,608,15-24 | Enarratio capitis noni Esaiae (1546) | Lo stesso vale per l'Etica Nicomachea, peggiore di ogni altro libro, direttamente contrario alla grazia di Dio e alle virtù cristiane e che pure viene reputato uno dei migliori (...) , diceva Lutero nel 1520 (WA 6,458,14ss.) Il tono, a oltre vent anni di distanza, è radicalmente cambiato. Aristotele scrive praeclare et erudite, i suoi libri sono utilissimi. Utili sì, però solo a questa vita. Per la salvezza, per le cose che agli occhi di Lutero contano veramente, Aristotele non è di nessun aiuto, come Lutero stesso sottolinea con l efficace iterazione di non possunt. E in ballo non è solo la conoscenza di Dio, ma anche dell uomo stesso, come l ultima frase precisa. La lettura luterana di Aristotele non cambia, nella sostanza, i suoi criteri nel corso degli anni. | 206 | 1543-1544 | Eth. Nic. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 608 | Cicero, virtus, prudentia, temperantia, praeclare, erudite, utilissimus, haec-vita, praestans, Deus, se, cognitio, scribere, docere, liber, exigere, verus, sapientia, discere, peccatum, mors, inferi, conscientia, anxius, pavitare, serenare, placare, anima, securitas, indere, via, regnum-caelorum, imbuere | no | Cicero praeclare scripsit ac docuit de virtutibus, prudentia, temperantia ac reliquis, Item et Aristoteles praeclare et erudite de Ethicis; Utilissimi quidem libri utriusque et ad vitam hanc exigendam summe necessarii. Sed ex eorum scriptis quantumvis praestantibus vera tamen illa sapientia disci non potest, non enim docent me, quomodo liberari possim a peccatis, morte et inferis, non possunt conscientiam anxiam et pavitantem serenare et placare, non possunt veram animae securitatem indere, non possunt viam perveniendi ad Deum in regnum coelorum commonstrare, non possunt vera Dei ac mei ipsius cognitione me imbuere. |
Cicerone scrisse e insegnò cose egregie sulle virtù, sulla saggezza, la temperanza e tutte le altre virtù, e lo stesso fece egregiamente e con erudizione Aristotele a proposito dell'etica. I libri di entrambi sono utilissimi, certo, e necessari in massimo grado per vivere questa vita. Il fatto è che dai loro scritti, per quanto siano di grande valore, non si può imparare l'unica vera sapienza. Non mi insegnano come posso essere liberato dai peccati, dalla morte e dall'inferno, non possono rasserenare e placare la coscienza angosciata e timorosa, non possono dare l'autentica sicurezza all'anima, non possono indicare la strada per arrivare a Dio nel regno dei cieli, non possono istruirmi con la vera conoscenza di Dio e di me stesso. |
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40 III,609,40-610,3 | Enarratio capitis noni Esaiae (1546) | Lutero è alle prese con Is 9,5s. Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, padre per sempre, Principe della pace ; grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno (...) . L argomento dunque è Cristo. Lutero si rifà ad Aristotele solo per una precisazione di carattere erudito, cioè per dire che quello che normalmente viene detto argomento è chiamato da Aristotele soggetto. Lo stesso tipo di precisazione era stata fatta in un altra opera del 1523: cfr. WA 11,298,13-17. | 206 | 1543-1544 | Rhet. I,3,1358b,1? | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 610 | argumentum, subiectum, tractare, explicare, suscipere, infans, Filius, rex, David, regnare, aeternum | no | Argumentum itaque, ut dixi, seu subiectum, ut Aristoteles vocat, huius loci, quem tractandum et explicandum suscipimus, est de infante, de Filio, qui sit Rex futurus super thronum David et regnaturus in aeternum. | Pertanto l'argomento, come ho già detto, o il soggetto, come lo chiama Aristotele, di questo passo che iniziamo a trattare e a chiarire è il bambino, il Figlio, e il fatto che egli sia destinato a diventare re sul trono di Davide e a regnare in eterno. | |
41,474,4-6 | Predigten des Jahres 1535 (Phil. 4,4ff.) | Si ritorna sul concetto aristotelico di ejpieivkeia (cfr. ad esempio WA 42,505,22; 25,59,6; 39 I,61,10; 51,103,15 ecc.). Lutero sta commentando Fil. 4,5: La vostra mitezza (ejpieivkeia) sia nota a tutti gli uomini (...) e passa a parlare di questo vocabolo greco. Evidentemente il termine paolino deve essere piaciuto molto a Lutero se anche qui confessa di non saperne trovare un altro di migliore. Interessante anche il commento, secondo cui Aristotele avrebbe dichiarato di non essere in grado di scrivere un opera su tale virtù. | Pr. 1578 | 1535 | Eth. Nic. V,10,1137a,31-1138a,3 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | gelind, epieikes, virtus, liber, bonus, malus, vocabulum, graecus, gentes, scribere | no | Vestra i.e. Estote, bonis et malis lasst sehen, quod gelinde leute seidt. Usus hoc vocabulo, nescivi aliud nec hodie. Graecum vocabulum. Sic scribit Aristoteles, ubi docet gentes de virtutibus, dicit de hac virtute se non posse scribere librum. | La vostra... significa: siate miti. Che i buoni e i cattivi possano vedere che siete gente mite. Uso questo vocabolo, non ne ho trovato un altro fino ad oggi. E un vocabolo greco. Aristotele scrive, là dove istruisce i pagani sulle virtù, di non poter scrivere un libro a proposito di questa virtù. | ||
41,268,2-6 | Predigten des Jahres 1535 (Apg. 2,16ff.) | La traduzione, molto libera vista l'estrema stringatezza della trascrizione di questa predica, si rifà a WA 32,241,18 e 37,579,4, in cui Lutero esprime gli stessi concetti usando quasi gli stessi termini (in particolare il termine weibisch ritorna sempre). Da questo passo però, grazie alle iniziali precisazioni di Lutero, si può desumere a quale periodo della propria vita egli si riferisca: un periodo di tempo compreso tra il 1505 e (come minimo) il 1512, tra l'ingresso in convento e il conseguimento del dottorato in teologia. Sono certamente anni in cui Lutero continua a studiare Aristotele (nel 1509 commenta l'Etica Nicomachea). Meno probabile appare però che il rapporto tra Aristotele e Cristo nella predicazione fosse tale e quale viene denunciato da Lutero, che quando parla della propria giovinezza non è sempre una fonte attendibile. | Pr. 1546 | 1535 | Phys.; Eth. Nic. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 268 | doctor, geistlich, munch, Iesus, concio, distinctio, quaestio, weibisch, nomen, sacrament, tauff | no | Ubi doctor und geistlich, Munch, non potui de istis rebus loqui. Ego scivi, quod in concione nomen Iesus non auditum. Aristoteles Phisicorum, ethicorum distinctione, quaestione etc. war weibisch, nemo, quid Sacrament, Tauff. | Quando ero dottore e religioso, monaco, non potevo parlare di queste cose. Mi accorsi che il nome di Cristo non si sentiva nelle prediche, regnava Aristotele con le distinctiones e le quaestiones sulla Fisica e sull Etica. Parlare di Cristo era cosa da donne, nessuno diceva cosa fossero i sacramenti, il battesimo. | |
41,423,30-33 | Predigten des Jahres 1535 (2Kor 3,5ff.) | Critica di Lutero al predominio di Aristotele in università e nei conventi, per effetto del quale sarebbe stato dimenticato lo studio di san Paolo e della Bibbia. | Pr. 1568 | 1535 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 423 | gott, ehren, Paul, banck, biblia, mühe, erbeit, tag, nacht, studirn, intelligere, geistlich-recht, munch, lere, narrheit | no | Et deinde unser herr Gott ehre uns, quod nos docti haben S. Paul unter banck lassen liegen et biblia, und hat mühe und erbeit, so tag und nacht studirn, ut intelligamus. Quid so unter banck et Aristotelem, geistlich recht? Munch lere ist narrheit. | E poi il nostro Signore Dio ci perdoni, perché noi dotti abbiamo trascurato san Paolo e la Bibbia e adesso ci vuole un enorme lavoro, occorre studiare giorno e notte per capirli. Perché non trascuriamo piuttosto Aristotele e il diritto canonico? Gli insegnamenti dei monaci sono pazzia. | ||
41,475,19-27 | Predigten des Jahres 1535 (Phil. 4,4ff.) | E Terenzio (Heautontimoroumenos, IV,5,48) e non Cicerone (De officiis 1,10,33) il riferimento classico di Lutero per il proverbio summum ius summa iniuria . Lutero mostra di apprezzare molto questa frase e in generale il concetto di equità che ad essa è sottinteso. Egli così può riprendere l esempio del regolo usato nell edilizia di Lesbo, che non era rigido ma si adattava alla forma delle pietre. L esempio, tratto dall Etica Nicomachea, è usato da Aristotele proprio per commentare la virtù dell equità. Lutero però va ben oltre la scarna annotazione aristotelica e anzi ricostruisce una gustosa scenetta in cui all esempio degli operai, ricco di particolari originali, si aggiunge anche quello del boscaiolo. | Pr. 1578 | 1535 | Eth. Nic. V,10,1137a,31-1138a,3; e in particolare V,10,1137b,28-32 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 475 | summus, ius, iniuria, Terentius, streng, recht, unrecht, heide, bawleute, civitas, videre, stein, reimen, wacker, wartz, lapis, murus, zimerman, arbor, abscidere, per-se, gleich, Lesbum, edificare, unfell, aequitas, moderatio, lex, servus | no | Hinc Terentius: Summum ius, Allzu streng recht ist allzu seer unrecht, Heide dicit: bawleute in Civitate etc. ii non vident, wie ein stein auff den andern reime: sed tantum, ut murus gantz. Alii, das sie sich reimen, Alii, ut wacker er ausstehen, die sehen nicht dran, quod wartz, geschwulst. Si etiam lapis eraus, tamen murus gerade. Sic zimerman, quando abscidit arborem, ist gleich per se. Si vero effte inspicis, so ists ungleich. Sic isti in Lesbo edificarunt i.e. wenn man nicht alle ding kan besser und all unfell fassen, mus man thun ut isti zu Lesbon, ein wacken, ii stehen lassen, maur gleich nach der schnur. Equitatem moderationem legum vocant. | E perciò Terenzio: la massima applicazione del diritto... Un diritto troppo severo è un enorme ingiustizia. Dice un autore pagano: i muratori in una città eccetera. Non stanno a guardare come una pietra si combina sopra l altra, ma solo il muro tutto intero; alcuni puntano a far sì che si combinino bene, altri invece che si reggano forte, senza badare a sporgenze e a giunti. Anche se una singola pietra sporge, il muro comunque sta in piedi. E così un falegname quando taglia un albero: in se stessi sono tutti uguali, ma se stai a guardare i rami, sono diversi. E così questi abitanti di Lesbo hanno costruito. E cioè: quando non si si può curare in modo più fine e senza errori ogni particolare, occorre fare come questi di Lesbo, lo lasciano pure sporgere, l importante è che il muro nel suo complesso sia a piombo. Chiamano equità un applicazione moderata della legge. | |
41,689,10-14 | Predigten des Jahres 1536 (Luk. 7,11ff.) | Lutero fa riferimento a un brano di san Paolo: Non vogliamo poi lasciarvi nell'ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza (1Ts 4,13). Coloro che non hanno speranza sono i pagani, e Lutero precisa: Sic ratio et sapientia humana et philosophia Aristotelis : la filosofia di Aristotele è considerata la massima espressione sia del paganesimo sia della ragione e della sapienza umana. Ma anche Aristotele, di fronte al problema della morte, non offre soluzioni adeguate: su questo tema la religione ebraica e la musulmana vengono considerate da Lutero più vicine alla verità rispetto alla filosofia di Aristotele. | Pr. 1619 | 1536 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 689 | mors, gentes, spes, ratio, sapientia, philosophia, Iudaeus, Turca, medium, mortuus, sapientia, wissen | no | Postea quomodo eripiamur ex morte. Ibi gentes nullam habent spem ut 1. Thes. 4. Illi ignorant, quod ex morte venire debeant, multominus, quo medio. Sed: qui mortuus, manet. Sic ratio et sapientia humana et philosophia Aristotelis. Sed Iudaei et Turcae wissen mher davon. | Consideriamo poi il modo con cui veniamo strappati dalla morte. A questo proposito i pagani non hanno alcuna speranza, come dice il quarto capitolo della prima lettera ai Tessalonicesi. Essi non sanno che debbono ritornare dalla morte, e tanto meno sanno attraverso quale mezzo. Secondo loro chi è morto rimane nella morte. Questo dicono la ragione e la sapienza umana e la filosofia di Aristotele. Ma giudei e turchi ne sanno di più. | ||
41,714,34-37 | Predigten des Jahres 1536 (Phil. 3,17ff.) | Questo passo, una trascrizione di una predica di Lutero su Fil 3,17ss. ( Voi mogli, siate sottomesse ai mariti ...), si presenta estremamente frammentario. Il senso comunque è abbastanza chiaro: una prospettiva intramondana non può dare per Lutero adeguata giustificazione alla moralità umana. L onore di cui parlano i filosofi si trasforma alla fine in una condanna, perché dipende solo dalle forze umane e guadagna a chi lo persegue solo le fiamme dell inferno. Lutero però, affermando che per Aristotele l onore è il fine per cui si deve essere virtuosi, appiattisce la prospettiva etica e politica aristotelica, trascurando del tutto, qui come altrove, la dimensione contemplativa-dianoetica, mentre è Aristotele stesso, nel primo libro dell Etica Nicomachea (capp. 4-5) ad identificare onore e gloria come fini insufficienti, che non realizzano la felicità cercata dall uomo. | Pr. 1625 | 1536 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 714 | ehr, schande, philosophi, iurista, weltlich, virtus, amor, honestas, kostlich, loblich, hausmuter, jungfrau, hellisch, feuer | no | 4. Ehr ist schande. Sic omnium philosophorum, Iuristarum, tantum mit gesucht weltlich ehr, virtutis amore, virtute honestatis. Aristoteles tantum, ut hie ehrlich, kostlich sey, ut est Ehrlich, loblich ding, hausmuter, jungfrau, sed ehr, quae zu letzt schande und hellisch feuer. | 4. L onore è una vergogna. E questo vale per tutti i filosofi e i giuristi. Viene ricercato solo l onore del mondo, per amore di virtù, per la virtù dell onestà. Aristotele dice solo che è una cosa onorevole e preziosa, così come è onorevole e preziosa la condizione di madre e di famiglia e di vergine; ma questo onore alla fine si tramuta in vergogna e fuoco dell inferno. | ||
41,723,7-11 | Predigten des Jahres 1536 (Psalm 126) | Il commento verte su Sal 125,1s. Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion ci sembrava di sognare. Allora la nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia . Questi due versetti vengono applicati da Lutero al tempo presente per spiegare la liberazione della chiesa dalla tirannide aristotelica. Queste righe, tutte ricalcate sulla citazione biblica, conferiscono un valore epocale a questa liberazione dall aristotelismo, giudicato il grande nemico della libertà cristiana. | Pr. 1627 | 1536 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 723 | libertas, gaudere, cantare, deus, gott, danken, lachen, spiritualis, captivitas, vivere, inferi, ratio, philosophi, iurisconsultus, sacra-scriptura, saw, synagog | no | Pro hac libertate gaudebimus, cantabimus, ut textus, ut eitel deo gratias, gott gedankt, lachen, quod ex spirituali captivitate, in qua viximus et ivimus ad inferos. Ratio, philosophi, Iuris consulti, etc. sed nemo potuit, consuluit, quia scriptura sacra sub scamno. Sed Aristoteles, qui in kirche gehort ut saw in Synagog. | Per questa libertà gioiremo, canteremo, per rendere grazie esclusivamente a Dio, grazie al Signore, perché siamo usciti dalla prigionia spirituale nella quale siamo vissuti e che ci conduceva agli inferi. La ragione, i filosofi, i giuristi... nessuno aveva la capacità, era in grado di liberarci, perche la sacra scrittura era relegata in un angolo. Regnava Aristotele, che ha a che fare con la chiesa tanto quanto una scrofa con la sinagoga. | ||
42,XX,6-20 | Genesisvorlesung | Nonostante Lutero ritenga inopportuno commentare il testo sacro avvalendosi di auctoritates pagane (come dice esplicitamente anche nella Genesisvorlesung, cfr. es. WA 43,94,3-7), egli stesso, se non altro per confutarle, le nomina a più riprese. Il passo riportato ne è un significativo esempio. Si tratta di parte di un abbozzo delle lezioni sulla Genesi, in cui Lutero elenca le principali posizioni teologiche, filosofiche e scientifiche e le paragona con quanto emerge dal testo sacro (soprattutto dai primi versetti del primo libro della Genesi). La Bibbia assume anche l'autorità di testo scientifico e i suoi contenuti vengono paragonati con quelli delle scienze. Chiara fin da subito dunque la contrapposizione istituita da Lutero tra la cosmologia biblica e la filosofia aristotelica, di cui Lutero ricorda alcune dottrine, tra le quali quelle degli elementi e del motore immobile. Che queste righe non rimangano un puro programma senza seguito, lo dimostrano passi come WA 42,21,1-31, in cui Lutero riprende puntualmente le stesse dottrine. | 517 | 1535-1545 | De gener. et corr. II,3,330a,30-330b,6; Metaph. XII,8,1073a,14-1074b,14; De caelo I,3,270a,13-270b,26 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | XX | aqua, glacialis, caelum, opinio, firmamentum, aër, sphaera, philosophi, ignis, quinta-essentia, regio, elementum, theologus, astronomi, primum-movens, Avicenna, intelligentia, Cleomedes | no | Quaestio de Aquis supra celum Opinio Aristoteles Cleomedes 1. glaciale coelum Moses 2. firmamentum 3. regio aeris. celum a firmamento dicto e retento nomine 8 speras: Philosophi 1. speram ignis et alii quintam essentiam 3 regiones 4 elementa Theologi decem speras Astronomi 12 speras Aristoteles primum movens ponit Avicenna tot, quot sperae, intelligentias |
Questione delle acque sopra il cielo. Opinione Aristotele Cleomede 1. cielo di ghiaccio Mosè 2. firmamento 3. regione dell'aria. il cielo che viene dal firmamento detto sopra e ne conserva il nome 8 sfere Filosofi 1. sfera di fuoco; altri: quinta essenza 3 regioni 4 elementi Teologi dieci sfere Astronomi 12 sfere Aristotele pone un primo motore Avicenna tante intelligenze quante le sfere |
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42,3,30-4,20 | Genesisvorlesung | Lutero conosceva bene il classico argomento dell'infinità delle anime, che metteva insieme i problemi dell'eternità del mondo e della corruttibilità dell'anima umana, sempre in riferimento alla filosofia aristotelica. Su questo argomento impernia la lunghissima terza tesi e prova filosofica della Disputa di Heidelberg (WA 59,410,13-420,3. E cfr. anche WA 10 I 1,567,22 e 42,408,21-28). Classica anche la definizione di problema dubium o neutrum per l'eternità del mondo. (Cfr. K. MICHALSKI, La philosophie au XIVe siècle: six etudes, Frankfurt 1973 2, p.112; p.239). Lutero usa quindi materiale filosofico ben consolidato per riaffermare l'impotenza della ragione umana, che non è in grado di giungere a conclusioni accettabili su temi caratterizzati da maiestas, che sono afferrabili solo dalla teologia sulla base della rivelazione. Da questo punto di vista il problema costituito da un filosofo più conciliabile con il cristianesimo viene risolto con la leggenda medievale secondo cui Platone in Egitto venne a conoscenza della religione ebraica. Ciò che di giusto dice Platone non è dunque frutto di speculazione umana, ma è tratto dalla rivelazione. Tutto questo significa per Lutero Philosophorum opiniones explicare e non solo recitare, come egli accusa Niccolò da Lyra di fare. | 517 | 1535-1545 | De caelo I,10-II,1; e in particolare II,1,283b,25-284a,2 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 3 | mundus, annus, extare, Philosophus, homo, persuadere, primus-homo, ultimus-homo, aeternus, ratio, humanis, infinitus, infinitum, anima, mortalis, maiestas, Plato, Aegyptus, scintilla, materia, idea, opinio, Lyra, problema-dubium, sententia, altus, ascendere, praecedere, sequi, cogere, periculosissimus, opinio, obruere, impingere, patres, propheta, cepisse, allegare, recitare, explicare | no | Nos ex Moses scimus mundum ante sex milia annorum nondum extitisse. Id Philosopho homini nullo modo poterit persuaderi, quia secundum Aristotelem primus homo et ultimus non potest dari. Quamquam autem Aristoteles relinquit dubium Problema hoc esse: An sit mundus aeternus, tamen in eam sententiam inclinat, quod sit aeternus. Neque enim humana ratio altius potest ascendere, quam ut statuat mundum esse aeternum et infinitos homines praecessisse nos ac sequi; hic cogitur subsistere. Sed ex hac ipsa sententia sequitur periculosissima opinio: Quod anima sit mortalis, quia Philosophia nescit plura infinita. Necesse enim est rationem humanam maiestate harum rerum obrui et impingere. Plato fortasse, ut videtur, collegit in Aegypto scintillas, quasi ex Patrum ac Prophetarum sermonibus, Ideoque accessit propius. Is materiam quidem ponit et ideam aeternam; mundum autem dicit cepisse, et factum esse ex materia. Sed desino Philosophorum opiniones allegare, nam istas Lyra recitat, quamquam non explicat. |
Noi sappiamo da Mosè che il mondo seimila anni fa non esisteva ancora, cosa di cui il Filosofo (che è un uomo) non poté essere persuaso, visto che per Aristotele non si può parlare di un primo e di un ultimo uomo. Infatti, sebbene Aristotele dichiari che il problema dell eternità del mondo sia un problema neutro, tuttavia egli è portato a ritenere che il mondo sia eterno. E infatti il vertice più alto cui può arrivare la ragione umana è affermare che il mondo è eterno e che un numero infinito di uomini ci ha preceduto e ci seguirà; e qui la ragione è costretta a fermarsi. Ma da questa stesse affermazioni deriva una pericolosissima conclusione: che l anima è mortale, perché la filosofia ignora l esistenza di più infiniti. E' necessario quindi che la ragione umana venga sopraffatta dalla maestà di questi argomenti e vada in frantumi. Platone probabilmente, almeno così sembra, raccolse delle scintille di verità in Egitto, forse dai discorsi dei patriarchi e dei profeti, e perciò si avvicinò di più al vero. Anch egli presuppone la materia e un idea eterna, ma dice che il mondo ha un inizio e che è fatto di materia. Ora però smetto di esporre i punti di vista dei filosofi: li cita già Niccolò da Lyra, anche se non li spiega. |
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42,5,26-32 | Genesisvorlesung | Possono le opinioni dei filosofi contribuire a spiegare il testo sacro? Per Lutero la risposta è un no chiaro e tondo, e a maggior ragione occorre respingere questi tentativi quando essi siano fatti con approssimazione o addirittura scorrettamente. Lyra quindi viene duramente criticato da Lutero, che ha così l'occasione di rispolverare il suo vecchio procedimento dialettico: rivendicare di fronte ai filosofi la sua personale interpretazione di Aristotele. Cosa intende Aristotele per materia? Lutero se ne era già occupato nel 1518 nella Disputa di Heidelberg, nella quale egli tra l'altro sosteneva proprio che se si accetta che ci sia un'unica materia per tutte le cose si ricade nella dottrina platonica del caos, che Aristotele critica apertamente (WA 59,420,15-17; cfr. anche WA 18,752,20-29). Nel brano qui considerato però non viene citato Platone ma le Metamorfosi di Ovidio (I,6): è però evidente che per Lutero si parla dello stesso concetto di caos. Ed è ancora più evidente che, in ogni caso, si tratta sempre di opinioni filosofiche che devono cedere il passo di fronte alla sapienza mosaica, che non parla di argomenti che non conosce (de rebus ignotis), come invece pretendono di fare i filosofi. | 517 | 1535-1545 | Metaph. XII,6,1072a,4-18; Phys. I,9,192a,25-33 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 5 | sententia, Philosophi, Lyra, materia, operatio, intellectus, Ovidius, chaos, doctor, necessarius, cognitio, dies, informis, rudis, tute, sequi, res, ignotus, disputare | no | Quod autem Lyra putat necessariam cognitionem sententiae Philosophorum de materia, quod ex ea dependeat intellectus operationis sex dierum, nescio, an Lyra intellexerit, quid Aristoteles vocaverit materiam. Neque enim Aristoteles, sicut Ovidius, materiam vocat informe et rude illud chaos. Quare omissis istis non necessariis accedamus ad Mosen tamquam meliorem Doctorem, quem tutius possumus sequi, quam Philosophos sine verbo de rebus ignotis disputantes. | Quanto al fatto poi che Niccolò da Lyra ritenga necessario conoscere le opinioni dei filosofi sulla materia, poiché da essa dipenderebbe la comprensione dell operare divino nei sei giorni di creazione, non so se Lyra abbia capito cosa Aristotele intenda per materia. Aristotele infatti, diversamente da Ovidio, non chiama materia il famoso caos indistinto e indeterminato. Perciò, lasciate da parte queste cose che non sono necessarie, passiamo ora a Mosè, un maestro più valido, che possiamo seguire con maggior sicurezza rispetto ai filosofi che, privi del Verbo, disputano di cose che non conoscono. | |
42,10,3-10 | Genesisvorlesung | Voler conoscere Dio nella sua pura essenza per Lutero è una pazzia, perché il Deus nudus non si presenta ai nostri occhi, ma solo il Deus indutus, anche se in questo brano Lutero tralascia di precisare che questo rivelarsi è allo stesso tempo un nascondersi, per cui Dio si manifesta all'uomo sempre sub contraria specie. Queste considerazioni dimostrano l'aspetto antispeculativo della personalità di Lutero, che è incline a considerare questo genere di discussioni come un vuoto esercizio intellettualistico. Perciò egli condivide il principio aristotelico secondo cui ciò che è privo di forma (probabilmente qui Lutero ha in mente la discussione sull'infinito del terzo libro della Fisica) non può essere conosciuto. | 517 | 1535-1545 | Phys. III,6,207a,25s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 10 | insania, disputare, Deus, extra-tempus, ante-tempus, divinitas, nudus, essentia, involvere, mensura, locus, nihil, scientia, divinus, impossibilis, baptismus, absolutio, tempus, Philosophus, quaestio, principium, contentus | no | Et insania est disputare multa de Deo extra et ante tempus, quia id est velle comprehendere nudam divinitatem, seu nudam essentiam divinam. Hoc quia impossibile est, ideo involvit se Deus in opera et certas species, sicut hodie se involvit in Baptismum, in Absolutionem etc. Ab his si discedas, tunc abis extra mensuram, locum, tempus et in merissimum nihil, de quo secundum Philosophum non potest esse scientia. Ergo merito omittimus hanc quaestionem, et hac simplici explicatione vocabuli In Principio contenti sumus. | Ed è una pazzia voler trattare a fondo della realtà di Dio fuori e prima del tempo: ciò significa voler comprendere la nuda divinità, la nuda essenza divina. E poiché questo è impossibile, Dio si rivestì di opere e di apparenze certe, così come oggi si riveste del Battesimo, dell'assoluzione eccetera. Se ci si allontana da queste cose, allora si esce dalla misura, dal luogo, dal tempo e si conclude nel purissimo nulla, il quale secondo il Filosofo non può essere conosciuto. E perciò tralasciamo a buon diritto questo problema e ci limitiamo alla semplice spiegazione dell'espressione in principio . | |
42,19,28-35 | Genesisvorlesung | Lutero si richiama all'Aristotele indagatore delle scienze naturali. Il movimento produce calore, ricorda Lutero con l'esempio del piombo e della freccia, tratto dal secondo libro del De caelo, e quindi il sole, che nella cosmologia tolemaica, pienamente accettata da Lutero, si muove di un moto molto rapido, non può essere di materia durissima. La divagazione cosmologica è spiegata dal fatto che Lutero qui, mentre sta commentando la creazione del firmamento, vuole spiegare un versetto del libro di Giobbe (37,18): Hai tu forse disteso con lui il firmamento, solido come specchio di metallo fuso? . Questa affermazione, spiega Lutero, non va riferita alla materia del firmamento, ma al Verbo di Dio, quod etiam mollissimam naturam (quale è appunto quella del cielo) facit firmissimam (WA 42,19,23). La durata e l'immutabilità dell'universo vanno quindi ricondotte a un miracolo divino. Nonostante la citazione di Aristotele, siamo dunque molto lontani dalla filosofia naturale aristotelica, ma in un sistema in cui le considerazioni teologiche continuano a determinare e spiegare anche la natura. | 517 | 1535-1545 | De caelo II,7,289a,24s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 19 | sol, motus, materia, durus, mollis, calefacere, plumbum, sagitta, miraculum, coelum, aqua, corpus, liquescere, rapidus, deus, omnipotentia, verbum, subtilis, agitare, varietas, annus, corrumpere, debilitare | no | Sic sol uno die liquesceret ex rapido motu, si esset ex durissima materia. Motus enim valde calefacit, sicut Aristotelis plumbum in sagitta dicit liquescere propter rapidum motum. Haec igitur sunt miracula Dei, in quibus omnipotentia verbi cernitur, quod coelum, cum mollius et subtilius sit aqua, tamen rapidissimo motu agitatum, in tanta corporum et motuum varietate, iam tot millibus annorum in nulla sui parte corruptum aut debilitatum sit. |
E così il sole si scioglierebbe per il suo movimento veloce, se fosse di materia durissima. Il moto infatti produce molto calore, e anche Aristotele dice che il piombo nella freccia viene fuso a causa del moto veloce. Questi sono proprio miracoli divini, in cui si constata l'onnipotenza del verbo! Il cielo, inconsistente e sottile più dell'acqua, tuttavia, messo così velocemente in movimento in una così grande varietà di corpi e di moti, dopo tante migliaia di anni non si è disgregato o indebolito in alcuna sua parte. |
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42,21,1-14 | Genesisvorlesung | Per spiegare Gn 1,6 ( Dio disse: Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque ) Lutero con un'ampia premessa espone in sintesi i principi che egli ritiene comunemente accettati dai Filosofi : in realtà si tratta della cosmologia aristotelica. La sintesi è corretta. Lutero inizia con i quattro elementi, accenna all'etere, alle sfere celesti e alla loro natura, al fatto che il cielo, in quanto incorruttibile, non può essere composto di elementi. Si vedrà in seguito (nel commento al successivo WA 42,21,15-31) quale posizione assume Lutero nei confronti di queste dottrine aristoteliche. | 517 | 1535-1545 | De gener. et corr. II,3,330a,30-330b,6, Metaph. XII,8,1073a,14-1074b,14; De caelo I,3,270a,13-270b,26 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 21 | aquae, corpus, superior, distinguere, philosophi, partitio, elementum, terra, aqua, aër, ignis, aethera, quinta-essentia, sphera, orbis, planeta, generabilis, corruptibilis, coelum, agere, pati, qualitas, lux, collocare, locus, stellae-fixae, ingenerabilis, incorruptibilis, componere, natura, mixtus, simplex, coaeternus | no | Quaeritur autem hic: Quare sint illae aquae et quomodo corpora superiora sint distincta? Philosophorum partitio non est ignota. Ponunt enim quatuor elementa eaque secundum qualitates collocant et distinguunt. Infimum locum terrae, secundum aquae, tertium aëri, postremum et summum igni assignant. Alii his annumerant aethera quintam essentiam. Postea numerantur spherae seu orbes septem Planetarum, et octava sphera stellarum fixarum. Ac convenit fere de his inter omnes, ut sint quatuor sphaerae generabilium et corruptibilium, Deinde octo aliae ingenerabilium et incorruptibilium. Ac Aristoteles de coeli natura disputat: Quod non sit composita ex elementis, sed suam propriam naturam habeat. Quia, si ex elementis esset, esset corruptibile, quod ista corpora inter se mixta agant et patiantur inter se invicem ad corruptionem. Adimit igitur omnibus superioribus corporibus qualitates primas et dicit esse simplices naturas habentes lucem coaeternam et simul natam qualitatem. |
Si chiede dunque a questo punto: di che natura sono quelle acque e come sono state distinte dai corpi superiori? La partizione dei filosofi non ci è sconosciuta. Essi presuppongono quattro elementi gerarchizzati e distinti secondo le loro qualità. Assegnano il posto più basso alla terra, il secondo all'acqua, il terzo all'aria e l'ultimo e più alto al fuoco. Altri a questi elementi aggiungono l'etere come quinta essenza. Poi vengono enumerate le sfere o orbite dei sette pianeti e l'ottava sfera delle stelle fisse. E a questo proposito quasi tutti sono d'accordo nello stabilire quattro sfere di realtà generabili e corruttibili e poi otto altre sfere di realtà ingenerabili e incorruttibili. Aristotele della natura del cielo dice che non è composta da elementi ma ha una sua propria natura. Infatti se essa fosse composta da elementi sarebbe corruttibile, perché questi corpi misti tra di loro agirebbero e patirebbero reciprocamente fino alla corruzione. Aristotele pertanto toglie le qualità prime a tutti i corpi superiori e li definisce nature semplici dotate di luce coeterna e di una qualità nata insieme a loro. |
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42,21,15-31 | Genesisvorlesung | Quale valore assume agli occhi di Lutero la cosmologia aristotelica? Questo brano, che si riferisce all immediatamente precedente WA 42,21,1-14, lo spiega molto bene. Essa (ma non solo essa, e non sfugga che Lutero usa ripetutamente il termine artes) ha soprattutto il valore di una conoscenza verosimile, basata aliquo modo sull esperienza, che si organizza in discipline non universalmente ma comunemente ritenute vere ed è utile soprattutto come rudimentum, nell educazione dei giovani. Rispetto alle vibranti affermazioni della lettera Alla nobiltà cristiana di origine tedesca (cfr. WA 6,458,26ss.) il giudizio luterano su Aristotele non cambia quasi in nulla. La conferma viene dalla seconda parte del brano. La distinzione propria dell occamismo tra potentia dei absoluta e potentia dei ordinata viene usata da Lutero (in modo molto diverso da Occam: cfr. A. GONZALES MONTES, Fe y razon en el itinerario a Dios en Lutero. Su confrontaciòn con la tradiciòn bajomedieval y tomista, Ciencia Tomista , 110 (1983), pp.513-560) come una chiave universale per poter inserire affermazioni teologiche in qualsiasi contesto, specialmente scientifico. Si chiarisce meglio così anche il significato metodologico che assume per Lutero il frequente richiamo alla virtù dell'ejpieivkeia: l imperfezione delle scienze è il varco attraverso il quale penetra il sapere teologico. | 517 | 1535-1545 | De gener. et corr. II,3,330a,30-330b,6; De caelo IV,1,308a,29-31; Eth. Nic. V,10,1137a,31-1138a,3 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 21 | verisimilis, certus, principium, pulcherrimus, ars, experientia, notus, ignis, supremus, locus, continere, aqua, terra, aër, gravitas, docere, rudimentum, universaliter, communiter, verus, silix, theologia, grammatica, respublica, epieikeia, ratio, barbarus, negligere, aspernari, sursum, fulmen, meteora, prodesse, regula, philosophi, ordinare, creare, voluntas, exceptio | no | Haec etsi non certa sunt, tamen, quia principia pulcherrimarum artium ex verisimilibus rationibus collecta continent, ad docendum utilia, barbarum est, si quis ea negligere aut aspernari velit, praesertim cum aliquo modo cum experientia conveniant. Nam verum esse experimur, quod ignis natura sursum fertur, sicut fulmina ac reliqua superiora meteora ignita apparent. His quasi principiis experientia notis moti sunt, ut ignem supremo in loco collocarent. Deinde aërem, tertio aquam, et in infimo loco terram, gravitate praevalentem. Haec valent tanquam rudimenta, quae, etsi quis contendat non esse universaliter vera, tamen communiter sunt vera et prosunt ad artes istas rite tractandas et tradendas. Etsi enim ex silice elicitur ignis, tamen non ideo negandum est supremam regionem obtinere ignem. Quare Theologia his artibus hanc addit Regulam, Philosophis non satis notam: Quod, etsi Deus ista omnia verbo suo ordinarit et creaverit, tamen non ideo alligatus sit ad istas Regulas, quin eas pro sua voluntate mutare possit. Videmus enim neque grammaticam nec alias artes sic regulatas esse, quin habeant suas exceptiones, sic leges rerumpublicarum temperat ejpieivkeia. |
Sebbene questi insegnamenti non siano certi, poiché essi contengono principi di discipline nobilissime che sono tratti da ragioni verosimili e sono utili all'insegnamento, sarebbe cosa barbara se qualcuno volesse trascurarli o disprezzarli, soprattutto quando si accordino in qualche modo con l'esperienza. Infatti noi sperimentiamo davvero che il fuoco tende per natura verso l'alto e che allo stesso modo i fulmini e i rimanenti corpi celesti superiori sembrano infuocati. Da questi - chiamiamoli così - principi noti per esperienza essi sono stati spinti a collocare il fuoco nel luogo più elevato e poi via via l'aria, in terza posizione l'acqua e nel luogo più basso la terra, che è la più pesante. Queste nozioni vanno bene come addestramento e sebbene qualcuno potrebbe insistere sul fatto che non sono universalmente vere, tuttavia lo sono comunemente e sono utili per trattare e trasmettere a regola d'arte queste discipline. E sebbene dalla pietra focaia si ricavi il fuoco, non per questo bisogna negare che il fuoco sia proprio della regione celeste più elevata. Per questo la teologia aggiunge a queste discipline una propria regola, non sufficientemente nota ai filosofi: che Dio, anche se ha disposto e creato tutte queste cose per mezzo del suo Verbo, tuttavia non è costretto al rispetto di queste regole al punto da non poterle cambiare in grazia della sua volontà. Vediamo infatti che né la grammatica né le altre discipline sono così strutturate da non avere le loro eccezioni, allo stesso modo in cui l'ejpieivkeia mitiga le leggi degli stati. |
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42,23,4-6 | Genesisvorlesung | Lutero sta parlando dei movimenti dei cieli: essi dipendono, attraverso la intelligenze, dal primo motore come ritiene Aristotele o l'accento va posto piuttosto sulle intelligenze create ab aeterno che muovono estrinsecamente come motori le sfere celesti, come ritiene Averroè? La questione non riveste la minima importanza agli occhi di Lutero. La teologia dice che il cielo è stato creato attraverso il verbo di Dio? Tale risposta va considerata come più che esauriente. | 517 | 1535-1545 | Metaph. XII,7,1072a,19-1073a,13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 23 | causa, primus-motor, Averrois, forma, motus, verbum-Dei, foris, gerere, regere, dicere, facere | no | Quod igitur Aristoteles causam omnium horum facit primum Motorem, Averrois autem formas assistentes a foris motuum causas dicit, nos secuti Mosen dicimus omnia ista geri et regi simpliciter verbo Dei. Ipse dixit, et factum est. | Per quanto riguarda poi il fatto che Aristotele ritenga che la causa di tutte queste cose sia il primo motore, mentre Averroè ritiene che le cause dei movimenti siano le forme che assistono dall'esterno, noi sulla scorta di Mosè diciamo che tutte queste cose sono mantenute e governate semplicemente dal verbo di Dio. Egli parlò: e tutto fu fatto. | |
42,34,5-10 | Genesisvorlesung | A differenza del passo incontrato in precedenza (WA 40 III,563,11-13) in cui Lutero cita solo il proverbio, qui invece fa anche il nome di Aristotele. Una rondine non fa primavera significa dunque che non bastano una o poche osservazioni sporadiche (com'è nel caso dell'astrologia) per fondare una scienza. | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. I,7,1098a,18 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 34 | astrologia, experientia, artifex, litera, notare, retinere, effectus, hirundo, ver, observatio, particularis, scientia, fallere, praedicere, constituere | no | Omnes enim astrologicae experientiae sunt merae particulares. Nam istas tantum artifices notarunt et retinerunt in literas, quae non fefellerunt; reliquas experientias, ubi falsi sunt nec secuti sunt effectus, quos praedixerunt certe futuros, non notarunt. Sicut autem Aristoteles dicit, unam hirundinem non facere ver, Ita ego ex talibus particularibus observationibus non puto scientiam constitui. | Tutte le esperienze astrologiche sono assolutamente parziali. Infatti chi le mise in atto riportò e mise per iscritto solo quelle che non lo smentirono; le altre esperienze, quelle in cui essi si sbagliarono e di cui non seguirono gli effetti che avevano previsto come inevitabili, non scrissero nulla. E come Aristotele dice che una rondine non fa primavera, allo stesso modo sulla base di osservazioni così frammentarie non ritengo si possa fondare una scienza. | |
42,36,11-15 | Genesisvorlesung | La discussione verte sulle differenze intercorrenti tra i concetti ebraico e filosofico di tempo. Lutero invita i lettori a non confondere le due cose, e ricorda che in generale le scienze devono andare d'accordo. L'esempio però è illuminante. Su un piatto della bilancia c'è una scienza quale l'esegesi biblica, che per Lutero fa pienamente parte della teologia, in quanto scienza che si occupa della parola di Dio, dall'altra parte una scienza umana come la filosofia. In questo caso la pacifica convivenza è assicurata dal fatto che ognuna delle due deve rimanere nei suoi limiti, fissati dalla terminologia che le compete ( unaquaeque ars utatur suis terminis ). L'accento messo sulla convivenza delle due scienze (e paradossalmente anche l'enfasi posta sulla loro collaborazione) implica la netta separazione degli ambiti, così come le classi della civitas ipotizzata dai filosofi antichi convivono all'interno delle stesse mura ma sono rigorosamente separate per mansioni e per dignità. Il richiamo testuale è a Eth. Nic. V,5,1133a,17-19 e non a Pol. II,2 com'è secondo il Personenregister dell'edizione di Weimar (WA 63,46). | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. V,5,1133a,17-19 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 36 | ars, terminus, damnare, ridere, artifex, conservare, civitas, medicus, agricola, admoneo, praeceptum, iuvare, opera, praebere | no | Hoc admonendum duxi, priusquam pergeremus, et puto non inutile esse praeceptum, ut unaquaeque ars utatur suis terminis neque alia aliam ideo damnet aut rideat, sed iuvet potius alia aliam et praebeant mutuas operas. Sicut artifices faciunt, ut conservetur tota civitas, quae (sicut Aristoteles inquit) non potest constitui ex medico et medico, sed ex medico et agricola. | Ho fatto queste considerazioni per ricordare, prima di proseguire il discorso (e reputo che non si tratti di un precetto inutile), che ciascuna disciplina deve usare i termini che le sono propri e l'una non deve condannare o irridere l'altra, ma piuttosto devono sostenersi l'una con l'altra e prestarsi reciprocamente aiuto. Così fanno gli esperti delle singole scienze, affinché si conservi la società intera, la quale (come afferma Aristotele) non può essere formata dal medico e dal medico, ma dal medico e dall'agricoltore. | |
42,39,1-11 | Genesisvorlesung | Lutero sta commentando il passo biblico che racconta la creazione degli animali (Gn 1,19) e si sofferma su alcune questioni di carattere scientifico. La discussione sulla riproduzione e la generazione degli animali infatti appartiene al corpus della filosofia della natura aristotelica, che Lutero sostanzialmente accetta, salvo però aggiungere una postilla molto significativa. Secondo Lutero il sorgere della vita non è spiegabile nei termini meramente naturalistici di Aristotele. Porre il sole come causa della generazione è considerata da Lutero una spiegazione insufficiente ( Sed an haec sufficiens ratio sit, dubito ). Senza l'intervento di Dio, infatti, non si spiega il venire alla vita del topo. E solo il fatto che esso sia una creatura divina può dare un senso - agli occhi di Lutero - allo spiacevole aspetto esteriore e al perpetuarsi di una specie animale che sembrerebbe solo dannosa. Ancora una volta, dunque, le ragioni della teologia integrano quelle dell'osservazione scientifica. | 517 | 1535-1545 | De gener. anim. I,1,715a, 20-25; I,16,721a,3-11; II,1,732a,26-29; Hist. anim. V,15,546b,22-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 39 | mus, disputare, omoiogenes, eterogenes, calefacere, genus, putredo, virtus, generatio, humor, sol, scarabeus, equinus, stercus, calor, animal, ratio, sufficiens, fovere, natura, forma, species, nasci, consumere, putrefacere, deus, aqueus, volucer, terrester, monstruosus, conservare | no | Sed de muribus Aristoteles sic disputat, quaedam animalia esse oJmoiogenh', quaedam eJterogenh'. Sicut mures sunt ex genere eJterogenevwn, quia mures non nascuntur ex muribus tantum, sed etiam ex putredine, quae consumitur et paulatim in murem vertitur. Si queras, qua virtute ista fiat generatio? Respondet Aristoteles foveri humorem istum putrefactum calore solis ac sic produci vivum animal, Sicut videmos scarabeos generari ex equino stercore. Sed an haec sufficiens ratio sit, dubito. Sol enim calefacit, nec generaret quicquam, nisi Deus diceret divina virtute: Veniat mus ex putredine. Ergo mus quoque est divina creatura, et ut ego iudico, aqueae naturae ac quasi terrestri volucris alioqui haberet monstruosa formam nec conservaretur species. |
A proposito di topi: Aristotele dice che alcuni animali generano prole simile, altri non simile. E così i topi sono del genere di quelli che hanno prole non simile, poiché i topi non nascono solo da altri topi, ma anche dalla putrefazione che si decompone e si trasforma a poco a poco in topo. Se si chiede quale principio permetta questa generazione, Aristotele risponde che questa sostanza umida in putrefazione è riscaldata dal sole e che così si genera l'animale vivo, così come vediamo gli scarabei generarsi dallo sterco di cavallo. Ma dubito che questa spiegazione sia adeguata. Il sole scalda, sì, ma non farebbe nascere nulla se Dio non dicesse, in forza della sua energia divina: sorga il topo dalla materia putrefatta. E pertanto anche il topo è una creatura divina, e - almeno io la penso così - di natura acquea e quasi di volatile terrestre, altrimenti avrebbe un aspetto mostruoso e la specie non si conserverebbe. |
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42,43,28-32 | Genesisvorlesung | Lutero sta commentando Gn 1,26 ( E Dio disse: facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza... ) ma qui si riferisce al versetto 24, in cui Dio comanda alla terra di produrre esseri viventi. Come si spiega un Dio che ha come interlocutrice la terra inanimata? La questione secondo Lutero è insignificante. Non bisogna attribuire alla terra un'importanza che non ha, così come non bisogna attribuirne al sole, come erroneamente ha fatto Aristotele, che lo ha posto come causa della generazione dell'uomo. L'uomo invece è fatto a immagine della Trinità. | 517 | 1535-1545 | Phys. II,2,194b,13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 43 | terra, Deus, factor, sol, homo, generare, imago, iudaeus, convenire, imago, facere | no | Deinde quod de terra Iudaei dicunt Deum cum terra loqui, etiam frivolum est. Terra enim non est factrix nostra. Deinde cur non potius ad solem loqueretur, cum Aristoteles dicat: Homo et sol generant hominem. Sed ne hoc quidem convenit, quia non sumus facti ad imaginem terrae, Sed sumus facti ad illorum Factorum imaginem, qui dicunt faciamus . | E anche ciò che i Giudei dicono a proposito della terra, e cioè che Dio parli con la terra, è una sciocchezza. Non è la terra che ci ha creato. E poi perché, allora, non potrebbe rivolgersi piuttosto al sole, visto che Aristotele dice che l'uomo e il sole generano l'uomo. Ma neppure questo va bene, perché non siamo stati creati a immagine della terra, ma siamo stati creati a immagine di quei Creatori che qui dicono facciamo . | |
42,45,3-7 | Genesisvorlesung | Non è senza significato per Lutero l'affermare che i Dottori medievali, per quanto riguarda la dottrina dell'imago Dei, si rifanno ad Agostino, il quale a sua volta si rifà ad uno schema aristotelico. Nel prosieguo infatti Lutero afferma (cfr. WA 42,45,24ss.) di non criticare né di condannare tali insegnamenti. Tamen haud scio afferma Lutero, an sint valde utiles, praesertim cum ea postea longius ducantur (ibidem). E una della conclusioni più esecrande che ne derivano è, secondo Lutero, il libero arbitrio, perché se Dio è libero e l'uomo è ad immagine di Dio, allora anche l'uomo è libero. Non è dunque improbabile che il richiamo iniziale ad Aristotele non sia una pura citazione erudita, ma serva a mettere in guardia dal voler fondare una dottrina così squisitamente cristiana su fondamenti teorici propri della filosofia pagana. | 517 | 1535-1545 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 45 | Augustinus, doctor, divisio, imago, potentia, anima, memoria, mens, intellectus, voluntas, homo, deus, homo | no | Doctores autem reliqui fere Augustinum sequuntur, qui Aristotelis divisionem retinet, quod imago Dei sint potentiae animae, memoria, mens vel intellectus, et voluntas; in his tribus dicunt consistere imaginem Dei, quae in omnibus hominibus est. | Gli altri dottori seguono quasi tutti Agostino, il quale fa propria la distinzione di Aristotele, secondo cui l'immagine di Dio sono le potenze dell'anima, la memoria, la mente o intelletto e la volontà. In queste tre cose, dicono, consiste l'immagine di Dio che è in tutti gli uomini. | ||
42,53,22-26 | Genesisvorlesung | La fabula di cui parla Lutero è il mito platonico dell androgino, che egli rifiuta perché non in armonia con l'immagine biblica della creazione dell'uomo e della donna, ma anche per la sua implicita misoginia. E così Lutero, che con il sesso femminile non è sempre tenero, condanna anche Aristotele perché definisce la donna come un uomo menomato, definizione incompatibile con la dottrina cristiana della creazione. | 517 | 1535-1545 | De gener. anim. II,3,737a,27-29 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 53 | fabula, mulier, vir, occasionatus, monstrum, creatura, Deus, ridere, appellare, calumniari, delectari, nobilis, opus, singularis, consilium | no | Cum hac fabula convenit, quod Aristoteles appellat mulierem virum occasionatum, et alii monstrum dicunt. Sed sint ipsi monstra et monstrorum filii, qui sic calumniantur et rident creaturam Dei, in qua ipse Deus delectatus est, tanquam in nobilissimo opere, Item quam videmus singulari consilio Dei conditam esse. | Con questa leggenda si accorda la definizione che Aristotele dà della donna come uomo menomato mentre altri la definiscono mostro. Ma mostri e figli di mostri sono coloro che calunniano e deridono a questo modo una creatura di Dio, nella quale Dio stesso si è compiaciuto come di un'opera preziosissima, e che vediamo essere stata creata per una irripetibile iniziativa di Dio. | |
42,63,31-39 | Genesisvorlesung | Il probabile scandalo di Aristotele di fronte alla dottrina biblica della creazione dell'uomo (Gn 2,3-7, versetti presi qui in esame) avrebbe potuto avere per Lutero una duplice motivazione. Da una parte il filosofo avrebbe rifiutato il fatto che l'uomo sia stato tratto dalla terra e che la sua anima sia stata infusa direttamente in un secondo momento da Dio. In secondo luogo Aristotele non avrebbe accettato che l'anima dell'uomo fosse immortale perché partecipe dell'immortalità divina. Da una parte quindi si critica Aristotele per il suo negare la creazione, dall'altra per l'asserzione della corruttibilità dell'anima umana. La parte conclusiva del brano è interessante perché è una delle poche ammissioni da parte di Lutero del fatto che alcuni filosofi pagani abbiano ammesso l'immortalità dell'anima. Non è escluso che queste righe si riferiscano alla critica dei filosofi precedenti operata da Aristotele nel primo libro del De anima. | 517 | 1535-1545 | De an. I? | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 63 | gleba, mortuus, iacio, formare, creatura, particeps, immortalitas, cachinnus, fabula, homo, origo, capax, Socrates, anima, irridere, Adam, insuavis, absurdissimus, divinus, sapientia, philosophi, explodere | no | Itaque Adam, antequam a Domino formatur, est mortua et iacens gleba eam apprehendit Deus et format inde pulcherrimam creatura participem immortalitatis. Haec si Aristoteles audiret, solveretur in cachinnum et iudicaret esse etsi non insuavem tamen absurdissimam fabulam, quod homo quoad originem suam primam fuisset gleba, formatus autem sit divina sapientia et sic conditus, ut esset capax immortalitatis. Nam etiamsi qui ex Philosophis, ut Socrates et alii, asseruerunt immortalitatem animorum, tamen a reliquis Philosophis irrisi et tantum non explosi sunt. |
E perciò Adamo, prima di essere plasmato dal Signore, è terra morta e giacente. Dio la prende e ne plasma una meravigliosa creatura partecipe dell'immortalità. Se Aristotele sentisse queste cose, scoppierebbe in una risata e penserebbe che è proprio una storiella, magari non spiacevole ma completamente assurda, che l'uomo, per quanto riguarda la sua prima origine, fosse fatto di terra e che poi sia stato plasmato dalla divina sapienza e costituito in modo tale da essere partecipe dell'immortalità. Infatti nonostante alcuni tra i filosofi, come Socrate e altri, abbiano sostenuto che l'anima è immortale, tuttavia essi sono stati presi in giro e per poco non sono stati anche condannati dagli altri filosofi. |
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42,63,10-64,3 | Genesisvorlesung | Si riprende qui (mentre Lutero sta commentando Gn 2,3-7, la creazione di Adamo) una tematica già ampiamente sviluppata in vari luoghi da Lutero, e in particolare nella disputa De homine (cfr. WA 39 I,175-180). La contrapposizione tra definizione biblica e aristotelica dell'uomo è tipica di Lutero. Naturalmente il piatto della bilancia pesa a favore della prima delle due, che coglie la vera sostanza dell'uomo, mentre la seconda per Lutero rimane formalistica ed esteriore ( haec definitio tum mortalem et huius vitae hominem definit , WA 39 I,175,3s.). | 517 | 1535-1545 | De an. II,1,412a,27s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 64 | vivificare, homo, spiritus-sanctus, anima, definitio, spiritus, creatus, infusus, verus, clarus, creare | no | Idem igitur est ac si dicat: vivificavit hominem spiritu sancto. Est igitur hec definitio animae verior et clarior quam in Aristotele. Quod anima est spiritus creatus et infusus corpori. | E' proprio come se dicesse: vivificò l'uomo con lo Spirito Santo. Questa definizione di anima infatti è più vera e più semplice di quella di Aristotele: l'anima è uno spirito creato e infuso in un corpo. | |
42,92,17-24 | Genesisvorlesung | Il passo in questione è un interessante esempio della reinterpretazione che Lutero opera della filosofia aristotelica, anche quando manifesta la sua approvazione nei confronti di singole frasi di Aristotele. La massima aristotelica è riportata addirittura - è molto raro in Lutero - nella versione originale greca: sia la verità sia gli amici sono cari, ma la prima dev'essere preferita agli ultimi. Ma mentre in Aristotele il termine amici è riferito alla dottrina platonica delle idee e il termine verità alla filosofia - si rimane quindi dentro un preciso ambito filosofico - per Lutero amici significa la presunta autorità della ragione umana (nel caso specifico egli si riferisce alle affermazioni dei Padri della Chiesa da lui giudicate non in sintonia con la Bibbia), mentre la verità è rappresentata dalla religione: una soluzione antitetica a quella prospettata da Aristotele. | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. I,6,1096a,16s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 92 | patrocinare, sententia, veritas, familiaris, coniunctus, amicus, philosophi, civilis, disputatio, scriptura, auctoritas, carus, amicus, ethnicus, homo, scriptura, testimonium | no | Elegans et vera sententia est Aristotelis primo ethicorum: Melius esse patrocinari veritati, quam nimis addictos esse iis, qui nobis familiares et coniuncti sunt. Atque hoc in primis decere Philosophorum. Cum enim ambo nobis chari sint, veritas et amici, potiore loco veritatem habendam esse, ajmfoi'n ga;r o[ntoin fivloin, o{sion protima'n th;n ajlhvqeian. Hoc si homo ethnicus in civilibus disputationibus faciendum censet, quanto id magis faciendum est in iis, quae manifestum testimonium scripturae habent, ne hominum autoritatem scripturae anteponamus? | Nel primo libro dell'Etica Nicomachea di Aristotele si trova una massima elegante e vera. Egli afferma che è meglio lasciarsi proteggere dalla verità che essere eccessivamente dediti ai nostri amici e parenti, e che questo atteggiamento si addice soprattutto ai filosofi. Entrambi infatti ci sono cari, la verità e gli amici, ma si deve onorare di più la verità (ajmfoi'n ga;r o[ntoin fivloin, o{sion protima'n th;n ajlhvqeian). Se queste cose sono ritenute degne di essere compiute da un pagano che ne parla a proposito dei rapporti umani, quanto più lo saranno per quelle realtà che hanno un'evidente fondamento nella sacra scrittura, così che non anteponiamo l'autorità umana alle scritture? | |
42,92,33-93,13 | Genesisvorlesung | L'affermazione iniziale si riferisce a Gn 2,21: allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto . Lutero inclina per una spiegazione letterale di questo testo e si rende conto che quanto viene qui affermato va a cozzare direttamente con quanto afferma Aristotele, e cioè che l'uomo non può nascere che dall'unione del maschio e della femmina e che non è razionalmente ammissibile l'idea di un primo uomo. Lutero ribatte contrattaccando, ma anche spostando l'attenzione su un altro problema, sia pur strettamente collegato con i due nominati sopra: l'eternità del mondo. E qui rispolvera alcune delle contraddizioni che egli, nel corso della sua opera, rimprovera più di una volta ad Aristotele (cfr. WA 9,61,21; 23,91,11; 42,3,33 e altri, ma soprattutto 59,410,13-411,14). Lutero accenna in particolare alla difficoltà dei filosofi che non pur non potendo accettare più infiniti, sono tuttavia costretti ad ammetterli. Egli si riferisce implicitamente al classico argomento dell'infinità delle anime, che all'eternità del mondo faceva conseguire l'asserzione della corruttibilità dell'anima umana. In questo luogo però la conclusione che viene tratta non riguarda l'anima umana ma la divinità. Interessante a tale proposito il richiamo ad Epicuro, consistente in un accenno a un Dio che o è inesistente o non si occupa degli uomini. Il riferimento ad Epicuro in realtà pare una frecciata neanche poi tanto indiretta ad Aristotele, come confermano passi che propongono una correlazione più esplicita tra i due filosofi, come WA 39 II,255,5-14. L'epicureismo è visto da Lutero come figlio dell'aristotelismo, con la differenza che il primo è senza mezze misure e non accetta le contraddizioni (pugnantia) e l'ambiguità (obscuritas) del secondo. | 517 | 1535-1545 | De caelo II,1; e in particolare II,1,283b,26-30; Metaph. XII,7,1072a,19-1073a,13; De gener. anim. I,2,716a,3-11 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 92 | portentum, nuga, nugacissimus, scriptura, auctoritas, ratio, iudicium, sequi, uniformis, homo, primus, ultimus, masculus, foemella, aeternus, mundus, nihil, tempus, infinitus, infinitum, absurdum, epicuraeus, deus, curare, labyrinthus, cogere, creatura, nasci, statuere, fingere, vis, initium, cepisse, concedere, pugnantia, obscuritas, interire, pecus | no | Portenta haec sunt et nugacissimae nugae, si seposita scripturae auctoritate rationis iudicium sequaris. Ideo Aristoteles neque primum neque ultimum hominem dicit posse dari. Idem nos quoque cogeret ratio pronuntiare, si absque hoc textu esset. Si enim constituas, verum esse, quod totius creaturae uniformis ratio testatur, nihil nasci vivum nisi ex masculo et foemella, non potest dari primus homo. Idem de mundo quoque pronuntiandum esset, quem ideo aeternum Philosophi statuerunt. Etsi autem finguntur rationes, quibus probatur mundum non esse aeternum, tamen ratio ista tota vi in eam sententiam procumbit. Quod enim inveniet initium in nihilo? Porro si dicas, mundum cepisse et esse tempus, quo mundus non fuerit statim sequitur, ante mundum nihil fuisse, sequuntur alia absurda infinita, quibus moti Philosophi iudicarunt mundum esse aeternum. Sin dicas mundum esse infinitum, statim nascetur quoque aliud novum infinitum in successione hominum. At plura infinita Philosophia non concedit et tamen cogitur concedere, quia inicia illa mundi et hominum novit. Haec pugnantia et obscuritas Epicureis dedit occasionem, ut dicerent sine ratione existere mundum et hominem et sine ratione quoque interitura esse, sicut intereunt pecudes, quae mortuae sic sunt, ac si nunquam fuerint. Hinc sequuntur alia: Deum aut plane non esse, aut humana non curare. In hos labyrinthos deducitur ratio, cum destituta est verbo et sequitur suum iudicium. |
Queste sono chimere e futilissime futilità, se si lascia da parte l'autorità della scrittura per seguire il giudizio della ragione. Ecco perché Aristotele dice che non si può ammettere l'esistenza di un primo e di un ultimo uomo. Questo poi è proprio ciò che la ragione ci costringerebbe ad affermare, se non fosse per questo testo. Se infatti si decide che vero è ciò che la ragione, nella sua unilateralità, attesta dell'intera creatura, non potrebbe nascere creatura viva se non da maschio e femmina e non si potrebbe concedere l'esistenza di un primo uomo. Lo stesso andrebbe detto del mondo, che i filosofi hanno stabilito come eterno. E sebbene essi costruiscano argomenti attraverso i quali si prova che il mondo non è eterno, tuttavia questa ragione con tutte le sue energie ricade nella prima delle due opinioni. E infatti, che tipo di inizio essa potrà trovare nel nulla? E se poi si afferma che il mondo ha avuto inizio e che c è stato un tempo in cui il mondo non esisteva, subito ne segue che prima del mondo non ci sia stato nulla. Di qui seguono altre infinite assurdità, in considerazione delle quali i filosofi definirono il mondo come eterno. Se infatti non si accetta che il mondo sia infinito, subito ne deriverà un altro nuovo infinito nella successione degli uomini. E così la filosofia non può tollerare più di un infinito e tuttavia è costretta ad ammetterlo, visto che ha questo tipo di concezione delle origini del mondo e dell'uomo. Queste contraddizioni e questa ambiguità hanno dato modo agli epicurei di affermare che il mondo e l'uomo esistono senza ragione e che senza ragione sono destinati a perire, così come muoiono le bestie, che quando sono morte è come se non fossero mai esistite. E da queste premesse seguono altre conseguenze, e cioè che Dio non esiste oppure che non si occupa delle cose umane. Ecco in che labirinti è trascinata la ragione, quando è priva del Verbo e segue il proprio criterio. | |
42,93,25-34 | Genesisvorlesung | Il peccato originale, secondo Lutero, ha compromesso così gravemente le facoltà umane, che l'uomo non può più non solo attingere ma neppure riconoscere, con le sole forze della sua ragione, la causa efficiente e la causa finale, cioè l'origine e il destino di sé e del mondo. La pretesa della filosofia di voler conoscere queste due cause scambia con sapienza ciò che in realtà è mera credenza: Lutero non vede in quale altro modo denominare un indagine filosofica che si limiti alle cause materiale e formale. Da notare che queste considerazioni di Lutero prendono spunto dal fatto che per Aristotele il mondo e l'uomo (nel senso della specie umana) sono eterni. Il passo preso in considerazione, però (Phys. II,2,194b,13, richiamato ben tre volte oltre a questa nella Genesisvorlesung in WA 42,39,3; 43,30 e 95,35) non accenna direttamente all'eternità dell'uomo e del mondo. La citazione, che evidentemente deve aver impressionato Lutero, è più un pretesto che non un richiamo testuale coerente con il prosieguo dell'argomentazione. Non è certo sulla base dei concetti espressi in questo passo della Fisica che Aristotele arriva a concludere l'eternità del mondo. | 517 | 1535-1545 | Phys. II,2,194b,13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 93 | homo, sol, generare, sapientia, aeternus, statuere, infinitus, causa, causa-formalis, causa-finalis, causa-materialis, causa-efficiens, vacca, noticia, principium, finis, persona, scire, credere, ignorare, forma, domus, ostium, lapsus, peccatum-originale, videre | no | Dicit Aristoteles: Homo et sol generant hominem. Belle dictum sequere hanc sapientiam et eo devenies, ut statuas Hominem et solem esse aeternum ac infinitum. Nunquam enim invenies hominem, qui sit vel principium vel finis, sicut ego principium et finem meae personae non possum invenire, si certo scire id et non credere potius volo. Qualis autem sapientia, qualis noticia est ignorare causam finalem, et causam efficientem? Nam quod formae noticiam habemus, sic vacca cognoscit domum suam, sic (ut Germanico proverbio dicitur) intuetur et agnoscit ostium. Apparet itaque hic quoque, quam horribilis lapsus sit peccati originalis, quo amisimus eam noticiam, ut neque principium nec finem nostri videre possumus. | Aristotele dice: l'uomo e il sole generano l'uomo. Ben detto. Segui questa sapienza e arriverai al punto di stabilire che l'uomo e il sole sono eterni e infiniti. Non troverai mai un uomo, infatti, che sia principio o fine, così come io non posso trovare il principio e il fine della mia persona (sempre che io esiga una conoscenza certa e non, piuttosto, una credenza). E che razza di sapienza, che conoscenza è l'ignorare la causa finale e la causa efficiente? Noi infatti abbiamo la cognizione della forma: e come una vacca conosce la sua stalla, altrettanto bene (come dice un proverbio tedesco) vede e riconosce la porta. E' evidente anche in questo caso, quale orribile caduta sia il peccato originale, per il quale abbiamo perso l altro tipo di conoscenza, così che non possiamo vedere né il nostro principio né il nostro fine. | |
42,94,9-16 | Genesisvorlesung | Tutta l'esegesi di Gn 2,21 (cfr. anche WA 42,92,33-93,13 e 42,93,25-34) viene condotta da Lutero in senso antirazionalistico. Ma mai l'opposizione è così netta come in questo caso. Lutero afferma apertamente che il fatto di contrastare con la ragione è una riprova della verità del testo biblico. Ancora una volta dunque la ragione umana non è in grado di attingere il principio, la causa efficiente, compito che è riservato alla sola teologia. | 517 | 1535-1545 | De caelo II,1; e in particolare II,1,283b,26-30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 94 | experientia, ratio, credere, observare, certus, pugnare, principium, primus-homo, generatio, propagatio, posteritas, masculus, foemella, decipere, philosophi, somniare, gleba, ager, costa, effigere, condere | no | Insignis itaque hic textus est, qui quanto videtur cum tota experientia et ratione magis pugnare, tanto diligentius observandus et certius credendus est. Hic enim docemur de principio hominis: Quod primus homo non extiterit per generationem, sicut Aristoteles et reliqui Philosophi a ratione decepti somniaverunt. Propagatio posteritatis per generationem fit, sed primus masculus ex gleba agri, prima foemella ex costa viri dormientis efficta et condita est. Hic igitur invenimus principum, quod per philosophiam Aristotelis non possibile est invenire. | E perciò si tratta di un testo straordinario, che va seguito tanto più puntualmente e creduto tanto più fermamente, quanto più esso contrasta apertamente con tutta l'esperienza e la ragione. Qui infatti ci viene insegnata l'origine dell'uomo: e cioè che il primo uomo non è venuto al mondo per generazione, così come si sono sognati Aristotele e gli altri filosofi, ingannati dalla ragione. Il perpetuarsi della discendenza avviene attraverso la generazione, ma il primo uomo è stato creato e formato con la terra del campo, la prima donna con la costola dell'uomo mentre egli era addormentato. Qui dunque abbiamo trovato l'origine che non è possibile trovare per mezzo della filosofia di Aristotele. | |
42,95,35-96,4 | Genesisvorlesung | Lutero sta ancora commentando Gn 2,21 e tratta della generazione umana in generale. Aristotele, che in precedenza (cfr. soprattutto WA 42,92,33-93,13) era stato criticato per non aver compreso il modo peculiare in cui è stato creato il primo uomo, adesso viene accusato da Lutero di aver frainteso anche la generazione degli uomini successivi ad Adamo. Lutero ripercorre alcune tipiche affermazioni aristoteliche. A parte la citazione iniziale, tratta dalla Fisica (e ancora una volta citata non del tutto a proposito), egli parla di dottrine presenti nel De generatione animalium, tra cui quella dell'identificazione dello sperma con un residuo del sangue, l'identificazione dell'uomo come causa formale e della donna come causa materiale della generazione, la dottrina della causa della generazione. Tutte cose che la ragione non può negare, osserva Lutero, ma che non corrispondono alla vera natura delle cose. Infatti il perché recondito del perpetuarsi della specie umana, che spiega anche questioni contingenti come il fatto che un individuo nasca maschio anziché femmina, è il Verbo di Dio, che è rivelato solo dallo Spirito Santo. | 517 | 1535-1545 | Phys. II,2,194b,13; De gener. anim. I,2,716a,5-17; I,19,726b,1-11; II,1,733b,24-735a,4 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 95 | homo, sol, generare, calor, fovere, corpus, causa, verbum, masculus, foemella, maritus, nugari, conveniens, mixtura, qualitas, materia, praedispostus, medicus, natura, temperamentum, siccus, frigidus, humidus, calidus, frustra, sanguis, ratio, pueriliter, philosophi, generatio, ineptus, aptus, prima-causa, spiritus-sanctus, creare, conservare | no | Frustra igitur Aristoteles nugatur, Quod homo et sol generant hominem. Nam etsi solus calor fovet corpora, tamen generandi causa longe aliud est, nempe verbum Dei sic iubentis, quod dicit ad hunc maritum: Iam sanguis tuus fiat masculus, fiat foemella. Hoc verbum ratio nescit. Itaque non potest non pueriliter nugari de causis tantarum rerum. Sic medici Philosophos secuti generationem referunt ad convenientem mixturam qualitatum, quae in materia praedisposta operantur. Id etsi ratio non potest negare, (nam videt siccas et frigidas naturas ad generationem ineptas, contra humidas et moderate calidas aptiores) tamen primam causam non attingunt. Altius enim quam in naturam, quam in qualitates et in temperamenta earum, nos ducit Spiritus sanctus, cum verbum proponit, in quo omnia creantur et conservantur. | Aristotele racconta frottole inutili, quando dice che l'uomo e il sole generano l'uomo. Infatti, sebbene solo il calore conservi i corpi, tuttavia la causa della generazione è di gran lunga un'altra cosa; è evidentemente il verbo di Dio che comanda, che dice a questo marito: e ora il tuo sangue diventi maschio o diventi femmina. La ragione non conosce questo Verbo. E perciò non può fare a meno di raccontare frottole puerili sulle cause di realtà tanto importanti. E così i medici, sulla scorta dei filosofi, hanno spiegato la generazione con un'adeguata mistione di qualità che reagiscono in una materia predisposta. E sebbene la ragione non possa negarlo (vede infatti che le nature secche e fredde sono inadatte alla generazione, mentre le umide e le moderatamente calde lo sono maggiormente) tuttavia non afferrano la prima causa. Lo Spirito Santo infatti ci porta più in alto, oltre la natura, oltre le qualità e le loro caratteristiche, e pone di fronte ai nostri occhi il Verbo in cui tutte le cose vengono create e conservate. | |
42,98,11-19 | Genesisvorlesung | Lutero qui non critica l'eudemonismo in quanto tale, anzi, a proposito della felicità come fine dell'uomo non prende esplicitamente posizione se non con un timido aliquid dicit Aristoteles . Il problema però è un altro. L'ignorare che la felicità si identifica con la contemplazione di Dio priva di solide basi la teoria aristotelica. La felicità di Aristotele, inoltre, non è praticamente realizzabile sulla terra, perché essa viene minacciata dagli assalti del caso e della cattiveria umana. Nessuno secondo Lutero può assicurarsi con assoluta certezza la tranquillità dell'animo necessaria alla vera felicità, e qui sta il grande limite di Aristotele: l'indicare un fine che rimane inevitabilmente astratto. | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. I,4,1095a,18-21; I,7,1098a,16-18; I,9,1099a,30-1099b,8 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 98 | homo, finis, Deus, felicitas, actio, virtus, imbecillitas, incommodum, fortuna, malitia, pravitas, frustra, scire, pulcher, ignorare, condere, cultus, aeternus, natura, tranquillitas, animus, iactatio, praescribere, attingere | no | Quid enim prodest scire, quam pulchra creatura sit homo, si finem ignores, quod scilicet est conditum ad cultum Dei, et ut cum Deo in aeternum vivat? Aliquid dicit Aristoteles, cum ponit hominis finem esse felicitatem, quae in actione virtutis consistit. Sed in hac naturae imbecillitate quis ad hunc finem pervenit? cum etiam, qui optimi sunt, variis incommodis obiiciantur, quae tum fortuna, tum hominum malicia et pravitas conciliat. Requirit ea felicitas tranquillitatem animi, sed eam quis perpetuo in tanta fortunae iactatione retinere potest? Frustra igitur hic finis praescribitur, quem nemo attingit. | A cosa serve infatti sapere quale splendida creatura sia l'uomo, se si ignora il fine, se si ignora che egli è stato fatto per adorare Dio e per vivere con Dio per l'eternità? Aristotele dice qualcosa, quando identifica il fine dell'uomo con la felicità, che consiste nell'esercizio della virtù. Ma con una natura così impotente, chi può raggiungere questo fine, se anche gli uomini migliori vengono ostacolati da varie avversità, causate parte dal caso, parte dalla cattiveria e dalla malvagità degli uomini? Quella felicità richiede la tranquillità dell'animo, ma chi può conservarla in modo duraturo fra tanti rivolgimenti del caso? E perciò è inutile che qui sia indicato un fine a cui nessuno arriva. | |
42,107,27-38 | Genesisvorlesung | Lutero ritorna su una delle affermazioni aristoteliche che egli cita più spesso, quella secondo cui la ragione spinge alle cose migliori. Ad essa egli associa il principio aristotelico secondo cui non si dà virtù senza retta ragione e buona volontà. La distinzione operata da Lutero è chiarissima: queste affermazioni sono condivisibili solo in quanto si riferiscono alle attività sottomesse alla ragione. Esse cioè sono vere solo politice mentre in rebus superioribus sono quanto mai contrarie a Dio. La ragione umana non è retta, perché odia Dio e la volontà umana si oppone alla volontà di Dio. Cosa rimane dunque al dominio della ragione umana? L'esemplificazione di Lutero è interessante, con i suoi accenni alla pastorizia, all'edilizia e all'agricoltura, tre attività eminentemente pratiche. Così come è interessante il lessico di questa ragione: honestum, utile, corporale, carnale. Si parla dunque di una ragione strumentale, utilitaristica, funzionale al benessere dell'uomo e alla convivenza civile ordinata. Una riprova è nelle lezioni sulla lettera ai Galati del 1531, in cui Lutero ricorda che Aristotele vocat hoc rectam rationem, bonam voluntatem, si quaerat communem utilitatem (WA 40 I,411,1s.) e che vocat hoc rectam rationem et bonam voluntatem, si quaerat communem utilitatem Reipublicae, tranquillitatem et honestatem (WA 40 I,411,13-15). | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. I,13,1102b,15s.; III,2,1111b,4-1112a,18; VI,13,1144b,26-1145a,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 107 | sententia, ratio, deprecari, optimum, confirmare, causa, virtus, recta-ratio, bona-voluntas, ratio, pecus, gubernare, domus, aedificare, ager, conserere, superior, Deus, politice, iudicare, honestum, dictare, utile, corporalis, carnalis, verus, odisse, parere, recusare, ducere, ignoratio, aversio, gradus | no | Sed opponunt Aristotelis sententiam: Ratio deprecatur ad optima: hanc etiam quibusdam sacris sententiis conantur confirmare. Item eo, quod Philosophi disputant: Rectam rationem esse causam omnium virtutum. Haec quidem non nego esse vera, cum transferuntur ad res rationi subiectas, ad gubernandas pecudes, aedificandam domum, conserendum agrum. Sed in rebus superioribus non sunt vera. Quomodo enim recta ratio dici potest, quae odit Deum? Quomodo voluntas bona dici potest, quae Dei voluntati resistit ac Deo parere recusat? Quando igitur dicunt: Ratio deprecatur ad optima, Dic tu: ad optima politice, hoc est, de quibus ratio potest iudicare. Ibi dictat et ducit ad honestum, et utile corporale seu carnale. Caeterum cum plena sit ignorationis Dei et aversionis a voluntate Dei, quomodo potest in hoc gradu bona dici? | Essi però ribattono con la massima aristotelica per cui la ragione tende alle cose migliori e cercano anche di confermarla con alcune citazioni delle scritture. Lo stesso dicasi per il principio teorizzato dai filosofi: la retta ragione è causa di tutte le virtù. Certo, non nego che queste cose siano vere, quando vengono applicate alle realtà soggette alla ragione, al pascolo degli animali, alla costruzione della casa, alla semina nei campi. Ma per le realtà superiori non sono vere. Come può essere definita retta ragione quella che odia Dio? Come può essere definita volontà buona quella che fa resistenza alla volontà di Dio e si rifiuta di obbedire a Dio? Perciò, quando ti dicono: la ragione tende alle cose migliori, tu rispondi: migliori politicamente, quelle sulle quali la ragione può esprimere il suo giudizio. In tal caso la ragione detta le regole per condurre all'onestà e all utilità corporale, cioè carnale. Per il resto, invece, piena com è dell'ignoranza di Dio e di ripugnanza per la volontà di Dio, come può essere definita buona in questo grado? | |
42,292,6-8 | Genesisvorlesung | Lutero è alle prese con Gn 6,5: Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male , un versetto che prelude al racconto del diluvio universale. Questa affermazione nettissima viene interpretata da Lutero in conformità con la sua concezione del peccato originale: dopo la caduta di Adamo nell'uomo non rimane alcuna facoltà di conoscere e desiderare Dio. Il versetto biblico non si riferisce dunque alla parte irrazionale dell'anima, che, secondo i teologi cattolici, nell'umanità decaduta non è più pacificamente sottomessa alla parte razionale, ma all'intera anima umana e anzi soprattutto all'intelletto, come già Lutero aveva affermato nelle Lezioni su Isaia del 1531 (cfr. WA 31 II,268,37-269,12). Dire quindi che la ragione tende alle cose migliori non ha senso secondo Lutero se non in relazione alla realtà puramente mondana. Non certamente, comunque, nei riguardi di Dio. | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. I,13,1102b,15s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 292 | sententia, Iudaeus, Sophista, pars-inferior, bestialis, ratio, optimum, deprecari, intelligere, loqui | no | Non igitur leviter intelligenda sententia haec est, sicut a Iudaeis intelligitur et a Sophistis, qui putant eam tantum loqui de inferiore parte, quae bestialis est, Rationem autem deprecari ad optima . | Non è un'affermazione che si può prendere a cuor leggero, questa, come fanno Giudei e Sofisti, i quali ritengono che essa parli solo della parte inferiore, quella bestiale, ma che d'altra parte la ragione tenda alle cose migliori . | |
42,347,35-39 | Genesisvorlesung | Questo brano è speculare a WA 42,292,6-8, in cui Lutero commentava Gn 6,5, versetto in cui l'autore biblico parla della decadenza dell'umanità come causa del diluvio universale. Qui invece Lutero sta commentando Gn 8,21, in cui Dio dopo il diluvio afferma: non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, perché l'istinto del cuore umano è incline al male fin dall'adolescenza . Anche in questo caso, commenta Lutero, viene dichiarata la cattiveria del cuore umano. E a nulla valgono le sottigliezze dei Sofisti (gli interpreti cattolici) secondo cui la natura umana non è malvagia, ma incline al male: la Bibbia parla chiaro. Il commento di Lutero però presenta un significativo elemento in più rispetto a WA 42,292,6-8. I sofisti infatti avrebbero strumentalizzato ai loro fini anche Aristotele. La famosa dichiarazione aristotelica secondo cui la ragione tende alle cose migliori viene distorta, afferma Lutero, per confermare i propri punti di vista teologici ( ad hanc sententiam detorquent tandem Aristotelis dictum ). A un analogo tentativo di strumentalizzazione Lutero aveva fatto cenno in precedenza (cfr. WA 42,107,27s.) quando, a proposito del medesimo passo aristotelico, aveva affermato che i Sofisti hanc (sc. sententiam) etiam quibusdam sacris sententiis conantur confirmare . | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. I,13,1102b,15s.; III,2,1111b,4-1112a,18; VI,13,1144b,26-1145a,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 347 | causa, sententia, homo, lapsus, bona-voluntas, recta-ratio, res-naturalis, diabolus, detorquere, ratio, deprecari, optimum, quaerere | no | Postea querunt causam huius sententiae, et asserunt: In homine esse etiam post lapsum voluntatem et rectam rationem: Nam naturalia mansisse integra, non in hominibus solum, sed etiam in diabolo. Atque ad hanc sententiam detorquent tandem Aristotelis dictum: Rationem deprecari ad optima. | Essi poi indagano sul motivo di tale affermazione e dichiarano che nell'uomo, anche dopo la caduta, rimangono la buona volontà e la retta ragione: le facoltà naturali infatti sono rimaste integre non solo negli uomini ma anche nel diavolo. E per confermare questa opinione stravolgono perfino l'affermazione di Aristotele secondo cui la ragione è incline alle cose migliori. | |
42,349,40-350,8 | Genesisvorlesung | Lutero sta parlando di Duns Scoto e della sua affermazione secondo cui l uomo sulla base delle sue facoltà naturali può amare Dio sopra ogni cosa (cfr. ad es. III Sent., dist.27, qu. un., n.13). Questa proposizione è indice secondo Lutero della penetrazione della mentalità filosofica e pagana nella chiesa cristiana. I filosofi infatti concepiscono la virtù in funzione dell utile e non della gloria di Dio ed è proprio perché influenzati da tali concezioni gli scolastici hanno potuto incorrere in errori così gravi. E poi da mettere in rilievo il giudizio su Aristotele e Cicerone: In hoc genere summi sunt , dice Lutero, e queste parole descrivono sia il loro punto debole (il limitarsi al terreno filosofico) sia la loro grandezza. A partire da questi anni Lutero citerà sempre più di frequente insieme i due pensatori. Va inoltre sottolineata la prospettiva politica sotto la quale Lutero rilegge l etica aristotelica. E vero che Aristotele stesso definisce l Etica Nicomachea come un trattato di politica (Eth. Nic. I,2,1094a,27s.), ma non va dimenticato che la felicità è identificata da Aristotele stesso con l attuazione della parte migliore dell anima soprattutto attraverso l esercizio delle virtù dianoetiche. L affermazione di Lutero secondo cui i filosofi eas (le virtù) magnifice commendant propter politicum finem, quod vident et privatim et publice eas esse utiles rappresenta una chiave di lettura non priva di giustificazioni interne al testo aristotelico ma sostanzialmente unilaterale. Va rilevato che non abbiamo alcuna testimonianza di Lutero a proposito dell aspetto teoretico e contemplativo della filosofia aristotelica, così come ad esempio, all interno dei numerosissimi riferimenti all etica aristotelica sparsi nell opera di Lutero, non se ne trova uno che riguardi le virtù dianoetiche. | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. I,2,1094a,27-1094b,10 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 349 | Cicero, summus, virtus, docere, politicus, finis, privatim, publice, utilis, Deus, commodum, error, voluntas, verbum, Scholasticus, imaginatio, agnitio, commendare, mandatum, spectare, theologus, horribilis, prolabi | no | Sicut enim Aristoteles et Cicero, qui tamen in hoc genere summi sunt, multa de virtutibus docent, et eas magnifice commendant propter politicum finem, quod vident et privatim et publice eas esse utiles - De Deo autem nihil docent, quod magis eius voluntas et mandatum, quam vel privata vel publica commoda spectanda sint (hanc enim voluntatem Dei, qui verbum non habent, ignorant), Plane ad eum modum Scholastici Theologi Philosophicis imaginationibus capti neque Dei, nec sui veram agnitionem retinuerunt: Ideo in tam horribiles errores sunt prolapsi. | Aristotele e Cicerone infatti, che peraltro sono i massimi esponenti di questo sapere, insegnano molte cose sulle virtù ed esaltano il loro ruolo ai fini della convivenza civile perché constatano che esse sono utili in pubblico e in privato. D'altra parte però per quanto riguarda Dio non insegnano per nulla che la sua volontà e i suoi comandamenti devono essere rispettati più degli interessi umani, privati o pubblici che siano (chi non ha il Verbo, infatti, non sa che la volontà di Dio è questa). Come loro, proprio allo stesso modo, i teologi scolastici, prigionieri delle fantasie filosofiche, non hanno mantenuto un concetto vero né di Dio né di se stessi: ecco perché sono incorsi in errori così temibili. | |
42,351,4-9 | Genesisvorlesung | Lutero sta esaminando il caso di Attilio Regolo, lodato anche da sant Agostino come esempio di virtù perfetta in un uomo pagano. Ma perché si dia il caso di perfetta virtù mancano due condizioni, afferma Lutero. La prima è la causa formale, cioè la retta ragione e la buona volontà, proprio perché il pagano Attilio Regolo non conosceva il vero Dio. La seconda è la causa finale, cioè l obbedienza verso Dio e l amore al prossimo. La conseguenza, che Lutero qui non tira esplicitamente, è che nei pagani non può esserci virtù in senso pieno, dal momento che essi si muovono nel campo delle cause puramente naturali. La conclusiva frase di Aristotele viene così ad assumere una sfumatura scettica: uno stesso impetus può dar luogo ad azioni valutabili moralmente in modi opposti, qualora cambino le circostanze. | 517 | 1535-1545 | Pol. III,4,1277a,13s.; III,4,1277b,13-17 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 351 | virtus, causa, naturalis, passio, impetus, impulsus, patria, vitium, erudite, disputare, desiderare, movere, animus, fidem-praestare, impius | no | Qualis autem haec virtus est, in qua pene omnes causae desiderantur, praeter naturalem, quae est tantum passio, hoc est, impetus, seu impulsus, quo movetur animus ad praestandam hosti fidem? Habent autem hos impetus, ut dixi, etiam impii. Igitur, si pro patria suscipiuntur, fiunt virtutes, si contra patriam, fiunt vitia, sicut Aristotele erudite disputat. | Ma che razza di virtù è questa, in cui quasi tutte le cause vengono a mancare tranne la causa naturale, che è solamente passione, cioè uno slancio, ovvero un impulso, in forza del quale l'animo è mosso a prestare fiducia al nemico? Come ho detto prima, anche gli empi hanno di questi slanci. Se essi sono originati dall'amor patrio diventano virtù, se sono contro la patria vizi, come Aristotele, da esperto, afferma. | |
42,364,25-37 | Genesisvorlesung | Il commento verte su Gn 9,12-16, in cui si parla dell'arcobaleno mandato da Dio dopo il diluvio universale in segno di riconciliazione con l'umanità. Questo episodio biblico dà modo a Lutero di parlare della teoria aristotelica dell'arcobaleno, che non viene da lui criticata nei singoli punti, ma sostituita in blocco da un'altra spiegazione di natura teologica. Nei confronti della spiegazione aristotelica Lutero infatti non nasconde la propria istintiva simpatia. Dice che la posizione di Aristotele è ben nota, che il paragone degli specchi è introdotto non inepte, che la ragione (identificata ancora una volta con la filosofia naturale di Aristotele) sa riconoscere ciò che è verisimile in massimo grado. Non è dunque sui singoli contenuti che obietta Lutero, ma sul senso generale di una scienza che prescinde da Dio per spiegare tutto sulla base di cause naturali. Così si spiega il giudizio sui Meteorologica (una delle non frequenti valutazioni complessive di Lutero su singoli testi aristotelici), un opera a cui Lutero nega ogni credibilità. Lutero, infine, è coerente con se stesso. In una predica tenuta il 5 luglio 1523 a proposito degli stessi versetti della Genesi, egli concludeva: Ita ratio loquitur de rebus divinis (WA 14,203,8). Neppure la sfera dei fenomeni naturali si spiega dunque a partire dalle sole cause naturali riscontrabili con l'osservazione empirica. | 517 | 1535-1545 | Meteor. III,4 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 364 | iris, causa-naturalis, significare, color, qualitas, nubes, ratio, gignere, rotunditas, similitudo, speculum, imago, reflectere, radius, sol, roridus, concavus, verisimilis, veritas, incidere, creatura, creator, liber, credere, fondamentum, niti, oriri, tempestas, diluvium, verbum-dei | no | Porro disputatur hic: Num in Iride naturales causae sint, quae hoc significent? Ac notum est, quid disputent Philosophi, praecipue Aristoteles in meteoris, de colore Iridis, de qualitate nubis, in qua gignitur, de rotunditate. Nec inepte additur similitudine speculorum, in quibus reflectitur imago, sicut radii solis reflectuntur et faciunt Iridem, cum incidunt in nubem roridam et concavam. Videt enim ratio in talibus, quid maxime sit verisimile, etsi veritatem ubique videre non potest. Hoc enim non creaturae, sed Creatoris est. Sed ego nulli unquam Libro minus credidi, quam illi de meteoris, quod hoc fundamento nititur, quasi omnia ex naturalibus causis oriantur. De Iride autem certum est (etsi dicunt, praesagium esse triduanae tempestatis, quod facile permitto), quod significat, nullum Diluvium venturum esse. Et tamen significat hoc non ex aliqua naturali causa, sed tantum ex verbo Dei, quia Deus sic statuit et definit per verbum suum. |
A questo punto occorre affrontare questo problema: se l'arcobaleno abbia cause naturali e cosa esse significhino. E' noto cosa dicono i filosofi, in particolare Aristotele nei Meteorologica, a proposito del colore dell'arcobaleno, della qualità della nube in cui esso si genera, della rotondità. E non a sproposito si introduce la similitudine degli specchi in cui l'immagine è riflessa, così come i raggi del sole vengono riflessi e causano l'arcobaleno quando toccano la nube concava e rugiadosa. In tali fenomeni la ragione vede ciò che è verosimile in massimo grado, sebbene non possa vedere dappertutto la verità. Questo non spetta alla creatura, ma al creatore. D'altra parte a nessun libro ho mai creduto meno che a quello sulle meteore, proprio perché si fonda su questo presupposto, come se tutto derivasse da cause naturali. Ciò che è certo dell'arcobaleno (per quanto si dica anche che esso annunci una tempesta di tre giorni, cosa che concedo volentieri) è che esso significa che non verrà alcun diluvio. Questo significato non dipende da una qualche causa naturale ma solo dal verbo di Dio, perché Dio ha stabilito e deciso così attraverso il suo verbo. |
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42,365,4-13 | Genesisvorlesung | Il passo riportato è di poche righe successivo a WA 42,364,25-37, commentato più sopra. A proposito dell arcobaleno, Lutero si sente in dovere di precisare quale tipo di certezza abbiano le scienze della natura. Esse non vanno del tutto rigettate, ma accettate come forme di conoscenza particolare e probabile, com è evidente dal fatto che gli argomenti aristotelici a favore dell arcobaleno trovano poi nell applicazione pratica molte smentite. In ogni caso ciò che è inaccettabile in queste scienze è la pretesa, secondo Lutero tipicamente aristotelica, da lui bene espressa con la frase omnium rerum posse reddere causas . Le scienze naturali dunque a giudizio di Lutero peccano di eccessivo razionalismo, non sufficientemente suffragato dai fatti empirici. Non si deve però pensare a Lutero come a un difensore dell osservazione e del metodo empirico; in primo luogo è la sacra scrittura a confutare Aristotele, l osservazione empirica viene solo in un successivo momento e a puro titolo di conferma di quanto già stabilito dalla teologia. | 517 | 1535-1545 | Meteor. III,4 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 365 | cogitatio, speculatio, naturalis, demonstratio, nubes, roridus, cavus, certus, iris, terra, causam-reddere, verus, contemnere, fidere, ratio, arctus, Vuittenberga, circulariter, rotundus, clausus, turpis, persuadere, verum | no | Cogitationes et speculationes naturales de his rebus non prorsus contemno. Sed quia demonstrationes non sunt solidae, non nimium eis fido. Ac rationes, quas Aristoteles assignat de nube rorida et cava, non sunt certae, quia possunt tales nubes existere, etsi iris non fiat. Sicut ex medio vel crassiore vel subtiliore iris aut maior, aut arctior fieri potest. Ac vidi ergo hic Vuittenbergae Iridem circulariter rotundam et undique clausam, non ita praecisam in superficie terreae, sicut communiter apparet. Cur igitur alio modo aliter fiunt irides? Excogitabit, credo, aliquid Philosophus, turpe enim ducet sibi, non omnium rerum posse reddere causas. Sed profecto mihi nunquam persuadebit, ut credam vera dicere. | Io non disprezzo del tutto le teorie e le ipotesi di spiegazione naturali di queste cose, ma poiché si tratta di dimostrazioni poco probanti, non faccio eccessivo affidamento su di esse. Anche gli argomenti che Aristotele porta a proposito della nube rugiadosa e concava non danno certezza, perché possono esistere nubi del genere senza che vi sia l'arcobaleno. E allo stesso modo da un mezzo più sottile o più spesso può derivare un arcobaleno più largo o più stretto. E infatti io una volta ho visto qui a Wittenberg un arcobaleno a forma di cerchio perfettamente chiuso, non interrotto dalla superficie della terra come appare di solito. Perché allora in alcuni casi l'arcobaleno si genera in un modo e in altri in un altro? Credo che il Filosofo escogiterà qualcosa, perché riterrà vergognoso non essere in grado di spiegare l'origine di ogni singolo fenomeno. Ma una cosa è certa: non riuscirà mai a farmi credere che sta dicendo il vero. | |
42,365,18-22 | Genesisvorlesung | Lutero contesta il tentativo di spiegare razionalmente sulla base della filosofia aristotelica fenomeni atmosferici eccezionali, come ad esempio il fuoco che si genera sugli alberi delle navi. Si tratta sempre, afferma Lutero, di fenomeni divini, e non è difficile capire se questi abbiano un'origine divina o diabolica. Non vale dunque invocare il calore prodotto dall'attrito dei corpi celesti sull'aria, sulla scorta del De caelo di Aristotele, per tentare di spiegare queste realtà: l'origine vera è diabolica, e solo la teologia può dare una spiegazione compiuta di questi fenomeni, naturali solo in apparenza. Al fenomeno del riscaldamento dell'aria Lutero fa cenno qui per la seconda volta nella Genesisvorlesung (cfr. WA 42,19,28-35). | 517 | 1535-1545 | De caelo II,7,289a,20-33; Meteor. I,7 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 365 | flamma, navis, Castor, Pollux, luna, equus, ludibrium, daemon, aër, incensus, cometa, vapor | no | Gentes flammas in navibus apparentes iudicarunt Castorem et Pollucem esse; Et apparet aliquando Luna super aures equorum. Haec omnia certum est esse ludibria Daemonum in aëre, Quanquam Aristoteles sentit esse aërem incensum, sicut de Cometa quoque disputat esse incensum vaporem. | I pagani pensarono che le fiamme che apparivano sulle navi fossero Castore e Polluce; qualche volta poi anche la luna appare al di sopra di orecchie di cavalli. Queste cose sono certamente beffe compiute nell'aria dai demoni, sebbene Aristotele ritenga che l'aria sia ardente, così come dice anche a proposito della cometa, definita un vapore ardente. | |
42,373,34-374,3 | Genesisvorlesung | Ed ecco il curriculum rationis secondo Lutero: Catone il censore, Esopo, Aristotele e Cicerone, in ordine - pare di capire dall'esposizione - di sistematicità e profondità crescente. Questi quattro autori testimoniano il nobile sforzo in tema di morale da parte di un'umanità che non ha conosciuto il verbo di Dio. Sforzo da lodare, purché sia chiaro di quali oggettivi limiti esso è espressione. C'è probabilmente qualcosa di autobiografico nel considerare gli autori pagani in chiave pedagogica. L'approccio al mondo classico negli anni della formazione è stato sicuramente un'esperienza che segnò in positivo Lutero, come ha dimostrato Oswald Gottlob Schmidt (Luthers Bekanntschaft mit den alten Classikern. Ein Betrag zur Lutherforschung, Leipzig 1883, pp.VII-64). In questi anni dell'avanzata maturità di Lutero si verifica inoltre un fenomeno interessante, anche se circoscritto alla filosofia morale: Cicerone prende il posto di Aristotele nella gerarchia delle auctoritates pagane. In realtà questo sorpasso però non è dovuto al fatto che Lutero consideri Cicerone più geniale di Aristotele, ma perché il primo è ritenuto più religioso del secondo, meno freddo quando si tratta di descrivere il rapporto tra uomo e Dio. Quindi non di supremazia intellettuale si tratta, ma morale e religiosa. | 517 | 1535-1545 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 373 | doctrina, facere, Cato, Aesopus, Cicero, mos, magister, iuvenis, adultus, disciplina, curriculum, ratio, ethnicus, industria, diligentia, discere, scire, carmen, moralis, anteponere, praeceptum, reprehendere, Moses | no | Qui igitur consistit in hac doctrina legis, vere nihil est quam auditor, nec discit aliud, quam ut sciat, quid sit faciendum. Itaque satis fuerit, si nihil aliud volentibus discere proponas Catonis carmen, aut Aesopum, quem meliorem morum magistrum esse iudico. Atque ideo utiliter ambo proponuntur iuvenibus: adultiores Ciceronem discant, cui miror quod quidam in morali disciplina Aristotelem anteponunt. Hoc quasi curriculum rationis est. Itaque quod ad ipsa praecepta morum attinet, non potest Ethnicorum industria et diligentia reprehendi. Sunt tamen omnes infra Mose, qui non tantum mores, sed etiam Dei cultum ostendit. | E pertanto chi trova la sua stabilità in questa dottrina della legge è veramente un puro e semplice auditore e non impara nulla, a parte il fatto che sa le cose che è giusto fare. Sarà dunque sufficiente se a coloro che non vogliono imparare null'altro si propongano il poema di Catone o Esopo, che giudico un maestro di morale ancora migliore, e infatti entrambi vengono proposti con profitto ai giovani. I più adulti invece studino Cicerone: e mi meraviglio che alcuni in tema di morale gli preferiscano Aristotele. Questo è quasi un percorso della ragione. Ecco perché lo zelo e la sistematicità dei pagani, per quanto riguarda i precetti morali, non possono essere criticati. Tuttavia essi sono tutti inferiori a Mosè, che non propone solo una morale, ma anche il culto di Dio. | ||
42,374,11-16 | Genesisvorlesung | La saggezza umana viene paragonata da Lutero al corvo inviato fuori dall'arca da Noè per vedere se la terra si era prosciugata dopo il diluvio universale (Gn 8,6-8). Si tratta di una saggezza parziale, anche se iscritta nel cuore dell'uomo, come dice san Paolo (Rm 2,15: essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dei loro stessi ragionamenti ). Tale saggezza dev'essere completata dalla fede, che per Lutero è significata dalla colomba, rientrata nell'arca con un ramoscello di ulivo nel becco. Compito della saggezza pagana è porre per quanto è possibile un qualche rimedio ( aliquo modo... corrigantur ) agli impulsi del vizio, anche se per placare la coscienza e dare la certezza del destino eterno ci vuole la fede. Aristotele dunque viene iscritto a pieno diritto tra i filosofi saniores, la cui funzione è essenzialmente pedagogica. | 517 | 1535-1545 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 374 | Aesopus, Plato, Xenophon, Cicero, Cato, corvus, lex, mens, sanus, rudis, ferox, natura, disciplina, corrigo, impetus, viciosus, inscribere, naturalis, cognitio, philosophi, liber | no | Emittitur quidem corvus; vult enim Deus doceri legem, et eam revelat divinitus, imo omnium Hominum mentibus eam inscribit, sicut Paulus probat, Rom. 2. Et sunt ex hac ipsa naturali cognitione omnes Philosophorum saniorum libri nati, sicut Aesopi, Aristotelis, Platonis, Xenophontis, Ciceronis, Catonis. Recte igitur proponuntur rudibus et ferocioribus naturis, ut aliquo modo disciplina hac corrigantur viciosi impetus. | Viene fatto uscire il corvo; Dio infatti vuole che la legge sia insegnata, e la rivela per divina ispirazione, anzi la scrive nei cuori di tutti gli uomini, come dimostra Paolo nel secondo capitolo della lettera ai Romani. E da questa stessa conoscenza naturale sono nati tutti i libri dei filosofi più assennati, come Esopo, Aristotele, Platone, Senofonte, Cicerone, Catone. A ragione pertanto questi libri vengono proposti alle nature più rozze e selvagge, in modo che gli impulsi del vizio vengano in qualche modo corretti da questo esercizio. | ||
42,403,4-8 | Genesisvorlesung | Ecco un passo aristotelico a cui Lutero è molto affezionato e che cita ogni qual volta si trova a commentare l'undicesimo capitolo della Genesi: Politica III,3,1276a,28, in cui si descrive l'ampiezza della città di Babilonia. Quando il pensiero di Aristotele concorda con le scritture, viene sempre valorizzato da Lutero. Inoltre alla testimonianza di Aristotele si aggiunge quella di un altro autore classico: Plinio il Vecchio (Hist. nat. VI,121), a cui Lutero aveva già fatto riferimento in WA 19,405,23-29 sempre a proposito di Babilonia. | 517 | 1535-1545 | Pol. III,3,1276a,28 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 403 | civitas, Babylon, Plinius, provincia, murus, pars, Babel, Erech, Acad, Calne, magnitudo, curia, plebs, autor | no | Exponitur autem fere hic locus ad hunc modum, quod una et eadem civitas Babylon fuerit divisa in quatuor partes, et earum nomina fuisse Babel, Erech, Acad et Calne. Nam Plinius tanta dicit fuisse magnitudine, ut habuerit quadraginta sex Curias et plebes. Et Aristoteles autor est, Babylonem non Civitatem, sed Provinciam fuisse, cinctam muro. | In linea di massima questo passo viene spiegato nel senso che un unica e medesima Babilonia era stata divisa in quattro parti e che i loro nomi erano Babele, Uruch, Accad e Calne. Plinio infatti dice che essa era di una grandezza tale da annumerare quarantasei tra curie e plebi. Aristotele da parte sua testimonia che Babilonia non era una città, ma una provincia cinta da mura. | |
42,408,19-38 | Genesisvorlesung | Si torna a parlare di Cicerone in paragone ad Aristotele. Lutero si esprime chiaramente: al secondo va la palma della genialità, al primo quella della religiosità. Lutero mette addirittura in campo una excusatio non petita in favore di Cicerone: se non si fosse dedicato alla politica sarebbe stato un filosofo ancora migliore. Aristotele invece secondo Lutero viene spinto dalla veemenza della ragione ad affermare l'eternità del mondo. La ragione qui viene implicitamente paragonata a una passione irrefrenabile ( violentia quadam ab ipsa ratione eo impellitur ) e d'altra parte anche all'inizio della Genesisvorlesung (cfr. WA 42,3,30-4,20) Lutero aveva parlato negli stessi termini della ragione: hic (sc. ratio) cogitur subsistere (WA 42,4,12, ma cfr. anche WA 42,92,33-93,13). Molte delle argomentazioni lì addotte - soprattutto l'argomento dell'infinità delle anime - vengono riprese qui, anche se con un certo disordine, per cui argomentazioni aristoteliche e non aristoteliche vengono considerate alla stessa stregua. L'impossibilità che esistano più infiniti non è infatti dottrina aristotelica, ma fa parte del succitato argomento di origine medievale (a partire da Al-Ghazali). Molto interessante infine la rinuncia di Lutero a commentare la dottrina platonica. Si parla dell'origine del mondo, e quindi Lutero si riferisce probabilmente al demiurgo: una concezione che egli non considera seria e che liquida come satirica nei confronti degli altri filosofi greci. A proposito delle stesse dottrine egli dice che Plato retulit potius audita quam suam sententiam (WA 20,70,30). Platone è sempre una fonte di imbarazzo per Lutero. Anche per questo, oltre che per la maggiore influenza di Melantone, negli ultimi anni la figura di Platone come esponente di un pensiero religioso da contrapporre all' ateo Aristotele viene sostituita da Cicerone. Non si dimentichi infine che qui Lutero sta commentando Gn 10,15-26, in cui si parla della discendenza dei figli di Noè. Se Aristotele e i filosofi sono nell'errore, la verità sull'origine dell'uomo va quindi cercata in questi versetti, da interpretare alla lettera (cfr. WA 42,409,8-14). | 517 | 1535-1545 | Phys. III,3-8; e in particolare III,6,207a,25s.; III,5,204a,21s.; III,6,206a,9-25; IV,1,209a,2-7; IV,8,214b,12s.; IV,8,216a,26-216b,12; De caelo II,1,283b,26-30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 408 | acutissimus, Cicero, conferre, ingenium, laus, superior, respublica, negocium, homo, origo, primus, ultimus, anima, mortalis, Plato, serio, ridere, absurdum, infinitum, potentia, actus, vacuum, dimensio, penetratio, prudens, violentia, ratio, impellere, statuere, philosophi, testimonium, sententia, consequentia, inevitabilis, annus, series, sapientia, prudens, disputare, scopulus, religio, creatura | no | Aristoteles, homo acutissimus, quem etsi cum Cicerone libenter confero, tamen ingenii laude superiorem fuisse existimo (nam Ciceronis studia reipublicae negociis non parum sunt impedita). Hic, cum de hominis origine cogitat, violentia quadam ab ipsa ratione eo impellitur, ut statuat nec primum, nec ultimum esse Hominem. Platonem non iudico de hac re serio disputasse, sed suorum temporum Philosophos voluisse ridere, igitur eius testimonio hic non utor. Sed si Aristotelis sententiam, qui serio de his rebus cogitavit, sequaris, quae ibi sequentur absurda? Primum enim inevitabili consequentia sequetur, quod Anima sit mortalis. Philosophia enim non solum nescit aliquod infinitum in potentia, sed simpliciter plura infinita dicit esse impossibilia, sicut vacuum et dimensionum penetrationem. In actu infinitum agnoscit, sicut videmus transeuntes et venientes homines, tam longa annorum serie, quam Aristoteles putat esse potentia infinitam. Haec scilicet nostrae rationis est sapientia, ut nostram nesciamus originem, si absit verbum. Sicut autem ingenio Aristotelem Ciceroni antepono, Ita Ciceronem video de his ipsis rebus disputasse multo prudentius. Cavet enim sibi ab hoc loco de infinito, tanquam a periculoso scopulo, et arripit locum religionis, hoc est, transfert disputationem ad Creaturae considerationem, quae aliquo modo iudicari a ratione potest. |
Aristotele fu un uomo molto intelligente e sebbene io lo paragoni volentieri a Cicerone d'altra parte ritengo che gli sia superiore per la fama della sua genialità (l attività intellettuale di Cicerone infatti fu frenata non poco dalla sua carriera politica). Quando Aristotele affronta il problema dell origine dell uomo viene indotto - a forza, per così dire - dalla ragione stessa a stabilire che non esistono né un primo né un ultimo uomo. Per quanto riguarda Platone, penso che non abbia trattato seriamente di questo argomento, ma abbia voluto deridere i filosofi del suo tempo e perciò qui non mi avvalgo della sua testimonianza. Ma se si prende per buono il punto di vista di Aristotele, che è andato a fondo di questo argomento con serietà, quali assurdità deriveranno? In primo luogo, come conseguenza inevitabile, ne deriverà che l anima è mortale. La filosofia infatti non solo non ammette che ci possa essere un oggetto infinito in potenza, ma dice semplicemente che è impossibile che ci siano più infiniti, così come dice per il vuoto e per la compenetrazione delle dimensioni. Essa non conosce neppure un infinito in atto, e così noi vediamo uomini che vengono e vanno, in una successione di epoche assai lunga che Aristotele ritiene essere potenzialmente infinita. D altra parte questa è la sapienza della nostra ragione: se manca il Verbo, non conosciamo più la nostra origine. E quindi, se da una parte penso che Aristotele sia superiore a Cicerone per genialità, d altra parte mi sembra che Cicerone abbia trattato molto più saggiamente di questi argomenti. Egli infatti evita come uno scoglio insidioso questo tema dell infinito e passa al tema religioso, cioè sposta la discussione alla considerazione della creatura, che almeno per qualche verso può essere studiata dalla ragione. |
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42,474,30-32 | Genesisvorlesung | Lutero si rifà a una frase del Lelius, De amicitia di Cicerone : Ama tanquam osurus (cap. 16), frase che a sua volta è tratta da un detto attribuito a Biante e citato nella Retorica di Aristotele. Aristotele viene citato per confermare in negativo quanto Lutero afferma. Come cioè il sospetto è fonte di rottura delle amicizie, così la verità è la migliore garanzia dell'amore e dell'amicizia tra le persone. | 517 | 1535-1545 | Rhet. II,13,1389b,22-24; II,21,1395a,28-33 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 474 | suspicio, diligere, odisse, veritas, mater, amor, statuere | no | Suspicio autem est, statuere, quod, quem nunc diligis, osurus aliquando sis. Huic affine est, quod Aristoteles veritatem vocat matrem amoris. | Il sospetto infatti consiste nell'immaginare che sei destinato, prima o poi, ad odiare la persona che oggi ami. Analogo a questo è quanto Aristotele dice della verità come madre dell'amore . | |
42,478,17-24 | Genesisvorlesung | La superiorità dell'etica cristiana su quella pagana non consiste solo nell'offrire la consolazione e la salvezza all'uomo, cose che la saggezza pagana non può dare. Essa è superiore anche per quanto riguarda i singoli precetti. Lutero qui approfondisce ciò che aveva affermato in WA 42,349,40-350,8, e cioè che i filosofi pagani Aristotele e Cicerone insegnano molte cose sulle virtù, ma niente su Dio e la religione. E' a proposito delle virtù stesse che la filosofia pagana si dimostra carente e incompleta, perché insegna l'odio, la vendetta, introduce il sospetto nelle amicizie, mentre il cristianesimo comanda all'uomo di amare. Lutero qui non si riferisce ad Aristotele, ma al De amicitia di Cicerone (cfr. sopra il commento a WA 42,474,30-32) e ad altri poeti latini (ad esempio Ovidio, Metamorph. 1,145, cfr. WA 42,478,9s.), ma la conclusione va a parare ancora su Aristotele e Cicerone, nominati esplicitamente e anche attraverso le loro opere e considerati simboli della saggezza pagana. Da notare l'uso dei termini Aristoteles e Cicerones al plurale, come già in WA 20,546,25-29 con Aristoteles e Platones. Nell'espressione Officiorum ratio c'è infine un probabile riferimento specifico a Off. 1,8: quod ratione factum est, id officium appellamus , il che permetterebbe di chiarire ulteriormente la figura di Cicerone, accanto a quella di Aristotele, come rappresentante della ragione naturale. | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic.; Rhet. II,13,1389b,22-24; II,21,1395a,28-33 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 478 | philosophia, gentilis, discere, odium, malum, amicitia, ethica, ratio, officium, Cicerones, Aristoteles-pl., praesumere, fugere, vinculum, sacrae-literae, fiducia, amor, sperare, cogitare, frui | no | Haec non discimus ex Philosophia gentili, quae probat odium contra inimicos, et semel malum semper praesumit malum, ideo fugit et odit, ac arctissima amicitiae vincula solvit. Sed sacrae literae diversum docent. Fiduciam tollunt, amorem autem mandant. Sic Abraham metuit periculum ab Aegyptiis, sed non ideo eos odit. Bene sperat, et cogitat, quod velit eorum bonis frui, quibus potest. Si quid tamen accidat adversi, hoc neque inopinatum accidit, nec concitat ad odium. Hoc modo sacrae literae docent Ethicam, seu Officiorum rationem longe melius, quam ulli Cicerones vel Aristoteles. | Non abbiamo imparato queste cose dalla filosofia pagana, che approva l'odio contro i nemici e che quando subisce un male poi si aspetta sempre il male e perciò si tiene alla larga, odia, scioglie vincoli strettissimi di amicizia. Le sacre scritture insegnano il contrario. Eliminano la fiducia, ma comandano l'amore. E così Abramo teme per il pericolo che costituivano gli Egizi, ma non per questo li odia. Egli ha buone speranze e pensa di voler usare dei loro beni, di quelli che è possibile usare. Se poi capita qualche avversità, questa non lo coglie di sorpresa e non lo spinge all'odio. E così le sacre scritture insegnano l'etica, o la motivazione dei doveri, di gran lunga meglio di tutti i Ciceroni e gli Aristoteli. | |
42,497,6-14 | Genesisvorlesung | Questo passo ricorda da vicino la seconda tesi filosofica della Disputa di Heidelberg, là dove Lutero, istituendo un paragone tra filosofia e passione dei sensi, dice: non quod philosophia sit mala nec voluptas, sed quod cupido utriusque non potest esse recta nisi christianis (WA 59,410,3-5). Poco più sotto Lutero torna sulla tematica agostiniana dell'uti e del frui. Ideo philosophari extra Christum idem est, quod extra matrimonium fornicari, nusquam enim utitur, sed fruitur homo creatura (WA 59,410,10-12). Non sono le cose del mondo ad essere cattive, ma il cuore umano, per cui non c'è alcuna ragione di tenersi lontani dal matrimonio o dalla politica: è il cuore che va cambiato. Lutero intende con ciò contestare teologicamente i voti di castità degli ordini religiosi. All'argomento teologico egli aggiunge quello basato sulla ragione umana, cioè su due citazioni di Aristotele. La prima è il detto di Biante citato a sua volta da Aristotele nell'Etica Nicomachea, la seconda è il passo della Politica in cui si afferma che l'uomo solitario o è un Dio o una bestia, e con un'aggiunta non priva di ironia Lutero conclude che egli è senza dubbio una bestia. Va notato che quest'ultimo passo aristotelico è riportato anche in una predica del 1529 (WA 29,237,1-4) e che in entrambi i casi Aristotele non è esplicitamente citato. E' infine da rilevare che Lutero anche in questi anni si avvale volentieri di testimonianze aristoteliche per confutare le tesi dei suoi avversari. | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. V,1,1130a,1s.; Pol. I,2,1253a,27-29 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 497 | gubernatio, usus, vitium, cor, philosophi, gerere, magistratus, vir, solitarius, homo, deus, bestia, consequentia, monasticus, stultus, opinio, abicere, coniugium, rectus, sapientia, laus, abstinere, ostendere, minor | no | Igitur monasticas et stultas illas opiniones abiiciamus, et cum vocamur vel ad gubernationem rerum, vel ad coniugium, non cogitemus mali aliquid esse in gubernatione, seu usu rerum: Si quid vitii est, in corde est, id curemus, ut rectum sit, et omnia habebunt recte. Magni Philosophi sapientiae hanc laudem putarunt, si abstinerent a rebus gerendis: Sed rectius iudicat Aristoteles, cum dicit: Magistratus ostendit virum. Et notum est triviale dictum: Homo solitarius aut bestia, aut Deus: Addenda autem est minor, Deus esse non potest, et sequetur optima consequentia, quod solitarium hominem necesse sit esse bestiam. |
E allora buttiamo via tutte queste stupide idee monastiche e quando siamo chiamati ad assumere una responsabilità pubblica o a contrarre matrimonio non pensiamo che ci sia qualcosa di male nel governare o nell'usare di queste cose. Se c'è qualcosa di vizioso, è nel cuore; facciamo in modo che il cuore sia retto e anche queste cose lo saranno. Alcuni grandi filosofi considerarono lodevole segno di saggezza l'astenersi dalle occupazioni quotidiane. Ma Aristotele coglie maggiormente nel segno quando dice che la carica pubblica mostra la stoffa dell'uomo. Ed è noto il detto popolare secondo cui l'uomo solitario o è una bestia o è un dio. Va aggiunta la premessa minore: un Dio non può essere. Ne deriverà così con perfetta consequenzialità che l'uomo solitario non può che essere una bestia. |
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42,505,21-25 | Genesisvorlesung | Lutero insiste nella sua critica agli ordini religiosi, in particolare a quelli, come i certosini, caratterizzati da una regola di vita molto severa. Proprio alla severità delle regole egli oppone il concetto aristotelico di equità, ritenendo che la più integrale applicazione di una legge (le regole di vita dei religiosi vengono qui equiparate in tutto alle leggi civili) coincida con la massima ingiustizia. | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. V,10,1137a,31-1138a,3 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 505 | epiikia, virtus, lex, praeclare, disputare, moderatrix, pax, charitas, Augustinus, carthusianus, vestire, cibare, regere, aequaliter, valere, sapientissimus | no | Discite igitur, quod pax et charitas sit moderatrix et dispensatrix omnium virtutum et legum: Sicut Aristoteles in quinto Ethicorum praeclare de Epiikia disputat. Et Augustinus nequaquam sic docet, ut fatui Carthusiani. Vestiendi, cibandi, regendi sunt, inquit, non aequaliter omnes, quia non valetis aequaliter omnes. Sapientissima vox. | E allora imparate che la pace e la carità moderano e dispensano tutte le virtù e le leggi nel modo descritto da Aristotele nel quinto libro dell'Etica, in cui tratta in modo egregio dell'ejpieivkeia. E anche l'insegnamento di Agostino non coincide affatto con quello degli insensati certosini. Egli dice che non si può vestire, sfamare, amministrare tutti allo stesso modo, perché - dice - non siete fatti tutti allo stesso modo : una parola di grandissima sapienza. | |
42,584,18s. | Genesisvorlesung | Lutero sta commentando Gn 16,4: Abramo si unì ad Agar, che restò incinta. Ma, quando essa si accorse di essere incinta, la sua padrona non contò più nulla per lei . Ed è proprio dell'ingratitudine umana che qui si sta parlando, un'ingratitudine che Lutero, in coerenza con la sua visione della natura umana integralmente corrotta dal peccato, definisce necessaria. Che l'uomo commetta peccato è non solo inevitabile, ma necessario in senso aristotelico, nel senso che non può in linea di principio verificarsi il contrario. La citazione di Metafisica V,5 è letterale. | 517 | 1535-1545 | Metaph. V,5,1015a,33-35 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 584 | res-humanae, contingens, necessarius, impossibiliter, se-habere, verbum, uti | no | Tales sunt res humanae: nec contingentia haec dixeris, sed necessaria, et impossibiliter aliter se habentia, ut Aristotelis verbo utar. | Tali sono le cose umane. E non queste cose non andranno definite contingenti ma necessarie e tali, per usare l'espressione di Aristotele, che sia impossibile che siano in modo diverso da come sono. | |
42,608,37-609,6 | Genesisvorlesung | Di tutti i passi in cui Lutero accenna alla recta ratio e alla bona voluntas (WA 40 I,410,11-411,7; 40 I,410,24-411,23; 40 I,457,21-27; 42,107,27-38; 42,347,35-39), questo è il più sintetico. Da una parte infatti egli vuol dimostrare che un atto buono, sulla base di queste due sole premesse, è impossibile, perché la volontà dell'uomo è cattiva e la ragione soggetta ad errore. D'altra parte però Lutero riconosce che qui Aristotele afferma la priorità del soggetto agente sull'azione, e che quindi un'azione è buona solo se è buono (ha cioè retta ragione e buona volontà) chi la compie. Se da una parte tutto ciò ha una conseguenza quasi scontata e subito tematizzata da Lutero, e cioè che singole azioni, per quanto esse in speciem siano buone, non possono correggere il vicium originale dell'uomo, dall'altra ha un importante risvolto anche nell'interpretazione luterana di Aristotele. Questo brano è infatti in implicita contraddizione con l'accusa, ripetuta da Lutero come un ritornello, secondo cui non enim, ut errat Aristoteles, iusta faciendo iusti efficimur, sed iusti facti operamur iusta (WA 2,424,35). Lutero ora riconosce implicitamente che per Aristotele sono vere entrambe le proposizioni. Tale riconoscimento non è una novità assoluta per Lutero; lo si può riscontrare anche nelle opere precedenti il 1517 (cfr. WA 4,19,28-30; 1,119,26-33), ma a partire dal 1518 egli accentua esclusivamente l'aspetto della giustizia acquisita attraverso gli atti a scapito delle caratteristiche dell'agente. | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. III,4,1113a,23s.; VI,13,1144b,26-1145a,6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 608 | lex, gentes, lumen-rationis, opus, bonus, recta-ratio, bona-voluntas, experientia, persona, recte, refutare, sententia, iudaeus, cor, revelare, docere, iustificare, concludere, disputare, malus, errare, testari, species, vicium, voluntas, ratio, philosophi | no | Solis Iudaeis est data scripta lex: gentes eam habuerunt scriptam in cordibus suis, hoc est, secum natam, et nos hodie revelato Euangelio cogimur diligenter docere legem, et inculcare populo, sed etiam natura duce et ex ipso rationis lumine possumus concludere, legem non iustificare. Aristoteles disputat, opus non esse bonum, nisi fiat ex recta ratione et bona voluntate. Cum igitur voluntas mala sit, et ratio erret, sicut experientia testatur. Sequitur profecto operibus in speciem optimis hoc vicium voluntatis et rationis non corrigi. Igitur Philosophi quoque concludunt, quod ante bona opera oportet personam esse bonam, hoc est, quod oporteat voluntatem esse bonam, et rationem rectam esse, priusquam aliquid recte fiat. Nec potest refutari sententia haec. |
Una legge scritta è stata data solo ai Giudei: i pagani invece l'hanno trovata scritta nei loro cuori, da quando cioè sono nati. Noi invece, in questi tempi in cui l'Evangelo è già stato rivelato, siamo costretti a insegnare con puntualità la legge e a inculcarla al popolo; e tuttavia, anche solo seguendo la natura e anzi basandoci proprio sulla luce della ragione, possiamo dimostrare che la legge non rende giusti. Aristotele afferma che un atto non è buono se non nasce dalla retta ragione e dalla buona volontà. La volontà però è cattiva e la ragione soggetta a errore, come l'esperienza dimostra. Conseguenza inevitabile è che questo vizio della volontà e della ragione non viene corretto da opere, per quanto di ottima specie. Per questo sono i filosofi stessi a concludere che, prima ancora delle sue opere, è la persona che dev'essere buona. Questo significa che, perché qualcosa sia fatto con rettitudine, è prima necessario che la volontà sia buona e la ragione sia retta: e questa affermazione non può essere confutata. |
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43,94,3-7 | Genesisvorlesung | Lutero esprime la preoccupazione che i suoi stessi libri possano allontanare i fedeli dalla lettura diretta delle scritture. I commentari, afferma infatti Lutero, sono diventati un ricettacolo di sapienza umana, addirittura pagana. Tommaso e Scoto (significativamente citati al plurale) agli occhi di Lutero sono portenta, mostri, proprio perché in loro sono presenti cristianesimo e paganesimo insieme. | 517 | 1535-1545 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 94 | commentarius, theologi, Averroes, Thomae, Scoti, portentum, homo, sacer, studium, tempus, consumare, occupare | no | Postquam enim in hominum commentarios inciderunt, qui sacris studiis dediti erant, non solum plurimum temporis in lectione veterum Theologorum consumpserunt: sed etiam tandem occupati sunt in Aristotele, Averroe et aliis, ex quibus postea nati sunt Thomae, Scoti et similia portenta. | E infatti, da quando coloro che erano dediti agli studi sacri cominciarono ad avere a che fare con commentari umani, non solo consumarono la maggior parte del tempo nell'interpretazione dei teologi a loro precedenti, ma alla fine si occuparono addirittura di Aristotele, Averroè ed altri, dai quali poi sono nati i Tommasi, gli Scoti e simili mostri. | ||
43,240,18-30 | Genesisvorlesung | Per Lutero non si dà una conoscenza naturale di Dio, neppure mediata dalla creazione. L'unico modo per conoscere Dio è attraverso la sua decisione di farsi conoscibile a noi attraverso la redenzione. L'approccio esclusivamente filosofico a Dio, che agli occhi di Lutero definisce i cattolici, gli ebrei e i musulmani, in realtà si tramuta in una concezione falsa della divinità. Sbaglia dunque Aristotele a parlare di un Dio separato dalle sue creature e sbaglia chi (per esempio, lo stesso san Tommaso: non certamente Aristotele), afferma che Dio conosce le creature in se stesso. | 517 | 1535-1545 | Metaph. XII,7,1073a,4s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 240 | Deus, Pontifex, Turci, Iudaeus, notitia, philosophicus, metaphysicus, ens, separatus, creatura, contemplare, verax, agnitio, mentiri, iustus, sapiens, bonus, mendax, iniustis, insipiens, diabolus, appraehendere, intra, extra | no | Quis enim ausit dicere, Deum mentiri? An non etiam Pontifex, Turci, Iudaei statuunt Deum esse veracem, iustum, sapientem, bonum? At illi ipsi cum maxime hoc dicunt, maxime omnium Deum mendacem, iniustum, insipientem esse sentiunt. Non enim aliam notitiam de Deo habent, quam Philosophicam aut metaphysicam. Quod Deus est ens separatum a creaturis, ut ait Aristoteles, verax, intra se contemplans creaturas. Sed quid haec ad nos? Diabolus etiam sic Deum cognoscit, et scit esse veracem, sed in Theologia quando de agnitione Dei docetur, agnoscendus et appraehendendus est Deus, non intra se manens, sed ab extra veniens ad nos, ut videlicet statuamus eum nobis esse Deum. Ille prior Aristotelicus vel Philosophicus Deus Iudaeorum, Turcarum, Papistarum Deus est, nihil vero is ad nos. |
E infatti chi mai ha osato dire che Dio mente? Forse che il pontefice, i turchi, i giudei affermano che Dio non è verace, giusto, sapiente, buono? Ma se loro più di tutti lo definiscono tale, sono proprio loro che più di tutti concepiscono Dio come falso, ingiusto, ignorante. Non hanno altro concetto di Dio al di fuori di quello filosofico o metafisico. Concepiscono Dio come separato dalle creature (lo dice Aristotele), come verace, nell'atto di contemplare le creature in se stesso. Ma cosa hanno a che fare queste cose con noi? Anche il diavolo conosce Dio in questo modo, sa che è verace, ma quando in teologia si tratta della conoscenza di Dio si dice che Dio dev'essere conosciuto e fatto proprio non in quanto rimane in se stesso, ma in quanto viene a noi dall'esterno, così che possiamo riconoscere che lui è il nostro Dio. Quel primo Dio, aristotelico o filosofico, è il Dio dei giudei, dei turchi e dei papisti, ma con noi non ha nulla a che fare. |
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43,292,3-9 | Genesisvorlesung | Superiorità delle scritture rispetto alla sapienza pagana. Lutero sta commentando Gn 23, in cui gli Hittiti offrono gratuitamente un campo per il sepolcro di Sara, ma Abramo vuole a tutti i costi pagare per non essere di peso ai suoi ospiti. Un simile esempio, ritiene Lutero, è molto più esplicito di tutti i ragionamenti umani, a partire naturalmente da Aristotele. Passi come questo aiutano a mettere nella giusta prospettiva le lodi che Lutero pure in questo periodo rivolge all etica aristotelica; per quanto elevata, la sapienza umana non arriva mai a competere con la fede. Ed è da notare che il terreno della competizione è la capacità di rendere effettivamente buono l uomo, di renderlo capace di atti veramente virtuosi anche sotto l aspetto civilis et oeconomicus, relativo cioè alle virtù della città e della casa. | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 292 | Abraham, virtus, ecclesiasticus, spiritualis, civilis, oeconomicus, doctrina, iuristae, canonista, fides, caritas, patientia, reverentia, aequitas, munificentia, ager, incola, ethica, tradere | no | In uno igitur Abrahamo magnus numerus et chorus omnium virtutum est, sive Ecclesiasticas et spirituales, sive civiles aut oeconomicas requiras: fide eius nihil est excellentius: Quanta autem caritas erga Sodomitas? quanta patientia exilii? deinde quanta reverentia erga dominos terrae, aequitas et munificentia, quia non vult gratis accipere agrum, et incolis gravis esse. Tota ethicorum doctrina hinc colligi posset melius, quam Aristoteles et Iuristae et canonistae tradiderunt. | In un unico Abramo si trova un gran numero e un coro di tutte le virtù, sia che si considerino le virtù ecclesiastiche e spirituali, sia le civili e domestiche. Nulla è più eccellente della sua fede. E quanto grande la carità verso gli abitanti di Sodoma? Quanto grande la sopportazione dell'esilio? E poi, quanto rispetto, equità e larghezza verso i padroni della terra! Egli non vuole ricevere gratuitamente il campo e non vuole essere di peso agli abitanti del luogo. L intera filosofia morale potrebbe essere desunta da questi fatti meglio di quanto ci hanno tramandato Aristotele, i giuristi e i canonisti. | |
43,576,3-7 | Genesisvorlesung | Il fatto che la ragione tenda alle cose migliori, come afferma questa massima aristotelica, tra le più citate da Lutero, viene da lui concepito come una contraddizione con la vera natura dell'uomo, quale è rivelata dalla fede. La razionalità, corrotta dal peccato originale come tutte le facoltà superiori dell'uomo, dopo la caduta non più ha la possibilità di tendere a Dio. Qualsiasi tensione della razionalità che vada oltre l'amministrazione politica delle realtà mondane viene perciò percepita da Lutero come opera dell'uomo, e quindi in stridente contraddizione con ciò che nell'uomo è operato dal Verbo di Dio. Lutero lo aveva già ricordato in precedenza nella Genesisvorlesung: Quando igitur dicunt: Ratio deprecatur ad optima, Dic tu: ad optima politice, hoc est, de quibus ratio potest iudicare . (WA 42,107,24s.) | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. I,13,1102b,15s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 576 | ratio, optimum, deprecari, verbum, opus, gloriari, papista, obgannire | no | Sic igitur concludo, verbum non est opus meum: ergo, quando glorior in meo opere, amitto verbum. Econtra: si glorior in verbo, perit opus meum. Hoc nemo potest persuadere Papistis, qui perpetuo vetus illud obganniunt: Ratio deprecatur ad optima etc. |
E pertanto questa è la mia conclusione: il Verbo non è opera mia. Perciò, quando mi glorio della mia opera, lascio da parte il Verbo. E, al contrario, se mi glorio del Verbo, la mia opera scompare. Nessuno però è riuscito a spiegare queste cose ai papisti, che ripetono in perpetuo il vecchio detto: la ragione tende alle cose migliori e via dicendo. |
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44,590,4-10 | Genesisvorlesung | I versetti della Genesi a cui Lutero fa riferimento in questo passo descrivono una situazione molto drammatica: Giuseppe, divenuto viceré d'Egitto, disvela la propria identità ai fratelli che un tempo lo avevano venduto come schiavo. Et non potuerunt fratres sui ei respondere, adeo terrore erant obstupefacti a facie eius , recita il versetto 45,3. Ed è proprio su questo obstupescere che insiste Lutero: una paralisi quasi totale del corpo in conseguenza di un violentissimo moto dell'anima. E' proprio in situazioni di questo genere, ritiene Lutero, che la definizione aristotelica di anima, qui correttamente presentata, mostra i suoi limiti. Anzi, più che la definizione stessa, è il metodo aristotelico a essere definito con i due avverbi speculative e obiective e ad essere messo sotto accusa. Aristotele è troppo intellettuale per Lutero, il suo metodo non rende ragione delle passioni e dei moti dell'anima spiegabili (o meglio, percepibili) solo con una cognitio practica di natura affine alla conoscenza mistica. Non a caso Lutero usa l'aggettivo wunderlich, ripreso in latino alcune righe più sotto: ideo anima mirabile quiddam est et nobis incognitum (WA 44,590,13s.). L'anima umana, dunque, è destinata a rimanere impermeabile ai tentativi di conoscenza razionale. | 517 | 1535-1545 | De an. II,1,412a,27s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 590 | vis, anima, corpus, sensus, visus, auditus, tactus, obstupescere, creaturichen, speculative, definitio, actus, primus, organicus, physicus, obiectivus, adfectus, motus, cognitio-speculativa, cognitio-pratica, intelligere, sentire, vehemens | no | Tanta igitur vis est animae, ut ea sola dominante corpus cum omnibus sensibus, visu, auditu, tactu, etc, obstupescat. Es ist ein wunderlich creaturichen. Speculative quidem facile definitur ab Aristotele: Anima est actus primus corporis organici physici, etc. Sed non potest exprimere quid sit, nisi obiective tantum. Intelligere autem et sentire animam quoad affectus suos et vehementissimos motus, non est speculativae et obiectivae, sed practicae cognitionis. | E infatti nell'anima c'è un'energia così grande che, quando è essa sola a dominare, il corpo con tutti i sensi, con la vista, l'udito, il tatto e via dicendo rimane come istupidito. E una creaturina meravigliosa, ed è facile per Aristotele definirla dal punto di vista speculativo come l'atto primo di un corpo fisico organico eccetera. Così, però, egli non può esprimere cosa essa sia, se non solo oggettivamente, mentre capire e percepire l'anima nelle sue passioni e nei suoi moti violentissimi non spetta alla conoscenza speculativa e obiettiva ma alla conoscenza pratica. | |
44,704,15-29 | Genesisvorlesung | Il passo, uno dei tanti in cui Lutero ritorna sul concetto di equità (e ancora una volta, come in WA 42,505,21-25 nel quadro di una polemica contro la severità degli ordini religiosi) è interessante per due motivi: da una parte per il legame istituito da Lutero tra l'ejpieivkeia e la definizione di virtù, dall altra per l insolita completezza nell esposizione del pensiero aristotelico. Il primo dei due motivi di interesse sta soprattutto nel fatto che Aristotele non pone in alcuna correlazione specifica il concetto di equità con quello di virtù etica in quanto tale. Si comprende così più a fondo il valore metodologico attribuito da Lutero (non da Aristotele!) all ejpieivkeia, intesa come principio generale di applicazione delle leggi, al punto che la figura stessa dell uomo saggio, fondamentale nella definizione aristotelica della virtù, viene riletta in questa chiave. Per quanto riguarda poi la definizione di virtù, Lutero qui cita esplicitamente il testo aristotelico, al punto che la definizione è introdotta da cum (sc. Aristoteles) inquit: con il discorso diretto anziché indiretto. Anche l esempio del giusto mezzo riferito alla virtù del coraggio è quello a cui Aristotele ricorre più spesso nell Etica Nicomachea (cfr. II,1,1103b,17; II,2,1104a,20; II,2,1104a,35-1104b,1, oltre ovviamente la trattazione specifica di Eth. Nic. III,6-9). | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. II,1,1103b,18-21; II,6,1106b,14-16; II,6,1106b,36-1107a,2; III,6-9; V,4,1132a,20-24; V,10,1137a,31-1138a,3 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 704 | praeclarissimus, pulcherrimus, epieikeia, locus, magistratus, lex, casus, negocium, ratio, virtus, definitio, habitus-electivus, mediocritas, sapiens, fortitudo, ira, audacia, ignavia, moderatio, passio, gubernare, rigor, servare, tueri, innumerabilis, infinitus, varietas, mitigare, iudicare, determinare, vivus, anima, impossibilis | no | Aristoteles etiam in quinto et praeclarissimo Ethicorum Libro pulcherrimum locum habet de ejpieivkeia. Magistratus positus est ad gubernandum secundum legis rigorem, quam omnino servare et tueri debet, sed quia innumerabiles casus et infinita negocia sunt, quae non possunt omnia scripto et legibus comprehendi propter varietatem circumstantiarum, et pauci perspiciunt, ubi recte et prudenter mitiganda sit lex. Ideo Aristoteles optimam rationem monstravit. Sicut virtutis quoque definitionem ad eam accomodat, cum inquit: Virtus est habitus electivus, in mediocritate consistens, quo ad nos, ratione aliqua, ut sapiens iudicat. Ut fortitudo medium est inter iram, seu audaciam et ignaviam. Sed illa mediocritas vel moderatio subiecta est passionibus, ideo addit: Ut sapiens iudicat seu determinat, quod iudicium non posset comprehendi legibus, sed oportet adesse vivam legem, nimirum magistratum, qui est anima legis, et diligenter videre debet, ubi et quomodo servari queat, eamque moderetur, si quis offeratur casus impossibilis. |
Anche Aristotele nel famosissimo quinto libro dell'Etica istituisce una splendida trattazione sull'ejpieivkeia. L'uomo di governo è stato eletto per amministrare secondo il rigore della legge, che egli deve osservare e far rispettare sempre e comunque. Le situazioni, però, sono innumerevoli e le attività umane infinite e per la varietà dei fattori concomitanti non possono essere tutte previste dalle leggi. Pochi inoltre riconoscono i casi in cui la legge va mitigata con giustizia e saggezza. Proprio per questi motivi Aristotele ha indicato una regola egregia. Addirittura la definizione della virtù viene da lui enunciata in funzione di questa regola, quando egli afferma che la virtù è una disposizione costante basata sulla scelta e consistente nella medietà rispetto a noi stessi, in una certa misura tale quale è determinata dall'uomo saggio. Così il coraggio è una via di mezzo tra l'ira - o temerarietà - e la viltà. Quel giusto mezzo, o moderazione, subisce però l'influsso delle passioni. Per questo egli completa l'espressione con le parole così come giudica o determina l'uomo saggio . Non si potrebbe trovare scritto in una legge un tale giudizio: per questo occorre che ci sia una legge viva, che è appunto l'uomo di governo, il quale è l'anima della legge. Egli deve considerare attentamente in quali casi e in che modo la legge possa essere osservata e ne deve moderare l'applicazione quando si presenta un caso non contemplato. | |
44,706,9-17 | Genesisvorlesung | I concetti espressi in questo brano sono gli stessi di WA 44,704,15-29, esaminato sopra. Il richiamo alla proporzione geometrica, presente qui in una delle sue numerose varianti (cfr. WA 39 I,61,5-13) è anch'esso di origine aristotelica (cfr. Eth. Nic. I,3,1094b,11-28; I,7,1098a,25-32; V,10,1137b,29-32). Di estrema rilevanza l'affermazione secondo cui all'ejpieivkeia corrisponda la pars gratiae, che deve trovare il suo posto anche all'interno delle istituzioni mondane, famiglia e società. E' un rilievo che aiuta a mettere nella giusta luce il valore strategico che questo concetto ha per Lutero. L'equità assume un valore dialettico. Se è vero cioè che la legge portata agli estremi non può che autocontraddirsi, rivoltandosi contro l'uomo che l'ha istituita (secondo il principio summum ius, summa iniuria, citato anche da Lutero, per es. in WA 39 I,61,5-13; 41,475,19s.), dalla necessità del suo superamento emerge anche nelle istituzioni civili la necessità di considerare la pars gratiae. In questo per Lutero consiste l'ejpieivkeia. Nel brano citato è infine da notare il ricorrere della definizione aristotelica di virtù etica, anche se in forma più sintetica rispetto al precedente WA 44,704,22-24. | 517 | 1535-1545 | Eth. Nic. I,3,1094b,11-28; I,7,1098a,25-32; V,10,1137a,31-1138a,3; II,6,1106b,36-1107a,2 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 706 | pulcherrime, chartusianus, balneum, vesci, olus, piscis, carnes, proportio-geometrica, epieikeia, magistratus, oeconomia, politia, lex, mediocritas, virtus, habitus-electivus, sapiens, tractare, pars, gratia, uxor, convalesco, servare, determinare | no | Si Carthusianus opus habet balneo, utatur sane, si non potest vesci oleribus aut piscibus, comedat carnes, aut econtra. Et haec pulcherrime tractantur apud Aristotelem de proportione Geometrica et ejpieivkeia. Haec enim est pars gratiae, quam oportet locum habere in magistratu, in oeconomia et politia. Quando uxor est infirma, ibi legem abiicio, donec convaluerit. Lex debet servari, ita tamen, ut magistratus habeat in manu proportionem Geometricam, seu mediocritatem et ejpieivkeian. Virtus enim est habitus electivus consistens circa mediocritatem, ut sapiens determinabit. | Un certosino ha bisogno di un bagno? ma che lo faccia! E se non può nutrirsi di verdura o di pesce, che mangi carne, o viceversa. Queste cose sono spiegate benissimo anche da Aristotele, quando parla di proporzione geometrica e di ejpieivkeia. Questa infatti è la parte della grazia, che è necessario abbia il suo posto nelle istituzioni pubbliche, nell'amministrazione domestica e nello stato. Se mia moglie è malata, fino a quando non è guarita non mi interessa nulla della legge. La legge dev'essere osservata sì, ma in modo che l'uomo di governo faccia uso di una proporzione geometrica, di una medietà, dell'ejpieivkeia. La virtù infatti è una disposizione costante basata sulla scelta e consistente nella medietà, nel modo in cui essa verrà determinata dall'uomo saggio. | |
44,771,3-9 | Genesisvorlesung | La distinzione tra fides informis, o fede come pura qualitas presente in modo inattivo nell'anima, e fides formata è ricorrente nella teologia medievale. San Tommaso la esprime così (S.Th. III,q.49,a.1): Fides autem, per qua a peccato mundamur, non est fides informis (...) sed est fides formata per charitatem . Lutero rifiuta sempre questa distinzione. Esiste una sola fede, che non deriva, come dicono i cattolici, da un'iniziativa di Dio che necessita però anche della cooperazione umana (e che quindi proprio a causa della resistenza umana può essere informis): l'unico protagonista della fede è Dio. Non c'è quindi una fede-habitus e una fede-actus. La radice di questa concezione è come sempre ravvisata da Lutero in una indebita commistione tra filosofia pagana aristotelica e teologia cristiana. | 517 | 1535-1545 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 771 | qualitas, christianus, vita, habitus, portenta-verborum, somnium, actus, distinctio, fides, dormitans, ociosus, schola, fides, fides-habitualis, elicere, credere, intelligere, obscurare, miscere, theologia, philosophia, valere | no | Tota Christiana vita non est dormitans et ociosa qualitas, sicut Philosophi distinguunt inter actum et habitum, et in Scholis definiverunt fidem esse habitum quendam, et hanc tamen habitualis fidem nihil facere, nisi eliciat actum credendi. Haec mera portenta verborum sunt, quae ne ipsi quidem intellexerunt, et his somniis obscuraverunt fidem, et miscuerunt Theologiae Philosophiam Aristotelicam. Valeant igitur cum suis habitibus et distinctionibus inter fidem et actum fidei. | L intera vita cristiana non è una qualità sonnecchiante e oziosa, come la vedono i filosofi che distinguono tra atto e disposizione e che nelle loro università hanno definito la fede come una specie di disposizione. Per loro questa fede abituale non conta nulla, se non ne nasce l'atto del credere. Ma queste sono solo costruzioni verbali di fantasia, non capite neppure da loro stessi; e con questi sogni hanno messo in ombra la fede e mescolato la filosofia aristotelica con la teologia. E quindi, tanti saluti a loro con le loro disposizioni e le distinzioni tra fede e atto di fede. | ||
44,776,15-20 | Genesisvorlesung | Negli anni in cui Lutero scrive queste righe l università di Wittenberg aveva già assunto una netta impostazione aristotelizzante sulla base delle direttive di Melantone. Per questo in un simile momento storico dire che non si deve insegnare Aristotele non può avere lo stesso valore che per Lutero aveva nel 1520 (cfr. WA 6,457-8). Non c è dubbio però che questa frase corrisponda in pieno alla sensibilità e agli intendimenti di Lutero. Tutte le valutazioni positive degli ultimi quindici anni della sua vita non eliminano in Lutero la convinzione che tra Aristotele, campione della sapienza pagana, e Cristo non può esserci che opposizione. | 517 | 1535-1545 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 776 | docere, Christus, decretales, praedicare, agere, virtus, sanguis, populus, Petrus, Papa, praedicare, purgare, mundus-agg., salvator | no | Quando enim docemus, nihil aliud agimus, quam quod spargimus et dividimus virtutem sanguinis Christi in populum, sicut supra in epistula Petri dictum est. Non est docendus Aristoteles, non Decretales Papae, sed sanguis Christi filii Dei nobis praedicandus est, ut indies magis ac magis purget, donec perfecte mundus sim, ut possim occurrere venienti Salvatori. | E quando insegniamo non facciamo null altro che spargere e dividere tra il popolo la virtù del sangue di Cristo, così come è stato detto in precedenza nell epistola di Pietro. Non si deve insegnare Aristotele, non le decretali del papa, ma è il sangue di Cristo figlio di Dio che noi dobbiamo predicare, affinché ci purifichi sempre di più giorno dopo giorno, finché io sia perfettamente mondo e possa andare incontro al Salvatore che viene. | ||
45,13,9-13 | Predigten des Jahres 1537 (Auslegung des Glaubens, gepredigt durch D. M. Luther zu Schmalkalden von den drei Artikeln - 1563) | Ci sono due tipi di sapere (kunst), quello che l uomo costruisce in base alla propria ragione naturale e quello che l uomo apprende dalla rivelazione divina. Il secondo mette l uomo in condizione di sapere molto di più, anche a proposito delle realtà mondane e naturali, di chi pratica il primo tipo di scienza. Aristotele è dunque sì un sapiente (der weisse man) ma del primo tipo di sapienza, che non conta nulla di fronte alla sapienza di Dio. | 255 | 1537 | De caelo I,10-II,1 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 13 | weiss, schliessen, welt, ewikeit, kunst, himel, erde, geschopf, werck, Gott, nichts, wissen, machen | no | Der weisse man Aristoteles schleusset vast dahin, es sey die welt von ewikeit gewesen. Da mus man je sagen, er habe gar nichts von diser kunst gewust. Darumb wenn man sagt, himel und erden sey ein geschopf oder werck, das gemacht sey von dem, der da heist ein einiger Gott und aus nichts gemacht, das ist ein kunst uber alle kunst. | Aristotele, il sapiente, arriva alla conclusione che il mondo esista dall eternità. Qui però purtroppo bisogna proprio dire che egli non sa un bel nulla su questa scienza. Quando infatti si dice che cielo e terra sono creature o opere, che sono state fatte da colui che è l unico Dio e che che sono state fatte dal nulla, questa è una scienza che supera ogni scienza. | |
45,90,31-91,4 | Predigten des Jahres 1537 (Röm. 11,33ff.) | Lutero cita qui un verso dell Iliade richiamato nel dodicesimo libro della Metafisica: Il governo di molti non è buono; uno solo sia il comandante (Omero, Iliade, II,204). Se ne percepisce un eco quando il trascrittore di questa predica scrive: Non valet pluralitas principum. Ideo tantum sit unus deus . Questa espressione della saggezza antica costituisce una difficoltà per Lutero, perché viene usata come argomento filosofico contro la dottrina trinitaria. Non è escluso che qui Lutero voglia ribadire quanto già affermato da un suo maestro: e cioè che l aristotelismo è più conforme all Islam che al cristianesimo. (Cfr. Usingen, Parvulus philosophiae naturalis, Leipzig 1499, fol. 136r, cit. in N. PAULUS, Der Augustiner Bartholomäus Arnoldi von Usingen, Luthers Lehrer und Gegner, Freiburg i.B. 1893, p.4). | Pr. 1646 | 1537 | Metaph. XII,10,1076a,4 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 91 | persona, divinus, iudaeus, gentes, haus, Plato, pluralitas, princeps, unus, deus, domina, domus, hero, knecht, diener, megd, thier | no | Ideo quando dicimus: 3 personae divinitate, beissen zeen zusamen, Iudaei et gentes, et dicunt: Zwen halten nimer mehr wol hause. Sic etiam 2 vel 3 dii. Aristoteles et Plato: Non valet pluralitas principum. Ideo tantum sit unus deus. Quando 2 dominae in una domo regunt, etc. sic quando habent duos heros, viel knecht, diener, megd, thier mogen sein. | Perciò quando parliamo di tre persone divine, giudei e pagani stringono alleanza e dicono che con due padroni la casa non può più essere amministrata bene. E così anche nel caso di due o tre dei. Aristotele e Platone: non ha senso più di un reggitore e pertanto ci sia solo un dio. Quando due padrone sono a capo di una sola casa eccetera. Lo stesso vale nel caso di due proprietari: ci vuole un gran numero di schiavi, servi, ancelle, animali. | |
45,647,14-21 | Das XIV. und XV. Capitel S. Johannis gepredigt und ausgelegt (1538) | Lutero difende la nuova chiesa dalle accuse di chi la vede come una fonte di disordini sociali e di eresie. Le eresie, precisa Lutero, non possono nascere che dalla Chiesa, non da un autore pagano come Aristotele, e non per questo si deve dedurre che la Chiesa è eretica. INTERESSANTE LA PRECISAZIONE SECONDO cui l eresia non si sviluppa al di fuori della Chiesa se prima non è maturata in ambiente ecclesiale, soprattutto se paragonata a quanto Lutero diceva nel 1521 di Tommaso d Aquino: Thomas multa haeretica scripsit et autor est regnantis Aristotelis, vastatoris piae doctrinae . (WA 8,127,19s.). Lutero evidentemente è ben cosciente che delle dottrine aristoteliche si possono fare molti usi e che l interpretazione cristianizzante (e quindi, l uso eretico nel senso di Lutero) di Aristotele non coincide necessariamente con la genuina interpretazione del pensiero aristotelico. | 328 | 1537 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 647 | klüg, welt, auffbrechen, Euangelium, buberey, schrifft, ketzerey, jrthum, Kyrche, Christus, Buben-schule, Biblia, Ketzer-buch, Bapst, pfaffen, Heide, glawbe, buch, malen, ferben | no | Hie sehet denn die klüge welt an, wider uns zu schreyen: Was hat das neue Euangelium auffbracht denn eitel buberey? Was kompt aus der schrifft denn eitel ketzerey und jrthum? Also malen und ferben sie die Kyrchen Christi nicht anders denn eine rechte Buben schule Und die Biblia ein recht Ketzer buch, wie es der Bapst mit seinen pfaffen nennet, Denn aus der Heiden glawben und Aristoteles oder ander heiden bucher ist freilich nich nie keine ketzerey entstanden, sie sey denn zuvor jnn der Kirchen gewest und aus der Schrifft er fur bracht. | E qui il mondo sapiente inizia a gridarci addosso: Cos ha portato il nuovo Vangelo, se non disordini? Cosa può venire dalla Scrittura se non eresia ed errore? Essi tratteggiano e dipingono la chiesa di Cristo come null altro che una vera e propria scuola di furfanteria e la Bibbia come un libro da eretici, e così la chiama il Papa con i suoi preti. Dalla fede nei pagani, da Aristotele e dagli altri libri pagani, invece, non è mai scaturita alcuna eresia, a meno che non esse fossero state già presenti prima nella Chiesa e tratte dalla Scrittura. | ||
45,704,6-9 | Das XIV. und XV. Capitel S. Johannis gepredigt und ausgelegt (1538) | Questa annotazione ricorre come un ritornello nelle opere di Lutero. Parlare di Cristo dal pulpito - a parte ovviamente il ricorrere del suo nome nelle letture sacre - era considerato una vergogna sotto il papato, mentre il repertorio del bravo predicatore conteneva sempre numerose citazioni aristoteliche. Lo stesso concetto è espresso da Lutero in WA 32,241,18; 37,579,4; 41,268,2-6 quasi con gli stessi termini. | 328 | 1537 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 704 | Christus, trost, gewissen, schande, namen, Jhesus, Predigstul, Passio, Euangelium, nennen, Heiligen-Legend | no | Und war doch nicht einer, der da etwas sagte von Christo und rechtem trost der gewissen, Ja es war schier eine schande, den namen Jhesus auff dem Predigstul (aus genommen jnn der Passio oder im text des Euangelij) zu nennen, Sonst ward nichts denn eitel Aristoteles und Heiligen Legend gehort. | E non ce n era uno che dicesse qualcosa su Cristo e sulla vera consolazione della coscienza; anzi, era quasi una vergogna il nominare Gesù dal pulpito (a parte la lettura della Passione o il testo del Vangelo). Oltre a questo non si poteva sentire altro che Aristotele o le leggende dei santi. | ||
46,228,11-13 | Predigten des Jahres 1538 | Lutero denuncia l infiltrazione della terminologia aristotelica nella predicazione e lo fa usando, a distanza di anni, il medesimo linguaggio e proponendo i medesimi esempi. Si confronti al proposito questo brano con WA 32,241,13-18 (1530); 37,579,3s. (1534); 41,268,26 (1535) e con il successivo WA 46,228,25-28. Da notare il ricorrere del termine weibisch e del suo corrispettivo latino muliebris. Anche in questo caso l alternativa tra Aristotele e Cristo è netta. Da notare l aggettivo mortuus, indirettamente collegato ad Aristotele: il nominare il filosofo in riferimento al cristianesimo nell ambito di una predica equivale paragonare il cristianesimo stesso a una mortua historia. | Pr. 1706 | 1538 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 228 | Jhesus-Christus, nomen, muliebris, decretum, mortuus, adolescens, vox, audire, propheta, apostolus, decretum, historia, baptismus | no | Me adolescente quando audiebatur nomen Jhesu Christi, wars muliebris quaedam vox. Non audiebatur, non prophetarum, Apostolorum, sed Aristotelis, decretorum etc. quasi tantum mortua historia, et baptismus nihil. | Ai tempi della mia giovinezza, quando si sentiva pronunciare il nome di Gesù Cristo, questo nome suonava come un termine da donnette. Non si sentiva parlare del nome di Cristo, dei profeti, degli apostoli, ma solo di Aristotele, delle decretali e via dicendo, quasi che si trattasse solamente di una storia ormai morta. Il battesimo, poi, non era nulla. | ||
46,228,25-28 | Predigten des Jahres 1538 | Il passo riportato rappresenta un altra stesura di WA 46,228,11-13 commentato sopra. L opposizione tra Aristotele e Cristo, presente ma non sbandierata nell opera esegetica di Lutero, emerge più nettamente nella predicazione, anche nei suoi ultimi anni. | Pr. 1706 | 1538 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 228 | vicium, muliebris, religio, suggestum, Christus, Iesus, decretum, Turca, Papa, legenda-sanctorum | no | Olim pro vicio et muliebri Religione habebatur in suggesto nominare Christum Iesum, sed aut tractabatur Aristoteles aut decreta Papae aut legenda sanctorum, Et habebatur hic Christus tanquam historia nullius usus, sicut et Turca iam facit. | Un tempo il nominare sul pulpito il nome di Gesù Cristo era considerato un difetto, una devozione da donnette; in compenso si parlava di Aristotele, dei decreti papali, delle leggende dei santi. In questo contesto Cristo era considerato al pari di una storia di nessuna utilità, così come avviene tra i Turchi. | ||
47,22,19-23,2 | Auslegung des dritten und vierten Kapitels Johannis in Predigten 1538-1540 (gedruckt 1847) | Al centro del commento di Lutero c è Gv. 3,8: Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito . Il versetto viene interpretato da Lutero come una sconfessione della dottrina aristotelica sul vento, ma ancora prima come una critica radicale a ogni tentativo di spiegare la realtà naturale con mezzi scientifici. Se Cristo dice che non si sa da dove proviene e dove va il vento, ciò significa che è vano affaticarsi alla ricerca delle sue origini. Il biblicismo integrale di Lutero ha quindi anche risvolti scientifici. Il paragone con il gioco della pentola non è nuovo a Lutero. Lo si ritrova anche in WA 47,22,32-36, sempre in riferimento alla dottrina aristotelica del vento. | 318 | Pr. 1772 | 1538 | Meteor. I,13; II,4-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 22 | disputiren, ursprung, wind, caverna, mons, terra, klüsste, berg, verschliessen, lufft, kind, topff, blintzlich, spielen, meinen, schlagen, mittag, mitternacht, geuckelwerck, philosophus, schemen, gedanke, heilige-schrifft, leren, schetz, heimlich, schritt, bekenne, weisheit, torheit | no | Dan das Aristoteles viel disputiret hat von dem ursprunge des Windes, er komme ex cavernis montium vel terrae, do sej der Wind in den holen klüfften der berge verschlossen, und wen er ein wenig lufft bekompt, so wuscht er heraus, damit trifft ers eben als wenn die kinder des topffs uff der gassen blintzlich spielen, wan sie meinen, sie schlagen gegen dem mittag, so schlagen sie gegen mitternacht, es ist eittel geukelwerck, und ein Philossophus sollte sich schemen, solche gedancken zu haben. Aber die heilige Schriefft leret uns anders von dem wind. Die spricht Psalmo 134.: Gott lest seine winde gehen aus seinen heimlichen schetzen , die freilich wider Aristoteles noch kein mensch nie gesehen hat, wo er her komme. Man kan von ihme nicht einen schritt erkennen, so heimlich gehets darmit zu, wie sie, die Philossophi, denn wohl selbst bekennen musten, wo es ihrer weisheit nicht zu nahe were, etwas nicht zu wissen, und ist eine grosse torheit, das sie furgeben, der wind komme aus den holen bergen, ein weiser man sollte nicht also reden. |
Aristotele poi ha trattato in lungo e in largo dell origine del vento, che proverrebbe dalle caverne dei monti e della terra. Il vento sarebbe rinchiuso nelle vuote cavità dei monti, e quando si agita un poco, allora scivola fuori. Ma con queste sue considerazioni Aristotele coglie nel segno come i bambini che giocano alla cieca nel vicolo a spaccare la pentola. Quando pensano di dare un colpo a mezzogiorno, allora mirano a mezzanotte: sono idiozie pure, e un filosofo dovrebbe vergognarsi solo a pensarle, certe cose. La sacra scrittura ci dà ben altri insegnamenti sul vento. Li esprime con il salmo 134: Dio fa uscire i suoi venti dai suoi luoghi segreti , luoghi certo che né Aristotele né alcun altro uomo ha mai visto e dai quali proviene il vento. Non si può riconoscere un suo solo passo, tanto tutto procede di nascosto, come d altra parte anche loro, i filosofi, sono ben costretti a confessare, sempre che non sia uno smacco troppo grande per la loro sapienza il non sapere qualcosa. Ed è una grande assurdità il fatto che essi pretendano di affermare che il vento viene dalle cavità dei monti. Un uomo saggio non dovrebbe parlare in questo modo. |
47,22,32-36 | Auslegung des dritten und vierten Kapitels Johannis in Predigten 1538-1540 (gedruckt 1847) | Il contenuto è lo stesso di WA 47,22,19-23,2. L esempio del vento è particolarmente significativo per Lutero perché si tratta di un fenomeno che, come egli stesso precisa, è sottoposto ai nostri sensi. Lo sentiamo e in qualche modo lo tocchiamo, ma non ne sappiamo nulla: né che origine abbia né a quale fine tenda. Lo scacco della ragione è massimo, essa non può spiegare neppure le cose che sono oggetto della più elementare esperienza sensibile. Da notare perciò il paragone di Aristotele con l uomo cieco (considerato il contesto e il corrispondente WA 47,22,19-23,2, si è preferito tradurre bendato : si tratta comunque di una persona privata, definitivamente o momentaneamente, della vista). Non è la prima volta che Lutero accosta Aristotele a un cieco: cfr. WA 2,422,31 ( caecus gentilis ), 6,457,35 ( der blind heydnischer meyster ), 10 I 2,116,11 ( den blinden heyden ). Va osservato che l aggettivo indicante cecità è sempre accompagnato da un altro aggettivo indicante la condizione di pagano propria di Aristotele. La cecità, il non vedere le cose, è per Lutero l essere privati della luce della Rivelazione. L esempio del vento ne è una conferma evidente: senza l aiuto delle sacre scritture l uomo non può che vagare nel buio anche quando tenta di spiegare i fenomeni naturali più semplici e più verificabili con i sensi. | 318 | Pr. 1772 | 1538 | Meteor. I,13; II,4-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 22 | origo, ventus, tactus, auditus, coecus, olla, Bachanalia, excrutare, thesaurus, docere | no | Origo eius non potest excrutari, tantum notum est nobis, quod ad tactum et auditum attinet ps.: deducit ventos de thesauris suis i. e. Deus occultat nobis originem eorum. Non ergo Aristoteles recte docet de Origine ventorum, perinde attingit rem atque coecus attingit ollam in Bachanalibus. | La sua origine non può essere accertata, a noi è noto solamente ciò che attiene al tatto e all udito. Dice il salmo: Egli fa uscire i venti dai suoi tesori e questo significa che egli ci tiene nascosta la loro origine. Perciò Aristotele non insegna il vero a proposito dell origine dei venti e centra questo argomento proprio come un uomo bendato può centrare la pentola durante i baccanali. |
47,30,22-27 | Auslegung des dritten und vierten Kapitels Johannis in Predigten 1538-1540 (gedruckt 1847) | Lutero è alle prese con il terzo capitolo del vangelo di Giovanni, che inizia con il dialogo tra Nicodemo e Gesù. Ogni volta che Lutero si imbatte in questo passo evangelico, ne approfitta per una divagazione sul tema del vento, il cui pretesto sono le parole di Cristo di Gv 3,8: Il vento soffia dove vuole e tu ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va . In causa è la concezione aristotelica del vento, che non viene nemmeno discussa da Lutero, ma ritenuta insufficiente sulla base delle parole di Cristo. In merito ai fenomeni naturali, dunque, la ragione si deve limitare a una corretta percezione dei fenomeni, senza voler approfondire le cause che le sono precluse. | 318 | Pr. 1773 | 1538 | Meteor. I,13; II,4-6 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 30 | philossophi, wind, bekummern, furgeben, holer-loch, Erde, wissen, wehen, saufen, fhulen, horen, messen, tief, hoch, verstand, recht | no | Die Philossophi haben sich mit dem winde sehr bekummert und furgeben, er komme aus den holen lochern der Erden hehr, wan dieselbigen sich auffthun, das als dan der Wind also wehe. Aber es ist nichts dran, wir sollens auch nicht wissen, wie kurtz oder lang er wehe, allein das wir sein Saufen fhulen, er lest sich nur horen und nicht messen, wie tief oder hoch. Dieser verstand ist guth und recht. | I filosofi si sono occupati a fondo del vento e hanno ritenuto che provenga da caverne situate nel profondo della terra: quando queste si aprono, allora il vento inizia a soffiare. Ma tutto ciò non è affatto vero e noi possiamo anche fare a meno di sapere se il vento soffia da vicino o da lontano. E sufficiente che noi sentiamo il suo soffio; il vento si lascia solo sentire, non misurare in profondità e altezza. E questo modo di conoscere è giusto e retto. |
47,31,27-30 | Auslegung des dritten und vierten Kapitels Johannis in Predigten 1538-1540 (gedruckt 1847) | Il paragone tra il vento e lo Spirito Santo, tratteggiato nel terzo capitolo di Giovanni, viene qui sviluppato da Lutero. Se lo Spirito fosse comprensibile all intelletto umano - afferma Lutero - sicuramente Aristotele avrebbe trattato a fondo di questo argomento; e sulla scorta di Aristotele, anche i papisti e i monaci. Questa affermazione ne sottintende un altra: che Aristotele rappresenta per Lutero il vertice sommo della ragione umana, una ragione beninteso impotente a compiere il minimo passo nel campo di ciò che spetta alla teologia. | 318 | Pr. 1773 | 1538 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 31 | heiliger-geist, gabe, menschlich, wille, vernufft, heidnisscher-meister, papist, munch, erfinden, urtteilen | no | Es wird der heilige Geist mit seinen gaben nicht aus Menschlichem willen gegeben, Und wen solchs aus der Vernufft hehr keme, so hette es der heidnissche Meister Aristoteles, unsere Papisten und Munche auch erfunden und urtteilen konnen. | Lo Spirito Santo con i suoi doni non viene dato dalla volontà umana. Perché se un fatto del genere dipendesse dalla ragione, anche il maestro pagano Aristotele, i nostri papisti e i monaci avrebbero potuto conoscerlo e giudicarlo. | |
47,791,25-31 | Predigten des Jahres 1539 (1 Joh. 3,14) | In questa predica Lutero riprende alcuni versetti del salmo 135: Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono (...) (Sal 135,4ss.). Agli idoli possono essere paragonati alcuni canonici di cui Lutero non fa il nome i quali gli obiettava no che dalla sua predicazione non fosse derivata che una diffusa immoralità. Ebbene, è la risposta, non è corretto fissarsi su un solo particolare, la decadenza morale, e trascurare gli aspetti positivi. E qui Lutero colloca una citazione aristotelica, tratta probabilmente dal De sensu: finché nell occhio rimane un immagine, nessun altra la può rimpiazzare: così è per loro, che negli occhi hanno solo una donna di strada e giudicano tali tutte le altre. Sottintesa è la dottrina aristotelica dell impossibilità per i singoli sensi di cogliere più oggetti contemporaneamente, facoltà che è propria invece del senso comune. Anche in questo caso un punto della filosofia aristotelica viene interpretato in chiave spirituale. | Pr. 1884 | 1539 | De an. III,3,426b,29-427a,18; De sensu 7,447a,12-448a,19 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 791 | bild, auge, litera, cor, canonicher, silber, gold, impurus, verbum, ordinatio, hur | no | Aristoteles: wenn einer ein bild in ein aug kriegt, donec durat, non videt aliam. Si unam literam directe inspicis. Sic ist mit solchem Canonichen, die haben silbern augen, cor, cor ist geld, ideo oculi impuri, sicut illi. Oculos habent et non vident, quod Deus mirabiliter operetur per suum verbum et suas ordinationes, tantum habent in oculis etwa ein hur, ideo iudicant omnes alias. | Aristotele dice: se uno ha un immagine nell occhio, finché questa dura, non ne può vedere un altra. Lo stesso capita se tu punti l occhio direttamente su una lettera. Così è con certi canonici, che hanno occhi d argento e il cuore, il cuore è fatto di oro. Perciò i loro occhi sono impuri, come quelli degli idoli. Hanno occhi e non vedono le opere mirabili compiute da Dio attraverso il suo verbo e i suoi ordinamenti. Forse negli occhi hanno solo una prostituta, e giudicano tali tutte le altre. | |
47,793,10-12 | Predigten des Jahres 1539 (1 Joh. 3,14) | UN VERO E PROPRIo leIT-MOTIV nell opera di Lutero, questo accenno al fatto che fosse vergognoso nominare Cristo nelle prediche, come si è già visto in WA 32,241,13-18 (1530); 37,579,3s. (1534); 41,268,26 (1535); 46,228,11-13 e 25-28. Anche negli ultimi anni rimane costante la contrapposizione tra Aristotele e Cristo. | Pr. 1884 | 1539 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 793 | schande, namen, Jesus, concio, nennen, verzagt, weibisch, Scotus, patres, concilium | no | Es war ein grosse schande, quod den namen Jhesus in concione sol nennen, denn man hielts für ein verzagt, weibisch, sed man must nennen Aristotelen, Scotum, patres, Concilia. | Era proprio una cosa di cui vergognarsi il dover nominare Gesù Cristo in una predica, si riteneva infatti che fosse qualcosa di infantile, una cosa da donnette. Aristotele, Scoto, i Padri, i concili: ecco chi si doveva citare! | ||
48,317,15-19 | In primam epistolam Iohannis scholia (zur Vorlesung über den Johannisbrief 1527) | Lutero non manca mai di sottolineare uno dei limiti principali della filosofia. Il fatto che intorno a uno stesso argomento nasca una pluralità di opinioni è da lui considerato una prova della debolezza della ragione umana, soprattutto se confrontato con la chiarezza e la semplicità della rivelazione. In questo contesto, è evidente che Lutero considera la concezione aristotelica del motore immobile come la più assurda delle concezioni filosofiche di Dio, proprio perché la più lontana dal Dio cristiano. Lutero legge Metafisica XII,7 in chiave morale; Aristotele non parla di un dio che si rifiuta di contemplare il mondo perché il mondo stesso è limitato o perché gli uomini sono moralmente difettosi, ma dice solo che il motore immobile non può pensare se non ciò che è perfetto, cioè se stesso. Nella lettura luterana è però evidente il desiderio di contrapporre il Dio cristiano che spoglia se stesso pur di salvare gli uomini e il dio aristotelico che non riesce a sopportare la vista della miseria umana. | 343 | 1527 | Metaph. XII,7,1072a,19-1073a,13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 317 | sudor, laborare, secta, agere, respicere, deus, coelum, gaudere, scelus, philosophi, homicidium, furtum, scelus | no | Philosophi maximis sudoribus laborarunt et varias introduxerunt sectas de deo, quidnam ageret in coelo, ita ut Aristoteles 12. Metaph. dixerit: Si deus nos respiceret, quid faceremus, nunquam gauderet, quia praeter homicidia, furta et, ut semel dicam, nihil quam scelera videret. | I filosofi si affaticarono con grandissimi sforzi e diedero vita a diverse fazioni, divise da diverse concezioni su Dio e sul tipo di vita egli conduce in cielo, al punto che Aristotele, nel dodicesimo libro della Metafisica, disse che se Dio ci vedesse e se vedesse ciò che facciamo, non potrebbe mai essere felice, perché non vedrebbe null altro che omicidi, furti e, per dirla in una parola, malvagità. | |
48,338,29-31 | Vierzehn Predigtkonzepte Luthers | La predicazione è l ambito in cui la contrapposizione tra Aristotele e Cristo viene più accentuata da Lutero. In questo brano egli sottolinea la necessità di credere in Cristo ai fini della salvezza, abbandonando Aristotele, che in questo campo non può essere di nessun aiuto. | 580 | 1531 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 338 | (Christus), predicare, liber, universitas, salvare, mediator, peccatum, spiritus-sanctus, pax, bonum | no | Qui iam vult salvari, seorsum sit cum eo, id est, sciat eum esse mediatorem, ipsum remittere peccata, dare Spiritum Sanctum, pacem et omnia bona. Ego ex Aristotele non habeo quae predico nec ex aliquo libro universitatum. | Ora, chi vuole essere salvato si apparti con Lui, vale a dire sappia che è Lui il mediatore, colui che rimette i peccati, che dà lo Spirito Santo, la pace e ogni bene. Io non traggo da Aristotele la materia delle mie prediche e neppure da alcun testo in uso nelle università. | ||
49,240,11-16 | Predigten des Jahren 1541 (Joh. 1,1-14) | L interlocutore polemico di Lutero sono Turcae et Iudaei, i musulmani e gli ebrei, l argomento è la dottrina dell unità e trinità di Dio. Lutero sta esponendo gli argomenti che i suoi interlocutori usano contro di lui. Egli richiama un verso dell Iliade citato nel dodicesimo libro della Metafisica: Il governo di molti non è buono; uno solo sia il comandante (Omero, Iliade, II,204). Che Lutero sia cosciente dell origine omerica di questi versi lo prova un altra stesura della stessa predica in cui vengono usati i medesimi termini: Homerus: sit unus dominus (WA 49,240,4). L obiezione sollevata è che la trinità costituisca una forma di politeismo. Senza dubbio è paradossale che il greco Aristotele venga usato per difendere le ragioni del monoteismo. Lutero nelle sua risposta tralascerà Aristotele per concentrarsi sulle Scritture e dirà che i suoi avversari sono effettivamente monoteisti perché adorano un unico dio: Satana. Non perde però l occasione di ricordare che in tema di aristotelismo non teme confronti. E probabilmente non è ingiustificato ritenere che questo richiamarsi alla propria conoscenza di Aristotele significhi che per Lutero rappresenta un puro controsenso citare Aristotele in difesa del monoteismo. | Pr. 1940 | 1541 | Metaph. XII,10,1076a,4 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 240 | dominus, gubernare, ridere, colere, intelligere, adorare, pluralitas, Deus, foeliciter, intelligere, sapiens, accusare, reus, colere | no | Aristoteles: unus sit Dominus, ubi unus praeest, bene gubernabitur orbis, plures, non foeliciter etc. Hinc rident nos, quasi Aristotelem non intelligamus, isque nobis sapientior, qui unum tantum adorat, nos vero plures. Atqui in quos nos accusant, ipsi rei sunt. Habent enim pluralitatem Deorum, dum volunt videri se colere unum Deum. | Aristotele dice che il signore dev essere uno solo e che quando uno solo è a capo il paese è governato bene, quando invece sono in molti il paese non è in ordine. Perciò essi si fanno gioco di noi, come se non comprendessimo Aristotele e come se lui, che adora un solo dio, sia più saggio di noi che invece ne adoriamo molti. Ebbene , dicono, proprio loro che ci accusano sono colpevoli nei nostri confronti. Hanno infatti molti Dei ma intanto vogliono dare a vedere di adorarne uno solo . | |
49,794,29s. | Predigten des Jahres 1545 (Röm. 6,19ff.) | A pochi mesi dalla morte, Lutero continua a citare Aristotele nel corso delle sue prediche e a contrapporre la virtù della giustizia da lui insegnata nell Etica Nicomachea alla giustizia di Cristo, l unica in grado di rendere l uomo giusto. C è una indiscutibile continuità con quanto Lutero afferma da almeno trent anni, basta confrontare questo passo con ciò che Lutero scriveva negli anni 1513-1516: Iustitia autem ista non est ea, de qua Aristoteles 5. Ethicorum vel iurisperiti agunt, sed fides seu gratia Christi iustificans (WA 31 I,465,36-466,1). E evidente che per Lutero tra questi due concetti di giustizia non c è neppure un analogia. | Pr. 2004 | 1545 | Eth. Nic. V | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 794 | ratio, intelligere, peccatum, iustitia, grundlich | no | Ratio non intelligit, quid peccatum, unde veniat, et quae vera, grundliche iustitia, sed de iustitia, de qua Aristoteles. | La ragione non comprende cosa sia il peccato e da dove esso provenga né sa cosa sia la vera, radicale giustizia, ma tratta solo della giustizia di cui parla Aristotele. | |
49,797,9-13 | Predigten des Jahres 1545 (Röm. 6,19ff.) | La trascrizione di questa predica di Lutero è estremamente sintetica, molto difficile da tradurre senza integrazioni. Il senso però è chiaro: piuttosto che alla giustizia delle opere propugnata dagli ordini religiosi è preferibile affidarsi alla sapienza pagana, a Cicerone e Aristotele, che nei loro trattati di etica insegnano a rispettare poche regole basilari, ancorché insufficienti alla salvezza. Queste regole sono comunque migliori dei precetti monastici, che a giudizio di Lutero danno, a chi li pratica, la falsa sicurezza di essere salvato. | Pr. 2004 | 1545 | Eth. Nic. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 797 | opus-bonum, iurista, honorare, parens, friede, mutwille, kappa, Cicero | no | Vocas tu hoc bona opera? Audiamus potius Iuristam. Dicit: honora parentes, halt friede. Ideo grosser mutwille, quod schilt, quod non doceamus bona opera, cum nesciant, quid bona opera. Num istorum operum de Kappis? Potius audiamus Ciceronem in offitiis, Aristotelem in Ethicis. | E tu chiami opere buone una cosa del genere? Piuttosto prestiamo ascolto al giurista, che prescrive di onorare il padre e la madre, di vivere in pace. Perciò è un arbitrio ancora maggiore il fatto che siamo criticati per non insegnare le opere buone, dal momento che loro neppure sanno cosa siano le opere buone. Forse si tratta di codeste opere di cui si parla a proposito dei monaci? Meglio allora prestare ascolto al De officiis di Cicerone e all Etica di Aristotele. | |
50,600,8-14 | Von den Konziliis und Kirchen | Lutero rimprovera ai suoi avversari (coloro che lui stesso definì antinomisti , assertori della radicale superiorità del vangelo sulla legge mosaica) di non saper distinguere tra la grazia di Cristo e il dono dello Spirito Santo e di voler sfuggire alle sue argomentazioni con capziosità dialettiche. In questo senso essi pensano di essere dialettici migliori di Aristotele e di Melantone, oltre ovviamente che dello stesso Lutero. Con ciò Lutero riafferma la sua stima nei confronti dell Aristotele logico, stima che perlaltro non è mai venuta a mancare neppure nei periodi della più furibonda polemica verso altri aspetti dell insegnamento aristotelico (cfr. WA 6,458,26-40). | 382 | 1539 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 600 | antinomi, CHRISTUS, predigen, heiliger-geist, wesen, selig, consequentz, christ, esel, dialecticus, Philippus-(Melanchton), schweigen, bapst, hoch, fliegen | 60 | Aber unser Antinomi sehen nicht, das sie CHRISTUM predigen on und wider den Heiligen geist, weil sie die Leute wollen lassen in jrem alten wesen bleiben und gleich wol selig sprechen, So doch die Consequentz das wil, das ein Christ sol den Heiligen Geist haben und neu leben füren, oder wissen, das er keinen Christum habe. Noch wollen die Esel besser Dialectici sein, denn M. Philippus und Aristoteles, des Luthers mus ich schweigen, weil der Bapst dieselbigen allein gefület, sie sind mir weit zu hoch geflogen. | I nostri antinomisti però non si accorgono nemmeno di predicare Cristo contro e senza lo Spirito Santo; vogliono lasciare la gente nel suo vecchio modo di vivere e allo stesso tempo dichiararla santa. Ma logica vuole che un cristiano debba possedere lo Spirito Santo e condurre una vita nuova, oppure essere a conoscenza del fatto che egli non possiede affatto Cristo. Questi asini però vogliono essere dialettici ancora migliori del maestro Filippo e di Aristotele - devo tacere di Lutero, perché il papa è venuto a conoscenza solo della loro logica - e comunque hanno volato alto, certo ben più di me. | ||
51,103,13-17 | Predigten des Jahren 1545 (Phil. 4,4ff.) | Lutero ha sotto gli occhi Fil 4,5. Modestia vestra nota sit omnibus . Ewer del testo corrisponde appunto a vestra. Ma il commento è a due facce. Da una parte l ejpieikeiva significa, come in san Paolo, equità, benignità, moderazione. E in questo senso Lutero parla di uomo amichevole e mite . Subito dopo però prende il sopravvento il significato aristotelico del termine, secondo cui l equità è la correzione del giusto legale. E evidente la predilezione di Lutero per questo secondo significato rispetto al primo. | Pr. 2019 | 1545 | Eth. Nic. V,10,1137a,31-1138a,3; e in particolare V,10,1137b,28-32 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 103 | homo, epieikeis, freundlich, gutig, mensch, iurista, ius, streng, scharff, schertig, epieikeia, leucken | no | Ewer , quid erga homines? Ich habs nicht kund besser Deutschen, epieikei" ein freundlicher, gutiger Mensch. Iuristae de iure suo: Streng recht ist nicht recht, Scharff wird gern schertig. Aristoteles schreibet fein de ejpieikeiva, das einer nit mit strengem recht fare, sed las sich lencken, weiche. | La vostra... , perché dice nei confronti degli uomini ? Io non sono riuscito a trovare un vocabolo migliore in tedesco. Epieivkei" significa un uomo amichevole, mite. I giuristi dicono del loro diritto che la massima applicazione del diritto non è giustizia, essere troppo sottili significa spesso essere difettosi. Aristotele scrive bene sull ejpieikeiva e dice che non si dovrebbe procedere secondo una rigida applicazione del diritto, ma essere duttili, cedevoli. | |
51,189,15-32 | Die vier letzten Predigten in Eisleben gehalten (Matth. 11,25) | Si tratta dell ultima predica di Lutero, tenuta ad Eisleben il 15 febbraio 1546, poche ore prima di morire: e ancora si parla di Aristotele! Secondo il curatore del volume 51 dell edizione di Weimar, il riferimento al testo aristotelico sembrerebbe essere Eth. Nic. VI,10, in cui si discetta sulla differenza tra ejpisthvmh e dovxa. In realtà però qui Lutero ha presente la Politica e le discussioni intorno alla virtù proprie del cittadino e dell uomo di governo. Ma non è escluso neppure che il riferimento ai pochi che hanno la capacità di governare sia una ripresa del tema dei viri heroici, a cui Lutero è molto affezionato. | 185 | Pr. 2027 | 1546 | Pol. III,4; III,13,1284a,13s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 189 | weltlich, regiment, schreiben, weisheit, verstand, land, leute, dienen, regierung, naseweisen, meister-klügel, billich, feind, narr, nütz, har, teufel, recht, tüchtig, doxa, opinio, sapiens, tantz | no | In Weltlichen sachen und regiment gehets zwar auch also zu, Wie auch Aristoteles davon schreibt, das etliche Leute sind mit grosser weisheit und verstand begnadet und nicht gemeine Leute, Als Gott offt einen feinen, hohen, verstendigen Mann gibt, der mit weisheit und rat Landen und Leuten dienen kondte, Aber solche fliehen vor den geschefften, und man kan sie schwerlich zur regierung bringen, Aber darnach sind andere, die wollens sein und thun, und könnens doch nicht thun, Die heisset man denn im weltlichen regiment Naseweisen und Meister Klügel. Diese schilt man seer, und man ist jnen auch billich feind, Und mus jederman klagen, das man fur den Narren nirgends kan aus komen, sie sind zu keiner sachen nütz, denn das sie nur har ein tragen, Darumb sagen auch die Leute von jnen: Hat uns der Teufel mit Narren beschiessen. Und Aristoteles, der solches in Regimenten gesehen, das wenig rechter, tüchtiger Leute sind zur Regierung, machet einen unterschied zwischen rechten Weisen und Klugen und andern, die er nennet doxa id est: opinione sua sapientes, Die sichs duncken lassen, sie seien klug und weise, Gleich wie man auff Deudsch saget: Der dünckel macht den tantz gut, Diese meinen, die weil sie im Regiment sitzen und eine hohe Person furen, so müssen sie klug sein. | Negli affari e nei governi mondani accade la stessa cosa, come anche Aristotele ha scritto a questo proposito. Taluni individui sono dotati di grande saggezza e discernimento, diversamente dalla gente comune. Spesso Dio ci manda un uomo raffinato, nobile, assennato, che può amministrare con saggezza e buon senso genti e paesi. Alcuni però scappano di fronte alle responsabilità ed è estremamente difficile spingerli a governare. D altra parte poi ce ne sono altri che vorrebbero essere e fare, ma che non ne sono proprio capaci. Negli stati mondani li si chiama saccenti e azzeccagarbugli. Vengono spesso criticati e si attirano abbastanza meritatamente anche le antipatie. E tutti si lamentano del fatto che non si riesce a liberarsi da simili idioti, che sono solo dei buoni a nulla capaci solo di far perdere tempo. E perciò anche la gente dice di loro: il diavolo ci ha smerdato con i matti. E Aristotele, che ha constatato come pochi siano coloro che negli stati sono adatti a governare, fa una distinzione tra coloro che sono autenticamente saggi e gli altri, da lui chiamati uomini soggetti alla doxa e anche opinione sua sapientes: costoro cioè sono convinti di essere saggi e assennati, proprio come si dice in tedesco: la vanità pensa di menare lei la danza. Per il fatto di sedere in un governo e di essere altolocati, credono anche di essere saggi. |
51,212,25-32 | Auslegung des 101. Psalm | E merito di Risto Saarinen (Einige Themen der Spätmittelalterlichen Ethik bei Luther, Kerigma und Dogma , 30 (1984), pp.286-288, con abbondanti riferimenti bibliografici) aver evidenziato la remota origine aristotelica di un tema quale quello dei viri heroici in Lutero. Lo studioso finlandese afferma che Lutero avrebbe attinto ai dibattiti tardomedievali di argomento etico riguardanti l interpretazione di Eth. Nic. VII,1,1415a,15-20. Saarinen però stranamente non cita questo passo che è l unico in cui Lutero nomina Aristotele parlando dei viri heroici. E non è l Etica Nicomachea (né il corrispondente passo dei Magna Moralia, II,5,1200b,9-19) ad essere chiamata in causa, ma la Politica. L un testo aristotelico non esclude l altro, ma va messo in rilievo che il parlare dell uomo di governo come viva lex, come fa Aristotele in questo passo, è una costante in Lutero (cfr. WA 44,704,15-29; WATR 6,345s., n.7031). Inoltre, proprio in questi anni, Lutero ritorna ancora su Pol. III,13, citando la favola della lepre e i leoni, (Pol. III,13,1284a,13-16), cfr. WA 52,703,25-29. | 614 | 1534-1535 | Pol. III,13,1284a,13s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 212 | wunderleute-Gottes, affe, wunderleute-des-Teufels, David, Hannibal, rat, regiment, meister, schaffen, treiben, recht, Jus, Keiser, lebendig, erde | 161 | Solche wunderleute Gottes wollen wir dis mal lassen sampt iren affen oder wunderleute des Teufels. Denn Gottes wunderleute und die Davides oder Hannibales sind so gethan, das sie deins und meins rats nicht bedürffen jnn jrem regiment, als die einen bessern meister haben, der die schaffet und treibt. Wie auch Aristoteles sagt in Politicis, Das solche leute sind die Meister und das recht selbs, Und die Jura selbs zeugen, das ein Keiser sey das lebendige Recht auff erden. | Questa volta vogliamo trattare di tali uomini straordinari di Dio assieme alle loro scimmie, gli uomini straordinari del diavolo. Gli uomini straordinari di Dio infatti, i Davidi, gli Annibali, hanno una natura tale da non aver bisogno per la loro condotta né del tuo né del mio consiglio: hanno un maestro migliore, che li guida e li educa. Come dice anche Aristotele nella Politica, tali uomini sono maestri, sono il diritto stesso ed è la giurisprudenza a testimoniare che un re è il diritto vivente sulla terra. | |
51,243,5-9 | Auslegung des 101. Psalm | C è un preciso parallelismo tra la storia della salvezza e la storia profana. In ciascuno dei due ambiti ci sono re, profeti, condottieri. E al novero dei profeti pagani, che a differenza di quelli ebraici insegnano solo la saggezza di questo mondo (v. WA 51,243,13), appartiene anche Aristotele. A questo proposito non si deve pensare che qui Lutero stia pensando a questi personaggi come naturaliter christiani, come anticipatori in qualche modo del messaggio cristiano. E proprio il parallelismo con Mosè, Isaia, Davide, Salomone a stabilire la rigorosa separazione dei due ambiti. Lutero infine elenca i profeti pagani in ordine cronologico; Aristotele è accompagnato, oltre che da Omero e Ulpiano, dai consueti nomi di Platone e Cicerone. | 614 | 1534-1535 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 243 | Priester, Prophet, Lehrer, Homerus, Plato, Cicero, Ulpianus, Moses, Elias, Esaia, magi, könig, fürst, Alexander, Augustus, David, Salomon | 57 | Und Mattheus die Heiligen drey Könige Magos nennet, darumb das sie der Araber Priester, Propheten oder Lerer waren. Also sind bey jnen Homerus, Plato, Aristoteles, Cicero, Ulpianus etc. gewest, wie bey Gottes volck Moses, Elias, Esaias etc. Und jre Keiser, Könige, Fürsten, als Alexander, Augustus etc. sind jre Davides und Salomones gewest. | Anche Matteo chiama magi i tre santi re perché essi erano i sacerdoti, i profeti o i maestri degli arabi. Lo stesso è per i pagani con Omero, Platone, Aristotele, Cicerone, Ulpiano e via dicendo, come per il popolo di Dio con Mosè, Elia, Isaia e via dicendo. E anche i loro imperatori, re e principi come Alessandro, Augusto eccetera sono stati i loro Davidi e Salomoni. | ||
51,255,9-15 | Auslegung des 101. Psalm | Il versetto biblico commentato da Lutero è Sal 100,6: I miei occhi sono rivolti ai fedeli del mio paese perché restino a me vicino: chi cammina per la via integra sarà mio servitore . Lutero si meraviglia che Davide - ritenuto autore del salmo - possa sostituire i malvagi di cui parla nei versetti precedenti con persone che camminano per la via integra . Esistono queste persone? Da noi in Germania, risponde Lutero con una punta di ironia, le cose vanno in modo evangelico , nel senso descritto da Mt 12,45, in cui si parla dello spirito uscito da un indemoniato che vi rientra in compagnia di altri sette spiriti peggiori di lui. Nella stessa direzione va la favola del mendicante, che corrisponde alla favola della volpe e del riccio attribuita ad Esopo nel secondo libro della Retorica di Aristotele, e la storia della vedova che pregava perché il tiranno non morisse al fine di non essere spogliata ulteriormente dei suoi beni dall eventuale successore. Sono le stesse due favole di cui Lutero parla nello scritto Ob Kriegsleute auch in seligem Stande sein können: cfr. WA 19,639,4-21. | 614 | 1534-1535 | Rhet. II,20,1393b,23-32 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 255 | königsreich, deudsch, teufel, arg, historia, widwin, tyrann, beten, betler, fliege, wund | no | Sonst jnn andern Königsreichen und auch bey uns jnn Deudschen landen (zum wenigsten etliche mal) gehets gantz Euangelisch zu, wie Christus Matthej am zwelfften sagt, wenn ein Teufel ausferet, komen sieben erger an die stat und wird jhe lenger jhe erger, wie die Historia oder fabel von der Widwin, die fur Jren Tyrannen bat, das er nicht bald stürbe, und von dem Bettler, der fast seer schalt denen, so jm die fliegen aus den wunden scheuchte, saget. | D altronde negli altri regni e anche da noi in Germania (come minimo molte volte) le cose vanno in modo perfettamente evangelico, come Cristo dice nel dodicesimo capitolo di Matteo: che quando un diavolo se ne va, ne vengono sette di peggiori al suo posto e più passa il tempo e peggio si sta, come dice la storia o favola della vedova che pregò perché il suo tiranno non morisse presto o del mendicante che rimproverava aspramente chi gli scacciava le mosche dalle ferite. | |
51,352,20-26 | An die Pfarrherren, wider den Wucher zu predigen, Vermahnung | Lutero esalta la virtù aristotelica dell equità, teorizzata nel quinto libro dell Etica Nicomachea. La sua interpretazione però è singolare: l equità non rappresenta tanto la capacità di applicare la legge ai casi particolari, ma un segnale inequivocabile del limite strutturale del diritto. L equità quindi è superiore (meisterin) ad ogni diritto. Non a caso viene richiamato il proverbio summum ius, summa iniuria. Da quale fonte classica attinge Lutero? Come il nome di Scipione sta ad attestare, questo passo è l unico in cui Lutero sembra riferirsi al Cicerone del De officiis 1,10,33 e non a Terenzio (Heautontimoroumenos, IV,5,48); cfr. WA 7,515,17; 41,475,19s.; 42,504,26. | 781 | 1540 | Eth. Nic. V,10,1137a,31-1138a,3 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 352 | spitzig, gewis, recht, erfinden, zufall, umbstand, fassen, epiikia, sunden, unrecht, Scipio, summus, ius, iniuria, scharf, schertig, einschlahen, billigkeit, meister | no | Denn so spitzig und gewis wird kein Recht nimer mehr erfunden werden, das alle zufelle oder umbstende fassen müge, Wie Aristoteles Eth. v. von der Epijkia leret. Oder wird es funden (das ist ertichtet), so ists das aller grössest unrecht nach dem spruch des klügsten Römers Scipionis: Summum ius, summa iniuria, enge Recht, weit unrecht, Item, allzu scharff wird schertig. Darumb mus man zu beiden seiten einschlahen, und die billigkeit lassen alles Rechts meisterin sein. | E infatti non si può trovare un ordinamento giuridico così acuto e certo che abbracci tutte le circostanze e i casi possibili, come Aristotele insegna a proposito dell epieikeia nel quinto libro dell Etica. Oppure, se viene trovato (cioè inventato) allora diviene la più grande ingiustizia in assoluto, secondo il detto del saggio romano Scipione: summum ius, summa iniuria, il diritto troppo rigido è una grande ingiustizia , oppure troppa sottigliezza porta all errore . Perciò occorre giungere a un accordo tra le due parti e far diventare l equità signora di ogni diritto. | |
51,357,30-358,2 | An die Pfarrherren, wider den Wucher zu predigen, Vermahnung | Questo breve passo presenta un espressione di difficile traduzione: von ligenden gründen . Considerato il passo aristotelico di riferimento si è inteso ligende gründe come un errore di trascrizione o comunque un espressione analoga a ligende güte, beni immobili. In Pol. VI,4, passo citato direttamente da Lutero, si parla infatti di Oxilo, capo dei Dori, istitutore di una legge che vietava di mettere ipoteche sulle parti di terreno appartenenti a ciascuno. Certo Aristotele non parla di Oxilo come un uomo giusto, e qui si conferma ancora una volta la tendenza di Lutero a integrare le sue fonti con particolari inediti. | 781 | 1540 | Pol. VI,4,1319a,12 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 357 | from, Oxylus, wucherzins, grund | no | Also schreibt auch Aristot polit. vj, Das ein fromer Herr, Oxylus genant, hatte gesetzt, man solte von ligenden gründen keinen Wucherzins geben. | Anche Aristotele infatti scrive nel sesto libro della Politica che un signore che aveva a cuore l utilità comune chiamato Oxilo aveva stabilito per legge che non si potessero lucrare interessi a tassi da usura su terreni immobili. | |
51,360,19-32 | An die Pfarrherren, wider den Wucher zu predigen, Vermahnung | Nella sua lotta contro gli usurai Lutero trova un alleato in Aristotele. In questo passo egli si richiama a due opere diverse, la Politica e l Etica Nicomachea, entrambe citate puntualmente e con grande proprietà. Nel primo libro della Politica infatti Aristotele condanna l usura perché innaturale, perché i guadagni provengono dal denaro e non da ciò per cui il denaro è stato inventato. L Etica poi è citata alla lettera, là dove Aristotele afferma che gli usurai prendono da dove non si deve e più di quello che si deve e accomuna in questo giudizio gli usurai ai ruffiani. Quanto invece Lutero afferma in riferimento al giusto mezzo, più che alla Politica sembra riferirsi all Etica, là dove Aristotele tratta dei due vizi opposti, avarizia e prodigalità, che si allontanano allo stesso modo dalla virtù media della generosità, anche se la giusta misura di cui parla Aristotele è qualcosa di molto diverso dall equalitas arithmetica di Lutero (ma cfr. al proposito la definizione più ortodossa che si incontra in WA 44,706,9-17). Significativo infine il richiamo a due brani di san Paolo (1Tm 3,3; Tt 1,7) in cui l Apostolo pone come requisito per i futuri vescovi il distacco dai beni materiali e dal denaro. Quando le sue dottrine non sono interpretate come contraddittorie con la Rivelazione, Aristotele può essere citato tranquillamente come auctoritas accanto a san Paolo. | 718 | 1540 | Pol. I,10,1258a,39-1258b,8; Eth. Nic. IV,I; e in particolare IV,1,1121b,32-1122a,3 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 360 | wucher, hertzleid, from, löblich, herr, weise, vernufftig, heide, natur, nehmen, geben, mittel, richtmas, tugend, aequalitas, arithmeticus, unfruchtbar, sich-mehren, geld, tragen, baum, acker, frucht, schendlich, handtier, Paulus, bisschof | no | Also findet sichs, das der Wucher alle zeit das hertzleid hat angericht, und alle frome, löbliche Fürsten und Herrn damit zu thun gehabt, Auch alle weise vernunfftige Heiden den Wucher uber aus ubel gescholten haben, Als Aristoteles Pol. j. spricht, Das Wucher sey wider die natur, aus der ursachen: Er nimpt allzeit mehr denn er gibt, damit wird auffgehaben das mittel und richtmas aller tugend, das man heisst Gleich umb gleich, equalitas Arithmetica. Weiter spricht er: Gelt ist von natur unfruchtbar, und mehret sicht nicht, Darumb wo sichs mehret, als im Wucher, da ists wider die natur des gelds. Denn es lebt noch tregt nicht, wie ein baum und acker thut, der alle jar mehr gibt denn er ist, Denn er ligt nicht mussig noch on frucht, wie der gulden thut von natur. Item Ethic. iiij. schreibet er, das Wucherer sind schendlicher handtierer (welchs S. Paulus j. Tim. iij. und Tit. j. den Bisschoven hart verbeut), Denn der Wucherer nimpt (spricht er), da er nicht sol, und mehr, denn er sol. | Si constata dunque che l usura ha provocato sempre il mal di cuore e che tutti i signori e principi pii ed encomiabili ne sono stati coinvolti. Così anche tutti i pagani saggi e ragionevoli hanno aspramente redarguito l usura. Come dice Aristotele nel primo libro della Politica, l usura è contro natura per i seguenti motivi: prende più di quel che dà, per cui viene a mancare il giusto mezzo proprio di ogni virtù, quello che viene chiamato uguale per uguale, uguaglianza aritmetica. Egli inoltre afferma che il denaro è infruttuoso per natura, che non si moltiplica, e perciò quando capita che si moltiplichi, come nell usura, ciò avviene contro la natura stessa del denaro. Il denaro infatti non è qualcosa di vivo, non porta nulla, come fanno un albero o un campo, che ogni anno producono qualcosa in più rispetto a ciò che attualmente sono. L albero non se ne sta ozioso e senza frutto, come fa il denaro per natura. Nel quarto libro dell Etica poi Aristotele scrive che gli usurai sono negoziatori obbrobriosi (e san Paolo nel terzo capitolo della prima lettera a Timoteo e nel primo capitolo della lettera a Tito proibisce severamente questa pratica ai vescovi), poiché l usuraio (dice lui) prende dove non deve e più di quello che deve. | |
52,390,17-22 | Hauspostille (Luk. 6,36-42) | Lutero invita a non condannare gli altri e a non vendicarsi, ma a perdonare, perché penserà DIO A punire chi non ricambia il bene ricevuto. L esempio è riportato da Aristotele in Eth. Nic. VII,6,1149b,11-13, e viene riportato da Lutero anche in WA 37,103,4. Nei due passi però esso assume due sfumature differenti: in quello viene condannata l ingratitudine dei figli, in questo la morale è l invito al perdono, perché ci pensa Dio a vendicare i torti. In nessuno dei due casi però viene rispettato il senso aristotelico di questo esempio. Aristotele infatti parla della scusabilità del vizio dell impetuosità. Secondo il filosofo si deve reputare inevitabile, o comunque molto difficile, che lo stesso vizio non si ripeta di generazione in generazione. Questo fattore, però, rende meno grave e più scusabile il vizio stesso. Lutero invece usa lo stesso esempio per condannare l ingratitudine dei figli e sancire l inevitabilità della punizione, che sarà attuata dai figli dei figli. Anche in questo caso, inoltre, Lutero arricchisce di particolari il testo aristotelico. Aristotele infatti parla di un figlio che trascina il padre, ma non che lo trascina per i capelli. | 272 | Po. 357 | 1532 | Eth. Nic. VII,6,1149b,11-13 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 390 | histori, sune, vater, har, schwelle, ziehen, schreyen, got, untugent, straffen | no | Im Aristotele stehet ein Histori, das ein Sune seinen Vater genummen und mit dem har bisz an die schwellen zogen habe, Da habe der Vatter angehoben zü schreyen: Hör auff, hör auff, mein Sun, denn bisz hieher schleiffete ich meinen vater auch, Also sol es gehen, da weisz unser Herr Got wol rath zü, das er die untugent straffe. | Aristotele racconta la storia di un figlio che prese suo padre e lo trascinò per i capelli fino alla porta. Lì il padre cominciò a gridare: Basta, basta, figlio mio, perché fin qua ho trascinato anch io mio padre . Le cose devono andare proprio così, perché il nostro Signore Dio per questa circostanza sa ben consigliare: egli punisce il vizio. |
52,503,7-14 | Hauspostille (Matth. 9,1-8) | L immagine aristotelica del paralitico si ritrova anche in WA 27,374,7-375,2; 37,178,30-35. Lutero ne rimane evidentemente molto impressionato ed è convinto che però Aristotele l abbia applicata solo in modo imperfetto. Il paralitico non è solo il simbolo degli incontinenti, di coloro che non sono pienamente padroni dei propri atti, ma in primo luogo di coloro che pensano di salvarsi l anima con le opere. Ma quanto più si danno da fare, tanto più si allontanano da Dio. | 272 | Po. 372 | 1533 | Eth. Nic. I,13,1102b,15-25 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 503 | gichtbruchtig, bild, sünder, kranckheit, art, glid, brauchen, fusz, hand, ziehen, strecken, unzogner, frech, jugent, bändigen, zemen, werckheilig, annemen, versönen | no | Der Gichtbruchtige hie ist ein Bild aller sünder. Denn das ist diser kranckheit art, das man der glider nit mer brauchen kan, und wenn man den fusz oder die hand zu sich ziehen will, so kan mans nit unnd strecks nur ye mer von sich. Darumb vergleicht Aristoteles in Ethicis einen sölchen menschen der unzognen, frechen jugent, die man nit bendigen noch zemen kan. Aber wer dise kranckheyt recht will deuten, der deutte es auff die werckheiligen, Ye mer die selben sich drumb annemen, wie sie nahend zu Got kummen und jn versönen können, ye ferner kommen sie von jm. | Il paralitico in questo caso è immagine di tutti i peccatori. Infatti questo tipo di malattia è tale da rendere inutilizzabili gli arti. Quando si vuole tirare una mano e un piede verso di sé, non si riesce, anzi: li si allontana. Per questo Aristotele nell Etica paragona un uomo siffatto ai giovani sregolati e insolenti, che non si possono sottomettere né ammansire. Chi però vuole interpretare in modo corretto questo tipo di malattia, la deve applicare ai santi delle opere. Infatti, quanto più costoro sono convinti di essersi avvicinati a Dio e di poterlo addomesticare, tanto più si allontanano da lui. |
52,703,25-29 | Hauspostille (Mark. 6,17-29) | Lutero consiglia ai predicatori di attenersi all esempio di Giovanni Battista, che non ebbe paura della morte pur sapendo di proclamare un messaggio che sarebbe stato poco gradito al re Erode. La favola di Esopo a cui fa riferimento è citata in Politica III,13: lo stesso capitolo viene citato in questi anni nella Auslegung des 101. Psalm. Lutero si prende più di qualche licenza nei confronti della fonte classica. Aristotele certo non parla di lepri predicatrici e intente alla conversione dei leoni, ma di lepri che partecipano all assemblea e propongono uguaglianza tra tutti gli animali. Aristotele in questo caso come in altri casi funge da serbatoio di esempi, storie, favole a cui attingere soprattutto per la predicazione. | 272 | Po. 396 | 1534 | Pol. III,13,1284a,13-16 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 703 | prediger, gott, gunst, mensch, fabel, hase, lôwe, predigen, fromm, maul, zureissen, Johannes | no | Wo aber ein Prediger mer auff Gottes willen und ambt denn auff gunst der menschen sehen will, da gehet es, wie Aristoteles ein feine Fabel hat, wie den Hasen, die sich unterstunden den Löwen zu predigen unnd sie fromm zu machen, Aber ee sie recht das maul aufftheten, waren sie von den LöWEN ZURIssEn, Wie wir hie an Johanne auch sehen. | Quando il predicatore pensa più alla volontà di Dio che al favore degli uomini, succede come nella favola di Aristotele sulle lepri: osarono tenere una predica ai leoni per convertirli, ma prima ancora di aprire la bocca, furono sbranate dai leoni, come possiamo vedere anche nel caso di Giovanni Battista. |
53,316,16-19 | Verlegung des Alcoran Bruder Richardi, Prediger Ordens. Verdeutscht und herausgegeben von M. Luther | Accusa di Riccardo (l opera non è di Lutero, che però si prese cura personalmente di tradurla) a Maometto: come può un uomo così carnale essere un profeta? La citazione aristotelica riguarda la difficoltà di convincere alla virtù gli uomini troppo soggetti alle passioni. Anche in questo caso, come sempre accade quando la dottrina aristotelica è compatibile con le sue tesi, Lutero non si preoccupa di mescolare Aristotele e san Girolamo, un pagano e un cristiano. | 644 | 1542 | Eth. Nic. X,9,1179b,11-17; 24-30 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 316 | heiliger-geist, prophet, hertz, fleissch, Hieronimus, rüren, werck, brunst, weisheit | no | Denn der heilige Geist auch der rechten heiligen Propheten hertz nicht rüret, wenn sie im werck des fleissches sind, wie S. Hieronimus sagt, Auch Aristoteles sagt, das ummüglich sey, in solchem werck oder Brunst mit weisheit umbgehen. | Lo Spirito Santo infatti non tocca il cuore dei giusti e dei santi profeti quando sono nell opera della carne , come suol dire san Girolamo. Anche Aristotele afferma che è impossibile avere contatti con la sapienza in tale situazione ovvero quando si è in calore. | |
53,323,3-9 | Verlegung des Alcoran Bruder Richardi, Prediger Ordens. Verdeutscht und herausgegeben von M. Luther | L edonismo proprio della concezione musulmana della felicità è ritenuto dall autore in contrasto con le più autentiche esigenze dell uomo. Anche la ragione naturale, nel suo più alto esponente, Aristotele, identifica infatti la più alta felicità con l esercizio delle facoltà superiori, e cioè con una conoscenza di carattere contemplativo. E da rilevare che uno dei pochissimi accenni di Lutero alla vita contemplativa in Aristotele sia in realtà opera di un altro autore: a Lutero si deve solo la traduzione. | 644 | 1542 | Eth. Nic. X,7,1177b,34-1178a,3 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 323 | Christus, prophet, philosophi, vernünfftig, seligkeit, erkentnis, leben, verstand, lust, leren, bauch, fleisch, arg, verstand | no | Hierin erzeigt er sich ja, als der nicht allein wider Christum und die Propheten, Sondern auch wider die Philosophos und alle vernünfftige menschen leret, Welche alle in dem uber ein komen, Das des Menschen seligkeit stehe im erkentnis, wie Christus spricht: das ist das ewige leben, das sie dich erkennen , Und Aristot. spricht: das leben in verstand ist das beste . So mus ja das leben nach dem bauch und fleisches Lust das ergest sein, welchs allen guten verstand hindert. | E con ciò egli dimostra non solo di insegnare dottrine contrarie a Cristo e ai profeti, ma anche ai filosofi e a tutti gli uomini dotati di ragione, i quali sono tutti concordi nell affermare che la beatitudine dell uomo consiste nella conoscenza, come dice Cristo: Questa è la vita eterna, che conoscano te , e Aristotele dice: la vita nella conoscenza è la migliore . Di necessità perciò vivere secondo il piacere del ventre e della carne è la cosa peggiore e tale da rendere impossibile ogni autentica conoscenza. | |
53,360,8-13 | Verlegung des Alcoran Bruder Richardi, Prediger Ordens. Verdeutscht und herausgegeben von M. Luther | L autore descrive la divisione degli aderenti alla religione musulmano in sunniti e sciiti e identifica il sorgere della filosofia araba medievale come un fenomeno distinto dall osservanza religiosa. Aristotele è citato, assieme a Platone, come fonte privilegiata su cui si basa l insegnamento di questi filosofi. | 644 | 1542 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 360 | Mahmet, Hali, secte, gelert, lesen, Plato, Alcoran, gewalt | no | Etliche folgen Mahmet, Und der sind die meisten, Etliche folgen Hali, der sind die wenigsten und die besten, Und sagen, Mahmet habe mit freveler gewalt genomen, was der Hali gemacht habe. Es stunden aber auff wider alle beide secten etliche gelerte in der Philosophia, fiengen an zu lesen Aristotelem und Platonem, und verliessen alle secten der Sarracenen sampt der Alcoran. |
Alcuni, la maggioranza, seguono Maometto, altri, inferiori di numero ma migliori, seguono Alì e affermano che Maometto si è impossessato con la violenza e il tradimento di cioè che Alì ha fatto. A un certo punto però sorsero, opposti ad entrambe le fazioni, alcuni dotti filosofi che incominciarono a insegnare Platone e Aristotele lasciando da parte tutte le fazioni e lo stesso Corano. |
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54,449,21-27 | Luthers letzte Streittschrifft (contra asinos Parisienses Lovaniensesque) | Nell ultimo scritto polemico di Lutero, una violentissima requisitoria contro i professori universitari di Colonia e di Lovanio, ritorna ancora l accusa, rivolta ai principali esponenti del mondo accademico del tempo, di aver innalzato Aristotele nel ruolo che spetta solo a Cristo. Il tono però non è quello di una disputa, per quanto accesa da furori polemici, ma di una vera e propria invettiva. Negli ultimi anni, come si può notare, la fortissima antitesi istituita tra Cristo e Aristotele non cessa di essere tale, e la qualifica ironica di santo che spetta al filosofo non fa che confermare tale antitesi. | 553 | 1545-1546 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 449 | theologus, Lovensis, Collensis, Parixsensis, liripipia, pertinacia, sanctus-Aristoteles, opinio, sophista, iniuria, aurea, essentialis, praemium, aureola, doctor, martyr, virgo, coronare, bardus, blennus | no | Qui enim volebant bardum aut blennum significare, dictabant eum esse theologum Lovensem, Collensem aut Parixsensem. Quanquam ea, qua pannosa liripipia tument, pertinacia aliquantulum fortes esse videri volebant ferendis istis iniuriis propter Christum, id est: propter sanctum Aristotelem et laudabiles opiniones sophistarum, ut digni fierent praeter auream essentialis praemii etiam aureolis doctorum, martyrum et virginum coronari. | Chi voleva infatti esemplificare uno stupido o un idiota, diceva che costui era un teologo di Lovanio, Colonia o Parigi, quantunque essi, con quella testardaggine con cui gonfiano le loro cappe di panno, volessero far sembrare di essere un tantino forti sopportando queste ingiurie per Cristo, cioè per sant Aristotele e per le lodevoli opinioni dei sofisti. Lo facevano per essere degni, oltre che della corona d oro della ricompensa essenziale, anche dell aureola di dottori, martiri e vergini. | ||
60,125,38-44 | Nachwort zur Epistola Theologorum Parisiensium ad cardinalem Coetanum (!) reprehensoria | Lutero si riferisce qui a Johannes Bonemilch von Lasphe (cfr. Erich kleineidam, Universitas Studii Erffordensis: überblick über der Geschichte der Universität Erfurt, Leipzig, 4 voll; II. 1460-1521, 1992 [2a ed. ampliata, prima ed. 1969], pp.284s.) che fu tre volte rettore dell università e vescovo di Erfurt dal 1498 al 1508. Da lui Lutero venne ordinato sacerdote nella primavera del 1507. A questo episodio, che testimonia l onore in cui veniva tenuto Aristotele negli ambienti ecclesiastici ed accademici di Erfurt, Lutero fa riferimento più volte nel corso della sua opera: cfr. WATR 5,412,34ss., WA 1,226,14 (in cui il fatto che uno non possa diventare teologo senza Aristotele viene definito dictum commune) e 10 I 1,584,16-18. | no | 1534 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 125 | concio, theologus, adulescens, Hilarius, Hieronymus, Augustinus, Bernhardus, legere, definire | no | Item alius magnus sane vir in concione palam definivit: Nolite errare, adolescentes boni. Absque Aristotele nemo potest theologus fieri . Nos autem adulescentes interim Hilarii, Hieronymi, Augustini, Bernhardi etc. recordabamur, qui Aristotelem vel non legerunt vel eo non sunt usquam usi in suis scriptis, et cogebamur vel eos non credere theologos fuisse vel aliud genus theologorum fuisse. | Allo stesso modo, un altra persona - certamente un grande uomo - nel corso di una predica diede questa definizione: Non sbagliate, buoni giovani. Al di fuori di Aristotele nessuno può diventare teologo . E intanto a noi giovani venivano in mente Ilario, Gerolamo, Agostino, Bernardo e via dicendo, che o non lessero Aristotele o non ne fecero uso in alcun passo dei loro scritti. A questo punto eravamo costretti a credere che essi non fossero stati teologi, o forse che fossero appartenuti a un altro genere di teologi. | ||
60,143,1-11 | Die Dialectica | Nello scritto Alla nobiltà cristiana di origine tedesca (cfr. WA 6,457,35-450,30 - 1520) Lutero, dopo aver condannato come dannose alcune tra le più importanti opere di Aristotele, aveva acconsentito a salvare gli scritti logici, la Retorica e la Poetica, un operazione che aveva una finalità soprattutto didattica (cfr. WA 6,458,26-40). A vent anni di distanza Lutero pone mano a un opera (per quanto riguarda la paternità luterana della Dialettica si rimanda a WA 60,141s.) in cui mantiene la promessa fatta. E un opera didattica, un compendio di testi precedenti e Lutero - una volta tanto - dichiara fin dall inizio quali sono le sue fonti: la Compendiaria dialectices ratio (1520) di Melantone, i tre libri del De inventione dialectica dell umanista Rodolfo Agricola (1443-1485), le Summulae logicales di Pietro Ispano e - fonte delle fonti - l Organon di Aristotele. Riconosciuti i propri debiti, Lutero tiene subito a chiarire la propria originalità: a differenza di Melantone che propone una dialettica quadripartita (cfr. Corpus reformatorum, XIII,574ss.) Lutero propone una tripartizione: divisio, definitio e argumentatio. Da queste poche righe si intuisce già quale influenza abbia Aristotele anche nell ultimo Lutero, che padroneggia con grande disinvoltura e spesso anche con proprietà i concetti fondamentali del filosofo. | no | 1540? | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 143 | methodus, dialectica, Melanchton, praeceptum, Rodolphus-(Agricola), Petrus-Hispanus, divisio, definitio, argumentatio | no | DIALECTICA su;n qew'/ V.I.M. Methodus Dialectices tradita a Reverendo D. Doctore Luthero Dialectica Melanchtonis complectitur omnia necessaria praecepta, quae extant apud Aristotelem, Rodolphum et Petrum Hispanum. Sed Philippus illustravit praecepta utilibus exemplis et docuit haec tempora de vero usu Dialectices. Sed liberis meis ea complectar in unum et alterum praeceptum, si vivo. Tota enim Dialectica versatur in divisione, definitione et argumentatione. |
DIALETTICA con Dio V.I.M. Trattato dialettico esposto dal Reverendo Signor Dottore Lutero La Dialettica di Melantone raccoglie tutti i precetti necessari che si trovano in Aristotele, Rodolfo e Pietro Ispano. Filippo però ha illustrato questi precetti con utili esempi e ha istruito il nostro tempo sul vero uso della dialettica. Io invece, se vivo, raccoglierò queste cose in un unico e diverso precetto. Tutta la dialettica infatti ha per oggetto la divisione, la definizione e l argomentazione. |
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60,144,18-22 | Die Dialectica | Dopo aver trattato della divisione l autore della Dialectica (se non è Lutero, è comunque molto probabile che egli rifletta considerazioni e proposte dello stesso Lutero) passa alla definizione. Se il modo con cui egli caratterizza all inizio la definizione ( Definitio indicat, quid rei sit, de quo sermo instituitur ) ricalca per sommi capi quello aristotelico (Top. I,5,101b,38; V,5,135a,11; An. post. II,3,90b,3s.) non altrettanto si può dire per quanto afferma subito dopo, che cioè anche l accidente è suscettibile di definizione. Anche l affermazione secondo cui per Aristotele la sostanza è corpus appare corretta (De an. II,1,412a,11s.) ma parziale (Metaph. V,8,1017b,10-25, soprattutto per quanto riguarda l identificazione della sostanza con la forma), così come è solo in parte giusto affermare che la sostanza per Elio Donato è res (cfr. quanto si dice al proposito in WA 60,144,n.20, secondo cui sarebbe più corretto affermare che per Donato la sostanza è corpus et res). A questo punto l affermare che esistono sostanze incorporee ha anche il significato di una presa di distanza da Aristotele, o perlomeno da quello che Lutero giudica essere il pensiero di Aristotele. Le sostanze incorporee - il Dio trinitario, gli angeli, i demoni, l anima (cfr. WA 60,145,23-31) - sono comprensibili solo in un contesto cristiano. Lutero, come si vede, forse anche a causa della natura didattica dell opera non si cura eccessivamente della precisione o della coerenza logica delle sue affermazioni. Una nota infine su Donato: è un autore che Lutero conosce molto bene. Il cosiddetto Donatus era la grammatica latina in uso nelle scuole tedesche dell epoca. Probabilmente Lutero la studiò dal 1494 al 1497 nella Lateinschule di Eisleben. | no | 1540? | Top. I,5,101b,38; I,9,103b,23; V,5,135a,11; An. post. II,3,90b,3s.; Metaph. V,8,1017b,10-25; V,30,1025a,14-34; De an. II,1,412a,11s. | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 144 | definitio, quid-rei, sermo, res, substantia, accidens, corpus, res, Donatus, incorporeus, corporeus, distinctio | no | Definitio indicat, quid rei sit, de quo sermo instituitur; sed res definiendae sunt duplices: substantia et accidens. Substantia est secundum Aristotelem corpus aut res secundum Donatum. Substantiae sunt duplices: incorporeae et corporeae. Nam in hac generali distinctione hic sumus contenti. | La definizione indica quale sia l oggetto sul quale viene istituita la trattazione. Le cose suscettibili di definizione però sono due: la sostanza e l accidente. La sostanza per Aristotele è un corpo, per Donato una cosa. Le sostanze sono di due tipi: incorporee e corporee. A questo punto infatti ci siamo limitati a questa distinzione di carattere generale. | |
60,145,32-42 | Die Dialectica | Il fatto che l autore della Dialectica faccia ampio uso di concetti riconducibili ad Aristotele non significa che il suo atteggiamento di fondo nei confronti del filosofo sia mutato. Lo si comprende dal suo riferimento alla definizione dell uomo. L uomo, pur essendo qualificato come sostanza corporea, viene sottratto dal novero degli oggetti dell indagine razionale; egli può essere definito solo in base alle sacre scritture (v. al proposito ciò che della definizione filosofica e teologica dell anima umana scrive Gerhard ebeling, Lutherstudien, voll.I-III, Tübingen 1971-1985; Disputatio de homine - Zweiter Teil - Die philosophische Definition des Menschen - Kommentar zu These 1-19, pp.XII-493, 1982). In secondo luogo Lutero passa al concetto di materia. Non detta, sullo sfondo della sua argomentazione, c è la definizione aristotelica di materia come primo comune sostrato di ogni cosa e dalla cui non accidentale immanenza ogni cosa viene generata. Lutero però pare affidare alla sola materia il compito di rendere conoscibili gli enti e non invece al fatto che gli enti stessi siano composti di materia e forma (cfr. De anima III,8,431b,20-432a,14). Da una parte egli è poco interessato all astrazione delle forme dalle immagini sensibili così come essa viene concepita da Aristotele (cfr. WA 59,415,1-14), dall altra tende ad assegnare alla materia una certa realtà anche svincolata dalla forma (cfr. WA 59,422,1-423,3). E evidente che Lutero teme soprattutto l intellettualismo; di qui il suo ossessivo richiamo al senso comune, ai sensi, agli occhi, al tatto: oculi iudicare possunt : queste distinzioni, vuol far capire Lutero, non sono le fumosità che egli tante volte rimprovera ai sophistae scholastici. A fare le spese di questa soggezione al senso comune è però la coerenza interna della Dialectica. Lutero non sembra interessato a stabilire rigidi nessi causali tra le proposizioni che egli sostiene. | no | 1540? | Phys. I,9,192a,31; II,1,192b,8-32; Metaph. VII,7,1032a,12-15; An. post. II,9-11 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 145 | substantia, corporeus, rationalis, homo,irrationalis, vivus, corpus, mobilis, definitio, animans, instrumentum, causa, sensus, ratio, cogitatio, videre, tangere, aliquid, materia, natura, ars, oculus | no | Corporeae sunt quaedam rationales ut homo, quaedam irrationales. Ex his habent aliquae viva corpora et mobilia, quaedam non moventur. Definitio hominis etiam ex scripturis sumenda est. Reliquorum animantium et aliarum creaturarum DEI et omnium instrumentorum definitiones sumuntur a causis, quae partim sensibus subiectae sunt, partim ratione hominis investigantur sedula cogitatione. Nam quicquid est (loquor de corporibus, quae videri et tangi possunt), ex tw'/ aliquid. Ea est materia, quae duplex est: rudis et natura aut arte facta; illa subiacet oculis. Igitur de talibus materiis visibilibus et tangibilibus oculi iudicare possunt. |
Sostanze corporee Alcune sono dotate di ragione, come l uomo, alcune non lo sono. Di queste poi alcune hanno corpi dotati di vita e movimento, alcune non si muovono da sole. Anche la definizione dell uomo dev essere attinta dalle scritture. Le definizioni di tutti gli altri esseri animati e delle altre creature di Dio e di tutti gli strumenti vengono invece ricavate dalle cause, che in parte sono soggette ai sensi, in parte vengono ricercate dalla ragione umana con una speculazione assidua. Infatti tutto ciò che è (parlo dei corpi, che possono essere visti e toccati), è qualcosa che ha una causa. E questa è la materia, che è duplice: grezza e realizzata dall arte o dalla natura; e la materia sta sotto i nostri occhi. Perciò su queste materie visibili e tangibili gli occhi possono dare il loro giudizio. |
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60,145,43-146,55 | Die Dialectica | Lutero continua ad accumulare materiale che è in gran parte aristotelico seguendo un filo logico che è ben poco aristotelico. Poche righe sopra (WA 60,145,40) Lutero affermava che la materia può essere formata dalla natura e dall arte. Ora, seguendo Metafisica VII,7, si introduce anche il caso. La forma viene distinta in naturale e artificiale, ma anche, con una distinzione che unisce due principi aristotelici non omogenei tra loro, in esterna ed interna. Per Lutero la differenza tra le due è l essere visibile della prima rispetto alla seconda e con questo egli conferma la sua necessità di rimanere legato ai dati sensoriali, come testimonia anche la sua definizione di forma come quantitas vel qualitas corporis externa sive interna . Ci si aspetterebbe almeno un accenno all anima come forma del corpo. Ma Lutero ha sempre rifiutato questa dottrina aristotelica che a suo giudizio porta a concepire l anima come corruttibile (cfr. WA 59,413,4-8). Solo Dio può dare l essere al corpo. Le forme sono quindi esterne (qualità, quantità), o interne (habitus, probabilmente nel senso morale di disposizione costante e virtuosa, ma cfr. anche WA 59,416,2-4). Lutero propone così una sua personale interpretazione del principio scolastico forma dat esse rei (cfr. WA 59,416,5; 59,418,15): la forma non fa essere, non dà l essere alla materia, ma semplicemente la modella , le dà una forma specifica. Una volta di più Lutero tende ad attribuire consistenza ontologica alla materia non ancora formata. In generale, comunque, non c è traccia in Lutero di una considerazione metafisica dell atto e della potenza: egli tende sempre a darne un immagine sensibile, a fare ricadere entrambi i concetti sotto il dominio e il controllo dei sensi. Dopo un rapido accenno alle cause efficienti, Lutero infine raccomanda vivamente di approfondire lo studio delle quattro cause aristoteliche: egli stesso ne fa uso più volte anche in contesto teologico (cfr. ad es. WA 42,93,25-34). | no | 1540? | Metaph. VII,7,1032a,12-15; VII,8,1033b,21; V,20,1022b,4-14; VII,7,1032b,1; V,2,1013b,16; Top. I,4,101b,18 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 145 | materia, forma, metallum, Philosophus, ars, casus, lignum, naturalis, artificialis, externus, res, oculus, quantitas, qualitas, intrinsecus, habitus, esse, lapis, Dialecticus, differentia-specifica, corpus, formator, causa-efficiens, distinctio, cognitio, diiudicatio, negotium | no | Quamvis autem et rudis materia habet suas formas ut metalla, de quibus disputat Philosophus, et impoliti lapides et ligna, tamen ars et casus inducit rudi materiae novas formas. Igitur et forma duplex: naturalis, qualis creata est aut naturaliter crescit, aut artificialis. Item: formae quaedam sunt externae, quae incurrunt in oculos, ut sunt quantitates et qualitates, quaedam sunt intrinsecae, ut sunt habitus, quae Dialectici differentias specificas vocant. Forma igitur est quantitas vel qualitas corporis externa sive interna. Ea dat esse rei, id est non facit quidem materiam, sed inducit specificam. Omnis autem forma dicitur respective ad subiectam materiam et ad formatorem, quae (!) est causa efficiens. Quae in Physicis et Dialecticis dicuntur de distinctionibus causarum, studioso diligentissime perdiscenda sunt. Nam haec cognitio prodest ad diiudicationem gravissimorum negotiorum. |
Sebbene anche la materia grezza abbia le sue forme, come i metalli di cui tratta il Filosofo, o le pietre grossolane e i pezzi di legno, tuttavia l arte e il caso introducono nuove forme nella materia grezza. E pertanto anche la forma è duplice: naturale, quale cioè è stata creata o naturalmente cresce, e artificiale. Allo stesso modo, alcune forme sono esterne - quelle che si presentano agli occhi, come le quantità e le qualità - alcune sono interne, come i modi di essere (queste distinzioni sono chiamate dai dialettici differenze specifiche ). La forma infatti è una quantità o qualità del corpo interna o esterna. E la forma a dare l essere alla cosa: questo non significa che essa crei la materia, ma che introduce una forma specifica. D altro canto ogni forma viene definita tale in relazione alla materia che è soggetta e al formatore, che è la causa efficiente. Le cose che vengono dette nei trattati di fisica e di dialettica a proposito della distinzione tra le cause devono essere approfondite con la massima diligenza dallo studioso. Questo tipo di conoscenza infatti serve per risolvere problemi della massima importanza. |
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60,145,56-63 | Die Dialectica | La considerazione più importante è quella conclusiva: Lutero è preoccupato di fornire alcuni elementi fondamentali che possano essere compresi anche dal popolo, o perlomeno da persone dotate di un istruzione minima. Di qui il suo appello al senso comune, all evidenza sensibile, all esperienza quotidiana. E di qui anche la mancanza di un vero e proprio filo logico che unisca queste argomentazioni, sempre che non si consideri come tale l esigenza di preparare la strada alla considerazione teologica dell uomo e del mondo. I concetti aristotelici anche in questo caso sono molti ma affastellati quasi alla rinfusa. Si inizia con la causa finale, segue una sommaria esposizione della causa efficiente per poi prendere in considerazione le categorie del luogo, del tempo e della relazione, dalla quale poi si risale al problema della definizione. Un simile procedimento è probabilmente funzionale alla successiva esposizione della condizione umana prima del peccato originale, presentata in WA 60,147,91-148,96: Limus terrae est materia. Imago DEI, quae est particula divinitatis, forma substantialis. Nam de quantitate et qualitatibus seu partibus hic nihil diximus. Trinitatis creatrix est causa efficiens. Finis: ut celebret DEUM perpetuo. Accedit locus: in paradiso conditus. Quando: die sexto a condito mundo. Similitudo: similis DEO, quod ad animum seu spiritum attinet, et angelis bonis, nisi quod ex terra conditus erat . | no | 1540? | Cat. 4,1b,25-27; 7; Phys. II,2,194a,29s.; II,3,194b,31-195a,3 | Eugenio Andreatta, Lutero e Aristotele - Repertorio | 145 | agere, finis, actio, effectus, corpus, locus, tempus, praedicamentum, sensus-communis, quando, ubi, formare, dissimilitudo, definitio, herba, animans, laicus | no | QUICQUID AUTEM agit aut format aliquid, agit propter finem. Actionem sequitur effectus. Sed quicquid est (dico de corporibus), est in loco et in tempore. Igitur Veteres suis praedicamentis addidere ubi et quando . Et quicquid est, collatum cum altero, habet dissimilitudinem. Igitur ex similibus et dissimilibus saepe fiunt definitiones, maxime rerum ignotarum; quibus saepe utuntur, qui herbas et animantia describunt. Haec non sunt remota a sensu communi, sicut et laici haec iudicare possunt, saltem admoniti. |
Tutto ciò che agisce o che dà forma a qualcosa agisce per un fine. All azione segue un effetto. Ma tutto ciò che è (parlo degli esseri materiali), è nello spazio e nel tempo. Per questo gli antichi alle loro categorie aggiunsero il dove e il quando . Ogni cosa che esiste, inoltre, messa in relazione a un altra cosa, è diversa da questa. Perciò dalle somiglianze e dalle diversità tra le cose spesso derivano definizioni, soprattutto di cose che non si conoscono; ne fanno un gran uso coloro che descrivono le piante e gli animali. Queste cose non sono lontane dal senso comune e anche i profani, con un minimo di istruzione, possono esprimere il loro giudizio a riguardo. |